Archive for Febbraio, 2022

Ora l’Italia cambi o il Pnrr non basta

mercoledì, Febbraio 2nd, 2022

Mario Deaglio

Archiviata, fortunosamente ma felicemente, la (ri)elezione del Presidente della Repubblica, e ridimensionato, speriamo stabilmente, il rischio coronavirus, si potrebbe pensare che politica ed economia stiano ritornando quasi automaticamente a una sorta di normalità sul sentiero di crescita che hanno cominciato a percorrere, con inaspettato, e forse irripetibile, vigore, nel corso del 2021. Purtroppo non è necessariamente così e non c’è tempo per autocongratularsi: l’incertezza e l’aleatorietà, che sembrano essere compagne di viaggio abituali dell’Italia potrebbero trasferirsi dalla politica all’economia. E anche ammettendo che i rapporti tra i partiti della maggioranza di governo rimangano stabili, il nostro futuro è avvolto in una sorta di nebbia dalla quale cerchiamo di uscire con l’aiuto di un faro.

Questo faro è il Pnrr, sigla impronunciabile di Piano nazionale di ripresa e resilienza, un documento di 246 pagine concordato in sede europea. Largamente finanziato con le risorse del programma europeo Next Generation Europe – di cui l’Italia è di gran lunga il maggior beneficiario – è stato definitamente approvato a metà del luglio scorso. Potrebbe avere questo sottotitolo: il più duro programma di rinascita dell’Italia degli ultimi 75 anni. Non si tratta di un Piano Marshall che, nell’immaginario collettivo, è associato all’erogazione quasi festosa di aiuti di sopravvivenza; assomiglia piuttosto a un sentiero in salita sul quale dovremo correre a una velocità che non ci è abituale, se vogliamo ancora esistere come realtà economica moderna di qui a 20-30 anni.

Il Pnrr durerà fino al 2026 e nel solo 2022 si dovranno raggiungere un centinaio di obiettivi – in buona parte nel settore pubblico – all’incirca due alla settimana, che dovranno essere monitorati, realizzati, controllati e verificati perché l’Europa proceda al pagamento delle enormi somme promesse. Il Piano comprende la realizzazione di opere fondamentali, concordate con l’Unione Europea, dalle reti informatiche a quelle dei trasporti, dalla scuola alla salute e all’economia circolare. Conoscendo le lentezze strutturali e le complessità procedurali dell’amministrazione pubblica italiana a molti sembrerà chiaramente impossibile arrivare all’obbiettivo. Per riuscirci il piano include due “riforme orizzontali”: dell’amministrazione pubblica e della giustizia, che dovranno sostanzialmente cambiare non solo le procedure ma anche la cultura di queste due grandi componenti dell’italianità mediante innovazioni legislative, in parte già in via di completamento, che dovranno portarci al livello del resto d’Europa per quanto riguarda l’efficienza dell’azione pubblica. Alla base di entrambe c’è la semplificazione e la razionalizzazione delle leggi in vigore, a cominciare da quelle che regolano i contratti pubblici. I tempi biblici per la realizzazione delle opere pubbliche, costellati di ricorsi delle imprese che non vincono gli appalti, devono sparire subito. Altrimenti, non cambia nulla.

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Stracci a Cinque Stelle, Conte a caccia di prove e dossier per screditare il ministro: adesso un processo online

mercoledì, Febbraio 2nd, 2022

Annalisa Cuzzocrea

Per dirla con Roberta Lombardi, che conosce Luigi Di Maio da prima di Giuseppe Conte ed è già entrata più volte in conflitto con lui, «convochiamo una bella assemblea on line e facciamo un bel duello digitale all’ultima verità o all’ultima balla». La capogruppo del Movimento 5 stelle in Regione Lazio, una delle prime a schierarsi con l’ex premier anche durante la lite con Beppe Grillo, si è ricordata in queste ore di quel che le disse ormai 9 anni fa un navigato e potente grand commis di Stato che lavorava con il giovanissimo vicepresidente della Camera, insegnandogli tutto quel che c’era da sapere per cavarsela dentro ai palazzi del potere: «Attenti, il ragazzo è davvero molto ambizioso e anteporrà la sua carriera a tutto», era stato il giudizio recapitato all’allora presidente dei deputati M5S. «Ai tempi credetti fosse un modo da vecchia Repubblica di giudicarlo e non ci feci troppo caso – racconta oggi Lombardi – .E invece, aveva visto giusto».

