Archive for Febbraio, 2022

Tempeste di vento a oltre 100 chilometri orari in Europa: e la coda di Eunice sferza l’Italia

lunedì, Febbraio 21st, 2022

Giampiero Maggio

La perturbazione nord atlantica che nei giorni scorsi ha colpito la Gran Bretagna e altri Paesi europei, raggiungerà nelle prossime ore l’Italia e attraverserà tutto il Paese, portando venti forti fino a burrasca da nord a sud. Attese anche forti mareggiate lungo le coste esposte. Intanto, dopo Eunice, sul nord della Francia arriva la tempesta Franklin; allerta arancione per venti fino a 130 chilometri orari. Previste onde alte sulle coste della Manica.

Tempesta Eunice in Gran Bretagna, la raffica di vento è troppo forte: il camion si rovescia in autostrada

Attesa in Italia per i venti di tempesta

La coda di Eunice, dunque, sta entrando in Italia e riporterà condizioni di tempo «spiccatamente instabile, con venti ad oltre 100 km/h, temporali e neve in montagna». A spiegarci che cosa potrà accadere nelle prossime ore sull’Italia sono i meteorologi de Ilmeteo.it che mettono sotto la lente d’ingrandimento il peggioramento delle condizioni del tempo previsto per le prossime ore. 

Il sito www.iLMeteo.it, comunica che «nella giornata odierna ad essere maggiormente investite dal maltempo saranno le regioni centro-meridionali: ci saranno occasioni per piogge, temporali e locali grandinate a causa dell’afflusso di aria più fredda in quota. Al Nord lo scenario meteorologico risulterà invece più stabile su gran parte dei settori, con il ritorno del sole e con temperature che, durante il giorno, potranno risultare gradevoli; da segnalare, tuttavia, qualche nevicata lungo l’arco alpino, specie sui versanti esteri».
A fare notizia sulle regioni settentrionali saranno tuttavia i venti, che soffieranno impetuosi specialmente al Nordovest, come pure su tutto il settore del medio e basso Tirreno e su quello adriatico, con raffiche ad oltre 100 km/h ed elevato rischio di mareggiate, con onde che potranno raggiungere i 7 metri d’altezza sulle coste più esposte.

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Via le quarantene, stop al Super Green Pass e le nuove regole per alberghi e ristoranti per Pasqua: ecco tutte le date chiave

lunedì, Febbraio 21st, 2022

Giampiero Maggio

In calo tutti gli indicatori e i parametri relativi al Covid e allora il governo sta valutando tutta una serie di passi per riavvicinare l’Italia alla normalità. Si guarda sia alla situazione epidemica, sia alle prossime festività di Pasqua (domenica 17 aprile) in chiave turistica. Restano ancora diverse restrizioni, in particolare per chi arriva dall’estero e da determinati Paesi. Il 31 marzo scadrà lo stato di emergenza: il governo valuta tutta una serie di provvedimenti, dall’abolizione della quarantena per chi arriva dall’estero alla cancellazione del green pass per alberghi, piscine, strutture ricettive in genere. 

Green Pass, Draghi: “Limiteremo le restrizioni; presto una road map per eliminare incertezze”

Lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi, in occasione della conferenza stampa di qualche giorno fa sul caro bollette, ha parlato di «una road map per tornare alla normalità e uscire dallo stato di emergenza». I passi da fare, però, «saranno graduali e in totale sicurezza». Uno dei passaggi sarà la graduale eliminazione del super green pass con la fine dello stato di emergenza. 

In Europa c’è già chi le restrizioni le ha allentate da un pezzo: dai Paesi scandinavi, alla Gran Bretagna, fino a Spagna e Francia. Su questo fronte l’Italia resta ancora indietro e, comunque, ad un livello molto prudenziale rispetto agli altri. Dalle associazioni di categoria parte la richiesta al governo «di agire rapidamente». L’obiettivo dell’esecutivo è garantire e favorire l’arrivo degli stranieri in Italia: in questi due anni, infatti, cosa è mancato è proprio il turismo da altri Paesi. Come si muoverà il governo? 

