Archive for Febbraio 27th, 2022

Il paradosso dello Zar

domenica, Febbraio 27th, 2022

Augusto Minzolini

L’epica sovietica aveva un’icona: la battaglia di Stalingrado. Quell’episodio è il paradigma dell’eroismo riconosciuto sia dalla Russia comunista, sia da quella nazionalista, che ha rispolverato la bandiera con l’aquila bicipite nera dei Romanov. Ebbene, non è detto che i tornanti di una guerra imprevedibile non trasformino oggi Kiev in una nuova Stalingrado. Con gli ucraini nei panni dei russi di ieri e i russi di oggi nel ruolo dei nazisti. Gli ingredienti ci sono tutti: c’è la guerra patriottica di popolo invocata dal presidente Zelens’kyj; c’è la battaglia cruenta che potrebbe trasformarsi in uno scontro casa per casa; ci sono gli eroismi solitari, a cominciare dall’episodio del soldato che si fa saltare in aria per bloccare i carri armati; c’è la presunzione dei generali russi di stravincere in un giorno che ricorda quella dello stesso segno dei generali tedeschi; e c’è la disperazione degli ucraini che è stretta parente di quella dei soldati dell’armata rossa di allora. Le due città si trovano sullo stesso parallelo, Stalingrado, cioè Volgograd, a 1300 km ad est di Kiev e, per uno scherzo della Storia, coincidono pure le date: l’assedio cominciò nel 1942 e terminò nel febbraio del 1943. Esattamente 80 anni fa.

Il paragone aleggia in queste ore. Vladimir Putin che è l’anello di congiunzione tra le due Russie – l’uomo che con un piede in quella comunista di un tempo si è inventato quella nazionalista di oggi – ne è quantomai consapevole. Anche lui si è cibato di quell’epica, di quella retorica. E in una guerra tutta mediatica come quella a cui stiamo assistendo, il paragone potrebbe rivelarsi esiziale per far pendere la narrazione dalla parte di Zelens’kyj.

Kiev-Stalingrado rappresenta, infatti, il paradosso di Putin: lo Zar al Cremlino celebra l’eroismo degli assediati di Stalingrado, mentre a Kiev si ritrova appiccicata addosso l’immagine odiosa degli assedianti. È l’immagine che più teme. Quella che ha dato spunto ai ritratti irriverenti che lo raffigurano con i baffetti e il ciuffetto del fuhrer. Ed è il racconto a cui tenta di reagire e di sfuggire, mettendo al centro degli obiettivi dell’invasione dell’Ucraina, non per nulla, la «denazificazione» del Paese. Dimenticando, però, che l’uomo simbolo della resistenza di Kiev, Volodymyr Zelens’kyj, è ebreo.

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L’Occidente non può cedere al ricatto di un dittatore

