Archive for Marzo 20th, 2022

Russia, l’economista Robin Brooks terrorizza l’Occidente: “Putin, guadagno enorme grazie alle sanzioni”

domenica, Marzo 20th, 2022

E se sulle sanzioni Europa, Usa e Occidente avessero sbagliato tutto? Sono davvero in grado di mettere in ginocchio la Russia e Vladimir Putin? Sono davvero l’arma migliore per combattere la guerra in Ucraina senza sparare? 

Domande che si pone Robin Brooks, capo economista dell’IIF Institute of International Finance, con un passato in Goldman Sachs e nel Fondo Monteario Internazionale. Mister Brooks, come spiega Il Tempo, mostra un grafico che mostra il current account surplus della Russia, ossia l’avanzo di conto che indica come una nazione sia prestatore netto nei confronti del mondo.
A febbraio 2022, da che sono iniziate le sanzioni per la guerra, ecco impennarsi la colonna del grafico: quasi il doppio del miglior risultato del 20227. Cosa significa, lo spiega sempre l’economista: “Le condizioni finanziarie della Russia si stanno alleggerendo e il morso delle nostre sanzioni sta svanendo, perché le esportazioni di energia della Russia generano costantemente afflussi di valuta forte, quindi, anche se abbiamo bloccato le riserve valutarie, la Russia ne sta generando di nuove. Un boicottaggio energetico russo fermerebbe questo”.

Quando chiedono a Brooks se non si devono aspettare i dati di marzo, poiché plausibilmente più attendibili, ecco che risponde: “Sicuro. Ma questo significa anche aspettare un mese, mentre la guerra in Ucraina continua. Sappiamo intuitivamente cosa sta succedendo. Le esportazioni di energia diminuiranno leggermente a causa dell’autosanzione delle società occidentali. Ma anche le importazioni stanno crollando a causa della recessione. Quindi il current account surplus sarà enorme”. E insomma, il sospetto serpeggia: contro Putin stiamo sbagliando tutto?

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Lotta al Covid: ora è allarme Omicron 2

domenica, Marzo 20th, 2022

Grazia Longo

ROMA. L’imperativo categorico di virologi ed esperti è non abbassare la guardia. Proprio in concomitanza con la fine della fase di emergenza, il 31 marzo, si scopre che la variante Omicron 2 ha un tasso di contagiosità elevatissimo. Fenomeno che, unito all’allentamento delle misure restrittive e al fatto che 4,5 milioni di italiani non sono vaccinati e altri 7 milioni non hanno fatto la terza dose, non fa sperare in nulla di buono. Anzi, in molti sono già pronti a scommettere che ci sarà bisogno di nuove misure di contenimento, perché l’allerta Omicron 2 è davvero alta.

Il presidente della Fondazione Gimbe, il dottor Nino Cartabellotta, ipotizza per la fine del mese una risalita della curva dei contagi «fino a 120-150 mila casi al giorno. Nelle ultime due settimane Omicron 2 è salita al 44% e purtroppo anche per chi è vaccinato la copertura declina velocemente, dopo 3 mesi. Il vaccino tutela così dalla malattia grave ma non dal contagio, per cui anche se immunizzati si è protetti dal 40 al 65%». Al momento, le regioni in cui Omicron 2 è più diffusa sono quelle del Centro-Sud, «ma presto potrebbe estendersi al Centro-Nord, con conseguenze anche sull’ospedalizzazione perché quando salgono i numeri dei malati, lievitano inevitabilmente anche i ricoveri. Basti pensare che questi ultimi il 12 marzo scorso erano 8.234 e ora sono 8.319. Pochi numeri di differenza ma che danno il senso del trend».

