Archive for Gennaio, 2022

Quirinale, manovre e doppi giochi sulla strada della presidenza della Repubblica. Ma Giorgetti scommette: «Andrà tutto bene»

martedì, Gennaio 25th, 2022

di Francesco Verderami

Salvini deve tenere saldo il rapporto con Berlusconi. E Casini inneggia alla «centralità» del Parlamento. L’elezione da costruire un «passo alla volta». Guerini dà i tempi: ci vorrà una settimana

«Andrà tutto bene», dice Giorgetti. E visto che da mesi il ministro leghista teorizza l’ascesa di Draghi al Colle, è chiaro a chi e a cosa si riferisca. Il suo ottimismo pare una volta ancora in contrasto con la linea di Salvini. In realtà la situazione è più complessa, perché la strada verso il Quirinale è tortuosa oltre che piena di trappole. L’atteggiamento del leader leghista, il modo in cui ripete che il premier dovrebbe restare a palazzo Chigi, è dettata (anche) dalla necessità di tenere saldo il rapporto con Berlusconi. E la spiegazione della sua prudenza emerge da un colloquio tra esponenti dem con parigrado azzurri, secondo i quali non dovrà essere Salvini a intestarsi la candidatura di Draghi per non sconfessare il Cavaliere. In questa fase il capo del Carroccio non solo deve garantirsi la tenuta di Forza Italia — dove sta facendo breccia il nome di Casini — ma deve inoltre capire quanto è forte il fronte del dissenso nel Pd e nel Movimento e quali mosse gli avversari hanno in serbo.

La corsa sta per entrare nella fase più insidiosa: nei prossimi due giorni — all’ombra delle schede bianche — inizieranno manovre e doppi giochi, con i quirinabili al centro del mirino. Un passo falso e salta tutto. Perciò, in attesa di arrivare all’atto conclusivo, andranno consumati una serie di passaggi: il centrodestra dovrà prima celebrare il rito della rosa e nel centrosinistra andrà chiarito il punto di caduta comune, per quanto sarà possibile. Ieri Draghi ha visto e sentito tutti, nelle stesse ore in cui Casini stava a Montecitorio per votare (e in prospettiva farsi votare). Con un tocco degno della tradizione democristiana, l’ex presidente della Camera aveva rilasciato il giorno prima una dichiarazione alla cronaca locale del Resto del Carlino, nella quale inneggiava alla «centralità» del Parlamento «troppe volte mortificato». Un modo per sottolineare come siano solo lui e la Casellati gli unici candidati «politici» per il Colle, in mezzo a tanti «tecnici».

Un chiaro riferimento a Draghi, che è il più esposto e su cui si concentra la maggior pressione. Da giorni Renzi lo continua a chiamare in causa, tenendo un piede nel campo di Casini. Chi lo conosce, come il democratico Delrio, pensa che stia «preparando una sorpresa». Ma non sembra esserci spazio per terze soluzioni, per quanto ieri il capogruppo di M5S alla Camera provasse ad aggrapparsi a uno scoglio che non c’è: «Insistete su Mattarella», ha implorato agli alleati del Pd. Il fatto è che anche il Nazareno non ha molti margini di manovra, anche Letta deve districarsi tra quanti fanno muro contro Draghi (come Franceschini) e quanti sono pronti a boicottare l’accordo su Casini (come i riformisti). Per questo l’altra sera il leader democrat si è espresso per un «bis» dell’attuale capo dello Stato: una sortita a sorpresa che ha suscitato dubbi anche tra i membri della sua segreteria.

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Ucraina, la crisi rischia di sfociare in guerra: “Piano per rovesciare il governo”. E la Russia nega

lunedì, Gennaio 24th, 2022

Continua il braccio di ferro tra la Russia e l’Occidente sul destino dell’Ucraina. Il Regno Unito ha denunciato un presunto piano di Mosca per sovvertire il governo di Kiev e insediare un leader vicino al Cremlino. Accuse che la Russia ha prontamente respinto, incolpando i paesi della Nato di voler aumentare le tensioni. Per l’Ucraina, che ha promesso di continuare a smantellare le strutture filo-russe, le dichiarazioni del Foreign Office non sono “niente di nuovo”, ha affermato il consigliere della presidenza ucraina Mikhail Podoliak.

