Archive for Febbraio, 2022

Caso Raztinger, l’arcivescovo Zuppi: “Ha accettato il giudizio umano, la sua lettera è una svolta epocale”

giovedì, Febbraio 10th, 2022

Domenico Agasso

BOLOGNA. «Il cuore del mea culpa di Ratzinger è nella condivisione del suo esame di coscienza davanti a Dio e agli uomini su un tema attuale e di rilievo. Benedetto XVI non intende riferirsi “solo” al giudizio di Dio, come per fuggire dalle responsabilità nei confronti dell’umanità dei tempi e luoghi del suo governo ecclesiale». Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, definisce «bella e intensa» la lettera diffusa dal Papa emerito in risposta al rapporto sugli abusi sessuali commessi nell’arcidiocesi di Monaco. È un testo «nobile, spirituale, umano ed indica una risposta ai problemi che ci sono: esorta la Chiesa a combattere contro il peccato chiamandolo per nome».

Però nella galassia cattolica c’è chi ritiene che sia una manifestazione troppo personale per un pontefice: lei che cosa ne pensa?
«Io credo il contrario: la forza di aprirsi e di raccontare le riflessioni compiute da uomo e da credente rappresentano la sincerità e l’autenticità della “grandissima colpa”, facendo sue le responsabilità della Chiesa. Benedetto chiede perdono per le inadempienze mostrando dolore e profonda vergogna, dando una lezione di umiltà e responsabilità e prova di coraggio».

In che senso?
«Affidarsi “solo” al giudizio di Dio può diventare un modo per sfuggire al riconoscimento di sbagli di fronte agli altri uomini e donne. Joseph Ratzinger invece ha armonizzato le due direzioni verso cui si è rivolto: la responsabilità nei confronti dell’umanità nei tempi e luoghi in cui ha avuto incarichi di guida all’interno della Chiesa, e il rapporto con Dio. Si è espresso in una dimensione da grande uomo e credente, lanciando un messaggio di umanità e di fede».

Lei pensa che sarà compreso?
«È la preoccupazione che ho. Spero che sia capito nella sua altezza, universalità, mentre oggi è molto più facile pensare che l’unico criterio che conta è quello soggettivo. È l’individualismo diffuso nelle nostre società, dove esiste soltanto l’io. In Ratzinger invece coesiste la spinta a mettersi di fronte agli uomini e abbandonarsi con fiducia al giudizio finale di Cristo. Certo, riconosce che “nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere motivo di spavento e paura”, ma dice anche di sentirsi “con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato”. Questo passaggio è da leggere e rileggere».

Quali sono le differenze da altri celebri mea culpa papali?
«Questo affronta una piaga aperta e sanguinante, mentre altri si riferivano a malefatte compiute da uomini di Chiesa in tempi precedenti e anche lontani. Ovviamente ciò non significa dare un ordine di importanza. Ratzinger dice: “Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa. Tanto più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi”. Qui c’è un coinvolgimento personale che aiuta tutti quanti a non sfuggire dai propri doveri ancora presenti».

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Jovanotti: il mio grazie a Mattarella, ma noi maschi che disastro

giovedì, Febbraio 10th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

«La musica c’è sempre stata, anche in questi due anni. E’ ascoltarla insieme che fa la differenza». Jovanotti sa che i suoi dischi sono quella cosa lì: le canzoni che balli in una danza collettiva, come accadrà dal 2 luglio in poi quando ripartirà il Jova Beach party e le spiagge d’Italia faranno festa; quelle che ascolti con qualcuno, magari solo in due, ma dividendo le cuffie come si faceva una volta. E’ in questo che Sanremo ha interpretato “lo spirito del tempo”: ha riportato in vita «un rito collettivo, ha fatto sì che per una settimana non parlassimo più di quel che ha dominato le nostre vite in questi anni, che saranno anche solo due, ma sembrano trecento». Lorenzo appare su Zoom dalla sua casa di Cortona. Sul volto l’energia di chi si è chiuso in studio a provare i pezzi nuovi del disco del Sole (alle canzoni dell’Ep Primavera se ne aggiungeranno tra poco almeno altre cinque), dietro di sé i mille colori di una carta da parati modello giungla. Nella stanza ci sono i cappelli, le chitarre, i tappeti preferiti, come quello che gli ha regalato a Natale la moglie Francesca. I libri in cui si è immerso per continuare a viaggiare da fermo: «Sono stato ovunque: in Iran, Cina, tre volte in Antartide, e ho scoperto il Polo Nord!».