Vista dalla parte dei fedelissimi di Giuseppe Conte, ci sono solo due modi in cui questa storia può finire. Il primo è proprio questo, un processo pubblico on line per il quale l’ex premier sta già raccogliendo tutte le prove: gli incontri fatti per trattare la presidenza della Repubblica senza condividerli con gli altri, alcune informazioni passate alle agenzie di stampa, i tentativi di influenzare i parlamentari M5S quando Conte – molto prima che la partita entrasse nel vivo – aveva di fatto aperto all’idea che Draghi potesse andare al Quirinale. «Luigi ha chiamato tutti per dire che voleva trascinarci al voto, per questo Ettore Licheri non è stato eletto capogruppo a Palazzo Madama, per questo è cresciuta la sfiducia nel presidente del Movimento», racconta un senatore schierato con i vertici.

«Veniva alle cabine di regia sul Colle per poi usare quel che gli dicevamo contro di noi», si è sfogata in queste ore Paola Taverna con i parlamentari che le vanno a chiedere cosa stia succedendo. Perfino il presidente della Camera Roberto Fico – che insieme a Luigi Di Maio e Virginia Raggi fa parte del comitato di garanzia del Movimento – sarebbe stato vittima di colpi sotto la cintura. Ad esempio, quando è stato rivelato che aveva preso parte anche lui a una cabina di regia, nonostante il suo ruolo istituzionale.

Non è più il tempo in cui Fico e Di Maio erano allineati per una causa comune, come quando nacque il governo Draghi o quando intervennero insieme per placare Grillo e far sì che Conte potesse portare a termine il rinnovamento del M5S. Lo schema è cambiato, eppure non è detto stia in piedi. Perché se è vero che Fico ritiene Conte una persona leale e non è in linea con l’attacco di queste ore, è anche vero che il richiamo alle armi di Di Battista è quanto di più lontano dal presidente della Camera. «No Giuseppe, io non mi fido di Letta», ha scritto ieri l’ex deputato sotto al post in cui Conte metteva la sua intervista al Fatto. Resta sempre contro tutto e tutti, Di Battista. E non è un caso che a pranzo con lui nelle ultime settimane sia andato Riccardo Fraccaro, chiaramente nostalgico del governo giallo-verde e sempre alla ricerca di un asse con la Lega. Era arrabbiato con Fraccaro, Conte, per aver visto Salvini a sua insaputa e avergli offerto voti per Giulio Tremonti.

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Sanremo 2022, il meglio e il peggio della prima serata

mercoledì, Febbraio 2nd, 2022

ALICE CASTAGNERI

Tanta gioia, ma anche tanta commozione. Lacrime piene di emozione. Amadeus, Gianni Morandi, Massimo Ranieri e perfino Damiano dei Måneskin. Vederli mentre si lasciano trasportare dal momento è il vero spettacolo. Il primo a commuoversi, in apertura dell’edizione numero 72 di Sanremo, è Ama. Appena scende le scale e vede il pubblico in sala, non nasconde la sua felicità. E dà subito il ben tornato al pubblico in sala: «O è l’età, dato che sto per compiere 60 anni, oppure è la presenza del pubblico: ci siete mancati tantissimo». Un piccolo segno di normalità, che allontana per un attimo i pensieri sulla pandemia, con cui conviviamo da ormai da due anni. 

Top e flop, ecco perché l’omaggio a Battiato è il vero flop della prima serata di Sanremo

Si commuove anche Gianni Morandi, che dopo 22 anni di assenza dalla gara torna con Apri tutte le porte. Prima di esibirsi e andare ai cento all’ora riceve un lunghissimo applauso lasciando intravedere gli occhi lucidi. Emozione simile pure per Massimo Ranieri. Gli «eterni rivali», come venivano dipinti già dai tempi di Canzonissima – ora di nuovo l’uno contro l’altro – si dividono praticamente in parti uguali gli applausi, nonché le lacrime trattenute a stento.