È in allarme anche il professor Fabrizio Pregliasco, virologo, direttore sanitario dell’Istituto ortopedico Galeazzi: «I contagi continueranno a salire e tra una decina di giorni dovremo valutare gli effetti anche sulla mortalità. L’elevata contagiosità di Omicron 2 va di pari passo all’allentamento delle misure restrittive. Mi rendo conto che si tratta di scelte politiche, adottate un po’ da tutti gli Stati, perché la gente non ce la fa più a vivere nell’emergenza, ma non siamo ancora pronti per la fase del “liberi tutti”». L’input del professore è quello di «tenere ancora alta l’attenzione: è come quando apriamo il rubinetto dell’acqua calda, non possiamo aprirlo tutto in un colpo perché altrimenti rischiamo di scottarci. E con il Covid è la stessa cosa: non possiamo pensare di poterlo archiviare di botto». Per questo motivo è prevedibile ipotizzare «una nuova fase di restrizioni. Dobbiamo essere pronti a modificare di nuovo le abitudini, è possibile che in futuro ci siano oscillazioni di nuove restrizioni». Pregliasco punta, infine, il dito contro chi non vuole sottoporsi alla terza dose: «Molti sono convinti che ne bastino due, ma non è così. Occorre fare la dose booster. Tra l’altro c’è anche il rischio di contrarre un secondo contagio. Il 5% degli italiani si ammala di Covid due volte: si stanno riscontrando molti casi di giovani non vaccinati che prima hanno avuto la variante Delta e ora la Omicron. Per fortuna al momento la situazione nelle terapie intensive è relativamente tranquilla e i ricoveri sono stabili».

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La guerra santa del dittatore e le anime perse del Belpaese

domenica, Marzo 20th, 2022

MASSIMO GIANNINI

«Un ruggito di dolore e di rabbia si alzava sulla città, e rintronava incessante, ossessivo, spazzando qualsiasi altro suono, scandendo la grande menzogna: Zi, zi, zi, vive, vive, vive…». Come ai funerali di Alekos Panagulis ad Atene, raccontati da Oriana Fallaci in “Un uomo”, alla parata di regime organizzata allo Sport Center Luzhniki di Mosca campeggiano sinistre altre Z, che al contrario di vita richiamano morte, e tra la folla festante aleggia un’altra grande menzogna del Potere, che la Russia «sta fermando il genocidio nazista nel Donbass». Tra le bandiere al vento della Federazione e le note delle rock-band preferite, Putin celebra la definitiva metamorfosi: in quello stadio-simbolo il cinico interprete dell’esperimento autoritario post-sovietico lascia il campo al Grande Dittatore post-moderno, che arringa le masse in parka Loro Piana da 12 mila euro.

Mentre i suoi soldati sparano missili ipersonici sui palazzi delle città ucraine e gli “Omon” in tenuta antisommossa pestano manifestanti per le strade delle città russe, lo Zar Vladi ormai lancia a viso aperto la sua Guerra Santa. Non gli bastava la dottrina del Patriarca Kirill, che soffia sulle braci mai spente dell’anima russa gridando “per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass e nel Donbass oggi c’è il rifiuto dei cosiddetti valori offerti da chi rivendica il potere mondiale”, dal “consumismo eccessivo” alla “libertà che si traduce nel permesso di organizzare parate gay”. Ora, per magnificare le gesta eroiche dei suoi militi che «combattono spalla a spalla», Putin attinge direttamente alle Sacre Scritture: «Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per gli amici».

Citazione sacrilega, certo, come denunciano i nostri teologi. Impugna il Vangelo di Giovanni, per giustificare i massacri di Irpin o di Mariupol. Ma tutto si tiene, nel delirio bellicista e iconoclasta del Piccolo Padre di San Pietroburgo. I versetti dell’Evangelista più caro ai cattolici e il santo venerato dagli ortodossi Fedor Fedorovic Usakov, comandante di Caterina la Grande che «non perse mai una battaglia». Il progetto neo-zarista che attraverso la riconquista dell’Ucraina e delle repubbliche ex Urss deve riportare la Madre Russia a ritornare impero. E il rigetto metafisico dell’Occidente e del «liberalismo decadente e obsoleto» che rappresenta, minaccia per la risorgente Pax Russica e per la nascente Union Sacreé delle autocrazie (già ora cassaforte del 30 per cento del Pil mondiale). I micidiali Kinzhal lanciati sui civili inermi a Mykolaiv e i feroci anatemi contro i «traditori della patria» che mangiano foie gras a Miami. Le grottesche vendette economiche annunciate dalla Komsomolskaja Pravda, che proclama «abbiamo l’80 per cento del mercato mondiale delle terre rare e abbiamo i motori dei razzi Roscosmos: possiamo bloccarli, così Elon Musk dovrà usare scope volanti per il suo Space X». E le truci minacce all’Italia formulate dal portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, che ci rinfaccia gli aiuti al tempo del Covid e ipotizza «conseguenze irreversibili» ai danni del nostro Paese.