«Sanremo è stata una botta», racconta subito. «Me ne accorgo da come mi sveglio al mattino». Un’emozione come per tutto quello che si può vincere o fallire. Perché «gli artisti sono acrobati, vivi sul filo, sai che puoi cadere da un momento all’altro. Quando inizi non ci pensi: c’è un elemento di ingenuità che bisogna sempre mantenere. Se fai un disco che sai già com’è, rischi che suoni trombone: è il peggio che ti possa succedere». Mentre il pop «funziona quando è ingenuo, quando c’è dentro una scoperta. I cantanti imparano sempre qualcosa. Non insegnano niente». 

Cosa c’era di diverso in questo Sanremo che milioni di persone sono state a guardare, commentare, votare?

«Ho sentito subito, fin dalla prima serata, che vibrava bene. Un Paese che non ha musica dal vivo da più di due anni è un Paese cui è mancato qualcosa di profondo, al di là della giusta questione del settore in crisi. Non voglio entrare nella giusta retorica del settore in crisi, perché questo va al di là dell’industria. E’ un bisogno che è rimasto seppellito. E Sanremo è stato perfetto: sono così rari i momenti in cui tante persone decidono di guardare insieme una diretta. Oltre al mondiale di calcio non mi viene in mente nulla. Nella frammentazione delle nostre vite, oggi che passiamo serate a cercare di decidere cosa guardare on demand per poi non guardare niente, è stato come avere un appuntamento. Come ritrovarsi».

Sul podio, insieme a Gianni Morandi con la canzone che hai scritto per lui, sono saliti Mahmood e Blanco ed Elisa, arrivati al primo e al secondo posto.

«Ed è stato perfetto così. Il podio più bello di sempre. Perché io Sanremo l’ho sempre guardato».

Anche quando i vincitori si dimenticavano in un niente?

«Anche negli anni di crisi, Sanremo racconta qualcosa. Può sempre venir fuori una canzone storica, è questo che lo rende magico. Sei distratto e ti arriva un Vasco Rossi, una Pausini, un Ramazzotti, un Mahmood. Lo guardi perché sai che stai assistendo a un mistero. Quel podio, a volerlo fare apposta, non l’avresti creato così perfetto. Tre generazioni, tre mondi musicali diversi, ma col respiro giusto: Morandi vecchia scuola, ma non antico; Mahmood e Blanco con un pezzo che parla anche alla generazione di Gianni; Elisa che è un’artista fantastica. Anche la successione, perfetta. Alchemica».

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La notte del Quirinale e la «ragion di Stato» che chiude la vicenda Belloni

giovedì, Febbraio 10th, 2022

di Francesco Verderami

Gabrielli: bisogna limitare l’elettorato passivo per certe cariche. In quei giorni, a detta di Matteo Salvini, il nome «mi venne proposto da Enrico Letta e Giuseppe Conte», che a sua volta inserì tra i promotori della candidatura «anche Roberto Speranza».

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«C’è una ragion di Stato che impone di chiudere subito la vicenda». Parlò di «ragion di Stato» il ministro della Difesa la notte in cui prese quota la candidatura di Elisabetta Belloni al Colle. Era l’ultima notte di quei «giorni travagliati».

A colloquio con il leader del Pd Enrico Letta, Lorenzo Guerini urlò come mai gli era capitato prima, perché «non si doveva arrivare dove si è arrivati», perché «non si doveva inserire il nome del capo del Dis nella rosa per il Quirinale», perché «va tenuto conto della delicatezza del suo ruolo», perché «non si possono tenere in fibrillazione gli apparati della sicurezza». E per quanto sorpreso dalla «coda bislacca» della trattativa sul capo dello Stato, il ministro dem pose soprattutto l’accento sulla «ragion di Stato».