Presidio no green pass davanti al Municipio a Torino: “Non ci arrenderemo mai”

Alberghi, ristoranti e bar

Ad oggi il Super Green Pass è ancora necessario per il classico caffè al bancone. Con l’allentamento delle misure, sparirà anche la certificazione rafforzata. Quando? Dall’1 aprile. L’eliminazione dell’obbligo del Pass interesserà alberghi, fiere, eventi in genere, ma anche bar e ristoranti. Via il pass per pranzare o fare colazione all’aperto.

Cambio di rotta

Un cambio di rotta del Governo sul tema del green pass viene richiesto con forza da Fipe Confcommercio. Così il presidente Lino Enrico Stoppani ha inviato ai ministri della Salute e dello Sviluppo economico, Roberto Speranza e Giancarlo Giorgetti una lunga letere. «In tema green pass, tanto più in considerazione del miglioramento progressivo del quadro sanitario, bar e ristoranti chiedono semplificazione, rimuovendo l’onere a loro carico dei controlli dei certificati. Mentre diversi Paesi in Europa si avviano verso il superamento del green pass, proiettandosi verso una nuova normalità, i Pubblici Esercizi italiani chiedono quantomeno un passaggio di maturità del Paese, con l’introduzione del principio dell’autoresponsabilità nell’utilizzo della certificazione verde», si legge in una nota della Fipe. «Ovvero, di fronte ad un controllo delle forze dell’ordine, solo l’avventore dovrebbe rispondere del possesso dei titoli per poter accedere e soggiornare nei locali». Non è escluso che il green pass al chiuso possa cadere già a maggio.  

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Calenda vuole il campo tosto, non largo. E lancia un amo ai 5s normalizzati

lunedì, Febbraio 21st, 2022

di  Roberto Scafuri

Allergico alla parola “centro”, pariolinamente assai poco trendy, anzi ormai del tutto fuori corso legale sul mercato della politica, Carlo Calenda mostra tanti difetti ma anche un paio di grandi qualità. Sa giocare d’anticipo, mostra coraggio come ormai pochi possono o sanno fare, parla il linguaggio chiaro della “sua” gente. Forse talvolta persino spiccio, urticante, grondante testosterone, come l’accusa garbatamente Emma Bonino dal palco del primo congresso di Azione che andrà di lì a poco a incoronarlo “segretario”. Un segretario che non vuole essere carismatico, gigioneggia lui dopo la proclamazione. Lui che vuole “gente che dica: ‘cacchio non sono d’accordo con Calenda’ e li incita pure a costruirsi delle correnti per rendere la sua leadership contendibile, meglio ancora se sarà una donna a fargli “un sedere così” e a prendersi il partito. Che tanto poi lui vuole portare al 20 per cento, come ha fatto alle Comunali romane, quando tutti gli davano del “pazzo”, e lasciarlo a chi verrà. E’ un fiume in piena al Palaeur, Calenda, e anche poco dopo, quando avrà a disposizione gli schermi di Lucia Annunziata a “Mezz’ora”, per rilanciare la sua sfida alle forze responsabili di questa maggioranza, in primis al Pd di Letta e ai tanti amici forzisti: “Non restate prigionieri di Grillo e Meloni, altrimenti imploderete e il Paese sarà ingovernabile”. Il suo sarà il terzo polo del riformismo e della cultura di governo, promette, alternativo al populismo e al sovranismo: ”Non siamo un partito centrista, ci chiamiamo Azione, siamo un partito liberal progressista, il grande centro non esiste, esiste un’area pragmatica che contiene le grandi famiglie politiche europee… Letta parla di campo largo, che va da Grillo-Raggi fino a noi. Io contropropongo a Letta il campo ‘tosto’, quello della cultura di governo”.

