Archive for Febbraio, 2022

Berlusconi non si sposa. E Totti non si lascia

mercoledì, Febbraio 23rd, 2022

Berlusconi non si sposa. E Totti non si lascia. Le notizie hanno fatto il giro del web. Ma entrambi i protagonisti si sono affrettati a smentire i gossip.

“Nelle ultime ore ho letto sui media tante cose su di me e soprattutto sulla mia famiglia. Non è la prima volta che mi succede di sentire queste fake news”. Francesco Totti smentisce categoricamente la crisi con Ilary Blasi e affida a un video su instagram un appello che pronuncia con tono deciso: “Mi rivolgo a tutti voi che scrivete queste cose. Fate attenzione, perché di mezzo ci sono i bambini e i bambini vanno rispettati. E sinceramente mi sono veramente stancato di dover smentire”. Poco prima, anche Ilary aveva fatto capire che la famiglia è unita, postando un video, sempre sullo stesso social, in cui si trovano tutti in un noto ristorante della capitale, a due passi dal Quirinale.

“Il rapporto di amore, di stima e di rispetto che mi lega alla signora Marta Fascina è così profondo e solido che non c’è alcun bisogno di formalizzarlo con un matrimonio. Le indiscrezioni comparse oggi sugli organi di stampa non rispondono dunque a verità. Ma proprio perchè si tratta di un legame così profondo e così importante, assieme a Marta sto progettando per un prossimo futuro di festeggiarlo come merita, con un appuntamento che coinvolgerà i miei figli e gli amici a me cari”. Lo afferma con una nota il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi.

L’HUFFPOST

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Su Renzi si spacca l’alleanza giallorossa

mercoledì, Febbraio 23rd, 2022

“Voteremo contro, ma non contro Renzi, contro un singolo senatore, ma contro perché difendiamo valori e principi del M5s”. Lo ha detto Giuseppe Conte rivelando ai giornalisti la posizione del Movimento Cinque Stelle sul voto, previsto nel pomeriggio, sul conflitto di attribuzione – per cui secondo lui “non ci sono i requisiti” – per il caso della Fondazione Open. Il caso vede coinvolto il leader di Italia Viva Matteo Renzi, che interverrà in aula al Senato, come preannunciato nei giorni scorsi. I rappresentanti del Partito democratico, che in Giunta si erano astenuti, voteranno a favore. 

Nelle ultime settimane la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari aveva dato il via libera a una relazione della senatrice di Forza Italia, Fiammetta Modena, con cui era stata sollevata la questione dinanzi alla Consulta contro i magistrati di Firenze che hanno condotto l’inchiesta.

I magistrati della procura di Firenze due settimane fa hanno chiesto il rinvio a giudizio per Renzi e per altri dieci indagati, tra cui Luca Lotti, Maria Elena Boschi e Marco Carrai. Oggi la battaglia di oggi a Palazzo Madama rappresenta un passaggio decisivo perché trascinerebbe la questione davanti alla Consulta, quantomeno nell’aspetto relativo ad alcune intercettazioni. 

Nel 2019 è partita l’indagine sulla Fondazione Open, che sosteneva l’attività politica di Matteo Renzi. Sotto esame 3,5 milioni di finanziamenti. 

L’HUFFPOST

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La nuova frontiera di Draghi (non tutte le bandierine dei partiti sono uguali)

mercoledì, Febbraio 23rd, 2022

di  Alessandro De Angelis

Troppo facile questa narrazione che c’è Draghi, che vuole fare le cose, e poi ci sono i partiti, ognuno con le sue bandierine – tutte uguali: rosse gialle e verdi – che lo impediscono. E bene una, due o tre, ma alla quarta, se la ricreazione non finisce, il professore se ne va sbattendo la porta. Narrazione, che va assai di moda, nell’Italia dell’antipolitica dal basso, ma anche dall’alto, dove certe élite tecnocratiche coltivano l’antico vizio di liquidare la politica, secondo il consueto adagio – ricordate il ’92 e come andò a finire, Monti e come andò a finire – di gettare assieme all’acqua sporca delle cattive abitudini dei partiti in crisi pure il bambino della politica, spalancando le porte a diversi populismi.

