Archive for Febbraio, 2022

Tragicommedia di un non partito con un non statuto e soprattutto un non leader

martedì, Febbraio 8th, 2022

di  Alessandro De Angelis

Ops, lo statuto non c’è più, quello scritto di suo pugno dall’avvocato dal popolo, che prima di essere elevato a difensore dei poveri italiani, vantava lo sfolgorante curriculum di giureconsulto della Magna Grecia, da Volturara Appulia allo studio di Guido Alpa (chissà se gli ha dato una mano o confidava che l’allievo avesse superato il maestro), insomma roba seria, avvocato vero, civilista, docente che insegna agli studenti leggi e norme, libretto alla mano “promosso”, “bocciato”. Pure lo statuto per farsi nominare è riuscito a sbagliare, come un sarto che toppa il vestito per sé o per il figlio, il medico che canna la diagnosi su uno che gli sta a cuore, gli studenti da lui rimandati alla prossima sessione.

Magari la politica non si improvvisa, ma la professione, anni di studio, teoria e pratica, nella vita sono una certezza. Accade così per molti, ma non per tutti, ennesimo prodigio del casalinismo, il titolo ostentato come una pochette, effetti speciali come l’eloquio pomposo con cui spiegò al popolo chiuso in casa che la nonna è congiunta la fidanzata no, ma i cani si potevano portare a spasso per andare dalla fidanzata.  Manco i garbugli azzecca, incarnazione vivente del contrappasso individuale e collettivo: l’incompetenza elevata a leadership, con buona pace anche di coloro che lo insignirono del titolo di “punto di riferimento dei progressisti europei”, pena accessoria, per loro, un sonoro vaffa. Eccolo qua, il gran finale: un Movimento, nato per processare il sistema e finito a carte bollate, che evidentemente con i tribunali ha qualche problema, a partire dal fondatore, vittima della principale norma voluta nella spazzacorrotti e lasciamo stare il figlio per carità di patria e garantismo, a chi non l’ha rinnegato.

Quando, come si suol dire, la realtà supera la fantasia, in quest’incrocio tra Hitchcock e Castellano e Pipolo, thriller e commedia all’italiana. Appena persa la causa, quando uno normale si sarebbe chiuso in casa dalla vergogna, si precipita a Otto e Mezzo per scolpire l’immortale dichiarazione: “La mia leadership non dipende dalle carte bollate, risponderemo con un bagno di democrazia”. Così disse il perenne nominato, che mai si è confrontato con la sovranità popolare, mai con un congresso, con un voto vero, messo a capo di una compagnia nata sulle carte bollate altrui al primo grado di giudizio, ignaro, in definitiva, di aver realizzato un sogno: quello delle origini di un non partito, con un non leader, con un non statuto realizzato. E a scriverle così, le norme, davvero “uno vale uno”, o “uno vale l’altro”, anzi tanto vale sorteggiarli a caso anche i leader come si propose, a un certo punto per i parlamentari.

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“I rincari del gas fermano le acciaierie, il Governo non può più attendere”

martedì, Febbraio 8th, 2022

di Giuseppe Colombo

“A gennaio abbiamo perso il 20% della produzione, che si somma a quella andata in fumo alla fine dell’anno scorso. Non è più possibile guardare il prezzo del gas il giorno prima per decidere se fare funzionare l’acciaieria il giorno dopo”. Alessandro Banzato conosce da vicino la grande questione del caro energia che sta investendo il settore dell’acciaio. Oltre a essere il presidente di Federacciai, è il patron di quelle Acciaierie Venete da cui ogni anno escono 1.800 tonnellate di materiale che poi finiscono dentro le auto e le macchine agricole, oltre a essere impiegate nelle costruzioni. “A novembre e dicembre – racconta in un’intervista a Huffpost – abbiamo fermato gli impianti dalle otto alle undici del mattino e dalle cinque alle sette di sera. Questa produzione a singhiozzo è destinata a continuare se il governo non prenderà provvedimenti per contenere i costi”. 

Come è la situazione dentro le fabbriche?

La filiera dell’acciaio è in tensione, viviamo ogni giorno una contraddizione che sconforta.

Quale?

Siamo costretti a rallentare la produzione in un momento in cui gli ordini ci consentirebbero di andare spediti. I primi dati del Pil di gennaio parlano chiaro: non sono quelli che ci si attendeva. 