Ed è proprio sul nodo delle alleanze che il Calenda pragmatico e “azionista” fa intravvedere quale sarà lo snodo cruciale: il suo veto nei confronti di Conte e dei Cinquestelle viene declinato così come si conviene a un politico con le sue (grandi per non dire enormi) ambizioni. Del governo Conte non ho condiviso molte cose, premette Calenda, “ma il problema non è Conte. E’ che il M5S non c’è più, sono talmente divisi su tutto…”. I larghi gesti delle braccia e la mimica facciale rendono ancora meglio delle parole il giudizio sull’inconsistenza dell’attuale partito di maggioranza relativa, che va da Grillo e Raggi fino a Di Maio. Ma se Grillo “non è interlocutore, come si può avercelo come interlocutore di governo?”, per “quegli elettori legati essenzialmente alla figura di Conte” forse un futuro c’è: “se M5S diventa un’altra cosa, se incarna una figura che non sia quella del no a tutto, allora si può costruire qualcosa anche con loro”. Insomma, una “normalizzazione” completa che magari al momento suonerà irricevibile alle orecchie del mondo grillino, visto che si tira in ballo addirittura il Sacro nome del Guru fondatore. Ma che furbamente occhieggia invece già al possibile “recupero” di Conte, in una corrispondenza latente con la stessa operazione condotta – tra mille prudenze e distinguo – dall’(ex) avvocato del popolo che Grillo non voleva e pure aveva definito un “buono a nulla”.

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Putin ci segnala un problema, le tirannie amano sé stesse più di quanto noi amiamo le democrazie

lunedì, Febbraio 21st, 2022

di  Mattia Feltri

Per comprendere la Russia di oggi bisogna guardare alla Russia di ieri, al modo di Michael McFaul, ex consigliere per la sicurezza nazionale alla Casa Bianca e poi ambasciatore americano a Mosca. In un’intervista concessa al Corriere della Sera, McFaul parla delle rivoluzioni colorate, nel 2003 in Georgia, nel 2004 e nel 2013-14 in Ucraina, anche le primavere arabe del 2011, moti di liberazione dalle autocrazie – o piene tirannie – imputate da Vladimir Putin alle trame occidentali per espandere la democrazia con la frode. Putin non usa la lingua della dissimulazione. A dicembre aveva offerto il romanticismo della sua biografia, l’essersi riciclato da tassista dopo il dissolvimento dell’Unione sovietica, di cui era stato un capintesta del Kgb: sulla sua pelle l’immagine del tracollo di un impero e di un popolo. La più grande tragedia del XX secolo, disse, anzi ripeté per la centesima volta.

Torniamo a McFaul. La più grande paura di Putin, dice, è un’Unione europea fiorente e l’Ucraina attratta dal mondo libero, a smentire la sua lettura panslavista, ovvero di una Russia indispensabile grande madre al cui focolare si nutrono, per ragioni storiche, etniche, sociali, i popoli russofoni e no di Estonia, Lituania, Lettonia, Ucraina, Georgia, Moldavia, Bielorussia, Armenia e poi Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan, Kirghizistan, Azerbaijan. Un risorgimento dell’Unione sovietica ma si può guardare ancora più indietro, allo scoppio della Prima guerra mondiale, quando la Russia non ancora bolscevica accorse in sostegno alla Serbia minacciata dall’Impero austroungarico dopo l’assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo. Era panslavismo allora ed è panslavismo adesso.

Credere che la storia si fermi con un armistizio o con il tracollo di un impero è errore commesso sovente e sempre pagato. Dal 1991, racconta spesso Putin, non abbastanza soddisfatte di avere demolito l’Unione sovietica, le democrazie occidentali brigarono per dissolvere la Russia, sostenendo separatisti e terroristi, cioè i nemici interni di Mosca. Noi troviamo fra l’incomprensibile e il ricolo che Putin oggi parli di genocidio, come ha scritto qui Giulia Belardelli, ma nella sua cinica strategia, o irrimediabile psicosi, è perfettamente logico: è la mortale sfida dell’Occidente alla sopravvivenza della Russia e al suo ruolo storico di cuore del panslavismo

Se tutto questo si tradurrà in guerra lo vedremo, ma fa impressione la leggerezza con cui qui da noi si affronta la questione, perlomeno da parte di leadership politiche incapaci di guardare oltre il giardino di casa e oltre gli effetti delle loro parole nella successiva mezzora.