Ed è proprio seguendo la logica della «ragion di Stato» che ieri il Copasir ha dato prova di un ritrovato senso della istituzioni, se è vero che — durante l’audizione della responsabile dei Servizi segreti — i membri del Comitato per la sicurezza della Repubblica si sono concentrati sulla crisi ucraina e non hanno posto domande sulla questione quirinalizia che l’ha coinvolta. Lo avevano fatto anche il giorno prima con il ministro degli Esteri, che pure era stato parte dell’affaire opponendosi alle modalità con cui la Belloni era stata infilata nel tritacarne dei quirinabili.

È stato un segno di resipiscenza (quasi di riscatto) del Parlamento, dopo la sbornia di una settimana surreale che — per effetto di mediazioni senza soluzioni — avrebbe infine portato alla rielezione di Sergio Mattarella. In quei giorni, a detta di Matteo Salvini, il nome della Belloni «mi venne proposto da Enrico Letta e Giuseppe Conte», che a sua volta inserì tra i promotori della candidatura «anche Roberto Speranza». Nel Palazzo non sono ancora certi su chi sia stata la mente del progetto, diciamo, ma è agli atti la reazione immediata di quanti lo hanno combattuto: dalla maggioranza del Pd a Forza Italia, da un pezzo di M5S ai centristi di ogni latitudine, dalla senatrice di sinistra Loredana De Petris a Matteo Renzi che disse «l’Italia non è l’Egitto».

E tutti insieme, per «ragion di Stato», evitarono di dar corso a una polemica che — come rileva Guerini — sarebbe stata «dannosa verso l’immagine di strutture così importanti e delicate»: «L’improvvisazione di quei giorni ha già fatto abbastanza danni. La politica deve avere l’intelligenza di non trascinare nell’agone persone e istituzioni che vanno tutelate nell’interesse del Paese». Una risposta indiretta a chi ha continuato a sostenere che sia stata «un’occasione persa non portare una donna al Colle», o a chi ha provato a giustificarsi spiegando come non ci fossero «norme di legge» che ne impedissero l’elezione.

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Open, le accuse: a Renzi 549 mila euro «per beni e servizi», alla Fondazione 7 milioni di euro

giovedì, Febbraio 10th, 2022

di Fiorenza Sarzanini

La Procura chiede il rinvio a giudizio del leader di Italia Viva insieme a Maria Elena Boschi, Luca Lotti, l’avvocato Alberto Bianchi e l’imprenditore Marco Carrai

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È accusato di aver preso tre milioni e mezzo di euro in quattro anni attraverso la Fondazione Open. «Un finanziamento illecito», secondo la procura di Firenze, perché Open era «di fatto di un’articolazione politico organizzativa del Pd» e le somme «servivano a sostenere l’attività politica dei suoi appartenenti». Nel giorno in cui la Procura chiede il suo rinvio a giudizio insieme a Maria Elena Boschi, Luca Lotti, l’avvocato Alberto Bianchi e l’imprenditore Marco Carrai, Matteo Renzi parte all’attacco dei magistrati: «Li denuncio, non mi fido di loro».

«Soldi, beni e servizi»

L’udienza preliminare è fissata per il 4 aprile. In quella sede tutti gli imputati dovranno difendersi per aver «ricevuto contributi in denaro tra il 2014 e il 2018, in violazione della normativa, per sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana del Pd», ma anche «contributi in forma indiretta consistiti in beni e servizi, acquistati dalla Open».

La Fondazione è la cassaforte che ha sostenuto la scalata di Renzi da sindaco di Firenze a presidente del Consiglio. Nell’arco dei suoi sei anni di vita, dal 2012 al giugno 2018, ha raccolto oltre sette milioni di euro. La Procura contesta circa tre milioni e mezzo di contributi ricevuti dal novembre 2014 al giugno 2018, quando la Fondazione venne liquidata. Secondo l’accusa della Procura guidata da Giuseppe Creazzo «la Fondazione agì come articolazione di partito e Renzi come direttore di fatto».