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Putin, un tramonto tragico e cupo

domenica, Marzo 20th, 2022

Marco Follini

Caro direttore, è quasi sempre il tramonto che dà un senso e una coloritura alla lunga giornata di un uomo politico. Che la spiega, la illustra, qualche volta perfino riesce ad illuminarla. Altre volte invece un tramonto troppo lungo la conduce inesorabilmente verso la cupezza della notte. Infatti, è proprio il modo in cui si conclude un’esperienza pubblica, si esce di scena, si cede il passo alle figure e agli eventi che popoleranno il giorno dopo, è proprio quel modo per l’appunto che assolve e nobilita il potere. Si prenda il caso di Putin. La sua serata, dopo un giorno durato vent’anni e più di potere autocratico, ne svela il peggio. Il tratto dispotico, lo spirito predatorio, l’animo ferino. Ma anche qualcosa di più: e cioè l’incapacità di contemplare l’idea che la Russia, e il mondo, gli possano sopravvivere. Fa paura, tutto questo. Ma a sua volta svela la paura del dittatore. Che somiglia molto alla sua oscura consapevolezza che il tempo non milita più dalla sua parte.

Nella tragedia ucraina c’è anche questo. La sfida tra una novità che reclama di essere riconosciuta e un declino che pretende di sovvertire il suo stesso destino. Le democrazie sono tali perché in esse, di regola, il potere conosce stagioni brevi e destini che non durano mai più di tanto. Mentre le dittature inseguono il mito della longevità dei loro capi, salvo trovarsi poi a fare i conti con il declino, fisico e spirituale, dei condottieri di una volta. I quali, giunti per così dire alla fine di loro stessi, esibiscono solo la maschera grottesca di quello che furono non riuscendo mai a contemplare quello che sarà. Ne discende una lezione anche per noi. Ed è che la longevità non è quasi mai un merito, un segno di talento. Semmai proprio quel coriaceo istinto che induce a resistere più a lungo che si può, inchiavardati al potere o a quel che ne resta, è il segno di un limite -anche politico. E quasi di un appannamento delle ragioni della democrazia. Un parlamentare conservatore inglese degli anni sessanta, Enoch Powell, osservò una volta che tutte le carriere politiche, prima o poi, finiscono per così dire a coda di topo, lasciandosi dietro una scia di declino. Come se il destino di un leader fosse inesorabilmente quello della sua consumazione. O almeno dell’inevitabile delusione dei suoi seguaci. E’ un’osservazione meno banale di come appare. Soprattutto, fa tutt’uno con l’idea stessa di democrazia. Cioè di un potere fragile, transitorio, declinante per sua stessa natura. E semmai forte solo di questo.

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Moldavia con il fiato sospeso

domenica, Marzo 20th, 2022

Francesca Mannocchi

Superato il confine tra l’Ucraina e la Moldavia, c’è un paese di piccole case, ognuna il suo orto. Il recinto di legno. Una piccola chiesa. Per arrivarci solo degli autobus, una stazione lungo la strada e l’insegna che porta il nome del luogo: Palanca.

Oggi, lungo la strada ci sono le tende della Croce Rossa, le pile di coperte termiche, le buste con il cibo, le sacche piene di giacche invernali. Sono le donazioni arrivate per far fronte all’emergenza delle migliaia di profughi ucraini che da un mese attraversano il confine in cerca di riparo. Qualche centinaio di metri dopo il confine un campo diventato spazio d’accoglienza. Ci sono le organizzazioni umanitarie, le agenzie delle Nazioni Unite. I volontari moldavi che cucinano pasti caldi per i nuovi arrivati. Una tenda con le prese di corrente e i telefoni, per chi ha bisogno di rimettersi in contatto con la propria famiglia, o almeno provarci. I giochi per bambini. E poi i pullman in fila, sul vetro di fronte la scritta «rifugiati», è nera e spicca sui fogli azzurri e gialli a raffigurare la bandiera ucraina. Sono in attesa dell’arrivo delle auto dal confine, dei profughi a piedi, di riempire ogni posto prima di partire alla volta della capitale, Chisinau. E da lì accompagnare le persone nei centri di accoglienza o alla stazione. Qualcuno resta, nel palazzetto dello sport e nel centro congressi Moldexpo adibiti a dormitori, qualcuno lascia il paese, diretto in Romania, Germania, Italia. A Palanca posti per dormire non ce ne sono, così le Nazioni Unite hanno allestito un piccolo campo, qualche decina di tende riscaldate per chi valica il confine quando ormai è troppo tardi per spostarsi.