domenica, Febbraio 27th, 2022

Giordano Bruno Guerri

La storia non fa sconti. Come nella vita di un individuo, ogni azione ha conseguenze – benigne o maligne – che possono trascinarsi per decenni, nel caso della storia secoli. Basta un esempio antico: l’evangelizzazione bizantina di oltre un millennio fa, fece dell’attuale Ucraina una terra di cristiani-ortodossi, condizione che avrebbe favorito il suo entrare nell’orbita di quella che oggi chiamiamo Russia, invece di quella che oggi chiamiamo Europa occidentale. Con la guerra in corso, l’esempio più calzante e spesso richiamato è l’accordo di Monaco del 1938: sgomenti e timorosi per l’aggressività di Adolf Hitler, i governanti democratici occidentali scelsero di cedere su tutta la linea alle pretese del dittatore nazista. Speravano che avrebbe finito per accontentarsi, rinunciando a altre pretese. Sappiamo bene che non fu così, e sul mondo piombò lo sfacelo della Seconda guerra mondiale. In ogni tempo i dittatori Vladimir Putin lo è, con le accortezze di moderne alchimie pseudodemocratiche hanno la caratteristica di perdere il contatto con la realtà, in genere nel momento del loro maggiore successo. A quel punto vogliono realizzare, nell’arco di una breve vita (Putin quest’anno ne compirà 70), progetti smisurati che li consegnino definitivamente alla storia dei loro popoli. Una volta che Putin avrà ottenuto ciò che vuole con l’Ucraina, com’è accaduto con la Cecenia, aumenterà e accelererà la sua volontà di ricostituire una Grande Russia, già ce ne sono i segnali. È per questo motivo che la reazione del mondo occidentale Europa e Stati Uniti all’aggressione dell’Ucraina appare debole, insufficiente. Certo non si deve ricorrere a un intervento armato, che avrebbe molte probabilità di sfociare nella Terza guerra mondiale. Ma non si può neanche limitarsi a sanzioni deboli e insufficienti a fermare l’aggressore, o almeno a scoraggiarlo da altre iniziative. È stata ventilata l’idea di ammettere immediatamente senza pastoie burocratiche l’Ucraina nell’Unione Europea, anche se non nella Nato, e questa sarebbe una risposta forte, fortissima. Invece non si è ancora fatto ricorso, nemmeno, all’esclusione della Russia dal sistema Swift, che impedirebbe a quello Stato tutte le transazioni finanziarie internazionali. Perché? Perché ne riceverebbero un danno grave anche i Paesi occidentali. A fermarci basta il timore per cui mettere troppo decisamente i bastoni fra i cingoli dei carri armati russi, porterebbe a uno smisurato aumento dei costi del gas, o addirittura a una mancanza dei rifornimenti. Sarebbe un disastro per noi, certo, ma la storia e l’esperienza insegnano che quando di cede a un ricatto, il ricattatore non si accontenta, ne propone uno ancora più pesante, e poi un altro pesantissimo, in una spirale senza fine.

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Anonymous sfida Putin, offline il sito del Cremlino. Hacker contro tv russe: trasmettono canzoni ucraine

domenica, Febbraio 27th, 2022

di Ansa

La cyber-offensiva di Anonymous lanciata nei confronti della Russia accelera e manda in tilt i principali siti governativi di Mosca, Cremlino e ministero della Difesa compresi. All’avanzata dei carri armati in Ucraina, il movimento di hacker risponde con l’attacco digitale provando a far tacere i mezzi di propaganda russi e garantendo, invece, la miglior connessione online del popolo ucraino. “Abbiamo mandato offline i siti governativi – le parole del collettivo – e girato le informazioni ai cittadini russi in modo che possano essere liberi dalla macchina della censura di Putin”.

Già ieri Anonymous era riuscito a mandare offline il sito del Cremlino, ma solo per un breve periodo di tempo. Contemporaneamente aveva annunciato di aver bucato i database del ministero della Difesa, diffondendo poi i dati prima che Twitter cancellasse il post e che il Cremlino smentisse la notizia. Oggi, invece, l’attacco massiccio frontale, confermato poi dallo stesso portavoce del governo Dmitri Peskov. “Siamo sotto attacco – ha detto – il sito è offline”.

Oltre al Cremlino, Anonymous ha offuscato anche il sito del ministero della Difesa e di altre istituzioni. Secondo numerosi media, inoltre, su alcune tv russe hackerate sarebbero andate in onda canzoni tipiche dell’Ucraina. Ma l’offensiva del collettivo internazionale ha preso di mira anche quello che chiamano il “fantoccio di Putin”, ossia il “dittatore ceceno Kadyrov”. “Ha preso la decisione di affiancare le forze cecene in Ucraina – si legge in un messaggio di Anonymous – Per questo abbiamo mandato offline il sito della Repubblica cecena”. “Anonymous – continua il collettivo – rispetta il popolo russo che manifesta contro il loro governo. Voi siete noi e noi siamo voi! Anonymous rispetta i liberi combattenti dell’Ucraina! Voi siete noi e noi siamo voi!”.

