Archive for Febbraio, 2022

Giravolta Bce sui tassi: ora l’inflazione fa paura Spread a quota 150

venerdì, Febbraio 4th, 2022

Rodolfo Parietti

Come l’ultimo dei giapponesi nella giungla, Christine Lagarde ha provato a resistere fino alla fine. Ora, però, sul ponte di comando sventola bandiera bianca: «La situazione è chiaramente cambiata, i rischi per l’inflazione soprattutto nel breve periodo sono ora orientati al rialzo. Ci stiamo avvicinando al nostro target», ha detto ieri la presidente della Bce al termine della riunione del direttivo. Salmodiato per mesi, il mantra sulla «transitorietà» del carovita è andato in frantumi: un cristallo schiacciato sotto il peso dell’aumento dei prezzi, schizzati in gennaio nell’eurozona al 5,1%. E il peggio potrebbe non essere ancora dietro le spalle.

Così, scricchiolano le certezze di Francoforte, ripiegano le ali le colombe e volteggiano i falchi. Al punto che i mercati fiutano subito un cambio di rotta deciso, declinato in due rialzi dei tassi, il primo in giugno e l’altro in settembre. È il vaticinio che fa arrampicare lo spread Btp-Bund fino a 150 punti base (a quota 139 mercoledì scorso), arroventa fino ai massimi da maggio 2020 i rendimenti del decennale italiano fino all’1,6139%, riporta l’euro oltre gli 1,14 dollari e tramortisce le Borse del Vecchio continente (-1% Milano). Insomma: il più classico dei copioni da politiche monetarie espansive ormai ai titoli di coda.

La prospettiva di un’Eurotower in procinto di allinearsi alla Fed, pronta a varare cinque strette quest’anno, e alla Bank of England, che ieri ha dato il secondo giro di vite al costo del denaro nell’arco di un bimestre, non era del tutto scontata. Se il carovita è una spina nel fianco, non minori sono le preoccupazioni legate all’alto livello d’indebitamento accumulato da molti Paesi, a cominciare dall’Italia, durante la pandemia. Il rischio è che un restringimento delle maglie monetarie, contestuale al ritiro delle misure di stimolo, crei forti tensioni sui mercati finanziari, soprattutto sui differenziali di rendimento. Lagarde lo sa bene, al punto da esplicitare il timore: «Non date per scontato l’immediatezza di un aumento dei tassi. Non siamo ancora a quel punto e agiremo con gradualità perché non siamo qui per agitare le acque». Il punto, però, è un altro: per la prima volta, e dopo averla negato per mesi, la Bce ammette la possibilità di alzare i tassi quest’anno per uscire dal cul de sac in cui si è infilata negando l’evidenza di un’inflazione già perniciosa e, in caso di conflitto in Ucraina, disastrosa.

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M5S, il rischio implosione

venerdì, Febbraio 4th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

Alla Camera è il momento del suono delle campane. Significa che il presidente della Repubblica ha lasciato la sua casa, che Sergio Mattarella sta arrivando, è quasi il momento del giuramento. Eppure i parlamentari del Movimento 5 stelle in Transatlantico sembrano assistere a un funerale. Nei capannelli la paura del cupio dissolvi evocato da Beppe Grillo ha superato i livelli di guardia. Per risalire a un momento simile, bisogna ricordare il giorno della scorsa legislatura in cui arrivò la notizia della morte di Gianroberto Casaleggio: c’è la stessa aria grave. Il timore che tutto stia per svanire.

In molti – confusi, spaventati – confessano di aver chiamato proprio Grillo. Vorrebbero che il fondatore intervenisse per separare Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Come quando in un incontro di pugilato l’arbitro stacca i due contendenti, magari dopo un colpo proibito. «Io vi avevo detto che qualcosa non andava in quello statuto, ma volevate tanto Conte. Ora ve lo tenete e state in riga», ha detto a tutti il fondatore. Che effettivamente non aveva gradito di essere estromesso completamente dalla guida politica dei 5 Stelle, di essere confinato nel suo ruolo di garanzia. Aveva provato a opporsi, era arrivato quasi alla rottura, «ma poi proprio Luigi è venuto a chiedermi di tornare indietro, di dare il Movimento a Conte, di sistemare le cose. Adesso ha cambiato idea?».