L’accoglienza, a Palanca, è diffusa. C’è la sacrestia della piccola chiesa, o le case degli abitanti del paese, che non hanno avuto esitazione nell’aprire le loro porte, e donare una stanza alle famiglie che cercavano riparo. Famiglie, in verità, è una parola impropria, perché gli uomini dall’Ucraina non possono scappare. Lo impone la mobilitazione voluta dal presidente Zelenskyy, che ha chiamato alle armi i cittadini. Così gli uomini tra i diciotto e i sessant’anni non possono lasciare il paese. Accompagnano mogli, madri e figli al confine. Le lasciano lì, con qualche bagaglio e un po’ di soldi, gli uomini tornano a combattere o ad addestrarsi in attesa della chiamata per il fronte, le donne si fanno carico del resto, degli anziani e dei più piccoli. Ecco perché, dicono gli operatori umanitari, la prima cosa che fanno le donne quando arrivano a Palanca, è fingere di stare male, entrare nelle cliniche mobili delle organizzazioni e piangere, concedendosi il lusso delle lacrime che fino a quel momento si erano negate per tenere insieme tutto. Lasciati fuori gli anziani e i loro acciacchi, i bambini e le loro infanzie violate, lasciati gli uomini dall’altra parte del confine, una volta a Palanca è chiaro che la scelta è irreversibile. C’è chi resta, chi va. Chi combatte e chi prova a sopravvivere. Chi è in Ucraina, suo malgrado chiamato alla guerra, e chi è diventato un rifugiato, suo malgrado chiamato all’esilio.

Da quando è iniziata l’invasione russa, secondo i dati dell’Agenzia per i rifugiati dell’Onu, 3 milioni e duecentomila persone hanno lasciato l’Ucraina. La maggior parte in Polonia – due milioni- ma tantissimi, quasi 350 mila in Moldavia, al confine Sud-Occidentale. Un fardello gigantesco per un Paese piccolissimo, di circa 3 milioni di residenti, e soprattutto uno dei Paesi più poveri e vulnerabili d’Europa, che non è membro né della Nato né dell’Unione Europea.

Quando è iniziata la guerra e gli ucraini hanno cominciato ad ammassarsi al confine, la Presidente moldava Maia Sandu ha annunciato che tutti i valichi sarebbero rimasti non solo aperti ma avrebbero operato a capacità maggiore: «Aiuteremo tutti quelli che ne hanno bisogno» ha detto. E così ha fatto, mettendo a disposizione tutte le risorse che ha e invitando i cittadini a fare lo stesso. I giovani moldavi al campo di Palanca sono lì venti ore al giorno. Non vogliono essere pagati. Sono lì per i «fratelli ucraini» dicono tutti. È un atto di generosità, il loro. Ma anche il timore che questa guerra sia il fantasma del futuro e che loro possano essere i prossimi ad essere invasi. Lo pensano con forza da quando, durante un briefing televisivo sull’invasione russa a fine febbraio, il presidente bielorusso Aleksandr G. Lukashenko, ha suggerito, di fronte a una mappa, che anche la Moldavia avrebbe potuto essere attaccata – dopo la conquista di Odessa – dalle truppe russe in Transnistria.

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Ecco i missili ipersonici Kinzhal caricati sui caccia russi: cosa sono e come funzionano

domenica, Marzo 20th, 2022

La Russia afferma di aver utilizzato missili ipersonici Kinzhal in Ucraina. A riferirlo è il ministero della Difesa citato dalla Tass, che ha anche annunciato di aver distrutto nella notte tre sistemi missilistici di difesa aerea S-300 in dotazione alle truppe ucraine. Distrutti anche – attraverso l’utilizzo del sistema missilistico costiero Bastion – centri ucraini di radio e di intelligence della regione di Odessa. Kinzkhal è una delle sei armi di «prossima generazione» citate da Putin nel discorso del 1 marzo 2018: ha una gittata dichiarata di 1.500-2.000 km con un carico utile nucleare o convenzionale di 480 kg. E’ lungo 8 metri, con un diametro di uno e un peso di lancio di circa 4.300 chilogrammi. Dopo il lancio, il Kinzhal accelera rapidamente fino a Mach 4 e può raggiungere velocità fino a Mach 10 (12.350 km/h). Questa velocità, combinata con la traiettoria di volo irregolare del missile e l’elevata manovrabilità, può complicarne l’intercettazione