Brividi per Mahmood e Blanco: la coppia infiamma l’Ariston e conquista il pubblico

Finita una peformance da vera star, piange perfino Damiano. Dopo aver cantato Coraline non riesce a controllarsi e si lascia prendere dall’attimo. Ama lo abbraccia e scatta la standing ovation dell’Ariston, dove un anno fa è partita la marcia trionfale dei Måneskin. 

Si respira voglia di ballare. Il pubblico si dondola sulle poltroncine rosse sulle note di diverse canzoni e si scatena del tutto con la house dei Meduza. L’Ariston si trasforma in una discoteca con il trio composto dai produttori Simone Giani, Luca De Gregorio e Mattia Vitale. «Ballate pure, con le mascherine», esorta Amadeus. E il pubblico non se lo fa ripetere due volte: tutti in piedi per il medley composto da Piece of your heart, Lose control, Paradise e Tell it my heart(l’ultima feat Dozier). La sala diventa un luna park, invece, con Ana Mena e la sua Duecentomila ore. Si danza anche con Dargen D’Amico: Dove si balla ha il ritmo perfetto per ondeggiare. Si muovono i piedi anche con il twist di Morandi. 

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Effetto Colle, Meloni davanti a tutti. Scende la fiducia in Salvini e Conte

mercoledì, Febbraio 2nd, 2022

Alessandra Ghisleri

La maggior parte degli italiani è sicuramente soddisfatto per l’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica, del resto era la loro prima preferenza da subito. Eppure ancora sfugge la comprensione della macchinazione che ha portato alla sua rielezione. La linea di confine tra il desiderio di comprendere e il sentirsi manipolati dai leader politici per gli elettori non è ancora ben definita. Tuttavia, al netto delle critiche e dei rischi che la politica si è presa, nella piena consapevolezza di aver vissuto una settimana da capogiro, gli italiani si dimostrano molto severi nei loro giudizi.

Tutti i leader politici che hanno partecipato attivamente all’elezione ad eccezione di Matteo Renzi (+4.2%) e Giorgia Meloni (+2.7%) perdono consensi nell’indice di fiducia rispetto alla fine dell’anno appena passato. Matteo Salvini (-5.3%) e Giuseppe Conte (-5.2%) guidano la classifica perdendo in un mese circa il 5.0%; tuttavia nel confronto con dicembre 2021 in minore difficoltà troviamo anche Enrico Letta con -1.5% e Luigi Di Maio (-1.1%). Storia a parte per Silvio Berlusconi che da candidato alla guida del Paese con il suo ritiro perde il 2.1% delle preferenze dei suoi fan. Anche il presidente del Consiglio, pur rimanendo in testa alla classifica rispetto a dicembre 2021 perde il 3.7% insieme al suo governo (-3.5%).

L’autoreferenzialità del palazzo non ha aiutato a trovare i consensi. Del resto il 70.4% del campione intervistato dichiara che tutta la politica esce sconfitta da questa vicenda. Il 32.3% si è sentito preso in giro, mentre il 21% ha avuto la percezione di assistere ad una «sceneggiata».

In tutto questo anche le intenzioni di voto ne hanno risentito in maniera suggestiva. È necessario ricordare che registrando questi voti, a caldo dopo un’intensa settimana mediatico-politica, è opportuno leggere i numeri come possibili indicazioni su cui iniziare a lavorare e non come pietre. Con questo Fratelli di Italia in due settimane guadagna il 2.2% arrivando al 21.1% e diventa il primo partito a scapito della Lega di Salvini che perde l’1.8% registrando il 16.7% dei consensi. Nel centro destra anche Forza Italia (7.4%) paga lo scotto lasciando quasi un punto percentuale nel campo del non voto. Anche nell’area del centro sinistra il Pd di Enrico Letta perde lo 0.8% attestandosi al 20.8%. Non meglio il M5S che nella confusione generale riesce a mantenere il 14.2% perdendo solo lo 0.2%. Anche Azione di Carlo Calenda perde lo 0.7% ritrovandosi al 4.1%, mentre Italia Viva lo guadagna ritornando al 3.0%.