Forse sì, forse il ministro degli Esteri pensava allora di non avere scelta e pensa adesso che quel potere assoluto concesso al presidente M5S vada bilanciato. O annichilito. In aula, Di Maio è stato per tutto il tempo seduto tra il presidente del Consiglio Mario Draghi e la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Quasi una nuova collocazione, ricercata, esibita, lontana anni luce dalla linea dei vertici M5S sul Quirinale e non solo.

E così Conte non indietreggia. Ha allontanato Davide Casaleggio, ha depotenziato Grillo, ora vuole andare fino in fondo con l’ex capo politico. Spera sia lui a mollare, a dar vita a un nuovo soggetto, ad allontanarsi. «Volete sapere del confronto interno? – dice ai suoi subito dopo il discorso di Mattarella – Vi basta attendere alcuni giorni. Sono successe cose gravi, ci sono state prove muscolari e azioni che minano i nostri valori e la nostra identità. Non sono questioni personali, riguardano tutto il Movimento». Il fatto più dannoso, ha spiegato, «è che a entrare a gamba tesa sia chi ha ruoli di garanzia». Di Maio presiede il comitato dei garanti del nuovo Movimento (con lui ci sono l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi e il presidente della Camera Roberto Fico). «Si è presentato alle telecamere con i suoi dietro come il capocorrente di un vecchio partito. Noi siamo nati per combattere queste derive, non posso accettarlo», dice Conte, «né possiamo permetterci ritardi o incertezze». Poi richiama proprio le parole di Mattarella: «Nel confronto non chiuderemo certo la porta agli iscritti, non è nel nostro dna. Lo ha ricordato anche il presidente: “Senza partiti coinvolgenti il cittadino si scopre solo e più indifeso”». Nell’atto di accusa, l’ex premier mette anche la presunta telefonata del capo della Farnesina al ministro della Difesa Lorenzo Guerini per bloccare la candidatura di Elisabetta Belloni al Quirinale. L’idea che matura sarebbe quindi quella di proporre agli iscritti, attraverso una discussione e un voto on line, una sorta di sfiducia del ministro degli Esteri. Una bocciatura ufficiale del suo operato che lo costringa alle dimissioni almeno dal ruolo rivestito nel comitato di garanzia.

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Draghi e le riforme

venerdì, Febbraio 4th, 2022

ILARIO LOMBARDO

ROMA. La polvere degli applausi si è appena depositata e fuori dall’Aula i deputati e i senatori del centrodestra sembrano euforici. La sferzata sulla giustizia del discorso di Sergio Mattarella ha riacceso l’entusiasmo su una battaglia politica che è stata lasciata ai margini della pandemia. Il più elettrizzato è Cosimo Ferri, ex sottosegretario alla Giustizia, deputato di Italia Viva: «Avete visto Davide Ermini (vicepresidente del Csm, ndr) che applaudiva? Applaudivano tutti quelli che si sono beccati le accuse di Mattarella…». Nelle parole del capo dello Stato, dure ma avvolte in toni lontani dalla requisitoria, i parlamentari intravedono un percorso più ampio per l’Italia, una vera e propria agenda di governo. Il lavoro, la lotta alla precarietà, per la sicurezza sui cantieri, le diseguaglianze di genere, i giovani, il razzismo, il diritto allo studio, le carceri sovraffollate. C’è tanto tra quei cinquantacinque applausi che scandiscono la voglia di riscatto di un Parlamento ostaggio di una lunga crisi politica. Forse anche troppo per un governo che ha di fronte a sé un’aspettativa di vita al massimo di 12 mesi.

Mario Draghi ascolta appena un metro più sotto, dai banchi dell’esecutivo. Si alza ad applaudire anche quando Mattarella denuncia gli abusi della decretazione d’urgenza che mortifica il Parlamento. Non è un processo al governo. Di sicuro non è così che lo vive il premier. Certo, nell’elenco di esortazioni urgenti c’è il bisogno di riforme che Draghi ha ben chiare. Ma «la sintonia», affermano fonti vicine al premier, «è totale»: le priorità «sono le stesse e sono condivise». Potrebbe però cambiare il metodo. Portare a un maggiore coinvolgimento dei leader, come da tempo auspica Matteo Salvini, stufo di essere escluso dalle cabine di regia ristrette ai capi delegazione. E aprire a un maggiore coordinamento con i partiti e i parlamentari.