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Dal Covid al Gas: la sbilenca minaccia russa non inquieta l’Italia

domenica, Marzo 20th, 2022

di Giulia Belardelli

Ogni giorno che passa, la guerra d’invasione della Russia in Ucraina diventa sempre più feroce. Di pari passo, aumenta l’acredine delle dichiarazioni russe contro l’Occidente, con accuse e minacce indirizzate esplicitamente all’Italia. A lanciarle è Alexei Paramonov, direttore del Dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, che in una lunga intervista all’agenzia statale russa se la prende con le sanzioni e l’invio di armi all’Ucraina da parte di alcuni Paesi europei, tra cui appunto l’Italia. Che è chiamata in causa tramite un riferimento diretto al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, lo stesso che – attacca Paramonov – inviò a Mosca “una richiesta d’aiuto” durante la prima ondata della pandemia e che ora è diventato “uno dei principali ‘falchi’ e ispiratori della campagna antirussa nel governo italiano”.

Al ministero della Difesa e a quello degli Esteri derubricano a “propaganda” le parole del diplomatico russo, sottolineando come la stessa intervista contenga attacchi ad altri Paesi europei, dalla Francia alla Spagna fino ai Paesi Bassi (con l’eccezione notevole della Germania, che pure si è espressa a favore dell’invio di armi a Kiev). E di propaganda certamente si tratta, anche se questo non sminuisce la gravità delle minacce di Mosca. Minacce che riguardano apertamente il gas russo, la fonte energetica da cui Roma sta cercando progressivamente di smarcarsi, in un percorso che si annuncia allo stesso tempo complicato e necessario, e che richiederà comunque almeno tre anni di tempo. La sola prospettiva, tuttavia, è fumo negli occhi per il presidente russo Vladimir Putin, definito oggi dal premier britannico Boris Johnson come “uno spacciatore di strada, che negli ultimi anni ha alimentato una dipendenza nei Paesi occidentali dai suoi idrocarburi”. E che ora, come ogni spacciatore che si rispetti, non sopporta che il suo acquirente cerchi modi di disintossicarsi nel tempo.

Ecco dunque il memento di Paramonov: “Data la notevole dipendenza di Roma dagli idrocarburi russi, che raggiunge il 40-45%, abbandonare i meccanismi di trasporto energetico affidabili che si sono sviluppati in molti decenni avrebbe conseguenze estremamente negative per l’economia italiana e per tutti gli italiani”, sibila il diplomatico russo. “Le sanzioni non sono una nostra scelta. Non vorremmo che la logica della dichiarazione del ministro dell’economia francese Bruno Le Maire di ‘guerra finanziaria ed economica totale’ alla Russia trovasse seguito in Italia e provocasse una serie di corrispondenti conseguenze irreversibili”. Si tratta, evidentemente, di una pressione su un problema reale per l’Italia, che tuttavia sa, dal canto suo, che continuare a fornire gas regolarmente per la Russia significa incassare un miliardo di euro al giorno, un contributo non marginale per finanziare lo sforzo bellico.

Gas a parte, è il riferimento alla presunta ingratitudine italiana per la “missione umanitaria” russa durante il Covid a far indignare il mondo delle istituzioni e della politica, che si mobilita con messaggi di solidarietà al ministro Guerini. In una nota il presidente del Consiglio Mario Draghi esprime “piena solidarietà” al ministro della Difesa, sottolineando come “il paragone tra l’invasione dell’Ucraina e la crisi pandemica in Italia è particolarmente odioso e inaccettabile”. “Il ministro Guerini e le Forze Armate – aggiunge il premier – sono in prima linea per difendere la sicurezza e la libertà degli italiani. A loro va il più sentito ringraziamento del Governo e mio personale”. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio commenta su Twitter: “Le continue e ripetute provocazioni delle autorità russe al governo italiano, compresa quella a Lorenzo Guerini, non ci meravigliano più. Il governo russo, invece di trascorrere le giornate minacciando, fermi la guerra in Ucraina che sta causando la morte di civili innocenti”.