Le accuse mosse da Londra sono “ridicole e divertenti”, ha detto all’Associated Press l’ex deputato ucraino Yevheniy Murayev, indicato dal Regno Unito come il possibile uomo di Mosca per rovesciare l’esecutivo in Ucraina. Il politico ha affermato che gli è negato l’ingresso in Russia dal 2018 perché è considerato una minaccia per la sicurezza del Paese. La sanzione, ha spiegato, gli è stata commminata sulla scia delle tensioni con Viktor Medvedchuk, il più importante politico filo-russo dell’Ucraina, amico del presidente Vladimir Putin. “Tutto ciò che non supporta il percorso di sviluppo filo-occidentale dell’Ucraina è automaticamente filo-russo”, ha accusato Murayev.

Ma il Regno Unito, che è deciso a giocare un ruolo di primo piano nella crisi, ha detto di avere informazioni di intelligence sul piano di Mosca e ha elencato una serie di leader vicini al Cremlino, tra cui, oltre a Murayev, Mykola Azarov, ex primo ministro sotto Viktor Yanukovych, il presidente ucraino estromesso nella rivolta del 2014, e l’ex capo di gabinetto di Yanukovich, Andriy Kluyev, che sarebbero in contatto con l’intelligence russa.

In un’intervista rilasciata alla Cnn, il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha spiegato che Washington da settimane avverte sull’uso da parte del Cremlino di una tattica simile, “che fa parte del kit di strumenti russo”. Questo va da “una vasta e convenzionale invasione dell’Ucraina ad attività destabilizzanti nel tentativo di rovesciare il governo”, ha spiegato Blinken, ribadendo che un’aggressione da parte di Mosca avrebbe pesanti conseguenze. In precedenza la Casa Bianca aveva definito “profondamente preoccupanti” le notizie arrivate da Londra.

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Responsabilità chiama responsabilità

lunedì, Gennaio 24th, 2022

Augusto Minzolini

Dopo una rinuncia a candidarsi che gli è costata non poco, celebrata sull’altare della responsabilità e dell’interesse del Paese, come si addice ad uno statista, Silvio Berlusconi ha chiesto a sua volta un atto di responsabilità a Mario Draghi: non è il momento, infatti, che l’attuale premier lasci Palazzo Chigi perché alle emergenze di ieri, tutt’altro che risolte, se ne sono aggiunte altre. Basta leggere i bollettini della Confindustria, della Cgia di Mestre, della Confcommercio per scoprire che l’inflazione ha cominciato ad impennarsi e che rispetto allo scorso anno il costo dell’energia è salito di 17 miliardi (secondo gli industriali un -0,8% di Pil).

In un momento del genere, quindi, sarebbe da irresponsabili decapitare un governo senza avere nessuna certezza di farne un altro. Anzi, se si squarciasse il velo di ipocrisia che pervade la sceneggiatura scritta dal comitato Draghi for President – composto dagli strateghi di Palazzo Chigi, da Enrico Letta con la consulenza, al solito a metà, di Matteo Renzi -, si scoprirebbe che la salita al Colle dell’attuale premier avrebbe come unico epilogo le elezioni anticipate. Non per nulla il «non veto» di Giorgia Meloni su Draghi è funzionale allo schema di chi accetterebbe il trasloco del premier al Quirinale solo nella prospettiva che si porti dietro le urne. Non certo un’interpretazione rassicurante per i parlamentari.

Ma il punto vero è che con la sua rinuncia Berlusconi ha lanciato una sfida a Draghi e alla sinistra: responsabilità, infatti, chiama responsabilità. È una risposta anche alla narrazione di parte che Letta e soci hanno tentato di imporre in queste settimane: dopo aver eletto due presidenti a maggioranza (Napolitano e Mattarella), a sinistra si sono inventati l’espressione «divisivo» per il Cav. Appunto, Berlusconi è talmente «divisivo» che di fronte ai «no», ai veti, ad una campagna di intimidazione di altri tempi con gli stessi protagonisti invecchiati e claudicanti e le stesse panzane di quindici anni fa, ha rinunciato a correre per non mettere a repentaglio l’unità del Paese. Bisogna vedere, a questo punto, se sull’altro versante, a cominciare da Draghi, mostreranno la stessa sensibilità.