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Cos’è lo Swift, come funziona e perché può essere un’arma a doppio taglio

domenica, Febbraio 27th, 2022

di HuffPost

L’esclusione della Russia dal circuito di pagamenti Swift è una delle misure sul tavolo per punire il paese dopo l’invasione dell’Ucraina, ma la sanzione potrebbe non essere così efficace come si pensa per le sue ramificate implicazioni sul sistema degli scambi internazionali, tanto da poter diventare un’arma a doppio taglio. A fare il punto sull’argomento è uno studio pubblicato nei giorni scorsi dall’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, firmato da Luca Fantacci e Lucio Gobbi. La Russia, puntualizzano gli autori, si sta già di fatto preparando a questa eventualità, avendo sviluppato dal 2014 a questa parte dei circuiti alternativi di pagamento che attenuerebbero gli effetti negativi della sanzione, che anzi potrebbe finire per ritorcersi contro i paesi occidentali.

Lo Swift (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) e’ un consorzio internazionale di banche con sede in Belgio che collega attraverso una rete informatica circa 11.000 istituzioni finanziarie in oltre 200 paesi di tutto il mondo. Il consorzio fu costituito nel 1977 per evitare che l’infrastruttura dei pagamenti internazionali fosse monopolizzata dall’americana Citibank e ha sempre agito come una societa’ privata. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle del 2001 pero’ gli Stati Uniti ne chiesero l’accesso per rintracciare la rete di finanziamento dei fondamentalisti islamici. L’importanza dell’uso di Swift in un quadro sanzionatorio e’ emersa nel 2012, quando su pressione degli Usa venne disconnesso il sistema bancario dell’Iran, nell’ambito delle misure studiate per fermarne il programma nucleare. Swift blocca non solo i paesi ma anche gli intermediari che, in violazione delle sanzioni, effettuino transazioni con i soggetti colpiti, diventando cosi’ un’arma economica potente.

Il caso russo presenta pero’ caratteristiche diverse. Gia’ nel 2014, con l’invasione in Crimea, alcune banche locali sono state inserite dagli Stati Uniti in una lista nera. La banca centrale russa sviluppo’ allora un proprio sistema di pagamento, Mir, che intermedia circa il 25% di tutte le transazioni nazionali con carta, ma che e’ difficilmente utilizzabile all’estero. In seguito il governo russo ha sviluppato un’altra rete di pagamenti, il System for Transfer of Financial Messages (SPFS) che nel 2021 ha intermediato circa 13 milioni di messaggi tra i piu’ di 400 intermediari finanziari aderenti al sistema (tra cui Unicredit e Deutsche Bank) per un totale pari al 20% dei trasferimenti nazionali. Nel caso in cui le banche russe fossero disconnesse da Swift il sistema finanziario russo potrebbe appoggiarsi inoltre al sistema di pagamento interbancario transfrontaliero cinese (CIPS), gestito dalla People’s Bank of China, che ha utenti in oltre cento Paesi.

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Guardi l’Ucraina e vedi la Cina

domenica, Febbraio 27th, 2022

di  Mattia Feltri

Questa notte la Cina si è astenuta sul documento dell’Organizzazione della nazione unite che condanna – anzi deplora – l’intervento armato della Russia in Ucraina. Non sono sicuro sia una buona notizia. Dico deplora anziché condanna, infatti, perché la sostituzione di questo termine con quello è stata una delle limature al testo necessarie per scongiurare il voto negativo dei cinesi. L’equidistanza di Pechino non è tale: un’equidistanza fra aggressore e aggredito è già un riconoscimento delle ragioni dell’aggressore, ma sembra più il surplace del ciclista in attesa del momento giusto per sferrare l’attacco. Uno dei tanti errori che possiamo commettere in questo momento, è di guardare all’Ucraina e non vedere la Cina.

Proprio stamane Luca Diotallevi ha ricordato sul Messaggero il documento sottoscritto il 4 febbraio da Xi Jinping e Vladimir Putin in occasione dell’apertura delle Olimpiadi invernali. Due punti in particolare spiegano quale opinione di noi – delle nostre democrazie liberali occidentali – abbiano i due alleati. Primo, i diritti umani non sono quelli codificati in Occidente, prima nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, poi nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino con la Rivoluzione francese, infine con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dopo la Seconda guerra mondiale. Ecco, i diritti dell’uomo non sono affatto universali, hanno convenuto Xi e Putin: siccome esistono gli  Stati e gli Stati sono sovrani, ogni Stato decide quali sono i diritti di cui i cittadini possono godere. Né altri Stati hanno facoltà di insegnare al mondo quali siano i diritti, tantomeno di esercitare pressioni, e quindi Russia e Cina potranno continuare a far fuori gli oppositori (oltre a tutto il resto su gay, minoranze etniche, rappresentanza, giustizia) e nessuno deve sentirsi autorizzato ad alzare il ditino per insegnare il giusto e lo sbagliato.