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Una domanda (a noi) sulla resistenza

domenica, Marzo 20th, 2022

di Ernesto Galli della Loggia

La resistenza ucraina non può vincere. Ma non può vincere militarmente. Politicamente invece essa ha già stravinto. Cosa sarebbe accaduto invece se gli ucraini non si fossero opposti all’invasione?

C he cosa sarebbe successo se invece di rispondere con le armi all’invasione russa gli ucraini non avessero mosso un dito e avessero lasciato che l’esercito di Putin occupasse tranquillamente Kiev determinando ovviamente la caduta, e magari anche la cattura, di Zelensky? È questa la domanda che bisogna porre a coloro che continuano a esprimere dubbi sull’opportunità e sul senso della resistenza del popolo di quel Paese agli invasori. Che bisogna porre a coloro che con sussiegoso disprezzo hanno parlato addirittura di «mistica della resistenza» di cui sarebbero affetti quegli sciocchi di ucraini.

Sulla risposta alla domanda posta all’inizio è difficile avere dubbi. Non resistere avrebbe voluto dire semplicemente la vittoria totale di Putin nel giro di 48 ore e quindi la sorte dell’Ucraina alla sua mercé. E a quel punto, molto probabilmente, non sarebbero seguite neppure le sanzioni da parte dell’Occidente (o al più finte sanzioni come quelle dopo la Crimea). Invece la resistenza in armi del popolo ucraino c’è stata, vasta e coraggiosa. Ed essa non solo ha già avuto l’effetto di determinare la sconfitta del piano russo (è davvero una cosa così trascurabile?) ma sta pure gettando le premesse per una durissima sconfitta politica dello stesso Putin, con il conseguente forte indebolimento della sua leadership e in prospettiva, chissà, la sua stessa caduta.

È stata la resistenza armata del popolo ucraino, infatti, con la sua stessa esistenza che ha mostrato al mondo sia il fallimento dei servizi d’intelligence sulle cui informazioni il Cremlino ha deciso tre settimane fa l’invasione credendo che si trattasse di una passeggiata, sia le carenze materiali (perfino la mancanza delle razioni alimentari!), il marasma organizzativo e strategico, lo scarso rendimento operativo e la scarsa combattività dell’organismo militare russo.

Lo sappiamo tutti che la resistenza ucraina non può vincere. Ma non può vincere militarmente. Politicamente invece essa ha già stravinto. Già oggi infatti essa ha messo Putin con le spalle al muro. Nella condizione cioè di non avere alternative: o tratta con colui che tre settimane fa voleva distruggere (ma se vuole concludere le trattative deve per forza rinunciare al suo progetto iniziale e cedere su questo o quel punto), oppure può andare avanti con la guerra. E vincere sì, alla fine, ma proprio per la presenza della resistenza sarà costretto a fare dell’Ucraina un mare di rovine abitate da un popolo che lo odia. Ma in un Paese da lui ridotto a un mare di rovine e di morti riuscirà mai a trovare un Quisling che accetti e sia in grado di governare a suo nome? E quanti soldati gli ci vorranno, dopo la cosiddetta vittoria, per presidiare un territorio grande circa due volte la Francia? Quanti soldati dovrà mettere in conto di perdere ogni notte, probabili vittime di un agguato dietro ogni portone, ad ogni angolo di strada? E allora chiediamoci: tutto ciò — questa vera e propria catastrofe politica — di che cosa sarà il frutto se non del fatto che c’è stata una resistenza armata? Del fatto che gli ucraini hanno imbracciato le armi, hanno chiesto le armi per combattere, e l’Occidente gliele ha date? Altro che le condizioni di successo «francamente improbabili» di cui in tanti si sono riempiti la bocca in questi giorni.