Come da protocollo il presidente del Consiglio sale al Quirinale per rimettere il proprio mandato al nuovo presidente della Repubblica, vedere respinte le dimissioni e ricevere l’invito a proseguire. C’è un punto però che indubbiamente ha l’effetto di scuotere Palazzo Chigi. La riforma del Consiglio superiore della magistratura è in ritardo. A luglio si voterà per la nuova composizione. E già altre volte Mattarella aveva lanciato un appello pubblico a fare presto, a correre per sanare le ferite inflitte dalla lotta feroce del correntismo all’organo di autogoverno della magistratura. Non è un caso che Draghi proprio ieri, in mattinata, abbia visto la ministra della Giustizia Marta Cartabia, in un incontro dedicato specificatamente al Csm. La notizia viene fatta trapelare dopo la cerimonia del giuramento, ma i tempi lasciano intuire che al governo erano al corrente della richiesta, inequivocabile, che avrebbe fatto Mattarella.

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Il nuovo patto per rifondare la democrazia

venerdì, Febbraio 4th, 2022

Massimo Cacciari

Nessun giuramento più sincero di questo – e nessuno più rassicurante e cortese nei confronti di forze politiche e Parlamento. Quieta non movere et mota quietare – c’è bisogno di tradurre? Che sia accaduto qualcosa di simile nel 2013 chi più lo ricorda? Che un Presidente ancora vivo (tanti, tanti auguri carissimo Giorgio) avesse allora denunciato con parole di fuoco gli errori, le omissioni, le irresponsabilità che lo avevano costretto a un mandato bis, tamquam non esset, come non ci fosse mai stato. La forma è salva – nulla vieta la rielezione del Presidente, magari anche per la terza e quarta volta. Nulla vieta che il presidente del Consiglio e il suo governo legiferi attraverso decreti. Nulla vieta che il Parlamento si riduca al luogo in cui questi si convertono, magari a colpi di voti di fiducia.

Nulla vieta che lo “stato di emergenza”, previsto finora solo da norme di carattere amministrativo, perduri all’infinito senza che alcun criterio venga indicato per porvi fine. La Costituzione è stata “custodita” e tanto basta. Sì, sarebbe augurabile che le forze politiche fossero un poco più “rappresentative”, che andasse a votare magari il 51% dei cives, che vi fossero governi meno di “salute pubblica”, in grado di esprimere qualche convergenza strategica, ma occorre avere pazienza. C’è Draghi, c’è la fiducia dell’Europa (almeno fino agli imminenti esami), c’è il Pnrr da portare avanti. Le riforme che Napolitano invocava e che non si sono mai viste neppure da lontano possono ancora attendere, come già attendevano da vent’anni allora. Speriamo intanto – grande risorsa la speranza, e quando questa, come per il presidente Mattarella, è fondata sull’altra virtù teologale, la fede, la sua forza può essere davvero trascinante.

Speriamo, dunque, che il Pnrr serva anche al welfare sociale, cioè ad asili, scuole, ricerca, salute – speriamo, poiché dai dati disponibili non sembra proprio fare la parte del leone. Speriamo di passare dall’ultimo al penultimo posto in Europa per l’occupazione giovanile, il precariato di massa, i tassi di occupazione delle donne. Applausi al Presidente che lo ha ricordato. Eppure le esperienze almeno dell’ultimo decennio – due Presidenti “prorogati”, non ricordo più quanti presidenti del Consiglio cortesemente “proposti” dai suddetti Presidenti a forze politiche e Parlamento e quanti governi di emergenza – dovrebbero suggerire alcune riflessioni di ordine più generale. Chi è il Custode della Costituzione? Quella presidenzialistica è una “deriva” o una via da percorrere con consapevolezza e razionalità? Che significa “custodire” la Costituzione? Il puro rispetto della sua lettera? O ne esiste uno spirito, che ne ordina secondo una gerarchia di valore gli articoli? Per fare un esempio di moda: che cosa davvero intendeva il costituente quando, dopo aver stabilito la possibilità di imporre per legge un trattamento sanitario aggiungeva “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”? Io non credo si limitasse a intendere proibire esperimenti in corpore vili.