Restiamo dentro le fabbriche. C’è preoccupazione tra i lavoratori per una produzione che non è lineare?

Moltissima. I quadri, chi lavora nei ruoli apicali delle aziende, sono venuti a conoscenza subito di questa specie di terremoto, ma la preoccupazione si è diffusa anche tra i lavoratori quando sono iniziate ad arrivare le bollette a casa nelle ultime settimane. La questione è sentita tantissimo perché per l’energia è vitale per un settore come l’acciaio. 

I prezzi del gas scendono, ma non come ci si aspettava. Insomma siamo in una fase di incertezza. Cosa vi preoccupa di più?

La sostenibilità di questo modo di produrre. Non è più possibile guardare il prezzo del gas il giorno prima per decidere se fare funzionare l’acciaieria il giorno dopo. Abbiamo necessità di produrre in modo lineare, di consegnare l’acciaio ai nostri clienti, così la filiera non marcia in modo coerente. Le faccio un esempio di quello che avviene nella mia azienda, le Acciaierie Venete.

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L’avvocato travolto dalle carte bollate

martedì, Febbraio 8th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

Sarà forse Nemesi, figlia dell’oceano e della notte, a perseguitare il Movimento 5 stelle. Una forza politica cresciuta nelle piazze negli ultimi quindici anni urlando, insieme al suo Vaffa, che «i partiti sono tutti morti». Lo ha ripetuto per anni Beppe Grillo, mentre la forza politica cui aveva dato vita insieme a Gianroberto Casaleggio cominciava a entrare nelle istituzioni. Lo hanno rivendicato i suoi adepti, ogni volta aggiungendo insulti verso questo o quel leader politico con cui – dicevano – non si sarebbero alleati mai.

Così, dacché le cose hanno cominciato a farsi serie, con l’ingresso nei consigli regionali, in quelli comunali, infine in Parlamento, c’è sempre stata una causa legale che chiedeva di invalidare una qualche decisione del Movimento che si faceva partito senza ammetterlo neanche con se stesso.

È toccato a Beppe Grillo, a Genova, quando decise di annullare il voto sulla candidata sindaca Marika Cassimatis semplicemente perché non era quella per cui tifavano lui e Casaleggio. Anche allora ci furono un procedimento perso e un’associazione da rifondare, per evitare di dover dare ragione a chi pretendeva di stare alle regole dello Statuto. E non all’arbitrio del capo. Ma nessuno ha imparato la lezione, sebbene l’avvocato che indice le cause per conto dei ribelli sia sempre lo stesso.

Dopo una primavera trascorsa dagli iscritti a fare Stati generali on line per decidere che alla guida del Movimento doveva esserci un comitato direttivo, gli stessi dirigenti che avevano guidato quella decisione cambiano idea. Vogliono dare le chiavi dei 5 stelle a Giuseppe Conte e solo a lui. Grillo – tra un gamberetto e una tartina sul terrazzo dell’hotel Forum – fa lo stesso. A un certo punto ci ripensa, vede troppi poteri nelle mani dell’ex premier, ma Luigi Di Maio e Roberto Fico corrono a Bibbona per calmarlo e di nuovo prevale l’arbitrio, si cancella la regola. Così non si fa, dice un tribunale a Napoli.

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Cingolani: “I costi di un anno di caro-energia superano gli incassi del Recovery”

martedì, Febbraio 8th, 2022

FRANCESCO MARGIOCCO

Nella nuvola di parole che viene proiettata alle sue spalle, a inizio conferenza, Roberto Cingolani cerca “energia”. Gliela indicano dalla platea, tra le molte altre: crescita, sviluppo, resilienza, ripresa. «Mi sarei aspettato di vederla in mezzo alla nuvola, molto più grande». Nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale di Genova, di fronte a trecento tra politici locali, dirigenti d’industria, rappresentanti delle categorie, studenti e cittadini curiosi, il ministro della Transizione ecologica riflette sulla grande chance del Recovery Plan.