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Il metodo Draghi che agita i partiti. Alleanze e calcoli in attesa delle elezioni

lunedì, Febbraio 21st, 2022

di Roberto Gressi

Dopo le parole di Brunetta sul patto dei riformatori

È davvero il tempo di pensieri mai fatti, come ha detto Renato Brunetta a Paola Di Caro sul Corriere di ieri? È davvero realistico e magari auspicabile che dopo l’unità nazionale ci sia ancora l’unità nazionale? E che dopo Mario Draghi, senza per ora tirarlo per la giacca, ci sia ancora perlomeno il suo metodo, quello che sta portando l’Italia fuori dalla pandemia e dalla crisi economica? È una lunga partita politica dalle mille derivate quella che accompagna il Paese alle elezioni del 2023, sempre che strappi improvvisi non facciano precipitare la situazione in un ricorso anticipato alle urne.

Non c’è dubbio che l’idea di questo percorso attraversi trasversalmente i partiti che sostengono il governo. Nel Pd se ne fanno riservatamente alfieri dirigenti come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, l’ex capogruppo al Senato Andrea Marcucci e il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, che non manca di mantenere rapporti di ottimo vicinato con il leghista che Guida il Veneto, Luca Zaia. Ci sono poi Dario Franceschini e Goffredo Bettini, che guardano a un’evoluzione europeista di almeno parte della Lega, se non tutta, che tornerebbe buona in caso di pareggio. Ma su tutti c’è il disegno di Enrico Letta, che si sta ritagliando in modo certosino il ruolo del federatore di una larga alleanza: sì a Carlo Calenda stando attento a non perdere i Cinque stelle, lucidità al di là dei pregressi personali per dialogare con Matteo Renzi, disponibilità a dare ruolo e a raccogliere la spinta degli amministratori locali. Tutto questo nella previsione che non sarà facile, e forse nemmeno auspicabile, cambiare in senso proporzionale la legge elettorale. Con l’idea di provare a vincere, nella convinzione che un centrodestra litigioso sia tutt’altro che imbattibile.

Il pensiero di Renato Brunetta, e anche di Mara Carfagna, è esplicito. Come del resto quello di Giovanni Toti, Luigi Brugnaro, Gaetano Quagliariello, che guardano con interesse al metodo Draghi.E comunque Forza Italia, con Silvio Berlusconi, è solidamente intenzionata a ridurre lo spazio delle tentazioni sovraniste e populiste di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

Calenda ha dimostrato alle amministrative di Roma di avere una fetta importante di popolo dalla sua parte, e a guardar bene non è neanche un signor no, vista l’apertura al secondo turno verso Roberto Gualtieri. I Cinque stelle, almeno in parte, lo vedono come un bau bau, ma lui fa appello alle forze che sostengono il governo e lascia aperto uno spiraglio: se cambiano, dice, si può provare a costruire.

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Il Viagra online illegale: 2,4 milioni di clienti italiani. Ecco dove si vende e tutti i rischi

lunedì, Febbraio 21st, 2022

di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

La paura degli effetti collaterali è esplosa con la campagna vaccinale, spinta dall’attenzione verso un farmaco messo inizialmente sul mercato con un’autorizzazione in via emergenziale, tant’è che i vaccini contro il Covid sono i più osservati di sempre, e ogni minimo sintomo viene segnalato al medico e alla farmacovigilanza. Su altri medicinali la preoccupazione sta a zero. Prendiamo quelli contro la disfunzione erettile: Viagra (a base di Sildenafil), Cialis (a base di Tadalafil) e Levitra (a base di Vardenafil), e i generici con gli stessi principi attivi. Nel 2020, ultimi dati Aifa disponibili, le vendite ufficiali ammontano a 212,9 milioni di euro per 41,4 milioni di dosi, collocandoli tra i farmaci più venduti di fascia C (ossia non rimborsati dal Servizio sanitario nazionale) dopo il paracetamolo e gli ansiolitici a base di benzodiazepine. L’Italia è il secondo Paese al mondo per consumo dopo la Gran Bretagna.