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Mattarella, il richiamo alla dignità

venerdì, Febbraio 4th, 2022

di   Massimo Franco

Sergio Mattarella ha steso una grande tenda protettiva sul Paese e le sue istituzioni. Nella sua visione, deve contenere tutti. E deve fare in modo non solo che tutti ci si trovino bene, ma che la riconoscano come propria e ne rispettino i valori con un senso di responsabilità doveroso nei confronti di un’Italia in sofferenza. Le sue parole di pacificazione nazionale hanno, per paradosso, toccato «anche» la politica. Ma si sono proiettate oltre, con una visione fortemente impregnata di valori morali. Quel Parlamento che ha ritrovato una funzione e una dignità ricorrendo in extremis al capo dello Stato uscente, spingendolo, quasi costringendolo a rimanere al Quirinale, lo ha accolto con applausi liberatori.

Era come se quei «grandi elettori» uscissero dall’incubo di una delegittimazione che le trattative maldestre di molti capi partito su chi dovesse succedergli avevano avviato verso un vicolo cieco. È stata questa prospettiva sciagurata a indurre Mattarella a dire sì a una reinvestitura che sperava di avere scansato, dopo essere passato indenne, di più, vittorioso da un settennato a dir poco difficile.

Lo ha detto subito, che accettava di caricarsi sulle spalle il peso del secondo mandato perché temeva tensioni e incertezze prolungate in modo pericoloso: tanto da poter compromettere le risorse decisive e ingenti che l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia.

Evidentemente, la situazione negli ultimi giorni della scorsa settimana si stava avvitando in maniera imprevedibile. Poteva aprire la strada a lacerazioni politiche delle quali le tensioni seguite alla sua elezione sono conferme a posteriori. Mattarella e l’anomalia di un secondo settennato suonano come una sorta di punto fermo, di garanzia di stabilità e di antidoto contro le tentazioni di nuovi salti nel buio. Ma nelle parole pronunciate davanti al Parlamento in seduta comune non ci sono state concessioni alla «piazza» dell’antipolitica. L’insistenza sulla centralità delle Camere, la sottolineatura del ruolo fondamentale dei corpi intermedi, perfino le critiche alle logiche di appartenenza di una parte della magistratura sono sottolineature di una ortodossia costituzionale e democratica rassicuranti.

Il pantheon di Mattarella è prevedibile nella sua idea di unità, di compattezza, di rigore, e insieme di distinzione e rispetto delle competenze di ogni istituzione. Nella sua ottica la prevedibilità è una forza, una risorsa dell’Italia, e non un limite. Il compito che continua ad assegnarsi, senza neanche un solo accenno alle suggestioni di un mandato a tempo, accarezzate strumentalmente da alcuni, è di accompagnare l’Italia alla normalità. Una normalità costruita non sugli stereotipi e sulle scorciatoie, ma sulla consapevolezza dei punti deboli; e sulla determinazione a superare disuguaglianze date troppo ipocritamente per scontate e dunque «fisiologiche». Per lui, la vera modernità deve essere questa. La ripetizione con convinzione della parola «dignità» ha punteggiato il suo discorso quasi più degli applausi ricevuti.

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L’agenda Mattarella, un memorandum destinato a proiettarsi oltre l’emergenza

venerdì, Febbraio 4th, 2022

di Marzio Breda

Le parole vanno al di là del governo Draghi e guardano ai sette anni. I richiami sulla giustizia e sui vantaggi della «stabilità operosa»

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Non dà lezioni e non assesta frustate, ma non cauziona o compiace nessuno, Sergio Mattarella. Neanche le Camere che lo hanno rieletto il 29 gennaio, e che adesso lo applaudono con sollievo per ben 55 volte. Battimani che non sembrano distrarlo minimamente. Serio e senza sorrisi, lo sguardo che a tratti si perde forse all’idea di come la sua vita sta per cambiare contro i propri progetti, si lancia in un discorso che è un’agenda per il Paese. Un memorandum destinato a proiettarsi oltre l’emergenza di questo momento e anche oltre Draghi, sull’Italia che verrà.