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L’Europa vuole abolire i colori per viaggiare basta il pass e l’Italia allunga la scadenza

lunedì, Gennaio 24th, 2022

Patricia Tagliaferri

Si semplificano le regole per muoversi all’interno dell’Unione europea. Non appena i vari Paesi avranno messo a punto il nuovo modello di gestione della pandemia che punta a ritirare le restrizioni generalizzate imposte finora per proteggere i propri confini, non conterà più il luogo di provenienza dei viaggiatori ma lo stato del loro certificato Covid.

Le mappe di contagio, che colorano di rosso o rosso scuro le cartine degli Stati dove i contagi corrono di più, rimarranno solo a livello informativo, ma non saranno determinanti ai fini delle restrizioni da imporre a chi varca i confini di altri Paesi. Non verranno più raccomandate misure come quarantene o ulteriori test a chi arriva da Paesi con un’alta circolazione del virus, come accade ora per scoraggiare gli spostamenti da e verso le zone rosso scuro. A contare – come prevede il testo di una raccomandazione concordata dagli ambasciatori Ue in vista del consiglio affari generali di domani – sarà solo lo stato del viaggiatore: se è vaccinato, guarito dal Covid o se ha un test negativo fatto nelle 72 ore precedenti se molecolare o 24 ore prima (non più 48) se antigenico. Il green pass sarà dunque sempre più determinante. Al momento non è chiaro se verrà richiesto il booster e se trascorso un determinato tempo dalla seconda dose servirà esibire anche un tampone. La validità del certificato europeo resterà di 9 mesi, in contrasto con quello italiano che dal 1° febbraio durerà 6 mesi dall’ultima vaccinazione. Non solo un problema per chi ha fatto da tempo il booster, ma anche una situazione di conflitto tra due norme. Il governo sta infatti valutando una soluzione, dal momento che ancora non si parla di quarta dose e non si può lasciare senza certificato chi ha completato il ciclo vaccinale. La scadenza potrebbe essere riportata a 9 mesi, ma si valuta anche la possibilità di considerarlo valido finché non saranno prese decisioni sull’eventuale nuovo richiamo. Ancora nessuna conferma, invece, sulla proroga dell’ordinanza firmata prima di Natale per arginare il dilagare della variante Omicron. Ordinanza che prevede l’obbligo di tampone per entrare in Italia dall’estero, anche dai Paesi Ue e anche per chi ha il green pass ed è stato vaccinato con la terza dose. Una stretta che ora, con Omicron prevalente anche da noi, potrebbe perdere di efficacia.

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Supermario si può salvare se fa tre telefonate

lunedì, Gennaio 24th, 2022

Alessandro De Angelis

Se Draghi vuole andare al Quirinale, come evidente, forse qualche telefonata dovrebbe cominciare a farla, per affrontare il nodo vero della sua candidatura, ovvero il governo dopo di sé. Non è un consiglio, ci mancherebbe. Solo la considerazione di un cronista che, al terzo taccuino di appunti sul Quirinale, constata che l’ultima pagina è come la prima, alla vigilia del primo voto destinato ad andare a vuoto: nessun grande disegno.

Nelle altre pagine del taccuino sono annotate le buone ragioni per cui finora il premier non ha alzato la cornetta: si sa come va il mondo, se apre una trattativa si ritrova pure la lista degli aspiranti sottosegretari, roba da non uscirne vivo. Però è anche annotata una certa insofferenza dei partiti perché «puoi anche essere il Padreterno, ma il Padreterno non ha il problema di essere eletto». E per il Colle, soprattutto se ha una crisi di governo incorporata, serve il consenso dei partiti, buoni o cattivi che siano. E una regia, che al momento nessuno è in grado di assumere. Né basta l’elemento di pressione sul sistema: in caso di bocciatura, perché così verrebbe percepita dall’opinione pubblica la sua non ascesa al Colle, Draghi se ne potrebbe anche andare. In fondo, è un rischio anche per la sua immagine: è un attimo passare da salvatore a traditore della patria che lascia il Paese senza una rotta tra pandemia da affrontare e Pnrr da completare.