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I misteri intorno a Putin: sabotaggi, complotti e due super-falchi «spariti»

domenica, Marzo 20th, 2022

di Marco Imarisio

Sin dall’inizio della guerra non appaiono in pubblico il ministro della Difesa Shoigu e il capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov. Alcuni ufficiali di alto grado dei servizi segreti sono stati licenziati. E si apre il fronte dei possibili «sabotaggi» interni

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La nebbia di guerra avvolge il Cremlino. E lo rende ancora di più un mistero all’interno di un enigma, tanto per parafrasare Winston Churchill e la sua celebre definizione della Russia. La festa allo stadio Luzniki per l’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea sarà ricordata anche per la bizzarra interruzione del discorso di Vladimir Putin. «Guasto tecnico» ha detto Dmitrij Peskov, il portavoce del presidente. «Oppure sabotaggio» ha chiosato dal carcere il dissidente Aleksej Navalny. È quel che molti hanno pensato.

Alla luce delle tre pause innaturali fatte da Putin mentre parlava sul palco, l’ipotesi più probabile rimane quella di un guasto allo schermo del suggeritore. Ma non è stato l’unico problema di quello che doveva essere «L’evento», pianificato per dissolvere ogni dubbio sull’unità del Paese. Durante l’intervento della portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, è saltato il sonoro della diretta televisiva per almeno trenta secondi. Scena muta, solo immagini. Ce n’è abbastanza per non escludere un attacco hacker, tesi che riscuote un certo credito presso i siti indipendenti di informazione.

Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina

I tempi del conflitto
Putin ripete che «l’operazione militare speciale» procede secondo i piani. Ma qualcosa non sta andando come previsto. Come i tempi del conflitto. Il piano iniziale prevedeva una marcia trionfale tra le regioni russofone, salutata con favore dalla popolazione locale pronta a ribellarsi all’esercito «nazista» dell’Ucraina. Al massimo, un mese. Ormai ci siamo quasi. Ancora non si vede la fine.

Fin dai primi giorni, non appaiono in pubblico il ministro della Difesa Sergej Shoigu , il falco che sussurra all’orecchio del presidente, e il capo di Stato Maggiore Valerij Gerasimov. Chissà se è un caso. Il precedente del licenziamento di alcuni ufficiali di alto grado dell’Fsb , il servizio di sicurezza russo, accusati di aver sbagliato le previsioni, autorizza qualche sospetto. La guerra continua, ma sta cambiando.

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Ucraina Russia, news di oggi sulla guerra | Mariupol, bombe su una scuola: «400 rifugiati all’interno». La Cina: noi dal lato giusto della Storia

domenica, Marzo 20th, 2022

di Lorenzo Cremonesi, Andrea Nicastro, Marta Serafini

• La guerra è entrata nel 25esimo giorno: la resistenza ucraina ha imposto alla Russia uno stallo di fatto; Mosca sta reagendo rendendo il conflitto ancora più sanguinoso. E ieri ha utilizzato per la prima volta un missile ipersonico.
• Continua la battaglia a Mariupol, città-chiave nell’est del Paese: impossibile per i soccorritori arrivare al teatro bombardato dai russi, dove centinaia di persone potrebbero ancora trovarsi intrappolate nei sotterranei. Le autorità locali hanno riferito di «centinaia di persone deportate» e di «bombe su una scuola d’arte all’interno della quale si erano rifugiati in 400 tra donne, anziani e bambini». Arrivano le prime notizie di stupri di guerra.
• Ieri il governo di Mosca ha attaccato quello italiano a causa delle sanzioni: il premier italiano Mario Draghi ha definito l’attacco al ministro della Difesa Guerini «inaccettabile». Il commissario Ue Gentiloni al Corriere invita a «non prendere sul serio» le parole di Mosca.
• Continuano i misteri intorno alla figura di Putin: dopo i «guasti» durante il discorso allo stadio, ora c’è la «sparizione» di due dei «falchi» che lo circondano.

***

Ore 9.15 – Mosca: «Uccisi 100 soldati ucraini e mercenari stranieri, in un attacco»
Un attacco russo in una base nella regione di Zhytomyr, nell’Ucraina centrale, ha ucciso «oltre 100 fra soldati ucraini e mercenari stranieri», secondo Mosca.

«Un attacco con missili ad alta precisione aria-superficie è stato effettuato su un centro di addestramento delle forze speciali delle forze armate ucraine, dove erano basati i mercenari stranieri in Ucraina, vicino alla località popolata di Ovruch nella regione di Zhytomyr», ha detto il portavoce del ministero della difesa russo Igor Konashenkov. «Più di 100 membri delle forze speciali e mercenari stranieri sono stati uccisi».