Un testo dall’impianto sofisticato e da leggere in filigrana , nel quale mette pure il Parlamento con le spalle al muro, comunque elogiandolo — assieme alle autonomie — per il ruolo di perno del sistema e cuore di ogni legittimazione politica. Spetta infatti in primo luogo a Montecitorio e a Palazzo Madama sostenere l’opera del governo Draghi, «nato con ampio sostegno parlamentare nel pieno dell’emergenza e proiettato a superarla», ponendo le basi di una nuova fase «di crescita». Il che si traduce in un richiamo al valore della «stabilità operosa». E dunque, per estensione, alla responsabilità e alla lealtà verso l’esecutivo (inventato da lui), ma soprattutto verso gli italiani. Che restano purtroppo «in difficoltà» su tanti fronti.

È una riflessione che va considerata su un orizzonte lungo almeno per i canonici sette anni, quella del presidente, ciò che smentisce qualsiasi ipotesi di un mandato più breve. Perché certe esigenze, compresa quella di un «indispensabile» adeguamento di pezzi decisivi dello Stato, non possono essere affrontate e risolte in poco tempo. Tuttavia, il presidente lascia intendere chiaramente che il cantiere va inaugurato al più presto. Ed esorta ad aprirlo, forte dell’energia istituzionale offertagli dalla larghissima maggioranza che lo ha confermato sul Colle.

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Berlusconi: «Draghi abbia tutto il tempo. Renzi? Un giorno deciderà dove andare. La mia salute? Ora sto bene»

venerdì, Febbraio 4th, 2022

di Paola Di Caro

Il leader di Forza Italia: «Draghi abbia tutto il tempo, nessuno può rimettere la stabilità in discussione. Il centrodestra non è un partito unico, Forza Italia è autonoma. Delusione per il Quirinale? No, sono stato io a decidere di ritirare la candidatura»

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Silvio Berlusconi

È tornato sulla scena. Per rivendicare la centralità di Forza Italia e favorire l’aggregazione delle forze moderate, senza le quali «non si vince». Per assicurare che il centrodestra da lui fondato non è morto . Per essere punto di equilibrio di una coalizione da ricostruire, ma non da affondare. Per garantire «la stabilità» del governo. Per annunciare forse qualche ingresso di figure esterne alla politica nella tolda di comando di FI. E per rivendicare la scelta di Mattarella, le cui parole di ieri «stanno ad indicare che abbiamo fatto la scelta giusta». Silvio Berlusconi torna a parlare dopo settimane di riflessione, rinunce, scelte e malattia. E lo fa a tutto campo.

Presidente: si è detto che il suo ultimo ricovero sia stato per lei una prova «durissima»: adesso come sta?
«Ora sto bene, La ringrazio. Sinceramente ho passato prove più dure. In questo caso si è trattato di un malessere fastidioso che i miei medici hanno ritenuto più prudente fosse trattato in ospedale. Tuttavia non mi ha mai impedito di seguire attivamente giorno per giorno questa difficile – e non bella – fase politica».

Ma lei ha deciso di non candidarsi perché non c’era certezza dei voti, per i veti degli avversari, perché poteva trattarsi di un impegno troppo gravoso o per quale motivo? E la delusione e l’amarezza sono superate o lasciano un segno?
«Non ho nessun motivo di amarezza o di delusione semplicemente perché sono stato io a decidere, dopo un’approfondita riflessione, di non accogliere la proposta che mi era stata avanzata da tante parti, dalle forze politiche del centro-destra, da singoli parlamentari anche di altre aree politiche, da moltissimi cittadini, di essere indicato come candidato alla Presidenza della Repubblica».

Appunto, perché allora?
«Ho rinunciato semplicemente perché da due anni sto lavorando per l’unità politica e morale della Nazione in un momento di emergenza. Ho ritenuto fosse più utile all’Italia evitare che sul mio nome si consumassero polemiche o lacerazioni inopportune».

Lei ha sempre sostenuto che al Quirinale dovesse salire un politico, dicendo no a una possibile candidatura di Draghi: c’è chi ci ha visto anche una mancata sintonia personale. È così?
«Tutt’altro che mancanza di sintonia, anzi è stato proprio il mio apprezzamento per il lavoro che il presidente Draghi sta svolgendo a Palazzo Chigi che mi ha indotto a ricercare soluzioni all’insegna della stabilità, che consentissero al governo di continuare ad operare serenamente».