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Il partito di Draghi

mercoledì, Febbraio 2nd, 2022

Ilario Lombardo

ROMA. Per il momento a Draghi servono braccia robuste che remino nella stessa direzione, per assicurarsi l’approdo certo delle prossime tre tranche del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Brunetta è a bordo. Assieme a lui nel governo ci sono il ministro dell’Economia Daniele Franco e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli. Per dire: era già previsto che quest’ultimo restasse a Palazzo Chigi a monitorare i ministeri sul Pnrr se il premier si fosse trasferito al Quirinale. Franco e Garofoli sono la colonna portante della struttura tecnica del governo, gli uomini dei conti, finiti nel mirino di Lega e M5S al tempo del Conte I, quando erano al Tesoro. Su di loro e su Vittorio Colao, ex manager e oggi ministro dell’Innovazione, con la missione di digitalizzare l’Italia, è riposta la speranza di vedere trasformati in cantieri e in sviluppo i soldi europei del Recovery fund.

Il destino di Draghi è legato indissolubilmente all’uscita della pandemia, al Pnrr e alla ripresa economica. È la ragione sociale del suo governo. È stato chiamato per questo dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e per questo, in fondo, i partiti hanno voluto che rimanesse dov’era. L’astuzia, la malizia e la tenacia dei parlamentari, terrorizzati dall’idea di una crisi al buio senza più Draghi al timone, hanno fatto il resto. Le macerie della Waterloo quirinalizia hanno sublimato la crisi dei partiti e reso vapore le leadership. Nella tensione finale si sono misurate le possibilità di uno spazio politico nuovo. Lo spappolamento del quadro, il giorno dopo l’elezione di Mattarella, ha immediatamente creato le condizioni per tornare a parlare di legge elettorale proporzionale. Un acceleratore che potrebbe portare a frontiere inedite e aggregazioni fuori dalle cornici delle attuali coalizioni. L’ultimo giorno di votazioni, Bruno Tabacci si aggirava euforico tra i colleghi alla Camera. Uomo di avventure politiche sperimentali e costruttore di tempestive scialuppe di salvataggio, confessava ai colleghi: «Ho un paio di idee sul futuro di Draghi da sottoporgli. Vediamo cosa ne pensa. È una risorsa che non possiamo perdere». Tabacci ha la fiducia del premier, che lo ha voluto con sé come sottosegretario della presidenza del Consiglio, ed è pronto a tessere la tela di un progetto politico che fa gola a tanti, abbozzato già nelle settimane subito successive alla nomina del banchiere a Palazzo Chigi. «Niente a che fare con Mario Monti, sia ben chiaro», fantasticava Tabacci. Nessun partito personale del tecnocrate chiamato, in emergenza, a commissariare la politica. Ma un orizzonte che si svela a suo nome. In tanti si intesteranno una forza politica o un’area ispirata al governo Draghi. Funzionerà come promessa di rivederlo alla guida dell’Italia, anche dopo le elezioni del 2023. «Votate noi, e votate per altri 5 anni di Draghi», sarà lo slogan. Al centro c’è già affollamento di sigle e speranze. Con l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, è possibile, ma con il sistema proporzionale potrebbe quasi essere una certezza: se non ci sarà una maggioranza chiara, si proporranno nuove formule ibride per il governo, e tra queste sicuramente un’alleanza europeista, con Draghi alla sua testa. Il più grande ostacolo potrebbe essere ancora una volta il Quirinale. Perché, dopo aver perso questa occasione, il premier non ha accantonato le speranze di succedere a Mattarella, nel caso in cui, dopo il voto, di fronte a un Parlamento quasi dimezzato nei numeri, il capo dello Stato dovesse lasciare in anticipo.

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Quel sollievo all’estero per l’esito dell’elezione

mercoledì, Febbraio 2nd, 2022

di Beppe Severgnini

La conferma di Mattarella è stata accolta con favore, insieme con il lavoro svolto per il Pnrr e la lotta al Covid Le note dolenti non mancano, ma l’Italia può arrivare in alto

Se cercate le reazioni internazionali alla rielezione del presidente della Repubblica, ne troverete molte, ma non moltissime. Il motivo è semplice: il sollievo fa meno rumore della preoccupazione. Diplomazie e grandi testate giornalistiche non hanno notato il modo disordinato in cui siamo arrivati all’appuntamento? Non hanno visto l’improvvisazione nei partiti, le ambizioni personali dei leader, le ripicche e i veti incrociati? Certo che hanno notato, ovvio che hanno visto. Ma all’estero badano al sodo. L’Italia rischiava di perdere Sergio Mattarella e, se le cose si fossero messe male, anche Mario Draghi. Li ha conservati entrambi. In un’Europa preoccupata e in un mondo sempre più agitato, non è poco. Anzi, è molto.