È evidente che Draghi non può andarsene né per ripicca da Quirinale, né per esaurimento di pazienza. Non sarebbe da Draghi, a meno di clamorose rotture politiche, lasciare l’Italia senza timone in gran tempesta, senza esporla al rischio di naufragio ed esporre se stesso all’accusa di tradimento della responsabilità assunta. E infatti la verità è che la realtà racconta ben altro. Ci sono quelli su cui il premier sa di poter contare, come il Pd di Enrico Letta, che non a caso, nell’elenco delle sue priorità, ha fissato quei tre punti – concorrenza, fisco e appalti – che sono proprio le priorità di palazzo Chigi. I due si sentono molto più spesso di quanto lascino trapelare tanto che, nell’ultimo colloquio, il premier ha chiesto anche di concordare una formulazione proprio del famoso emendamento sull’Ilva: né una ramanzina né un prendere o lasciare. È il destino del Pd, quello di essere l’architrave della stabilità, con tutti gli oneri e onori del caso. Così architrave da rinunciare anche un certo protagonismo mediatico, di questi tempi cosa rara, per cui la linea è che, per ottenere risultati, si deve evitare di farne delle bandiere di parte, un po’ come sul Quirinale.

E poi ci sono quelli di cui ci si può fidare di meno, come la Lega, dove si registra un cambio di fase mica male, dopo il periodo in cui le intemperanze vaccinali di Salvini erano mitigate dai governatori e da Giorgetti. Vuoi perché è il segretario che fa le liste e l’ansia da sopravvivenza diventa dominante e, con essa, un fisiologico riallineamento. Vuoi perché qualcuno, a questo punto ha in mente una manovra più subdola e raffinata e cioè, pur di sbarazzarsi di Salvini, accompagnarlo a sbattere contro le urne, alla prima occasione utile, sia come sia per tutta una serie di motivi da quelle parti l’aria è cambiata.

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La guerra in Ucraina c’è già, solo l’Europa si rifiuta di vederla

mercoledì, Febbraio 23rd, 2022

di  Gianni Riotta

Perché la classe dirigente europea, politici, diplomatici, imprenditori, accademici, media, segnatamente nel nostro paese, è stata colta di sorpresa dall’invasione russa in Ucraina? Il presidente russo Vladimir Vladimirovic Putin, occorre dargliene atto, aveva in modo esplicito annunciato i piani di attacco, che a Palazzo Chigi chiamano “Decisione” e a Kiev “Guerra”. Il record storico, Cecenia, Georgia, Siria, Donbas, Crimea, Ossezia ne annunciava la mancanza di scrupoli per l’azione militare, quando gli interessi del Cremlino gli sembrano a rischio.

Non si tratta, come qualcuno presume, di ignoranza, tutto al contrario ci sono esperti di lunga esperienza, uomini e donne di azienda che, da sempre, commerciano all’Est, docenti versati nella materia e corrispondenti capaci di ricordare i Niet del ministro degli Esteri sovietico Gromyko e le, sfiorite, speranze di Gorbaciov.

Putin agisce su un differente piano psicologico, il morboso desiderio europeo di mantenere lo status quo postbellico che ha portato al continente ottanta anni di pace, una prosperità unica nella storia, l’ombrello della difesa Usa, pagato dai contribuenti americani, mentre i nostri sostenevano pensioni, sanità, welfare, scuola pubblica, non versando alla Nato neppure lo stento 2% del Pil, promesso nel 2006. L’Europa non sente il rombo dei cingolati nel gelo ucraino, perché gli anni del boom, settimana bianca, Club Med, sicurezza sociale, qualche sera davanti ai talk show a deprecare le avventure militari Usa o una bandiera della pace al balcone, sono stati splendidi e lasciarli per la realtà del XXI secolo pesa.

Ora il presidente americano Joe Biden, che considera Putin “un killer”, annuncia nuove sanzioni, e di nuovo, gli europei borbotteranno che saranno le nostre aziende e le nostre famiglie a pagare, a suon di energia elettrica e bollette. L’Europa le applicherà, vero, il cancelliere tedesco Scholz e la ministro degli Esteri Baerbock sono più tosti della Merkel con Mosca, i tempi cambiano, e forse cancelleranno perfino lo spericolato gasdotto Nord Stream 2, venduto dal piazzista di Putin, l’ex cancelliere Schroeder. Ma, con il leader della Lega Salvini, tanti protesteranno, chiedendo eccezioni, riduzioni, ammollienti e anche a sinistra, nel Pd, corrono sentimenti neutralisti, eredi di vecchie culture, mentre in Forza Italia il putinismo è tradizione.