Ma vista l’impossibilità di eleggere un candidato di centrodestra anche dopo il risultato della Casellati, è vero che lei avrebbe voluto Pier Ferdinando Casini al Colle?
«L’indicazione del Senatore Casini, che mi è stata avanzata da Enrico Letta nell’ambito di una rosa di nomi, non trovava sufficiente consenso fra le forze politiche. Quindi, ritenendo necessario garantire la stabilità del governo e del Paese, ho chiamato il Presidente Mattarella chiedendogli la disponibilità ad essere votato».

E la sua decisione di sganciare FI da Lega e FdI sull’elezione del capo dello Stato e convergere su Mattarella è stata probabilmente decisiva per il bis: quando e perché l’ha presa?
«Per la verità, è del tutto normale che Forza Italia compia le sue scelte in piena libertà e autonomia: la coalizione di centro-destra non è un partito unico. I dirigenti di Forza Italia a Roma, in pieno accordo con me, hanno condotto con saggezza e prudenza una partita difficile, che si è conclusa molto bene, nell’interesse degli italiani».

Le è piaciuto quindi il discorso del capo dello Stato?
«Le parole del Presidente Mattarella alle Camere, sulla giustizia, sulla politica internazionale, sulla centralità del Parlamento, sulla difesa dei più deboli, sulla dignità delle persone stanno a dimostrare che abbiamo fatto la scelta giusta».

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“Giusto tornare al proporzionale per superare le alleanze innaturali”

giovedì, Febbraio 3rd, 2022

Laura Cesaretti

Matteo Orfini, ex presidente del Pd e leader della corrente di sinistra dei «giovani turchi», è stato uno dei primissimi sostenitori (e animatori parlamentari) della soluzione Mattarella bis. E oggi non nasconde la soddisfazione: «È stata la scelta migliore: quella di non cambiare i due più autorevoli leader italiani, al Quirinale e al governo. Non una sconfitta, come scrive qualche commentatore, ma una vittoria della politica. Grazie alla spinta di un Parlamento che, man mano che si prolungavano i faticosi tentativi di accordo tra i capi politici, si è ripreso una centralità a lungo penalizzata. L’unica sconfitta è quella di chi voleva il voto anticipato, in primis Giorgia Meloni».

Un risultato che però ha terremotato partiti e coalizioni, come dimostra lo scontro virulento nei vostri alleati del M5s.

«Come si suol dire: guardiamo con rispetto al loro franco dibattito interno (ride, ndr). Non sono in grado di decifrare quel che accade al loro interno e quindi non ci entro, ma di certo – nonostante la spaccatura ai vertici – va riconosciuto che i loro gruppi parlamentari hanno svolto un ruolo positivo per arrivare al Mattarella bis. E lo dico io che nel Pd sono uno dei più critici nei loro confronti».

Un’alleanza da ridiscutere, visto il comportamento ambiguo e contraddittorio del loro leader?

«Va riconosciuto che, nei momenti decisivi (il voto su Casellati e la scelta del bis) il centrosinistra è rimasto unito, da Renzi a Leu passando per i grillini, e non era scontato. Io però ho sempre pensato che legare indissolubilmente il destino del Pd all’alleanza con una forza che ha idee spesso radicalmente diverse da noi fosse un indizio di debolezza e subalternità».

Diverse su cosa?

«Uno dei punti di massima distanza, per me, è il giustizialismo dei Cinque Stelle. E poi la demonizzazione della democrazia rappresentativa: su questo, va riconosciuta una sia pur faticosa evoluzione, mentre sul primo punto non vedo passi avanti. Ma adesso è il momento di cogliere una finestra di opportunità che ci libererebbe da queste contraddizioni».

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Polvere di Stella

giovedì, Febbraio 3rd, 2022

Dacia Maraini

Cara Monica

Ma come, te ne vai così , lasciando i tuoi amici senza un saluto? Sono anni che non ti vedevo più.

E mi dispiaceva non poterti parlare, ma so che eri ben accudita e ben protetta e non ho osato rompere il tuo pudico silenzio.

Ci sono tanti che muoiono senza lasciare tracce. Tu per fortuna ci lasci ricchi, con gli occhi pieni delle tue immagini, delle tue parole, dei tuoi film. Il tuo straordinario talento lo si scopre nel rivedere le famose pellicole, in cui passavi dalla donna degli stupori esistenziali alla ragazza popolana tutta pepe e intelligenza strategica.