Spese per 549 mila euro

Agli atti dell’inchiesta ci sono le spese sostenute negli anni da Renzi e dai suoi collaboratori, dai cellulari ai biglietti del treno, dai taxi ai ristoranti e agli hotel. Le spese maggiori sono state quelle relative alla kermesse annuale della Leopolda. L’accusa contesta a Renzi di aver usufruito di «beni e servizi» per quasi 549 mila euro. Alcuni contributi sarebbero stati usati da Open anche per finanziare la «Campagna per il sì al Referendum».

Bianchi, assistito dall’avvocato Fabio Pinelli, è invece ritenuto il «collettore» dei finanziamenti arrivati alla Fondazione sfruttando il ruolo politico di Lotti per agevolare le imprese «amiche» con l’approvazione di emendamenti e norme. Per questo i pubblici ministeri hanno deciso di inserire la Camera dei deputati tra le parti lese.

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Draghi: «Caro bollette, misure di ampia portata. Il Pnrr? Raggiunti tutti gli obiettivi»

giovedì, Febbraio 10th, 2022

di Monica Guerzoni

Mario Draghi sceglie Genova come città simbolo della ripartenza di un Paese intero «dopo una tragedia». Se tutti gli italiani si rimboccheranno le maniche come hanno fatto i genovesi dopo il crollo del ponte Morandi e ci metteranno lo stesso impegno e coraggio, il Paese potrà lasciarsi il Covid alle spalle ed entrare in un futuro di modernizzazione e crescita economica. È il senso di una visita organizzata per dare visibilità e concretezza ai progetti del Pnrr, quel Piano nazionale di ripresa e resilienza che «appartiene a tutti gli italiani» e va portato avanti «con unità, fiducia, determinazione».

Senza nascondere il suo personale orgoglio, il premier ricorda che lo scorso anno il governo ha raggiunto tutti gli obiettivi previsti e si aspetta che «lo stesso accadrà anche quest’anno». Due le parole che per Draghi devono fare da architrave della ricostruzione: «serietà» e «affidabilità», verso i cittadini italiani e verso i partner europei. «Perché la crescita sostenuta, equa, sostenibile è il miglior custode della stabilità». E qui, con una digressione dal testo scritto del discorso, il capo dell’esecutivo annuncia una novità importante per contrastare il caro bollette: «Il governo non dimentica il presente e la difficoltà di famiglie e imprese per l’aumento dei prezzi dell’energia elettrica. Il governo sta preparando un intervento di ampia portata nei prossimi giorni». Energia e rincari

A Genova il presidente del Consiglio, contestato a distanza da un presidio no vax di una trentina di manifestanti davanti alla stazione di Brignole, arriva dal mare in motovedetta alle 10.20, dopo un tour del porto con il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, il sindaco della città Marco Bucci e il presidente dell’Autorità portuale Marco Signorini. Sale al primo piano di Palazzo San Giorgio e parla alla città, per parlare alla politica e al Paese intero. Parte dal rapporto tra Genova e il mare, dall’intraprendenza e dall’ingegno dei mercanti che hanno reso Genova «una delle grandi potenze del Mediterraneo», ricorda i Mille di Garibaldi che da lì partirono verso la Sicilia per unire l’Italia. E arriva all’oggi, al crollo del Ponte Morandi che il 14 agosto del 2018 spezzò le vite di 43 persone. Alle famiglie delle vittime il premier porta la vicinanza del governo e sua personale («il loro dolore è il nostro dolore»), poi loda il modello Genova come «esempio di collaborazione, rapidità, concretezza» e ne fa un emblema dell’Italia che verrà, se saremo capaci di non sprecare questa occasione storica. «L’Italia è diciannovesima al mondo per tempi e costi associati alla logistica, anche a causa degli oneri burocratici e dei ritardi nello sviluppo digitale — sprona Draghi — Dobbiamo abbattere questi ostacoli».