L’idea dominante, guardate i sondaggi, è, che ce ne importa degli ucraini, Putin rimetta in piedi una Unione Sovietica dei poveri, e noi ripartiamo con l’economia post Covid. In realtà anche negli Stati Uniti non spira aria di Guerra Fredda II, anzi. La metà dei cittadini condivide l’umore europeo, nessuna guerra contro Mosca e sanzioni, magari, ok, ma a patto che non costino un cent all’economia interna o rialzino la già rampante inflazione. La destra del partito repubblicano, fedele all’ex presidente Trump, molto vicino a Putin, dichiara che il confine Sud con il Messico è più pericoloso del Donbas e Biden debole e vecchio.

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Operazione empatia: così Draghi prova a recuperare consensi

mercoledì, Febbraio 23rd, 2022

ILARIO LOMBARDO

A nessuno farebbe piacere leggere su un giornale di avere perso oltre quattro punti di consenso personale in venti giorni. Tanto più se sei Mario Draghi, un presidente del Consiglio «celebrato», per usare il termine utilizzato ieri da Alessandra Ghisleri sulla Stampa, per aver predisposto un piano contro la pandemia e aver spinto al massimo sugli investimenti del Piano di ripresa. Un calo, una frenata, un inciampo, in qualche modo prevedibili dopo la settimana di furore sul Quirinale. E infatti: a Palazzo Chigi avevano fiutato l’aria e attendevano a tal punto un contraccolpo sull’immagine del presidente del Consiglio, dopo la corrida in Parlamento, che si sono subito attrezzati.

Il secondo tempo del governo Draghi ha un nuovo racconto, nuove location, una sceneggiatura che si vuole più coinvolgente. Trattandosi di Draghi, la svolta assume la forma di una piccola rivoluzione mediatica, pare consigliata da qualcuno, un esperto amico, chiamato per una consulenza informale, che gli avrebbe suggerito di farsi vedere di più. Non una ma ben due interviste sono in cantiere: una a un quotidiano, l’altra su Raiuno. Ci stanno già lavorando gli uomini dello staff nel massimo riserbo. In dodici mesi aveva concesso solo qualche minuto al Tg1, nei giorni drammatici della conquista talebana dell’Afghanistan. Lo stile Draghi prevedeva un protocollo rigidissimo sulle uscite, e nei rapporti tanto con la stampa quanto con l’opinione pubblica. Modello Banca centrale europea: comunicazione controllata, conferenze stampa, pochi eventi, poche o nessuna improvvisata, contatti con i cittadini il minimo indispensabile.

Tutto cambia dopo la delusione dell’elezione mancata al Colle. In quei giorni è emersa dalle cronache la voglia matta dei parlamentari di vanificare le ambizioni quirinalizie del premier. L’operazione immagine parte subito dopo. Con un obiettivo: mostrarsi protagonista dell’Italia che riparte. A Genova, Draghi si piazza alla guida della pilotina della Guardia di Finanza. Visita il porto, incontra i familiari delle vittime del Ponte Morandi, indossa l’elmetto ai cantieri del Terzo Valico. Altra visita, altri elmetti attorno a lui: i laboratori nazionali dell’Istituto di fisica nucleare nel Gran Sasso. Il discorso, dentro e fuori: «Siete l’eccellenza del Paese». Questo è il senso del Grand Tour di Draghi. L’idea di patrocinare le eccellenze italiane, il Made in Italy nelle sue mille declinazioni. Ieri è stato il design della mostra “Italia geniale” inaugurata a Palazzo Piacentini, a Roma. Oggi è la moda di Ferragamo, a Firenze, dove il premier visiterà lo stabilimento produttivo del marchio nato dal genio del «calzolaio dei sogni» Salvatore. Nel capoluogo toscano Draghi incontrerà i vescovi, farà tappa ai cantieri del Teatro del Maggio musicale, e vedrà gli stakeholders locali.

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La risposta unita dell’Occidente

mercoledì, Febbraio 23rd, 2022

Nathalie Tocci

La domanda non è più se ci sarà un’invasione russa dell’Ucraina, ma quando e dove si arresterà e quale sarà la risposta europea e transatlantica. Il presidente russo Vladimir Putin, accogliendo la richiesta della Duma, ha riconosciuto l’indipendenza delle province di Donetsk e Lugansk e ordinato alle sue truppe di invadere il Paese, occupando i territori separatisti. Il diritto internazionale è stato violato, la sovranità ucraina calpestata. L’invasione è già avvenuta.