«Né sentimenti né risentimenti» diceva il Talleyrand. La prima telefonata potrebbe farla a Silvio Berlusconi, anche dopo il suo atto di aperta ostilità. Si è capito che il Cavaliere considera Draghi un ingrato, per tante ragioni: non un grazie ai tempi in cui si adoperò per la sua nomina a Bankitalia; per non parlare della Bce quando si spese, e poi ricevette la famosa lettera che fece saltare tutto; infine il governo dell’anno scorso, quando Berlusconi apprese i nomi dei suoi ministri in diretta tv. Appunto, neanche una telefonata. Più quelli di palazzo Chigi parlano col solo Gianni Letta, che in questa partita sta andando oltre il ruolo di ambasciatore, più il Cavaliere si irrigidisce. Giusto o sbagliato che sia, si sa come è fatto l’uomo: se uno fa il Marchese del Grillo con lui perché «io so’ io», quello ti risponde: «E sapessi quanto so’ io». Insomma, a Marchese, Marchese e mezzo, e patatrac. Berlusconi di giravolte ne ha fatte parecchie però, per farle, ha bisogno di un riconoscimento del ruolo, non può apparire sconfitto o peggio umiliato.

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Il compiacimento dei partiti e SuperMario alle prese con la politica delle acrobazie

lunedì, Gennaio 24th, 2022

FEDERICO GEREMICCA

Proviamo a immaginare (con tutti i rischi del caso) il possibile punto di vista del presidente Mario Draghi di fronte a quel che vede accadergli intorno. Si sarà fatto, probabilmente, un’idea non troppo distante da quella di un qualunque cittadino che stia seguendo con un po’ di attenzione il festival di acrobazie linguistiche che accompagna la delicata partita del Quirinale. 

Al di là delle solite fumisterie, quel che si è inteso è questo: la maggioranza dei partiti presenti in Parlamento non vuole le elezioni anticipate, e quindi Draghi deve stare dove sta. Certo, questi stessi partiti – contemporaneamente – non sembrano in grado di accordarsi sul nome del nuovo Capo dello Stato, ma fa niente: il premier non può comunque muoversi, nella convinzione deprimente (per i partiti) che andato via lui nessun altro potrebbe garantire l’equilibrio faticosamente raggiunto tra forze del tutto diverse.

Magari il presidente Draghi non la vede così (è un “tecnico”, no?…) ma la verità non è molto lontana dalla sintesi proposta. E da questo punto di vista la nota con la quale Berlusconi ha temporaneamente alzato bandiera bianca, è esemplare: resti dov’è fino al 2023. A dir la verità, si è anche notato – da qualche parte – un certo compiacimento nel motivare quello che, liberato dai fronzoli, alla fine è un “no”. Del resto: quanti retroscena abbiamo letto su partiti tagliati fuori e arrabbiati dall’evidente decisionismo del premier? Magari qualcuno pensa che questo sia il momento per pareggiare i conti. Vedremo. Chissà.

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Mattarella o Amato, solo con loro Draghi può restare premier

lunedì, Gennaio 24th, 2022

ILARIO LOMBARDO

Sabato pomeriggio Goffredo Bettini chiama Luigi Di Maio al telefono. «Vediamoci, così chiacchieriamo un po’». L’uomo delle trattative del Pd ha bisogno di sentire, di sondare, di capire dal ministro degli Esteri quanto l’anarchia del M5S sia davvero ingovernabile. I due si vedono, e ragionano sugli scenari più probabili. Sono d’accordo su un punto: la strada che porterebbe Mario Draghi al Quirinale è complicata. Ma sembra esserci davvero solo un’alternativa plausibile, e conduce nuovamente a Sergio Mattarella, il presidente riluttante ad accettare il bis. Nel confronto tra Bettini e Di Maio si parla anche di altri nomi. Di Giuliano Amato, l’ex premier e giudice della Corte Costituzionale, che un pezzo della sinistra Pd, che va da Andrea Orlando a Peppe Provenzano, porterebbe subito al Colle, nonostante i quasi 85 anni di età e una popolarità che non è propriamente ai massimi livelli nelle generazioni che ricordano il prelievo forzoso dal conto degli italiani che, da presidente del Consiglio, Amato impose in una notte del luglio 1992.