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Caro bollette, Draghi riparte da Genova: in arrivo fino a 7 miliardi

giovedì, Febbraio 10th, 2022

“Il governo sta preparando un intervento di ampia portata nei prossimi giorni”. Mario Draghi sceglie la sua prima uscita pubblica dopo le elezioni del Quirinale, a Genova, per annunciare il nuovo decreto che Palazzo Chigi e il Mef stanno mettendo in campo contro il caro bollette. Il nuovo provvedimento dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri la prossima settimana e se resta escluso un nuovo scostamento di bilancio, si lavora a reperire ulteriori risorse tra le pieghe del bilancio. Fin qui sarebbero state recuperati circa 5 miliardi, ma l’obiettivo sarebbe andare oltre, “tra 5 e 7 miliardi”.

Emergenza caro bollette – La somma tra i 5 e i 7 miliardi è stata confermata dalla sottosegretaria al Mef Maria Cecilia Guerra, anche se – spiega chi è vicino al dossier – la situazione è ancora “in progress”.

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Terremoto, l’Emilia trema: forti scosse tra Reggio e Modena

giovedì, Febbraio 10th, 2022

Alle 19:55 il primo evento sismico di magnitudo 4, seguito da un secondo più forte alle 21, di magnitudo 4.3. Pochi minuti dopo, tre terremoti di magnitudo inferiore a 3. Nella notte altre lievi scosse

Serie di scosse di terremoto in Emilia Romagna

In Emilia Romagna la terra è tornata a tremareconforti scosse di terremoto tra Reggio Emilia e Modena. Alle 19:55 è stata registrata una scossa di magnitudo 4, con epicentro a Bagnolo in Piano (RE), a 7 km di profondità. Alle 21 l’Ingv ha segnalato una seconda scossa di magnitudo 4.3, con epicentro a Correggio (RE), a 6 km di profondità.

Un’altra scossa, la terza in poco più di un’ora e di magnitudo più lieve (2.2), è stata registrata con epicentro a Bagnolo in Piano alle 21:06, a 3 km di profondità. E poi alle 21:14 è stata segnalata un’altra scossa di magnitudo 2.6 con epicentro a Correggio, a 7 km di profondità. A seguire un quinto evento sismico di magnitudo 2.7 con epicentro a Bagnolo in Piano, a 2 km di profondità.

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La politica è morta, lunga vita alla politica

mercoledì, Febbraio 9th, 2022

La politica è morta. Sin dalle piccole cose. Per arrivare alle grandissime. Nel diventare amministrazione di condominio, la politica è morta. Nello scappare dalle responsabilità, la politica è morta. Nella rielezione dello stesso capo dello stato per incapacità di esprimere un altro candidato autorevole e condiviso, la politica è morta. Nel non sapere cosa fare. Nell’eterna fuga. Nella propaganda giornaliera, la politica è morta. Nella mancanza di programmi, la politica è morta. E la politica è morta con i premier tecnici. E con i tecnici che dettano legge. Nella crisi dei partiti. E nei partiti azienda. Nei comici che si fanno politici. Nella semplificazione del mondo. Nell’incapacità di fare riforme, la politica è morta. E nell’impossibilità del dialogo. E nell’ipotesi di mettere il capo dei servizi segreti a capo dello stato. Con il populismo, la politica è morta. Con i salvatori della patria, la politica è morta. Con la tecnocrazia, la politica è morta. Con il taglio dei parlamentari. Nell’incapacità di decidere, la politica è morta. Nel dominio degli algoritmi e nello strapotere dei social, la politica è morta. Nei patti di ferro, nella mancanza di scelta, nella mancanza di fantasia la politica è morta.