Potrebbe finire così, per ora. La crisi ucraina del 2022 potrebbe echeggiare quella georgiana del 2008. Nel primo caso, Putin occupò e dichiarò l’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, senza spingersi verso la capitale georgiana Tbilisi: era l’8-8-2008. Nel secondo, il 22-2-2022, Putin potrebbe fermarsi alla linea di contatto, occupando solo la parte del Donbass fuori dal controllo del governo di Kiev dal 2014, evitando quindi uno scontro massiccio con le forze ucraine. I segnali sono contrastanti, ma il riconoscimento russo – e quindi l’invasione militare – potrebbe limitarsi a questi territori, senza spingersi nel resto del Donbass, né tantomeno del Paese, a partire dalla capitale Kiev. Putin in Ucraina guadagnerebbe relativamente poco nel breve termine, se non una spina nel fianco di Kiev e l’aver reso gli accordi di Minsk carta straccia. Ma fuori dal radar mediatico ci sarebbe il vero premio: un’occupazione de facto della Bielorussia attraverso la presenza militare russa permanente nel Paese. Razionalmente il gioco varrebbe la candela.

Ucraina, Biden: “Ulteriore dispiegamento truppe Usa in paesi baltici”

Ma, purtroppo, gli unici dati certi sono che delle dichiarazioni di Putin non ci si può fidare, e che il presidente russo, nonostante abbia mostrato ripetutamente la sua cinica razionalità in politica estera, dalla Siria al Caucaso, dal Kazakhstan alla Libia fino al Mali, sembra averla persa quando si tratta di Ucraina. Sono molti i segnali che puntano in tutt’altra direzione, in una direzione ben più folle e pericolosa. Alla luce della farneticante conferenza stampa in cui il presidente russo ha negato l’esistenza della nazione ucraina, e delle oltre 190 mila truppe stazionate ai confini del Paese, sarebbe ingenuo dare per scontato che tutto finirà così. È evidente che Putin non è interessato a Donetsk e Lugansk ma all’intera Ucraina. Un’invasione su larga scala è ancora possibile.

In parte le scelte di Putin verranno condizionate dalle risposte europee e transatlantiche. Per ora l’Occidente si è mostrato sorprendentemente unito. La parola chiave emersa durante la Conferenza di Monaco lo scorso fine settimana – la prima in cui i russi non erano presenti in sala, per loro scelta – è stata proprio questa: unità. Poteva sembrare poco più di una retorica auto-congratulatoria, ma le prime risposte sanzionatorie da Washington, Londra, Berlino e Parigi – dove ieri si è tenuto il Consiglio affari esteri dell’Unione europea – confermano nei fatti questa unità. Il presidente americano Biden ieri ha firmato un ordine esecutivo che impone sanzioni agli investimenti, al commercio e ai finanziamenti da e nelle province separatiste, a quattro banche russe, il rifinanziamento del debito pubblico e varie élite e le loro famiglie. Londra sanzionerà cinque banche e un numero di oligarchi russi con asset consistenti nel Regno Unito.

Ucraina, Biden: “Cominciamo a imporre sanzioni in risposta all’invasione russa”

Berlino tira fuori l’asso nella manica, congelando la certificazione del gasdotto Nordstream II, segnando il passo al resto dell’Ue. I 27 Stati membri si accordano all’unanimità su un primo pacchetto di sanzioni che colpirebbero individui ed entità coinvolti nella decisione illegale, tra cui 351 membri della Duma e 27 individui e entità. Le sanzioni europee colpiranno le banche russe che finanziano le forze armate e altre operazioni nei territori occupati, il commercio con Donetsk e Lugansk, la banca centrale russa e il rifinanziamento del debito del Paese, nonché limiteranno l’accesso di Mosca ai mercati finanziari europei. Le sanzioni annunciate ieri non sono quelle finanziarie, tecnologiche e energetiche discusse nelle settimane scorse, ossia il limite massimo a cui sono disposti ad arrivare Ue, Usa, Regno Unito, Canada e Giappone nell’ipotesi di un’invasione su larga scala. Ma sono un primo pacchetto molto più consistente di quanto molti immaginavano.

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Covid e il post pandemia, così Speranza: “Ecco come rivoluzioneremo la sanità”