Di Maio sembra conoscere bene gli umori che si agitano a Palazzo Chigi. E la sua impressione è quella di chiunque altro, in queste ore così confuse, abbia agganciato un interlocutore nello staff del premier. Sulla scelta del prossimo Capo dello Stato i leader dei partiti devono tenere in considerazione i contraccolpi, inevitabili, che ci saranno sul governo di unità nazionale. Detto altrimenti, attorno a Draghi si avverte un timore: che i candidati spuntati finora non abbiano «l’altissimo profilo» e «la necessaria autorevolezza internazionale», per usare le espressioni di questi giorni dei leader, dell’ex presidente della Banca centrale europea. Esclusi Mattarella e, in subordine, Amato, tutti gli altri potrebbero squilibrare il rapporto di pesi e contrappesi che è consigliabile mantenere tra due istituzioni come il Quirinale e la presidenza del Consiglio. È evidente che questo ragionamento nasce dopo le indiscrezioni su Pier Ferdinando Casini. Sulla carta il profilo del senatore sembra avere tutte le qualità elencate dai partiti: è un ex presidente della Camera, politico navigatissimo, superstite di infiniti naufragi e tante legislature, ed è di dichiarata fede atlantista. È vero che se fosse eletto «dalla maggioranza più ampia possibile» rispetterebbe l’auspicio che fece lo stesso Draghi lo scorso 22 dicembre. Ma chi conosce l’ex banchiere sa che in quel momento le sue parole si riferivano a ben altre personalità. Mattarella, citato esplicitamente in quella e altre occasioni pubbliche, e Amato, nonostante si racconti che con l’attuale premier si sia creata una certa freddezza nei rapporti. Amato è comunque un ex presidente del Consiglio, studioso molto stimato e, come Mattarella fino al giorno della sua investitura, è un giudice costituzionale. Infine, ha dalla sua un apprezzamento trasversale che può ammorbidire le diffidenze persino dentro la Lega e il M5S, soprattutto se in cambio può garantire la continuità del governo, con Draghi al suo posto.

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Mattarella o Draghi: le carte di Letta

lunedì, Gennaio 24th, 2022

ANNALISA CUZZOCREA

«Stanno spingendo ancora su Giuliano Amato», dice Giuseppe Conte ai suoi nel gabinetto di guerra che è diventato la cabina di regia M5S. «Dicono che sarebbe la soluzione ideale perché il quadro si assesti, ma avremmo tutto il nostro mondo contro. Allora perché non Elisabetta Belloni? È ai servizi da pochi mesi, non può essere un handicap». Quanto ad Andrea Riccardi, l’avvocato la pensa come Enrico Letta, o almeno come il segretario dem dice ai grandi elettori riuniti ieri al Nazareno (assente e forse offeso Dario Franceschini): «Sarebbe il candidato ideale».

Almeno su questo Letta, Conte e Speranza – che si sono rivisti ieri mattina – sono davvero completamente d’accordo. Riccardi è un buon nome, da non bruciare come semplice bandiera, «è anche presidente della società Dante Alighieri, potrebbe essere considerato patriottico! » , dice scherzando il segretario dem. Tutti e tre però sanno che la candidatura del fondatore della comunità di Sant’Egidio, in un’interlocuzione con la destra, ha poche speranze. E che non sarà quella la soluzione del rebus Colle, che oggi con tutta probabilità comincerà con una conta di schede bianche: un segnale distensivo di tutti nei confronti di tutti. Un’apertura insomma, verso dove non è ancora dato capirlo.

Il coordinamento è strettissimo, l’atmosfera più che serena. Il punto è che almeno per ora i tre leader del fronte progressista continuano a non volere le stesse cose. E che tutti stanno cercando di far prevalere la propria linea puntando sull’altro campo. O meglio, su Matteo Salvini.

È il leader della Lega il più platealmente conteso in queste ore. Conte lo sente spesso – almeno così dicono i suoi fedelissimi – con in testa un obiettivo: convincerlo a mantenere il suo veto e quello del centrodestra, quanto meno di Lega e Forza Italia, su Mario Draghi. «Non possiamo permetterci una crisi al buio», dice l’ex premier. «Non possiamo farlo per il Paese. E poi scusate, quando sono andato via io da Palazzo Chigi dicevano tutti che non potevo farcela da solo, il Pnrr, la pandemia, serviva superMario. E adesso che vogliono mandarlo al Quirinale, a capo dell’esecutivo andrebbe bene una comparsa?»

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Quirinale, bivio Casini-Draghi tra quarta e settima votazione. E torna l’idea Mattarella

lunedì, Gennaio 24th, 2022

di Francesco Verderami

Elezione del presidente della Repubblica, oggi la prima votazione. Il centrodestra alla ricerca di una soluzione condivisa, ma rischia la spaccatura. Nel centrosinistra tramonta l’opzione Riccardi. Renzi avanza la richiesta di «un’iniziativa politica» al premier

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Appuntamento tra la Quarta e la Settima: è l’incrocio delle votazioni dove i leader politici scommettono terminerà la corsa per il Colle. Il 24 gennaio invece i partiti sceglieranno la scheda bianca, che è il modo migliore per non contarsi e non mostrarsi come sono. Divisi. E se sono divisi i partiti, figurarsi le coalizioni.