Secondo punto: le democrazie continuino a fare le democrazie, se gli va, e del resto vediamo come sono ridotte, ma le democrazie occidentali non sono il compimento del bene; altri le interpretano in altro modo, e cioè nel caso di Putin una democratura in piedi da due decenni abbondanti e in quello di Xi uno Stato totalitario con un solo partito al potere dalla metà del secolo scorso. E infatti s’è vista la fine che ha fatto la democrazia rappresentativa di Hong Kong e quale rischi di fare la democrazia ucraina. Ecco, non serve essere raffinati analisti per temere che l’equidistanza furba di Pechino sia un riconoscimento dell’azione russa in attesa che diventi l’azione cinese su Taiwan, altro scandalo di democrazia rappresentativa, e per di più su un’isola che la Cina considera sua e da riprendersi appena è il caso.

L’enormità della partita è di un’evidenza spettacolare, ma di nuovo viene interpretata in Occidente con disarmante meschineria: ci si chiede se valga la pena morire per Kiev come si chiedeva nel 1939 se valesse la pena morire per Danzica, e si conta di sbattere Putin al muro con una serie molto discussa e piuttosto trattenuta di sanzioni economiche. Il risultato è straordinario: gli effetti delle sanzioni sono temute più dai sanzionatori che dal sanzionato. Se non fosse chiaro, traduco: Putin se ne sbatte ampiamente delle sanzioni, mentre noi siamo angosciati all’idea di trascorrere un inverno al freddo, e ci rinfacciamo le responsabilità dentro all’Unione europea in base all’andamento dei rispettivi conti di bilancio. Se Putin se ne sbatte è perché questa guerra non ha semplici presupposti economici né semplici ripercussioni economiche: è molto di più, è la spada che periodicamente viene puntata alla gola delle democrazie liberali per ridurle in ginocchio e ridisegnare gli equilibri del mondo. L’ultima volta è stata con la Seconda guerra mondiale (aperta, non dimentichiamolo mai, dal patto di spartizione della Polonia fra il nazismo tedesco e il comunismo russo), e ora siamo punto e a capo.

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Dove si nasconde il tesoro del Cremlino

domenica, Febbraio 27th, 2022

Forbes Wealth Team

Le sanzioni di Unione Europea e Stati Uniti minacciano anche le proprietà dichiarate da Vladimir Putin. Ma quanto è grande la sua fortuna? E in che modo, in qualità di funzionario pubblico, l’ha accumulata? Capire il patrimonio netto di Putin è un enigma più difficile di quello relativo agli eredi, ad altri capi di Stato e persino di quello dei signori della droga. L’editore fondatore di Forbes Russia, Paul Klebnikov, ha rischiato la vita per questa causa, fucilato per le strade di Mosca nel 2004 per le indagini sui primi oligarchi della Russia. Per capire a quanto ammonta la ricchezza che Biden e l’Ue minacciano di sanzionare per l’invasione russa in Ucraina, basandosi su fonti e competenze, abbiamo sviluppato alcune teorie.

Il modello Khodorkovsky

Il viaggio di Forbes è iniziato con una ricerca sui miliardari russi, iniziata nel 1997 e pubblicata nel 2002, con il focus sull’oligarca russo in ascesa di nome Mikhail Khodorkovsky. La sua compagnia, la Yukos, rappresentava il 17% della produzione petrolifera russa. E la sua influenza era significativa al Cremlino. Il suo patrimonio valeva 3,7 miliardi di dollari ed era l’uomo più ricco della Russia. La fortuna di Khodorkovsky raddoppiò nel corso dell’anno successivo, complici i legami con Putin. Nell’ottobre 2003, invece, era finito in carcere, condannato per frode ed evasione fiscale (che ha negato).