Le buone notizie per la comunità internazionale non finiscono qui. Abbiamo fatto i compiti, per una volta: tutti i 51 traguardi e obiettivi, necessari per ottenere la prima fetta dei fondi Next Generation (24 miliardi), sono stati raggiunti. Abbiamo lavorato duro, e i risultati sono arrivati: la crescita economica del 2021 è superiore alle previsioni (6,5%). E la campagna di vaccinazione — la cosa più sensata che possiamo fare contro il Covid — procede a spron battuto. Come dosi giornaliere per milione di abitanti, l’Italia è prima in Europa, davanti a Portogallo e Svezia. Per questo dobbiamo ringraziare il governo e la struttura del commissario Figliuolo (la Germania ha deciso di imitarla, scegliendo il generale Carsten Breuer, anche lui esperto di logistica, con esperienze di comando in Kosovo e in Afghanistan). Il merito va anche alle Regioni che, miracolosamente, da undici mesi hanno smesso di litigare sulla questione (fa eccezione Vincenzo De Luca in Campania, per motivi noti solo a lui). E, ovviamente, al novanta per cento di cittadini italiani che ha ascoltato scienza e coscienza

Questi successi, nel momento internazionale che stiamo vivendo, valgono doppio. La pandemia, che rallenta ma non è finita. La tensione con la Russia, indebolita e arrabbiata; l’imperscrutabile volontà di potenza cinese; le turbolenze nordafricane, che incidono sulle migrazioni; la sicumera degli autocrati, dalla Bielorussia al Kazakistan. E la confusione americana, che non accenna a finire. La meravigliosa varietà statunitense — etnie, culture, politica, rapporto tra generazioni — è diventata una matassa impossibile da sbrogliare. Il Partito repubblicano, rifiutandosi di superare Donald Trump, sta mettendo in gioco la democrazia. Perché Matteo Salvini, proprio adesso, lo indichi come modello per il centrodestra italiano, resta un mistero.

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Gli ascolti della prima serata di Sanremo 2022

mercoledì, Febbraio 2nd, 2022

di Redazione Online

Gli spettatori e lo share della prima serata del Festival di Sanremo 2022

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Festival di Sanremo, 72esima edizione. Festival di Amadeus (e Fiorello), terzo debutto (qui la classifica provvisoria, dopo la prima serata).

Di ascolti «non ne abbiamo mai parlato ma è chiaro che nel profondo del nostro cuore speriamo in un buon risultato. La televisione cambia sempre e non si può fare un confronto con due anni prima. Lo scorso anno avevamo una grande quota di pubblico giovane, quest’anno mi aspetterei una sorpresa anche nei target tradizionali» ha detto ieri il conduttore e direttore artistico. Il direttore di Rai 1 Stefano Coletta non si è voluto sbilanciare: l’auspicio che la prima serata venga seguita da «un pubblico più largo possibile».

Un po’ di comprensibile scaramanzia, anche in considerazione del fatto che l’anno scorso gli italiani era costretti in casa dal coprifuoco imposto dalla pandemia.

A seguire il debutto di Sanremo 2021 erano stati 11 milioni e 176 mila italiani (46,3% di share) nella prima parte, mentre la seconda parte ha avuto 4 milioni e 212 mila spettatori (47,7%). La media è stata di 8 milioni e 363 mila spettatori (46,6% di share).

La prima puntata di Sanremo 2020 aveva raccolto una media di 10 milioni 58 mila telespettatori con il 52,2% di share: la prima parte della serata è stata seguita da 12 milioni 480 mila spettatori con il 51,2% di share, la seconda da 5 milioni 709 mila con il 56,2% .

Per scoprire com’è andata la puntata di ieri dovremo aspettare la tarda mattinata.