In farmacia e solo con ricetta: gli effetti collaterali

Devono essere venduti solo in farmacia e su prescrizione medica, perché rischiosi (d.lgs. 219/2016, art. 112-quater comma 1). Le reazioni avverse del Viagra sono segnalate da Ema. Quelle molto comuni (più di 1 su 10): mal di testa. Le comuni (1 su 100): vertigini, disturbi visivi, vampate di calore, congestioni nasali e nausea. Uno su 1.000: rinite, sonnolenza, congiuntiviti, vertigini, tachicardia, palpitazioni, ipertensione, epistassi, vomito, dolori addominali e dolori al petto, frequenza cardiaca aumentata. Uno su 10.000: morte cardiaca improvvisa, infarto, aritmia e fibrillazione atriale.

Chi li compra: i numeri del sommerso

Dalle statistiche della Società italiana di Urologia su 3 milioni di maschi italiani che hanno il problema il 13% del totale, solo 600 mila, seguono una terapia; vuol dire che gli altri 2,4 milioni sono potenzialmente gli acquirenti che si rivolgono al mercato web illegale. Lo sono, come confermano urologi e andrologi, soprattutto i giovani che assumono la pillola per fare fronte all’ansia da prestazione, e per i quali sarebbe più utile invece un colloquio con uno psicologo. A questi numeri si sommano quelli che sfuggono alle statistiche: i consumatori di serate hard, dove insieme alla pillola blu si assumono anche stupefacenti.

(…) su 3 milioni di maschi italiani che hanno il problema il 13% del totale, solo 600 mila, seguono una terapia; (…) altri 2,4 milioni sono potenzialmente gli acquirenti che si rivolgono al mercato web illegale

Le farmacie online: come funzionano

Online possono essere venduti solo medicinali senza obbligo di ricetta e solo da farmacie o «corner della salute» autorizzati. Per rendere immediatamente riconoscibili gli esercizi commerciali con il permesso di vendere farmaci, il ministero della Salute ha predisposto un «logo identificativo» da esporre sulla pagina web: all’utente basta cliccare sul logo e, se tutto è in regola, viene rinviato all’elenco delle farmacie autorizzate. Tutte le altre sono fuorilegge. A metà febbraio ne abbiamo contate almeno 46 che offrono illegalmente in Italia il Viagra e gli altri farmaci contro la disfunzione erettile: non viene chiesta la ricetta medica, il prezzo è più basso di almeno il 30% (intorno ai 10 euro a pillola spacciata per una compressa da 100 mg di Viagra contro i 15-16 euro di quella originale Pfizer), tempo per completare l’ordine 3 minuti, consegna in 4-7 giorni, pagamento anche in bitcoin, garanzia di anonimato, recapito in busta non identificabile. Ma chi c’è dietro a queste farmacie che operano spudoratamente alla luce del sole? Vediamolo, con l’aiuto della società milanese di cyber security Swascan (gruppo Tinexta spa) guidata dal ceo Pierguido Iezzi.

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Cosa succede se scoppia la guerra tra Russia e Ucraina?

lunedì, Febbraio 21st, 2022

di Federico Fubini

Gli scenari legati a un’aggressione da parte della Russia non sono univoci: gli eventi possono ancora diramarsi in molti modi diversi. Sembra però ormai lontano un rapido ritorno alla distensione nei rapporti tra i due Paesi

Gli scenari legati a un’aggressione della Russia all’Ucraina non sono univoci, né per i Paesi coinvolti né per il resto d’Europa, perché gli eventi possono ancora diramarsi in molti modi diversi. Ma se ancora non sappiamo cosa può accadere, iniziamo ad avere un’idea più chiara di quali sono le strade che ormai sembrano sbarrate verso un ritorno alla piena normalità.