mercoledì, Febbraio 23rd, 2022

Paolo Russo

«La pandemia ha reso evidenti almeno tre limiti della nostra sanità: il ritardo nel sapersi adeguare ai bisogni di una popolazione che invecchiando ha fatto esplodere le malattie croniche, il deficit digitale e una crescita delle diseguaglianze nell’accesso ai Lea, i livelli essenziali di assistenza, che sono su valori non adeguati al Sud. Ma ora abbiamo l’opportunità di trasformare la più dura emergenza sanitaria del dopoguerra in una grande opportunità di ammodernamento e rafforzamento della nostra sanità pubblica». Per spiegare come, il ministro Roberto Speranza si presenta con decine e decine di pagine fitte di numeri, che alla fine portano a qualcosa come 30 miliardi di risorse aggiuntive tra Pnrr, rifinanziamento del fondo sanitario e fondi Ue per la povertà sanitaria nel Mezzogiorno. Soldi che serviranno a ricucire le piaghe aperte dalla pandemia nella sanità, documentate dalla nostra inchiesta a puntate della scorsa settimana. «Anche se le difficoltà del nostro sistema sanitario nazionale non nascono con il Covid, ma da una troppo lunga stagione di tagli che lo ha preceduto», ci tiene a precisare prima di posare un attimo lo sguardo sul presente. Perché ancora ieri l’altro Salvini e Meloni hanno tentato lo strappo, cercando di far passare un emendamento che avrebbe mandato ovunque in soffitta il Green Pass a partire dal 31 marzo. «Ma il Covid non scompare premendo il tasto off come se stessimo spegnendo la luce. Nei prossimi giorni continueremo a monitorare il quadro epidemiologico, ma i dati su contagi e ricoveri sono tutti in via di miglioramento. È chiaro che ci troviamo in una fase nuova, ma serve gradualità, non possiamo far saltare in un solo momento tutte le precauzioni che ci hanno consentito di lasciare aperto mentre altri in Europa entravano in lockdown». E sullo stato di emergenza lascia capire che, salvo improvvise inversioni di rotta della pandemia, potrà essere superato alla scadenza del 31 marzo. «Valuteremo nelle prossime settimane e poi decideremo, ma è chiaro che l’obiettivo è quello di una progressiva uscita dall’emergenza». Intanto ci si muove per proteggere i più fragili. «Le autorità scientifiche e sanitarie hanno per ora ritenuto di dover avviare dal primo marzo la somministrazione della quarta dose per le persone immuno-compromesse. Per il resto della popolazione non sono ancora disponibili i dati necessari per prendere una decisione. Quando li avremo le autorità scientifiche, che sempre ci hanno guidato in queste scelte, diranno se e quando sarà eventualmente necessario estenderla anche ad altre fasce della popolazione».

«Ma, mentre continuiamo a combattere il virus, ora è il momento di alzare lo sguardo oltre l’emergenza». Ed è una sanità da sogno quella che disegna con passione Speranza. «Il filo che unisce tutti i nostri interventi ruota intorno a tre parole chiave: prossimità, innovazione e uguaglianza». La prima è vicina a essere tradotta in realtà con un nuovo provvedimento che rivoluziona la trincea della medicina del territorio, caduta ai primi assalti del Covid. «Con la cronicizzazione delle malattie c’è sempre più bisogno di una sanità di prossimità, che sia più vicina alle persone. E il cuore della nuova rete territoriale saranno le Case di comunità. Luoghi fisici dove 24 ore su 24 e sette giorni su sette équipe multiprofessionali composte da medici di famiglia, pediatri di libera scelta, specialisti, infermieri di famiglia e di comunità potranno rispondere a tutti i bisogni di assistenza che non siano quelli legati all’emergenza e alla fase acuta della malattia, compresa la possibilità di eseguire esami diagnostici di primo livello». Di quelle principali, gli hub, ne sorgeranno da qui al 2026 una ogni 40-50mila abitanti, «per un totale di 1.350 strutture, alle quali si affiancheranno le altre Case della salute spoke, quelle dove medici di famiglia e infermieri garantiranno assistenza e prenotazioni ad altri servizi tramite il Cup regionale, 12 ore al giorno e sei giorni su sette». Una rivoluzione copernicana rispetto agli studi dei medici di base aperti oggi in media 15 ore la settimana. Ma con i 7 miliardi destinati al territorio dei 20 complessivi del Pnrr «faremo anche della casa il primo luogo di cura, portando entro il 2026 l’assistenza domiciliare al 10% per gli over 65. E guardi che partiamo dal 4% che è inferiore di due punti alla media Ocse. E un effetto fondamentale l’avrà la Telemedicina, sulla quale investiamo un miliardo». A completare la rete c’è poi il tassello degli ospedali di comunità. «Ne realizzeremo 400 entro il primo semestre del 2026 e saranno fondamentali per assistere quei pazienti che non hanno più bisogno dell’ospedale ma che necessitano comunque di brevi degenze per stabilizzare la propria condizione clinica».