Nel centrodestra del «dopo Berlusconi», Salvini e Meloni sono davanti a un bivio
esistenziale: senza il Cavaliere a far da mastice e da ammortizzatore dell’alleanza, devono gestirsi un rapporto personale difficile e un passaggio politico che potrebbe segnare le loro sorti e quelle del rassemblement. Forza Italia è fuori dai giochi, esposta ai rischi di un’Opa ostile da destra e dal centro: è per tutelare il suo partito che l’altra sera Berlusconi aveva detto no a Draghi per il Quirinale.

Il capo della Lega non ha terne per prevalere nel ruolo di kingmaker. La presidente di FdI vuole evitare di restare esclusa dalla partita. Entrambi non hanno margini di manovra e sanno che dovranno infine accettare una soluzione «condivisa»: Casini o Draghi. Nel primo caso il centrodestra si spaccherebbe sul voto per il nuovo presidente della Repubblica. Nel secondo si spaccherebbe sul voto per il governo.

Nel centrosinistra l’idea di votare subito Riccardi è rientrata, perché avrebbe scatenato i franchi tiratori del Movimento e del Pd, affondando immediatamente la coalizione e il candidato che ieri aveva cambiato i profili Facebook, postando le sue foto insieme a Mattarella e Merkel. È tale la preoccupazione per un agguato a scrutinio segreto che Letta chiesto ai grandi elettori dem di non fare «come i ragazzini di una scuola materna». E siccome non vede vie d’uscita, stretto com’è dai capi delle correnti interne, dopo essersi barcamenato tra Draghi, Casini e Amato è tornato a chiedere il bis di Mattarella. Sarebbe clamoroso se il leader del Pd non avesse informato il capo dello Stato prima di citarlo pubblicamente, il fatto è che Conte dentro M5S è tagliato fuori: il trio Di Maio-Fico-Grillo ha deciso di sostenere il premier in opposizione all’ex presidente della Camera, ritenuto il candidato del «patto di sindacato dei partiti in crisi». Come se loro non lo fossero.

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Green pass senza scadenza per chi ha la terza dose: il piano del governo per allungare la durata

lunedì, Gennaio 24th, 2022

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini

Qual è la durata del green pass? Per chi ha fatto la terza dose potrebbe essere senza scadenza. L’ipotesi del governo in attesa di capire se servirà un quarto richiamo. Da oggi in arancione Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Sicilia

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Green pass senza scadenza per chi ha tre dosi di vaccino: la decisione è presa e nei prossimi giorni il governo metterà a punto il provvedimento che dispone l’allungamento della validità. Ma dovrà anche decidere se rinnovare l’ordinanza che impone il tampone a chi entra nel nostro Paese, anche se possiede la certificazione verde. È uno degli argomenti all’ordine del giorno della riunione con i presidenti di Regione convocata per domani. L’altro è l’abolizione delle fasce di colore che prevedono restrizioni e scattano quando si supera la soglia critica di occupazione dei reparti ospedalieri, in particolare le terapie intensive.

Green pass allungato

Il decreto in vigore prevede che dal 1° febbraio la certificazione verde sia valida sei mesi, ma per molti cittadini a metà marzo scadrà la certificazione e al momento non c’è alcuna autorizzazione alla somministrazione della quarta dose. Ecco perché il governo sta valutando di renderlo valido fino a che non saranno prese decisioni sull’eventuale nuovo richiamo. Il via libera al booster è arrivato a metà di settembre e quindi nelle prossime due settimane si dovrà procedere con l’allungamento, visto che secondo i calcoli del ministero della Salute almeno 100 mila persone sarebbero costrette a fare il tampone per lavorare, ma anche per poter svolgere tutte le altre attività della vita quotidiana.

Parere al Cts

Nei prossimi giorni il governo chiederà un parere al Comitato tecnico-scientifico per avere indicazioni, l’ipotesi più probabile è che per chi ha effettuato tre dosi non venga fissata una nuova scadenza, almeno fino a quando non sarà chiaro quali saranno i prossimi passi della campagna vaccinale.

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