Il primo scenario ormai sempre più lontano è quello di un rapido ritorno alla distensione nei rapporti fra Russia e Ucraina e, di riflesso, fra i governi occidentali e la Russia. Per la ristrettissima cerchia di anziani ex agenti del Kgb che con il presidente Vladimir Putin guidano le mosse della Russia è di fatto ormai impossibile un passo indietro. Mosca ha spostato a ridosso dei confini dell’Ucraina 190 mila soldati, su un esercito attivo di mezzo milione. È la più grande mobilitazione militare in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Sembra del tutto improbabile che adesso abbia luogo una ritirata senza che gli uomini del Cremlino possano vantare di aver colto almeno qualche successo strategico. Anche se l’invasione o l’invio di una sedicente «forza di peacekeeping» russa in Donbass non dovesse avere luogo nei prossimi giorni o nelle prossime settimane, la tensione internazionale e in parte lo stato di assedio militare attorno all’Ucraina sono come minimo destinati a restare quanto meno per molti mesi. A cascata ciò avrà conseguenze dirette anche per l’Italia e il resto d’Europa: anche nello scenario migliore (o in quello meno drammatico) il prezzo del gas naturale e del petrolio sono destinati a restare più alti di quanto avverrebbe in condizioni di pace sul fronte orientale. Per molto tempo non rivedremo le condizioni favorevoli di costo dell’energia degli anni scorsi. Lo choc sui prezzi forse – solo forse – sarà meno intenso che negli ultimi due mesi, ma non si dissolverà tanto presto.

Donbass: la situazione
In termini politico-militari lo scenario che a questo punto appare più probabile – pur in un quadro che evolve ogni giorno – è quello di uno o di una serie di incidenti innescati ad arte dai ribelli del Donbass pilotati dal Cremlino. L’esplosione di un gasdotto, lo spostamento forzato della popolazione civile russofona nelle regioni russe confinanti e le numerose violazioni della tregua di questi giorni hanno tutte un obiettivo: provocare una risposta delle milizie o dell’esercito ucraino che giustifichi l’ingresso delle forze armate di Mosca nel Donbas. Ma il modello preferito da Putin e dalla sua piccola cerchia di anziani ex agenti del Kgb è quello della «guerra ibrida», non dichiarata e possibilmente non combattuta (sull’esempio della conquista della Crimea nel 2014 senza sparare un solo colpo). In base a questo progetto, i «ribelli» russofoni della regione orientale ucraina del Donbass chiamerebbero in soccorso l’esercito di Mosca per le presunte violazioni della tregua da parte ucraina. Le accuse di genocidio contro gli ucraini del Donbass, senza alcuna prova e senza verosimiglianza, sono già state formulate da Putin stesso e dettagliate dalla portavoce del ministero degli Esteri.

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Crisi ucraina, corsa di Macron per evitare la guerra. Le telefonate a Putin: «Vertice con Biden»

lunedì, Febbraio 21st, 2022

di Stefano Montefiori e Redazione Online

Telefonata a Putin e Zelensky: ristabilire il cessate il fuoco

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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — A sorpresa, nella notte, dopo una serie di telefonate di Emmanuel Macron a Mosca, Kiev, Londra, Berlino e Washington, arriva l’annuncio dell’Eliseo: il presidente russo Putin e quello americano Biden hanno accettato in linea di principio la proposta di Macron di vedersi presto in un summit bilaterale «che sarà in un secondo momento allargato alle parti in causa», sulla sicurezza e la stabilità strategica in Europa.