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Ucraina-Russia, le ultime notizie in diretta. Biden invia truppe, sanzioni contro banche e oligarchi russi

mercoledì, Febbraio 23rd, 2022

di Alessandra Muglia e Marta Serafini

Dopo l’ingresso dell’esercito russo nelle repubbliche filorusse del Donbass, l’Occidente ha varato le prime sanzioni contro Mosca. Le parole di Putin e il no di Biden — per ora — a un vertice con il presidente russo

La crisi tra Russia e Ucraina continua ad allargarsi. Dopo che, lunedì 21 febbraio, il presidente russo Vladimir Putin ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche filorusse di Lugansk e Donetsk (che si trovano nel Donbass, regione nell’est dell’Ucraina), la Russia – citando la necessità di «mantenere la pace» e «proteggere» la popolazione filorussa — ha inviato truppe russe nel territorio che, per la comunità internazionale, è di fatto ucraino. Nella giornata di ieri, martedì, i Paesi occidentali —Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione europea —hanno varato quelle che hanno definito «e prime» sanzioni contro la Russia. Per la giornata di domani, giovedì, resta per ora in programma un incontro tra i ministro degli Esteri russo Lavrov e il Segretario di Stato americano Blinken.

Ore 7:55 Sono 94.600 i residenti del Donbass passati in Russia dal 18/2
È salito a oltre 94.600 il numero di residenti delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk and Lugansk che dal 18 febbraio hanno attraversato il confine ucraino passando in Russia: lo ha reso noto oggi una fonte delle forze dell’ordine russe. ««Fino alla mattina del 23 febbraio, più di 94.600 persone hanno attraversato il confine russo, quasi 60.000 di loro sono cittadini ucraini, più di 34.600 sono russi», ha detto una fonte all’agenzia Tass.

Ore 7.38 – Biden, il summit negato con Putin e le armi ai Paesi Baltici
La posizione degli Stati Uniti — dopo aver varato le prime sanzioni contro la Russia — si è fatta più dura nei confronti di Mosca nelle scorse ore anche su due altri fronti. Il primo: il no di Biden a un vertice con Putin — per ora — esplicitato dalla portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki («Non chiuderemo mai del tutto la porta della diplomazia, ma la diplomazia non puo’ avere successo a meno che la Russia non cambi strada». Il secondo: l’invio di truppe e mezzi nei Paesi Baltici: gli Usa invieranno circa 800 soldati di un battaglione di fanteria, provenienti da altre località in Europa; 40 aerei d’attacco per rinforzare le difese dei paesi sul fianco orientale della Nato; un contingente di caccia d’assalto F-35 e di elicotteri d’attacco AH-64 Apache. Biden ha descritto la mossa come puramente «difensiva», e ha affermato: «Non abbiamo intenzione di combattere la Russia».

Ore 7.00 – Le nuove parole di Putin: «Diritti non negoziabili»
Il presidente russo Vladimir Putin —in un discorso trasmesso in tv in occasione della Giornata del difensore della patria — ha definito «non negoziabili» gli interessi e la sicurezza del suo Paese, ma ha poi apparentemente aperto al dialogo con gli occidentali: la Russia, ha detto, è pronta a trovare «soluzioni diplomatiche» con Kiev e l’Occidente sulla crisi ucraina. «Il nostro Paese è sempre aperto al dialogo diretto e onesto per trovare soluzioni diplomatiche ai problemi più complessi. Tuttavia, gli interessi e la sicurezza dei nostri cittadini non sono negoziabili».


Ore 6.19 – L’ambasciatore russo in Usa: «Le sanzioni non risolveranno»
«Le sanzioni non risolveranno nulla con la Russia. Difficile immaginare» che Mosca «cambi politica estera sotto la minaccia di misure restrittive». È il secco commento dell’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, dopo l’annuncio del presidente americano Joe Biden di nuove misure economiche contro Mosca in risposta alla crisi ucraina. «Non ricordo un solo giorno in cui il nostro Paese è vissuto senza subire alcuna restrizione dal mondo occidentale. Abbiamo imparato a lavorare in tali condizioni. E non solo a sopravvivere, ma anche a sviluppare il nostro Stato», ha proseguito il rappresentante di Mosca con un messaggio su Facebook. «Non c’è dubbio che le sanzioni imposte contro di noi danneggeranno i mercati finanziari ed energetici globali. Gli Stati Uniti non ne resteranno esclusi, i cittadini comuni subiranno tutte le conseguenze dell’aumento dei prezzi».