Centonovantuno miliardi di euro sono una mole mai vista e fanno del nostro Paese il maggior beneficiario del Next Generation EU. Siamo pronti a sfruttare l’occasione?
«Non è tanto la mole finanziaria che deve metterci sull’attenti. È il fatto che il Pnrr è un piano integrato, che mette insieme diversi pilastri: digitalizzazione, infrastrutture, transizione ecologica, ricerca, inclusione. È molto più di un grande piano industriale, ed è finanziato in parte a fondo perduto e in parte tramite prestiti. Con un debito attorno al 160% del Pil, l’Italia non può sbagliare».

È preoccupato?
«Se non fossi ottimista non sarei seduto su questa poltrona. Ma mi preoccupa il costo dell’energia. Il suo aumento, nell’arco del prossimo anno, rischia di avere un costo superiore all’intero Pnrr. Questo ci dice che il cosiddetto piano Marshall non è la soluzione a tutti i nostri mali. Dipende da come sapremo sfruttarlo».

Lei ha più volte messo in guardia contro i rischi di “macelleria sociale” della transizione ecologica, per le sue ricadute sui posti di lavoro nell’automotive e non solo.
«Lo ripeto: una transizione giusta deve essere sostenibile sul piano ambientale come su quello sociale. Va affrontata senza ideologismi. Entro il 2030 dobbiamo raddoppiare le nostre fonti rinnovabili, vale a dire che, da quest’anno, dobbiamo decuplicare il numero di nuovi impianti eolici e fotovoltaici installati annualmente».

Nel Paese dei veti incrociati, dove troverete il posto per pannelli e pale?
«Abbiamo avviato un dialogo con le Regioni e i Comuni. Con il ministro Maria Stella Gelmini e l’Associazione nazionale dei comuni italiani, l’Anci, ci siamo già riuniti più volte. Lo scopo è identificare le aree idonee. Dobbiamo sfruttare soluzioni innovative, come le piattaforme galleggianti fotovoltaiche ed eoliche, a diverse miglia dalla costa. Solo a quel punto potremo parlare di transizione, e solo così avrà senso comprarsi un’auto elettrica».

Oggi è ancora presto?
«Se avessi 100 mila euro da investire, e non li ho, non li investirei in una Tesla. Ai costi attuali dell’energia, e con la capacità attuale delle batterie, non conviene. Non conviene nemmeno sul piano dell’impatto ambientale, perché il grosso dell’energia arriva dal gas, e quindi produce anidride carbonica».

Quando converrà?
«Il 2030 è il nostro traguardo, ed è soltanto l’inizio. Se non riusciremo a contenere il riscaldamento globale, nel 2050 avremo città costiere sotto il mare».

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Bimbo da operare al cuore, i genitori fermano l’intervento: «Dategli solo sangue no vax»

martedì, Febbraio 8th, 2022

di Marina Amaduzzi

Il policlinico Sant’Orsola di Bologna, che ha in cura il piccolo di due anni, si è rivolto al Tribunale di Modena per avere il via libera

Da una parte c’è un bambino di appena 2 anni che ha una patologia cardiaca e deve essere sottoposto con urgenza a un intervento. Dall’altra parte ci sono i suoi genitori, una coppia modenese no vax, che non firma il consenso per l’eventuale trasfusione di sangue. A meno che non sia di donatori non vaccinati contro il Covid. Nel mezzo adesso c’è un giudice tutelare del Tribunale di Modena a cui si è rivolto il policlinico Sant’Orsola di Bologna, che ha in cura il bambino, per avere il via libera. Il giudice si esprimerà nelle prossime ore, ma nel frattempo è scesa in campo anche la Procura per i minori di Bologna, guidata da Silvia Marzocchi, con un ricorso del 2 febbraio al Tribunale per i minorenni a tutela del bambino e per un’eventuale limitazione della responsabilità genitoriale.

È la delicata vicenda che vede al centro un bambino che ha appena compiuto 2 anni e che ha una grave patologia cardiaca. I genitori si sono rivolti al reparto di Cardiologia pediatrica del policlinico bolognese, ma al momento di firmare il consenso all’eventuale trasfusione di sangue durante l’intervento, si sono fermati. Non accettano in nessun caso sangue che arrivi da donatori vaccinati contro il Covid. Anzi. I genitori pretendono che il sangue venga prelevato solo da soggetti che non si siano sottoposti alla profilassi.