Non c’erano dubbi sul fatto che ci fosse Putin dietro il suo arresto: il destino di Khodorkovsky fu una potente lezione per gli altri oligarchi russi. Eppure la domanda rimane: quanta della fortuna di Khodorkovsky Putin ha fatto sua? Bill Browder, un finanziere americano esperto delle leggi Magnitsky che consentono ai governi di imporre sanzioni mirate ai trasgressori dei diritti umani congelando i loro beni, insiste sul fatto che Putin, dopo l’arresto di Khodorkovsky, abbia stretto un accordo con i principali oligarchi del Paese: «L’accordo era: “Dammi il 50% della tua ricchezza e ti lascerò tenere l’altro 50%”», afferma Browder. «Se non lo fai, prenderà il 100% della tua ricchezza e ti getterà in prigione». Sulla base di questa matematica, Browder ha calcolato nel 2017 che il patrimonio di Putin valesse 200 miliardi di dollari. Cifra che lo avrebbe reso la persona più ricca del mondo in quel momento. Il calcolo di Browder era semplice: sommava i patrimoni netti di tutti gli oligarchi russi e li divideva per due.

Il “modello Mafia

Un altro scenario è che la fortuna di Putin derivi dal fatto di aiutare la sua cerchia ristretta di amici e familiari a diventare ricca, assegnando loro contratti governativi o proprietà di imprese. In cambio, secondo questa teoria, riceverebbe tangenti in contanti o partecipazioni nelle società. In un certo senso, suona come una struttura mafiosa, per cui soldati e capi (in questo caso miliardari) sono in perenne debito con il capo (Putin). Loro fanno il lavoro sporco, lui prende la sua percentuale.

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Madre Russia, semi dell’odio e nuovi doveri a Occidente

domenica, Febbraio 27th, 2022

MASSIMO GIANNINI

Ha ragione da vendere, il presidente Volodymir Zelensky, l’Attor Comico già trasfigurato in eroe della Resistenza ucraina. Quando le bombe cadono a Kiev, questo succede anche in Europa. Quando i missili uccidono il suo popolo, è la morte di tutti gli europei. Quando chiede protezione all’Europa, lo fa anche perché il suo Paese è una giovane democrazia che rischia di soffocare nell’abbraccio mortale della Madre Russia. E ha ancora più ragione quando si chiede: l’Europa ha la forza sufficiente per fermare questa aggressione? E cosa aspettarsi ancora dagli Stati europei? L’annullamento dei visti per i russi? Il taglio del circuito finanziario Swift? Il completo isolamento della Russia? Il richiamo degli ambasciatori? L’embargo petrolifero? La chiusura dei cieli?

Sono le stesse domande che ci facciamo noi. Mentre assistiamo sgomenti a questo nuovo tramonto della civiltà occidentale. Mentre osserviamo la capitale-fantasma, dove gli umani vagano come le “anime morte” di Gogol, ucraino anche lui, i missili Grad devastano i palazzi e i tank travolgono le auto. In superficie la follia della guerra distribuisce morte e dolore. Nel sottosuolo, come nei racconti di Dostoevskij, la vita continua, resiste, vuole vivere. Ma non basta che da una stazione della metropolitana trasformata in rifugio arrivi il pianto di una bimba appena nata, e che qualcuno dica “chiamiamola Mir”, che significa pace. La pace non c’è. La pace è lontana. Putin non la vuole, benché isolato e forse disperato persegue il suo disegno imperiale e a questo punto criminale, che il consigliere per la politica estera del Cremlino Dmitrij Suslov descrive così: la pazienza russa è finita.

«L’Occidente per cecità o per scelta ha ignorato le nostre preoccupazioni”, ora si entra in una nuova realtà geopolitica, «non si tratta di ricostruire l’Urss ma di ristabilire l’unione dei tre Paesi slavi», il dopo Guerra Fredda è finito e «se non siamo a una nuova Cortina di ferro poco ci manca, ci considereremo di nuovo nemici». Questo è quanto. Ed è un’enormità.