Ore 4.30 – Anche il Giappone annuncia nuove sanzioni alla Russia
Anche il Giappone ha deciso di imporre nuove sanzioni alla Russia. Lo ha confermato il premier nipponico Fumio Kishida in un incontro con la stampa, spiegando che le autorità monetarie sospenderanno l’emissione e il commercio di nuovi titoli sovrani russi in Giappone ed è previsto il congelamento dei visa e degli asset individuali dei funzionari delle due regioni del Donbass, oltre all’imposizione di un divieto sul commercio proveniente dagli stessi territori. Kishida ha anche detto che il Paese del Sol Levante ha riserve sufficienti di petrolio e di gas liquefatto (Lng), quindi non è previsto un impatto significativo sulle risorse energetiche nel breve periodo.

Mercoledì, 00.19 – Casa Bianca: «Summit Biden-Putin? Solo con de-escalation»
Joe Biden non ha intenzione di partecipare ad un summit con Vladimir Putin. Lo ha detto la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, poco dopo che il segretario di stato Usa Antony Blinken ha cancellato l’incontro con il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov, previsto per giovedì. «La diplomazia non può avere successo a meno che la Russia non cambi corso», ha aggiunto, ponendo come condizione per un summit tra i due leader la «de-escalation» russa, «che significa muovere le truppe».

Ore 21.40 – Le sanzioni Usa in 4 punti
Le sanzioni decise dagli Stati Uniti possono sintetizzarsi in quattro punti. 1) Blocco totale delle operazioni con le due maggiori istituzioni finanziarie russe: la Veb, la più grande corporation di Stato e la banca militare. 2) Sanzioni sul debito sovrano. Questo significa che la Russia verrà tagliata fuori dai finanziamenti dell’Occidente e non potrà accedere al mercato europeo 3) Sanzioni verranno imposte sulle cosiddette élite russe, le più potenti famiglie di oligarchi. L’obiettivo è fare terra bruciata attorno all’entourage che sostiene Putin 4) Blocco del gasdotto Nord Stream 2.

Ore 21.20 – Il Donbass denuncia bombardamenti ucraini
Le forze di sicurezza ucraine hanno bombardato quattro insediamenti nel Donbass usando armi pesanti, ha riferito l’ufficio di rappresentanza della Repubblica popolare di Donetsk citato dall’agenzia Novosti. Come risulta dal messaggio, gli insediamenti di Gorlovka , Dolomitnoye, Zaitsevo, Verkhnetoretskoye sono stati bombardati. Il bombardamento è avvenuto tra le 21.35 e le 21.50 (ora di Mosca). Sono state sparate 20 granate.

Ore 20.45 – Truppe Usa nei Paesi baltici
Il presidente americano Joe Biden ha autorizzato «un dispiegamento aggiuntivo» di truppe Usa nei paesi Baltici membri della Nato. Lo ha annunciato lo stesso leader Usa parlando dalla Casa Bianca. Il dispiegamento consisterebbe in 800 soldati provenienti dall’Italia, 20 elicotteri Apache e almeno 8 caccia F35. Tra le condizioni poste da Putin all’Occidente c’era – al contrario – il ritiro della forza militare Nato dai territori dell’ex Urss.

Ore 20.35 – Sanzioni Ue in vigore da domani
Gli ambasciatori presso l’Ue dei ventisette Stati membri hanno raggiunto l’accordo definitivo sulle sanzioni. Nella notte saranno fatte le verifiche tecniche e giuridiche. Domani mattina avverrà l’approvazione definitiva per l’adozione formale e la pubblicazione in giornata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Le sanzioni saranno applicate non appena pubblicate in Gazzetta.

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Quattro incognite sul Next Generation Eu

martedì, Febbraio 22nd, 2022

di  Alberto Quadrio Curzio

Siamo nel 2022 ed entro il 2026 i PNRR nazionali dovrebbero concludersi con le riforme e gli investimenti dei singoli Paesi Membri Ue. Le risorse finanziarie utilizzabili sono di circa 750 miliardi tra sussidi e prestiti. Il Next Generation EU (NGEU) è una innovazione epocale ma per non sprecarla bisogna guardare subito alle incognite e alla difficoltà per trovare soluzioni. E qui la collaborazione tra Francia e Italia, tra Macron e Draghi (e sperabilmente con la Germania di Scholz) diventa cruciale sia perché sono i tre Paesi piu grandi ma anche di quelli che hanno le strutture industriali e tecno-scientifiche piu forti.