L’idea che sottende la richiesta, sostenuta dalle frange più estreme dei no vax, è che attraverso una trasfusione di sangue il vaccino possa essere trasmesso dal donatore al ricevente. La richiesta, che secondo l’Ansa potrebbe discendere dalla fake news per cui i vaccini si otterrebbero da embrioni, «dunque feti uccisi», non viene naturalmente accettata dal policlinico. I genitori sono così convinti di questa tesi che cominciano a cercare donatori di sangue tra amici e conoscenti no vax, mettendone assieme, attraverso le chat su Telegram, una quarantina.

A quel punto il Sant’Orsola fa la sua mossa e a fine gennaio presenta un ricorso al giudice tutelare del Tribunale di Modena. Perché i sanitari che hanno in cura il bambino ritengono «che l’intervento chirurgico programmato non sia rinviabile stante l’estrema criticità della situazione e che occorra quindi acquisire il relativo consenso al fine di procedere con urgenza al ricovero e all’intervento», come si legge nella delibera che dà l’incarico al legale. Ieri il giudice ha acquisito il parere della famiglia, rappresentata dall’avvocato Ugo Bertaglia, esponente di Forza Nuova a Modena, e si esprimerà a breve.

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M5S, Conte chiede un nuovo voto e Di Maio aspetta: tutti i poteri tornano nelle mani di Grillo

martedì, Febbraio 8th, 2022

di Emanuele Buzzi

Il Tribunale azzera i 5 Stelle: Conte chiede un nuovo voto in tempio rapidi. Beppe Grillo potrebbe sbloccare l’impasse ma non va a Roma

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I sospetti, i cavilli e il garante. Il Movimento ripiomba nel caos. «Siamo fermi a un anno fa: è un disastro», commentano all’unisono nelle diverse ali dei Cinque Stelle. Certo, poi responsabilità e punti di vista continuano a divergere. «Supereremo in fretta la questione», dicono i contiani. Ma anche per i più fedeli all’ex premier, la decisione del tribunale di Napoli è stata una doccia fredda: non si aspettavano un esito diverso nel reclamo rispetto a quanto deliberato dai magistrati alla vigilia di Natale. Frenetici sono i contatti tra i vertici, l’avvocato che guida i Cinque Stelle consulta altri legali, si riunisce con Vito Crimi. Due ore circa di summit per decidere la linea: far votare chi era rimasto tagliato fuori dalla precedente consultazione. I vertici escono dal confronto decisi e più sollevati, convinti che si tratti dell’opzione migliore.

Ma la decisione scatena altre polemiche. «Si sono consultati con noi parlamentari?», dicono diversi esponenti. C’è chi attacca in modo più veemente: «Conte non può fare questa mossa. Una votazione sullo statuto la può indire solo il presidente del comitato direttivo o del comitato di garanzia»: figure tecnicamente vacanti. La decisione del tribunale di Napoli ha quindi come effetto-domino quello di rimettere in discussione gli equilibri , di inasprire il fronte della guerra interna. Ecco perché la decisione dei vertici di accelerare, tentare subito un nuovo voto. «Non ci faremo trascinare in mezzo a discussioni che hanno come solo scopo quello di ledere il futuro del Movimento», ribattono i contiani. Conte decide di confermare il suo appuntamento in tv a Otto e mezzo su La7 anche per ribadire il concetto.

Tuttavia la discussione presenta anche tecnicismi che non si possono eludere. Uno dei principali è su chi sia titolato o meno a usare i dati personali degli iscritti. C’è chi ipotizza di sondare il garante della privacy per evitare eventuali sanzioni e ricorsi. «Non possiamo sbagliare: c’è il rischio di un danno finanziario ingente». La situazione, insomma, è molto scivolosa. E va presa con le pinze. La chiave di volta, l’uomo che potrebbe essere determinante per sbloccare l’impasse torna a essere Beppe Grillo. Il garante, infatti, è sempre stato in carica e da lui il Movimento si aspetta una mossa. Da ambienti vicini allo showman, però, filtra la notizia che Grillo non ha al momento intenzione di incontrare a Roma parlamentari e big. Il garante si sta informando sul da farsi, proprio perché è consapevole che la situazione non permette ulteriori ritardi o errori. Il Movimento è in attesa di una sua mossa. Le varie anime lo stanno tirando per la giacca, ma ora Grillo si trova d’un tratto di nuovo plenipotenziario del destino di tutti: da Conte ai vice, dai malpancisti al secondo mandato a Luigi Di Maio.