L’America e l’Europa la pace la vorrebbero. Ma non trovano strumenti per imporla. Non sappiamo e non vogliamo opporre alla forza bruta post-sovietica una forza ancora più grande. Restiamo impantanati in quella che Domenico Quirico chiama la via malsicura e ipocrita delle parole, che spesso è solo “smercio da bottegai dell’umanesimo”. Il dibattito sulle sanzioni, che solca l’Atlantico da Washington a Bruxelles, certifica la nostra difficoltà. Più che Società delle nazioni, siamo una grande Società per azioni, dove gli interessi economici sovrastano i principi etici. Discutiamo da giorni sull’eventualità di tagliare fuori la Russia dall’accordo finanziario denominato “Swift”. Viene considerata la vera “arma atomica” per piegare l’Autocrate. Qualcuno sostiene che è ancora presto per usarla: e qui io mi chiedo, “presto” rispetto a cosa, visto che la guerra è già scoppiata e il massacro dei civili è già cominciato? Qualcun altro osserva che quest’arma-fine-di-mondo farà male più a noi che a Putin: e qui fa fede la sconfortante realpolitik del ministro del Tesoro Daniele Franco, che dice: «Se escludiamo la Russia da Swift l’Italia non è più in condizione di pagare il gas». Dunque, di cosa parliamo? E come fa il premier Draghi, giustamente ansioso di ricucire lo strappo con Zelensky consumato proprio a causa delle nostre titubanze su “Swift”, a garantirgli adesso che il governo italiano sostiene con forza la “cacciata” di Mosca dai circuiti bancari? Siamo pronti a spegnere la luce e i termosifoni, e a sopportare la decrescita infelice delle domeniche a piedi e dell’austerity? Sarebbe l’edificante “alternativa dell’angelo” di cui scrive Vito Mancuso, che tra lo spirito di Monaco e lo spirito di Marte sceglie un’altra strada, quella di chi è pronto ad accettare sacrifici individuali e collettivi, in nome della giustizia, della libertà, della democrazia. Avremo meno gas e staremo al freddo? Vorrà dire che staremo a casa “con due maglioni e i mutandoni di lana”. Nulla è gratis, nella vita come nella Storia.

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Guerra Ucraina-Russia, le ultime notizie: Putin lancia l’assalto totale, distrutti gasdotti e depositi di petrolio

domenica, Febbraio 27th, 2022

di Francesco Battistini, Lorenzo Cremonesi, Andrea Nicastro, Paolo Foschi e Redazione Online

Le news sulla guerra, in diretta: Putin intensifica le operazioni militari, bombardamenti intensi su Kiev e su altre città, ma l’avanzata delle truppe ha incontrato più resistenze del previsto. L’Occidente vara sanzioni durissime contro la Russia

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Russia e Ucraina sono al quarto giorno di guerra. Pesantissimi bombardamenti nella notte su Kiev, colpiti un deposito di carburante, un gasdotto e l’aeroporto. Le truppe russe sono entrate a Kharkiv, dove si combatte in queste ore una feroce battaglia nelle strade. Qui un’analisi sulle operazioni in corso.
• La Russia si dice pronta a negoziati con l’Ucraina, ma «in Bielorussia». L’Ucraina ha replicato di essere a sua volta pronta, ma non in Bielorussia — Paese da cui sono partite le truppe russe che stanno devastando Kiev.
• Le forze armate ucraine hanno reso noto che già 37 mila volontari ucraini si sono arruolati per combattere contro la Russia. La situazione dei profughi è già drammatica (qui il reportage da Leopoli di Lorenzo Cremonesi).
• Primo bilancio dell’Onu sulle vittime civili: i morti sono almeno 64, 240 i feriti. Il dato è però probabilmente largamente sotto stimato.
•La Russia è sempre più isolata nella comunità internazionale: Stati Uniti, Canada, Unione Europea e Gran Bretagna hanno inasprito le sanzioni, annunciando l’esclusione di Mosca dal sistema swift per la transazioni bancaria (Qui la spiegazione di che cosa sia e perché sia importante).
• Fonti Usa hanno annunciato che adesso inizierà la caccia a tutti i beni degli oligarchi russi , compresi yacht, immobili e attività economiche. «O la terza guerra mondiale, o le sanzioni»: queste le parole di Joe Biden
• L’Italia invia oggi aerei e uomini in Romania, per rafforzare il fianco Est della Nato; da tutta Europa sono in arrivo in Ucraina anche armi e altri aiuti (qui l’articolo di Guido Olimpio).
Le motivazioni della crisi sono spiegate in questo approfondimento
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Ore 9.00 – Zelensky: «La notte è stata dura, la Russia sa compiendo un genocidio»
In un nuovo messaggio sui social, il presidente ucraino Zelensky ha detto che la notte appena trascorsa è stata «dura»: «Sncora sparatorie, ancora bombardamenti di quartieri abitati, infrastrutture civili. Non c’è nulla oggi che l’occupante non consideri un obiettivo legittimo, stanno compiendo un genocidio».