Nel girare a vuoto, la politica muore ogni giorno. Nella palude burocratica, la politica muore. Nella vertigine ideologica. Nell’ossessione identitaria. Nel vuoto di speranza, muore la politica. Nella dittatura del presente, la politica muore ogni santo giorno. Nel rincorrere interessi particolari, nel farsi sindacato, nell’incubo del consenso a tutti i costi, muore ogni giorno la politica. Con gli avvocati del popolo, con la fine della storia, con il poraccismo, muore la politica. Con i capitani di ventura, con i simboli religiosi, con il dogmatismo. Con le dichiarazioni stampa in piazza. Muore la politica per mancanza di coraggio. Con la spesa corrente che annulla gli investimenti, con la mancanza di prospettiva, la politica è morta. E la politica muore ogni giorno dimenticandosi dei nostri figli. E dei figli dei nostri figli. Abbandonandoli al loro destino. La politica muore se non scrive più il destino. Per noia, per pigrizia, per inerzia. Senza patria la politica muore.

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“Non autorizzare la trasfusione per il figlio è un abuso, non è responsabilità genitoriale”

mercoledì, Febbraio 9th, 2022

di Silvia Renda

“La responsabilità genitoriale, un tempo chiamata potestà, è una funzione esercitata nell’interesse del minore. Questa responsabilità non si può spingere contro il suo interesse per delle convinzioni proprie. Nel caso di Bologna la richiesta dei genitori era assurda e dannosa”. L’avvocato Gianni Baldini dall’inizio della pandemia ha portato avanti (e vinto) oltre 30 cause intentate dai minori contro la madre e il padre, che si opponevano alla loro volontà di vaccinarsi contro il Covid. Insieme ad altri colleghi ha seguito il caso del Sant’Orsola di Bologna e non aveva dubbi che la vicenda si sarebbe conclusa come di fatto si è conclusa: il giudice tutelare di Modena ha accolto il ricorso dell’ospedale, autorizzando la trasfusione a un bambino, per il quale i genitori chiedevano venisse fornito necessariamente sangue proveniente da una persona non vaccinata contro il coronavirus.

“Il giudice ha potuto sospendere temporaneamente la responsabilità genitoriale e approvare il trattamento sanitario perché dimostrato essere nell’interesse del minore”, ci spiega l’avvocato Baldini, “Non c’è più una funzione dell’interesse altrui, ma un abuso, l’esercizio di un potere per convinzione propria”. Baldini sottolinea un’altra stortura nella richiesta dei genitori: “Altro rilievo che rende assurda la richiesta è la pretesa di trovare donatori non vaccinati. Come è noto la donazione di sangue al pari di tutte le altre è protetta da un rigoroso anonimato che non consente di individuare il donatore il quale si è sottoposto a tutti gli esami di routine per rendere sicura la donazione, risultando del tutto irrilevante la circostanza di essere o meno vaccinato contro il Covid”.

Eppure casi del genere non sono unici, né legati a tempi pandemici. I genitori del bambino affetto ricoverato a Bologna hanno chiesto “per motivi di carattere religioso” che il sangue della trasfusione venisse da soggetti che non avessero ricevuto l’iniezione contro il coronavirus, sulla scia delle fake news per cui i vaccini si otterrebbero da embrioni, dunque feti uccisi. Motivi religioso per il rifiuto di una trasfusione sono quelli portati avanti anche dai testimoni di Geova. “Fino a tutti gli anni ‘90 si riteneva che fossero comunque i genitori a decidere” ricorda l’avvocato, “poi si è affermata una giurisprudenza per cui l’adulto che decidesse di non fare la trasfusione è libero, ciò non è possibile nei confronti del minore, se per i sanitari comporta un danno”.

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Corni di letame e fasi lunari: che cosa è e quanto vale l’agricoltura biodinamica

mercoledì, Febbraio 9th, 2022

di Micaela Cappellini

Nuova PAC e possibili impatti sull’agricoltura italiana

Martedì 8 febbraio, dopo l’ennesimo rinvio, alla Camera è cominciata la discussione sul disegno di legge per regolamentare l’agricoltura biologica, che il nostro Paese attende ormai da dodici anni. E puntuale come un orologio svizzero, non appena il testo si riaffaccia in Parlamento, si riaccendono le polemiche sull’agricoltura biodinamica. Corni di vacca riempiti di letame, vesciche di cervi o carcasse di ratti applicati ai terreni in base alle fasi della luna con l’obiettivo di renderli fertili. Teorie di Steiner per un’agricoltura in armonia con la natura, secondo alcuni. Stregoneria senza basi scientifiche, secondo altri.