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Mascherine all’aperto, da venerdì 11 febbraio stop all’obbligo: «Vale per tutti i colori delle regioni»

martedì, Febbraio 8th, 2022

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini

Oggi l’ordinanza del ministro Speranza: il via libera da venerdì 11 febbraio in tutta Italia, non solo nelle regioni in zona bianca. Riapriranno anche le discoteche

La decisione è presa: da venerdì in tutta Italia non ci sarà più l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto. Oggi il ministro della Salute Roberto Speranza firmerà l’ordinanza per eliminare la restrizione: anche se una regione dovesse entrare in una fascia di rischio gialla, arancione o rossa le mascherine all’aperto non saranno più obbligatorie. Il provvedimento entrerà in vigore lo stesso giorno in cui si tornerà a ballare in discoteca. È la conferma della scelta del governo di allentare i divieti e le regole in base alla discesa della curva epidemiologica. Rimangono ancora numerose misure, a cominciare dal green pass rafforzato (rilasciato a vaccinati e guariti) che serve per tutte le attività sociali e il green pass base (rilasciato con tampone antigenico valido 48 ore o molecolare valido 72 ore) per andare a lavorare (per gli over 50 anni è sempre obbligatorio il rafforzato ). Ma sia pur lentamente si percorre la strada verso la normalità. «Un percorso simile a quello intrapreso dagli altri Paesi europei», sottolinea Speranza.

Niente colori

Il decreto in vigore stabilisce che nelle zone gialle, arancioni e rosse le restrizioni previste non valgono per chi ha il green pass rafforzato.

Obbligo al chiuso

Rimane l’obbligo di indossare la mascherina al chiuso, sia pur con regole diverse.
In occasione di spettacoli aperti al pubblico che si svolgono all’aperto e al chiuso in teatri, sale da concerto, cinema, locali di intrattenimento e di musica dal vivo (e altri locali assimilati) e per le competizioni e gli eventi sportivi che si svolgono al chiuso o all’aperto vanno indossate le Ffp2.
Su tutti i mezzi di trasporto a lunga percorrenza vanno indossate le Ffp2.
Su tutti i mezzi di trasporto pubblico locale vanno indossate le Ffp2.

Discoteche

Dal giorno in cui si potrà stare senza mascherina all’aperto, si potrà anche tornare a ballare. Ma anche in questo caso ci sono regole che andranno rispettate.
Potrà entrare nei locali al chiuso e all’aperto solo chi ha il green pass rafforzato.
Se la discoteca è al chiuso sarà obbligatorio indossare la mascherina, tranne quando si sta in pista a ballare.
Da venerdì nelle discoteche all’aperto si potrà stare invece senza mascherina. Il limite di capienza di tutti i locali da ballo non può essere superiore al 75% all’aperto e al 50% al chiuso, rispetto a quella massima autorizzata.

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“Basta idiozie sul vaccino: ecco perché serve anche agli under 5”

lunedì, Febbraio 7th, 2022

Martina Piumatti

La curva dei contagi si piega, calano ospedalizzazioni e ricoveri in terapia intensiva, Omicron morde meno. Non per tutti. Il boom di positivi tra i piccolissimi under 5, gli unici che non si possono vaccinare, rallenta la frenata del virus. Ma ancora per poco. Il 15 febbraio l’americana Food and Drug administration dovrebbe approvare il preparato messo a punto da Pfizer-BioNTech per la fascia 6 mesi-4 anni. Elena Bozzola, pediatra infettivologo presso l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, spiega a ilGiornale.it perché il vaccino per i piccolissimi è l’arma contro gli effetti sottovalutati del Covid.

A breve verrà approvato il vaccino anche per la fascia 6 mesi-4 anni: cosa sappiamo, è sicuro?
“Pfizer-BioNTech ha richiesto alla Food and Drug Administration l’autorizzazione a procedere per la vaccinazione nei più piccoli con due dosi di vaccino di 3 micro grammi, 1/10 del preparato messo a punto per gli adulti. Dunque, sono stati fatti studi per minimizzare il rischio di effetti collaterali e garantire la sicurezza a fronte di una buona efficacia del vaccino. Detto questo, bisognerà aspettare il parere di Fda e vedere i dati delle somministrazioni ai bambini americani. Mamme, papà, e anche nonni aggiungerei, possono stare sereni che ai bimbi non verrà dato un vaccino sperimentale e non senza l’ok da parte delle autorità regolatorie competenti”.