Ore 8.37 – La Russia si dice «pronta ai negoziati, in Bielorussia». Zelenzky: «Anche noi siamo pronti, ma non in Bielorussia»
Il Cremlino ha annunciato di essere pronto a negoziati con l’Ucraina a Gomel, in Bielorussia. Un annuncio pressoché identico era stato fatto anche nella giornata di ieri, e seguito da condizioni che prevedevano condizioni che l’Ucraina ritiene inaccettabili: lo stop a qualunque aspirazione all’ingresso nell’Ue e nella Nato, il completo disarmo e la «finlandizzazione» del Paese.

Dopo il «no» dell’Ucraina, ieri, Putin ha ordinato l’assalto totale e la ripresa dell’avanzata nel Paese.

Oggi il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto che «una delegazione composta da rappresentanti del ministero degli Esteri, del ministero della Difesa e di altre agenzie, compresa l’amministrazione presidenziale, è già in Bielorussia per colloqui con gli ucraini. Siamo pronti».

Volodymyr Zelensky ha però risposto di essere sì, a sua volta, pronto a colloqui, «ma non in Bielorussia, non in un Paese da cui partono missili verso di noi».

La Bielorussia è un Paese strettamente legato alla Russia (in questa intervista al Corriere la dissidente bielorussia Tikhanovskaja la definisce, «con vergogna, l’hangar militare di Mosa»): da lì truppe russe hanno invaso l’Ucraina, entrando da Nord, per assaltare Kiev.

Zelensky ha indicato come possibili luoghi per i negoziati Varsavia, Bratislava, Budapest, Baku, Istanbul.

Di fatto — come ha spiegato il consigliere della presidenza ucraina, Mikhail Podolyak — la delegazione russa è arrivata a Gomel, in Bielorussia, «sapendo che è inutile»: la pozione del presidente ucraino Zelensky resta quella di accettare «solo negoziati reali, zero ultimatum».

Ore 8.35 – L’appello di Zelensky: «Creata una legione di stranieri, arruolatevi»
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nel primo messaggio sui suoi canali social del giorno, ha annunciato che l’Ucraina sta creando una Legione straniera per arruolare i volontari provenienti dall’estero: «Questa sarà la prova del vostro sostegno al nostro Paese». (Qui il racconto, firmato da Francesco Battistini, di come Zelensky stia combattendo una battaglia anche via social).

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Perché l’avanzata della Russia ha rallentato, in Ucraina? L’aggiornamento militare

domenica, Febbraio 27th, 2022

di Andrea Marinelli e Guido Olimpio

I russi incontrano una resistenza inaspettata dallo Stato maggiore, e nei primi due giorni di combattimenti non sono riusciti a conquistare nessuno degli obiettivi prefissati. E secondo fonti britanniche potrebbero aver incontrato «acuti problemi logistici»

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L’avanzata dei soldati di Putin è stata rallentata da esercito e volontari ucraini, ma anche da problemi logistici. Al terzo giorno di guerra, le truppe russe non sono ancora riuscite a prendere il controllo delle principali città ucraine: il Cremlino ha ordinato un’offensiva a tutto campo, i combattimenti proseguono a Kharkiv, nel nordest, la seconda città più grande del Paese, dove l’esercito sta rispondendo all’offensiva russa, e a Mariupol, nel Donbass, città portuale sul Mar d’Azov, area in cui i soldati di Mosca guadagnano posizioni.