Le incognite: dalla Bce agli Eurobond, ai debiti pubblici

Quattro sono le principali incognite. La prima riguarda le risorse finanziarie che saranno raccolte ed erogate solo se gli stadi di avanzamento dei singoli PNRR terranno la tempistica. In caso contrario gli Eurobond verrebbero ridotti in quantità pur essendo già ora a termine e quindi non più emessi dopo il 2026, anche se la “duration” può arrivare a 30 anni e quindi anche i rimborsi dei prestiti fatti ai singoli Paesi.

La seconda incognita è la riforma che nel 2023 si farà del patto di stabilità e crescita. Sia pure ammorbidito non sarà gradevole per i Paesi con alto debito pubblico nel momento in cui i tassi di interesse e l’inflazione stanno crescendo. Gli Stati indebitati dovranno allora fare politiche di bilancio stringenti. E qui saranno dolori se la loro crescita basata su investimenti e riforme non si consolida.

La terza incognita è la BCE che non potrà continuare ad acquistare titoli di Stato dei Paesi della UEM. Nel marzo del 2020 la BCE deteneva circa 2500  miliardi di titoli di stato e nel settembre del 2021 superava i 5000. La BCE di oggi non è quella di Draghi che aveva fatto un quantitative easing assai più controllato. Se i tassi di interesse della BCE non salgono, il divario con quelli Usa indebolirà l’euro e ci saranno flussi di capitale verso il dollaro. I tassi sui titoli di stato dei Paesi europei deboli aumenteranno comunque.

La quarta incognita sono le materie prime e soprattutto quelle energetiche che rimarranno improntate al rialzo (anche per le tensioni geo-politiche) con le  politiche europee poco coordinate e con politiche nazionali spesso in concorrenza.

Le innovazioni incomplete: dalla progettazione alla realizzazione

Il Next Generation EU è un grande progetto di cambiamento strutturale sia per l’emissione di Eurobond (per ora una tantum) sia per le filiere di investimento che sono quelle delle iper-innovazione sul digitale, sull’ambientale, sull’energia, sulla salute, sull’istruzione, sulla coesione sociale e territoriale.

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Governo, il rischio delle sabbie mobili

martedì, Febbraio 22nd, 2022

di Stefano Folli

Scandito dagli incidenti parlamentari e sottolineato dai retroscena giornalistici, il secondo tempo del governo Draghi, cominciato nel momento in cui Mattarella si è reinsediato al Quirinale, è un percorso tormentato. Nulla di ciò che accade risponde a un disegno politico destabilizzante. Non c’è la volontà di provocare la caduta dell’esecutivo, oltretutto con l’inflazione che corre e la guerra in Ucraina tutt’altro che scongiurata. Ma un certo logoramento quotidiano è nelle cose, figlio delle contraddizioni di una maggioranza troppo larga ed eterogenea per durare nell’anno pre-elettorale senza un vero cemento politico e una convinta leadership. Entro certi limiti, esiste l’istituto della fiducia parlamentare – come sul decreto Milleproroghe – ma è un salvagente di cui non si può abusare.

Sta di fatto che l’ultimo tratto della legislatura sembra interminabile. Per apparire meno lungo dovrebbe essere sorretto da un’idea ambiziosa, una prospettiva convergente sulle riforme da attuare anche grazie ai famosi fondi europei. A parole nessuno nega che questa sia la strada da seguire, l’unica per la quale vale la pena di avere Mario Draghi a Palazzo Chigi; nei fatti non si sfugge alla sensazione di trovarsi su un banco di sabbie mobili. L’eterno immobilismo che alla fine prevale, inghiottendo formule politiche e buone intenzioni. Non è detto, s’intende, che accada anche stavolta.

Quasi tutto quel che è successo da un anno a questa parte è infatti senza precedenti. La stessa chiamata di Draghi non è paragonabile agli altri “governi del presidente” sperimentati negli ultimi trent’anni. Come non lo è la durata dell’esecutivo di salute pubblica, nato per offrire garanzie all’Unione sul buon uso dei finanziamenti: in quanto governo “d’emergenza” è in carica da un anno e dovrebbe accompagnare il Paese fino al voto politico del ’23. Alla fine un arco temporale di oltre un biennio che richiederebbe qualcosa di più di un patto imposto dalle circostanze e sottoscritto con varie riserve mentali.

In Germania i governi di unità nazionale, quando servono, hanno una vita ben più lunga, ma sono sempre il prodotto di trattative serrate e di accordi definiti. Forse si è ancora in tempo per realizzare qualcosa di simile in Italia. Un’intesa rinnovata con precisi obiettivi e priorità, in cui ogni forza politica, da destra a sinistra, trova conveniente condividere un tratto di strada nonostante la campagna elettorale alle porte.

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