Dai dati, però, è emerso anche che tra i 2 e i 4 anni l’efficacia sembrerebbe essere inferiore nel prevenire contagio.
“Per ora si tratta ancora di dati preliminari che dovranno essere oggetto di studio ulteriore da parte di Fda. La cosa importante è effettuare la vaccinazione, perché i contagi stanno calando ma non nella fascia dei più piccoli, per i quali fino ad ora non è previsto il vaccino. Che sarebbe, invece, fondamentale per prevenire le forme più gravi e i ricoveri. Sotto i cinque anni ci sono 273mila casi con 5.500 ospedalizzati, 90 ricoverati in terapia intensiva e 10 morti. Numeri in linea con i dati americani: 10 milioni di bambini positivi, di cui 1,6 milioni sotto i 4 anni. Quindi parliamo di dati importanti”.

Di solito i bambini sviluppano pochissimi sintomi, un po’ di tosse e qualche linea di febbre. Perché, allora, dovremmo vaccinarli?
“È vero. Sappiamo che la positività di un bambino al momento decorre con pochi sintomi, però, non sappiamo che cosa ci riserverà il futuro e mi riferisco a tutte quelle conseguenze che può comportare un’infezione da Covid. Aumenta di due volte e mezzo la probabilità di sviluppare il diabete, c’è il rischio della Mis-C, la malattia multisistemica pediatrica, del Long Covid. Quindi se abbiamo un’arma per prevenire tutto questo ritengo sia importante valutarla. E per quanto riguarda le preoccupazioni relative agli effetti collaterali, abbiamo visto anche nella fascia superiore, tra 5 e 11 anni, diminuendo la dose diminuisce anche il rischio di eventi secondari”.

Però la somministrazione del vaccino ai bambini non pare decollare. Perché?
“In realtà c’è una concausa di due fattori. All’inizio quando è arrivato il vaccino, come sempre, noi italiani siamo stati a vedere. Io i miei figli gli ho vaccinati immediatamente. Diciamo che in genere è prevalsa la tendenza: facciamo le vacanze di Natale e vediamo un po’ come va. Poi, dopo le feste, con il picco di contagi da far paura, soprattutto tra i bambini, molti genitori sono corsi a vaccinarli. La frenata è dovuta al fatto che circa un 10% dei bambini ha contratto il Covid, un 30% si è già vaccinato e, lo dico per esperienza oltre che di pediatra anche di mamma, una buona parte è in quarantena. Non sa quanti casi di mamme che mi dicono di aver dovuto cancellare la prenotazione perché magari la quarantena finiva il giorno dopo. Così per un giorno devono riprogrammare l’appuntamento, cosa non sempre facile, perdendo l’opportunità di vaccinare il proprio figlio. Un peccato. Spero che con questa revisione delle normative sulla quarantena la situazione si sblocchi”.

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Se anche i Cinque Stelle vogliono il Congresso

lunedì, Febbraio 7th, 2022

Alessandro De Angelis

Adesso l’ultimo tabù infranto, nell’eterna tenzone pentastellata, è il “congresso”, sia pur nominato con un certo pudore. «Non so se si chiamerà così, ma c’è bisogno di un momento di confronto chiaro, democratico e inclusivo»: lo dice testualmente in tv Vincenzo Spadafora, per nome e per conto di Luigi Di Maio, con un linguaggio degno di Arnaldo Forlani. In fondo, in assenza di “cavalli” di razza, alla bisogna vanno bene anche i “conigli mannari”, tra un detto e un non detto, un passo indietro da un comitato di garanzia per preparare un passo avanti, e una corrente da organizzare.

È la tardiva scoperta della democrazia, sia pur come difesa di una “agibilità democratica” di una minoranza (forse) che ambisce a diventare maggioranza – si diceva proprio così una volta – o di una maggioranza che vuole appalesarsi come tale e fare le liste, il prossimo anno, mica questione di poco conto: tornare in Parlamento o stare a casa. Comunque, sincera o strumentale, meglio tardi che mai, in un Movimento abituato a ratificare online le imposizioni dell’“uno che valeva tutti”, Grillo, fisicamente scomparso e poi ricomparso, in versione evangelica, per mettere in guardia tutti – sia Conte che bollò come «incapace» prima di una spigola riparatrice, sia Di Maio, che aveva “elevato” a capo prima dell’altro Elevato – dal “cupio dissolvi”. Neanche lui è più quello di una volta.