CORRIERE.IT

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Green pass a «durata indefinita» per vaccinati e guariti con tre dosi: la bozza del nuovo decreto Covid

mercoledì, Febbraio 2nd, 2022

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini

Il governo sta anche studiando alcune nuove norme per garantire lo svolgimento di eventi come la «Settimana della moda»

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Il green pass per chi è vaccinato o guarito e ha ricevuto tre dosi di vaccino avrà «durata indefinita». È la definizione inserita dal governo nella bozza di decreto che dovrebbe essere approvata domani, 2 febbraio, dal consiglio dei Ministri. Nella stessa riunione saranno prese anche altre misure per garantire lo svolgimento di alcuni eventi, prima fra tutti la settimana della moda.

Il decreto in vigore prevede che da oggi il green pass rafforzato abbia una validità di sei mesi dall’ultima somministrazione di vaccino.

In attesa che le agenzie regolatorie si pronuncino sulla eventuale quarta dose, il governo ha dunque deciso di garantire la «copertura» in modo che non ci sia il rischio che la certificazione perda validità.

La terza dose è stata infatti autorizzata il 15 settembre e quindi dal 15 marzo chi ha completato il vaccinale rischia di non avere la certificazione che consente di andare al bar o al ristorante, svolgere l’attività sportiva, frequentare i luoghi dello spettacolo.

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Maxi truffa sui bonus di Conte. “Il Covid ci ha resi ricchi” e pure le leggi scritte con i piedi

martedì, Febbraio 1st, 2022

Franco Bechis

Il «Covid ci ha resi ricchi». E infatti si sono fregati 440 milioni di euro dalle casse dello Stato, finiti nella tasche di imprenditori, commercialisti, mediatori e semplici criminali che con una vera e propria truffa li hanno prelevati artificialmente dalla pletora di bonus e aiuti varati dal governo di Giuseppe Conte durante la pandemia (in particolare il superbonus edilizio e quello sugli affitti). La Guardia di Finanza e la procura di Rimini hanno portato alla luce quello che purtroppo in tanti temevano soprattutto al di fuori dei confini nazionali: quell’Italia già criminale o pronta a diventarlo non appena arriva qualche soldo pubblico a disposizione. Gli inquirenti se ne sono resi conto nel giugno scorso esaminando le carte del fallimento di una società dove gran parte dei crediti riportati in bilancio erano inesistenti e da lì hanno scoperto un vero e proprio sistema messo in piedi per truffare lo Stato con ramificazioni in molte Regioni di Italia, fra cui anche il Lazio.

Il conto presentato ieri dagli inquirenti è impressionante per l’entità della cifra sottratta allo Stato e anche per il numero di persone coinvolte: 78 indagati, 8 in carcere, 4 agli arresti domiciliari, 20 imprenditori interdetti dall’attività di impresa, 3 commercialisti (fondamentali nella truffa) interdetti dalla professione. Nove di queste persone, pizzicate per altro con trolley gonfi di banconote, avevano pure chiesto ed ottenuto il reddito di cittadinanza. C’è una intercettazione contenuta nell’ordinanza che però mette a fuoco il vero problema dietro questa truffa. A parlare è uno degli arrestati, organizzatore del sistema con cui prendere i bonus attraverso operazioni inesistenti: «Cioé, lo Stato italiano è pazzesco, è una cosa… vogliono essere fregati praticamente…». I truffatori, annota il gip, illustrano al telefono come avviare la fregatura allo Stato, evidenziando che tale agevolazione è anche estremamente vantaggiosa in quanto il credito di imposta è utilizzabile per compensare qualsiasi tributo senza alcuna limitazione, matura immediatamente nell’anno 2021 e non è differito come accade per il Sismabonus». E in effetti uno dei pizzicati spiega al telefono a un compare: «Quello della locazione è tutto nell’anno». E l’altro felice: «’Azzo! E cambia il discorso. Meno male che me l’hai detto». Il primo dettaglia: «Quello, hai capito, è tutto nell’anno ed è il 60% del canone». Risposta: «Perché vuol dire che tu devi dichiarare un canone il cui 60% ti dà quel valore lì». Il primo: «Minchia! Lo dichiari tu». L’altro gongolante: «Esatto!».