Il contenuto del vertice sarà preparato dal segretario di Stato americano Blinken e dal ministro degli Esteri russo Lavrov nel loro incontro già fissato per giovedì 24 febbraio. «Il vertice potrà tenersi solo se la Russia non invade l’Ucraina», tiene a specificare l’Eliseo nel comunicato. La conferma arriva anche dal portavoce della Casa Bianca Jen Psaki.

È la conclusione inattesa della febbrile attività diplomatica di Macron che ha passato la domenica parlando al telefono, separatamente, con i due protagonisti della crisi, il russo Putin e l’ucraino Zelensky, poi a tarda sera con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il premier britannico Boris Johnson, il presidente americano Biden, e poi di nuovo alle 23 con Putin per circa un’ora.

Sia Putin sia Zelensky si sono trovati d’accordo sulla necessità di «ristabilire il cessate il fuoco» nel Donbass e Putin ha assicurato di volere intensificare gli sforzi per risolvere per via diplomatica il conflitto nell’est dell’Ucraina. Un conflitto che però era dormiente fino a qualche giorno fa, quando è ripreso proprio su impulso di Mosca. Prima dell’annuncio del vertice, i consiglieri di Macron insistevano sul fatto che «ogni giorno che passa senza guerra è un giorno guadagnato per la pace. Grande inquietudine, ma le vie della diplomazia non sono ancora esaurite, la palla è nel campo di Putin».

La svolta del vertice è arrivata dopo il pessimismo dovuto alle notizie poco incoraggianti in arrivo dalla Bielorussia. Dopo la visita del presidente Macron al Cremlino il 7 febbraio, Putin disse che i soldati russi avrebbero lasciato la Bielorussia come previsto al termine delle esercitazioni, alleggerendo quindi una delle minacce che pesano sull’Ucraina. Sembrava l’importante prova della de-escalation tanto cercata dall’Europa, l’indicatore utile per capire se le cose vanno meglio o peggio.

Le esercitazioni sarebbero dovute finire ieri, ma la Bielorussia ha annunciato che i 30 mila soldati russi presenti sul suo territorio per adesso restano, visto che i combattimenti sono ripresi nel Donbass, all’est dell’Ucraina. L’Eliseo però afferma che Putin ha ribadito a Macron «l’intenzione di ritirare le truppe dalla Bielorussia al termine delle esercitazioni in corso», e che ci vorrà un po’ di tempo per capire questo che cosa significa.

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Pace appesa a un filo. L’ultima speranza è Draghi al Cremlino

domenica, Febbraio 20th, 2022

Gian Micalessin

«Si sta – diceva Ungaretti – come d’autunno sugli alberi le foglie». Ma per far capire quanto esili siano quelle foglie, e quanto imponenti i venti di guerra, basta guardare al Donbass. Di certo sarà la Danzica dell’eventuale conflitto. Ma poco altro è chiaro. A partire dagli interrogativi su chi abbia più interesse a soffiare sul fuoco. Due giorni fa i primi a riaprire le ostilità sono stati i cannoni e i mortai ucraini. Una mossa utile soltanto ad offrire a Vladimir Putin il pretesto per la temuta invasione. Ma sul versante filo-russo non mancano certo le mosse tanto inedite quanto ambigue. Prima fra tutte il presunto attentato all’auto di un comandante saltata in aria, venerdì sera, nel mezzo della piazza principale di Donetsk. Un attentato senza precedenti seguito, ieri, dall’altrettanto sorprendente evacuazione di una popolazione filo-russa che in questi otto anni di guerra non ha mai pensato di lasciare le proprie case. Due episodi perfetti per creare, grazie all’inspiegabile apporto dell’artiglieria ucraina, lo scenario di una possibile invasione.