In attesa che la parabola si chiuda con un dibattito sullo statuto e sulla forma partito, si registra la più gigantesca delle nemesi storiche. Mai si era visto un tale rovesciamento delle aspettative e del mandato, nello spazio di una sola legislatura, apertasi con la richiesta di impeachment a Mattarella e chiusa con il bis, onore a Di Maio che ha favorito l’onda mentre Conte era impegnato in un revival gialloverde con Salvini. Lasciamo stare il tonno altrui e le scatolette. L’apriscatole si chiama trasformismo. Chi emise il primo vagito su quello altrui, sul proprio perisce, in assenza di una discussione identitaria degna di questo nome: nati per non allearsi con nessuno e seppellire tutti, dopo essersi schiantati prima in un governo con gli uni, poi con gli altri opposti agli uni, si alleano con tutti per sopravvivere, compreso lo “psiconano”.

Peraltro all’interno di un governo guidato da un altro simbolo, nei tempi che furono, dei poteri tecnocratici e opachi che governano senza trasparenza a dispetto del popolo. Anche lui, a un certo punto, è diventato il “supremo” cui affidarsi, dopo la caduta dell’Elevato, ma evidentemente non troppo “supremo” per il Colle, su cui l’ex-Elevato ha voluto elaborare il proprio lutto e misurare il suo potere sul competitor interno, che nel frattempo è cresciuto, unico forse ad aver messo nero su bianco un’autentica autocritica sulle proprie intemperanze giovanili, passando dai Gilet Gialli a solidi rapporti con le democrazie europee, al sostegno aperto a Draghi.

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Un anno di Mario Draghi

lunedì, Febbraio 7th, 2022

Fabio Martini

In una politica che oramai da anni ruminava il prevedibile, tutto ebbe inizio con un colpo di scena e non per modo di dire. Era il 2 febbraio del 2021, il Capo dello Stato uscì dal suo studio e annunciò che considerava esaurito il faticoso tentativo di Giuseppe Conte di mettere in piedi il suo terzo governo e qualche minuto più tardi fece sapere di avere convocato per l’indomani mattina al Quirinale Mario Draghi. Seguì il silenzio. Un irrituale blackout da parte dei logorroici leader di partito, di solito prontissimi a digitare in pochi attimi commenti anche su eventi irrilevanti. Pensavano tutti di avere ancora qualche giorno per i loro palleggi e invece furono spiazzati sia dalla rapidità del contropiede di Sergio Mattarella, ma anche dalla qualità del presidente incaricato.

Quella sera i leader che dominano la scena mediatica sino ad esserne spesso dominati capiscono subito di trovarsi davanti ad un personaggio molto diverso da loro: Mario Draghi non è soltanto un “marziano”. È anche e soprattutto un commissario. Il 13 febbraio il nuovo presidente del Consiglio e i suoi ministri giurano davanti al Capo dello Stato: da quel momento ha inizio un anno nel corso del quale il governo, circondato spesso da applausi acritici, riesce a vincere le battaglie per le quali è stato ingaggiato: il Pil italiano a fine anno è cresciuto del 6,5%; la campagna di vaccinazione si è dimostrata efficace; il Pnrr, che prima di Draghi era privo di cronoprogramma e di riforme strutturali, ha fatto i suoi primi, decisivi passi. E infatti, a coronamento di dieci mesi vissuti di corsa, il 19 dicembre l’Economist attribuisce all’Italia il “titolo” di «Paese dell’anno». Per Draghi una ragione di più per lasciare trasparire, lui uomo così chirurgico nelle parole, un interesse “all’ascesa” verso il Quirinale.

Le cose, come si sa, sono andate in modo diverso dai desideri di Mario Draghi che ora però non ha alcuna intenzione di trasformare questo momentaneo ridimensionamento in un downgrading: la storia di un anno vissuto di corsa a palazzo Chigi contiene, almeno in parte, alcuni indizi che parlano anche del futuro del governo.

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