Il gip commenta amaro: «Inutile dire che le condotte degli indiziati, anche nell’ottica della missione della Repubblica di rimuovere gli ostacoli all’affermazione dell’eguaglianza sostanziale fra i cittadini, qui specificamente traguardata mediante il riconoscimento di una serie di provvidenze ai settori dell’economia reale ritenuti maggiormente bisognosi, si rivelano di una inaudita rimproverabilità e meritevolezza di pena… Non solo, ma l’autentica dedizione alla criminalità di profitto di molti degli indagati, già veri e propri habitué della frode… lascia presagire, in modo ragionevolmente certo, che gli stessi, in preda ad una sorta di ludopatia da reato, eluderebbero con disinvoltura, pur di continuare a delinquere o comunque pur di mettere al sicuro i profitti di reati già commessi».

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Polvere di stelle, lo sfogo di Conte

martedì, Febbraio 1st, 2022

Annalisa Cuzzocrea

«Questa volta non può finire a tarallucci e vino, questa volta andrò fino in fondo». La questione è semplice, a volerla guardare senza veli: Giuseppe Conte non si fida più di Luigi Di Maio. Di più, il presidente del Movimento 5 stelle è convinto che il ministro degli Esteri lo voglia disarcionare. Che intenda farlo rinunciare a guidare il Movimento. Che abbia negli ultimi mesi agito scientemente e costantemente contro di lui e contro la sua linea politica. Per indebolirlo, fiaccarlo, costringerlo alla resa. «Non si tratta di idee in dissenso, ci sono fatti oggettivi – ha spiegato ai suoi fedelissimi e anche ad alcuni esponenti del Pd – Luigi è andato davanti alle telecamere con i suoi uomini e le sue donne alle spalle, come una corrente organizzata. Ha tenuto una serie di incontri con leader di partito, possibili candidati, mediatori, senza mai informare me. Senza mai parlarne con il capo politico». E quindi, dice, indietro non si torna. Le correnti da statuto non sono ammesse, il presidente valuterà come procedere. Andrà fino in fondo, ma può?

Di Maio è il ministro degli Esteri del governo Draghi: se venisse cacciato dal Movimento è molto difficile che il premier- da lui difeso strenuamente proprio nella partita del Quirinale – possa accettare di sostituirlo. I 5 stelle azzopperebbero la loro presenza nel governo e la leadership di Conte ne risulterebbe, allora, sì davvero indebolita. Sempre che i vertici non abbiano in mente proprio quello che il capo della Farnesina e i suoi dicono di temere da tempo: togliere l’appoggio all’esecutivo per acquisire una rendita elettorale stando all’opposizione. In questa chiave, avrebbe senso l’apertura dimostrata da Conte nei confronti di Alessandro Di Battista. L’ex deputato, colui che un tempo definiva Di Maio “fratello” Di Maio, si è “disiscritto” dal Movimento quando è nato il governo Draghi, ma ha continuato – ancora ieri nell’intervista al Fatto – a difendere l’ex premier attaccando invece proprio il ministro degli Esteri: «Luigi è interessato solo a mantenere il suo potere», dice a tutti coloro che lo sentono in queste ore.

Solo che Di Battista resta colui che ha definito l’alleanza strutturale con il Partito democratico «la morte nera». Su un fogliettino bianco spiegazzato – ricordo del conclave tenutosi a Bibbona quando nacque il governo giallo-rosso – accanto al suo nome, Alessandro, si legge: No. Aveva votato per non entrare. Anzi, racconta chi c’era, per tornare insieme alla Lega che in quel momento di panico post Papeete offriva la premiership a Di Maio e un ministero proprio a lui, di ritorno dal viaggio in Sudamerica. E insomma, se davvero Conte vuole a bordo Di Battista – per usare una delle sue metafore marittime preferite – è per andare dove? Lontano dal governo e dal Pd? Verso una campagna elettorale vecchio stile?

È il sospetto di Di Maio, ma è anche quel che attorno al capo politico negano tutti. Da Paola Taverna a Stefano Patuanelli, da Alessandra Todde a Mario Turco, il coro unanime dice: «Noi vogliamo rafforzare l’azione di governo, altro che uscirne!». Per dire il clima, chi era ieri in Consiglio dei ministri ha raccontato che il ministro degli Esteri e quello dell’Agricoltura non si sono nemmeno guardati in faccia. Né un cenno, né un saluto. Non c’era mai stato un conflitto così plateale ed esibito dentro i 5 stelle Ed è proprio questo che il presidente dice a tutti di non poter tollerare. Che ci sia qualcuno che contrasta apertamente la sua linea.

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