Ti ricordi quando abbiamo lavorato insieme per la versione cinematografica del mio romanzo «Teresa la ladra»? Tu, che eri una attrice colta e consapevole, ci tenevi a essere parte del momento costruttivo del film. Quante discussioni abbiamo affrontato in casa tua, con Age e Scarpelli e Carlo Di Palma, il regista, ti ricordi? Eri tu a dare corpo al racconto, a indicare le scene che avresti voluto interpretare, e avevi sempre ragione.

Ricordo ancora che un giorno sei venuta dicendo : «Ho scoperto un giovane attore bravissimo. Andrà proprio bene per la parte di Tonino, detto Mortadella», ti ricordi? Era Michele Placido nel pieno del suo splendore giovanile, e anche allora avevi indovinato.

Molti pensavano che non saresti stata a tuo agio in un personaggio di popolana povera e ladra. E invece hai subito capito la forza e il candore che guidavano quella ragazza dei primi del secolo, poverissima e ladra sì, ma generosa e incapace di accumulare denaro, una che pagava sempre di persona, passando da un carcere a un manicomio, senza mai farsi distruggere dalle istituzioni, seppur mortificata e ferita.

E ti ricordi di quella volta che siamo andati in Sicilia per una vacanza, ospiti del grande musicologo palermitano Francesco Agnello, in un palazzetto vicino a un mare nudo e arruffato in cui ci tuffavamo con allegria? Eri ghiotta dei cibi siciliani: la pasta con le sarde, la caponata, il tonno affumicato, i cannoli. Eri felice che la spiaggia fosse vuota, e non ci fosse nessuno che ti disturbasse chiedendo con sorpresa: Ma lei è Monica Vitti? E che ci fa da queste parti? Stiamo preparando un film siciliano? Eri popolarissima e la gente era curiosa. Ma direi che eri anche amata, soprattutto per i film in cui rappresentavi la quotidianità sgangherata e umile del nostro paese.

Eri sempre pronta a scherzare e ridere, pur mantenendo una visione seria ed epica della vita.

Adesso ne sei uscita, Monica, in punta di piedi, senza salutare nessuno, e siamo qui, tutti stupiti del garbato silenzio con cui hai preso il volo.

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Berlusconi e l’addio al Giornale: Angelucci pronto a creare il polo editoriale della destra

giovedì, Febbraio 3rd, 2022

Ilario Lombardo

ROMA. «A questo punto non avevo più scelta. O rassegnarmi a diventare il megafono di Berlusconi. O andarmene». Era l’11 gennaio del 1994 e con queste parole Indro Montanelli lasciava la direzione del Giornale, da lui fondato 20 anni prima. Quasi 30 anni dopo è Silvio Berlusconi a dire addio alla testata, di cui è socio dal 1977 (allora con una quota di minoranza del 12) e che dal 1992 è nelle mani del fratello minore Paolo attraverso la Società Europea di Edizioni. Nelle prossime ore si potrebbe capire di più della trattativa che trasferirà Il Giornale nelle mani di Antonio Angelucci, imprenditore romano nel campo della sanità, deputato da tre legislature di Forza Italia, che in Parlamento però si è visto poco o nulla, e già editore de Il Tempo e Libero. L’orizzonte di questa acquisizione, è evidente, è la creazione di un polo editoriale della destra italiana. Lo schema della fusione prevede una sinergia tra testate. Una delle ipotesi che circola è di agganciare Il Tempo e Libero come cronache cittadine, rispettivamente di Roma e di Milano, a Il Giornale che invece offrirebbe la parte nazionale.

Ma al di là delle strategie editoriali, il cambio di proprietà è a suo modo un capitolo della fine del berlusconismo che ha segnato gli ultimi tre decenni della storia politica italiana, tra strepitose vittorie politiche, scandali giudiziari, condanne, epiloghi boccacceschi, fino alla scommessa estrema di qualche giorno fa: tentare l’impossibile elezione al Quirinale. Il Giornale è stato quel megafono che Montanelli non voleva diventasse la sua creatura: ha cavalcato la campagna di Berlusconi per il Colle, pubblicando il manifesto (uscito poi anche sul Corriere) che elencava le qualità dell’ex premier, politiche e non, tra le quali l’indubitabile «è padre di cinque figli e nonno di quindici nipoti».

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