Uno scenario di cui Putin è il solo a possedere la chiave, grazie alla risoluzione della Duma che gli delega la decisione di annettere o meno le autoproclamate repubbliche indipendenti di Donetsk e Lugansk. Con quell’asso nella manica lo Zar può decidere quando e come far cadere l’esile schermo dei colloqui che ancora arginano i venti di guerra. E scegliersi i negoziatori a cui regalare, eventualmente, il merito di una pace in zona Cesarini. Congedato Scholz, incapace di strappare a Washington una moratoria sull’entrata dell’Ucraina nella Nato, Putin prepara oggi l’ultima telefonata con l’Eliseo. Ma solo l’impegno a riavviare gli accordi di Minsk 2, basati sull’autonomia delle regioni russofone, del Donbass, può garantirgli un’ultima chance. Washington, oltre a fidarsi poco di un Macron già in campagna elettorale, ostacola da sempre un’intesa considerata troppo favorevole alla Russia.

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L’ultima tappa della grande battaglia di Ratzinger

domenica, Febbraio 20th, 2022

Francesco Boezi

Joseph Ratzinger è stato il pontefice che è intervenuto contro la piaga della pedofilia nella Chiesa cattolica più di tutti i suoi predecessori.

Durante il suo regno alla guida della Chiesa, è stato certificato un vero e proprio record raggiunto per numero di “sacerdoti spretati”. E, come ricordato anche dal Fatto Quotidiano, un documento presentato dal Vaticano all’Onu parla- solamente tra il 2011 e il 2012 – di 400 sacerdoti ridotti allo stati laicale. Benedetto XVI è anche colui che, dopo essere stato tirato in ballo rispetto ai “comportamenti non corretti” sui casi di abusi avvenuti quando era arcivescovo di Monaco-Frisinga, ha insistito nel chiedere scusa, nonostante, in contemporanea, respingesse le accuse con decisione. Una sfida, quella alla pedofilia, che l’ha coinvolto sempre. E che continua a farlo anche ora, come Papa emerito.

Da quando Jorge Mario Bergoglio è stato eletto al soglio di Pietro, Ratzinger ha parlato soprattutto attraverso le lettere. Le missive hanno rappresentato, per l’ex vescovo di Roma, il mezzo per incidere sulla vita ecclesiastica e, a latere, anche sul dibattito mediatico. E anche rispetto all’ultimo testo pubblicato – quello in cui il teologo tedesco, oltre a sottolineare di non essere un bugiardo, invoca perdono – ci si domanda come mai l’ex Papa abbia optato per una forma così diretta di comunicazione.

È già successo altre volte che il “mite teologo” di Tubinga squarciasse il silenzio. La cifra stilistica del tedesco è sempre stata dirompente. Si pensi sì alla “rinuncia” al soglio di Pietro, ma anche al noto discorso di Ratisbona, per non parlare di tutta la serie di dichiarazioni riguardanti la “sporcizia” della Chiesa cattolica. Come ricordato da Il Sole 24 Ore in questo articolo,il Venerdì Santo del 2005, vero esordio mondiale del cardinale negli ultimi giorni di vita di Giovanni Paolo II, potrebbe valere come esempio omnicomprensivo.

C’è un passaggio che forse sfugge e che merita di essere rimarcato: prima di Ratzinger, che ha accompagnato anche Giovanni Paolo II in qualità di prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, di autore di buona parte dei discorsi del pontefice polacco, di consigliere fidato e, in un modo informale, di “numero due” del Vaticano, la Chiesa non aveva avuto il rapporto che ha oggi con il concetto di “trasparenza”. Se Francesco ha fatto della battaglia per una trasparenza assoluta un paradigma della sua azione, lo si deve pure al predecessore e alle novità portate in dote prima dal prefetto Joseph Ratzinger e poi dal pontefice Benedetto XVI. L’impegno del teologo tedesco per inasprire le normative canoniche relative ai reati di abuso risale a tempi non sospetti. Sul sito del Vaticano, è ancora possibile leggere un documento scritto dal cardinale Juan Ignacio Arrieta che testimonia come la prima lettera sul punto (ancora lo stesso mezzo) del teologo tedesco risalga al 1988.

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