Il disegno di legge 988 ha avviato il suo iter parlamentare nel dicembre del 2018, ha ottenuto l’approvazione con modifiche dal Senato a maggio dell’anno scorso e ora torna alla Camera, dove qualcuno già lavora a una mediazione per riformulare il comma dove si parla della tanto discussa equiparazione. La posta in palio? Sono i fondi pubblici alla ricerca: l’agricoltura biodinamica potrà attingervi solo se verrà equiparata a quella biologica.

Quanto vale il mercato

In Italia, secondo l’Osservatorio Sana di Nomisma, l’agricoltura biologica vale 4,6 miliardi di euro. Ma quanto vale, al suo interno, questo segmento dell’agricoltura biodinamica che tanto fa accendere le polemiche? Il primo punto è che trovare dati specifici solo per questo sottoinsieme del bio è piuttosto difficile. Gli unici disponibili sono contenuti nel Bioreport 2018, dove si legge che le aziende che applicano il metodo biodinamico in Italia sono 4.500.

Considerato che in Italia la galassia bio conta circa 70mila imprese, stiamo parlando di una fetta che a malapena supera il 6% del totale. Più complicato è capire quale sia il fatturato aggregato del segmento della biodinamica. Nel Bioreport gli unici dati economici sono riferiti al solo campione di 419 imprese che, a far data al 2018, facevano capo a Demeter. Di che cosa stiamo parlando? Dell’associazione privata di imprese, con casa madre in Germania, che nel 1930 ha registrato come marchio nel mondo la dicitura “biodinamico”, ed è quindi l’unica che può concedere a un produttore di fregiarsi di questo titolo, naturalmente dietro pagamento dei diritti.

Di queste 419 imprese certificate si sa che hanno un’estensione complessiva di 9.685 ettari, e che il fatturato medio ad ettaro è di 13.309 euro. La cifra è decisamente superiore alla media di 2.441 euro all’ettaro delle aziende biologiche, ma buona parte del motivo sta nel fatto che la maggior parte delle imprese biodinamiche fa vino, un’attività in cui la resa è tra le più elevate di tutta l’agricoltura.

Facendo un rapido calcolo, il giro d’affari annuo di queste 419 imprese è dunque di 129 milioni di euro. Come proiettare proporzionalmente questo dato sulle altre 4mila aziende biodinamiche esistenti in Italia è esercizio impossibile. Coldiretti, però, ci viene incontro: secondo le sue stime, il giro d’affari del biodinamico in Italia potrebbe essere attorno ai 200 milioni di euro. E torniamo così a una fetta, all’interno del mondo bio, intorno al 5 per cento.

Gli organismi di rappresentanza

A livello istituzionale, gli agricoltori biodinamici si dividono tra le principali associazioni agricole nazionali. Sotto il cappello di FederBio, la federazione che riunisce le principali sigle dell’agricoltura biologica in Italia, ci sono poi tre associazioni ad hoc: l’Associazione per l’agricoltura biodinamica, la Federazione Trentina Biologico e Biodinamico, e Demeter, appunto. Contro quest’ultima il premio Nobel per la Fisico Giorgio Parisi, in questi giorni tra i più accesi detrattori dell’agricoltura biodinamica, non ha avuto parole tenere: «Il marchio “Biodinamica” è di proprietà di una società multinazionale con fine di lucro, la Demeter Int., che con il riconoscimento legislativo acquisirebbe un vantaggio competitivo rilevante rispetto ai tanti agricoltori che con serietà, onestà e sacrificio si sforzano di rispettare i disciplinari dell’agricoltura biologica».

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