Kiev è colpita soprattutto da missili — anche nei quartieri residenziali — ma sono stati segnalati scontri con nuclei di sabotatori infiltratisi dietro le linee e individuati dalle unità di difesa. Un aspetto particolare del conflitto. Nei combattimenti alla periferia della città — principalmente sulla Prospekt Peremohy, l’autostrada che attraversa la capitale da est a ovest e che dista circa 4 chilometri dal ministero della Difesa — ci sono stati 35 feriti, ha detto sabato mattina il sindaco Vitalij Klitchko, spiegando che ancora non c’è una forte presenza di soldati russi.

Secondo il ministero della Difesa britannico, sabato il grosso dell’esercito moscovita era infatti ancora a una trentina di chilometri dal centro: i russi si starebbe riorganizzando dopo aver fallito il primo tentativo di raggiungere il distretto governativo della capitale. Secondo il governo ucraino, l’esercito avrebbe respinto anche l’assalto a una base militare nei sobborghi della città. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato che si combatte anche a Odessa, il grande porto sul Mar Nero, nel Sudovest del Paese, e che molte città dell’Ovest, come Leopoli, sono bersagliate dai missili.

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Putin, lo zar «folle» che si crede onnipotente: «Nella sua mente una realtà parallela»

domenica, Febbraio 27th, 2022

di Paolo Valentino

Ossessioni, incubi e pensieri segreti: «Da quando ha modificato la Costituzione diventando presidente a vita la sua psicologia è cambiata»

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La notte in cui cadde il Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, il tenente colonnello Vladimir Putin , capo della stazione del Kgb a Dresda, chiamò la guarnigione sovietica di stanza a Potsdam chiedendo aiuto e sollecitando un intervento armato. Una folla inferocita aveva circondato il consolato dell’Urss e minacciava di assaltarlo. La risposta fu negativa: «Non abbiamo l’autorizzazione da Mosca: il centro tace».

Quella frase ha segnato per sempre la sua vita.

La paralisi del potere e il caos della piazza sono da allora i suoi incubi.

Come disse nel 2000, l’anno in cui fu eletto presidente della Russia, «in quelle circostanze funziona una cosa sola: devi colpire per primo e colpire così duro che il tuo avversario non dev’essere più in grado di reggersi in piedi».

«Avremmo evitato molti problemi — aveva aggiunto — se non avessimo lasciato così frettolosamente l’Europa Orientale».

Il più macroscopico, secondo Putin, fu il successivo crollo dell’Unione Sovietica, quando l’indipendenza delle Repubbliche, soprattutto quelle slave «fece dei russi il più grande gruppo etnico del mondo a essere diviso da confini di Stato».

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Putin e il capo dei servizi esterni della Russia, Sergei Naryshkin, da lui «sgridato» in diretta

Forse è utile tornare a quell’episodio lontano nel nostro viaggio nella mente dello zar, per cercare di capirne le motivazioni profonde che lo hanno portato a ordinare la più vasta operazione militare in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale . E soprattutto per capire quanto residuo equilibrio e ragionevolezza albergano ancora in lui.

Se questo è il retroterra, è chiaro che Putin abbia deciso, trent’anni dopo, di agire in nome dell’unità del popolo russo .

Meno lineari sono i processi che hanno convinto il leader del Cremlino a scatenare l’apocalisse e lanciare una guerra distruttiva, che probabilmente lo vedrà prevalere ma rischia di trasformarsi in una vittoria di Pirro, ritorcendosi sulla Russia con gravissime conseguenze politiche, economiche e strategiche.

Qualunque sarà l’esito della partita ucraina, è evidente infatti che nei prossimi anni un nuovo intermarium, una linea divisoria da mare a mare, scenderà dal Baltico al Mar Nero separando di nuovo il continente tra due blocchi nemici.

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