Ore 9.10 – Zelensky limita l’attività di 11 partiti filo russi
Citando la legge marziale al momento in vigore nel Paese, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato che sarà limitata e posta sotto controllo l’attività di 11 partiti politici ucraini, alcuni dei quali avrebbero legami diretti con Mosca.

Fra i partiti posti sotto controllo c’è la Piattaforma d’opposizione – Per la Vita, uno dei maggiori partiti filo-russi rappresentato nel parlamento di Kiev.

Le restrizioni rimarranno in piedi finché durerà la legge marziale.

Ore 9.00 – La Russia sostiene di aver usato missili ipersonici, di nuovo
Per il secondo giorno consecutivo, Mosca afferma di aver utilizzato un sistema missilistico ipersonico contro obiettivi militari ucraini. Lo riferisce Interfax. Il missile ipersonico Kinzhal — come spiegato qui da Guido Olimpio — «è lanciabile da un caccia o da un bombardiere Tu23, ha una velocità dieci volte superiore a quella del suono ed un raggio d’azione di 2 mila chilometri. Può essere dotata anche di una carica nucleare, ma in questo caso si sono limitati ad una testata convenzionale. La caratteristica principale, oltre alla «rapidità», sta nella manovrabilità, così diventa molto più difficile intercettarlo. La contraerea – sempre che abbia i mezzi adeguati – ha tempi di reazione ridotti. Inoltre i sensori di cui è dotato l’ordigno assicurano una maggiore precisione». Le caratteristiche

Cos’è Kh-47M2 («Kinzhal») è un missile balistico ipersonico di fabbricazione russa Le date Sviluppo: 2010 Entrata in servizio: 2018 Il «Kinzhal» collocato sotto gli attacchi ventrali di un intercettore supersonico MiG-31K Vista dal lato Vista frontale Le prestazioni Altitudine massima:20.000 metri Velocità massima:Mach 10 (12.350 km/h) Gittata: 1.500-2.000 km Motore: razzo a combustibile solido Margine d’errore*: 1 metro *secondo la Difesa russa Lunghezza: 8 metri Diametro: 1 metro 22,69 metri Apertura alare13,46 m Fonti: ministero russo della Difesa, Center for strategic international studies, Missile defense project

Ore 8.30 – Londra: «La Russia continuerà a colpire le città, e i civili»
È «probabile» che la Russia «continuerà a utilizzare la sua considerevole potenza di fuoco per sostenere assalti su aree urbane, cercando di limitare le sue perdite — già considerevoli — e a costo di ulteriori vittime civili».

A scriverlo — nel consueto, atteso «intelligence update»: una bussola per tentare di capire che cosa si stia muovendo, sul campo, in Ucraina — è il ministero della Difesa britannico.

Secondo Londra, le forze russe stanno «continuando a circondare diverse città nell’Est del Paese», ma nel corso dell’ultima settimana «non hanno fatto che progressi limitati». Mosca ha però «aumentato i bombardamenti indiscriminati delle città», causando «una vasta distruzione e un ingente numero di morti tra i civili».

Ore 8.14 – «Colpita una scuola-rifugio, c’erano 400 persone al suo interno»
Il Consiglio municipale di Mariupol ha denunciato il bombardamento da parte delle forze russe di una scuola dove ieri erano rifugiate 400 persone. Le bombe sarebbero arrivate sull’edificio nella serata di ieri, l’edificio sarebbe stato distrutto, e sotto le macerie ci sarebbero centinaia di donne, anziani e bambini.

Le notizie sono state fornite dal Consiglio municipale della città su Telegram; non c’è modo di verificarle indipendentemente.

Da giorni Mariupol è oggetto di pesantissimi bombardamenti: in uno di essi è stato distrutto il teatro, nei sotterranei dei quali, secondo le autorità, si trovavano oltre mille civili: al momento le stesse autorità spiegano che è impossibile portare soccorsi nell’area colpita a causa dei violenti combattimenti nelle strade.

Secondo quanto riportato dai media locali, il 90 per cento degli edifici della città — compresi ospedali, centri commerciali, scuole, teatri — è stato distrutto o danneggiato; mancano aqua, cibo, elettricità, riscaldamento; almeno 2.357 civili sono stati uccisi (ma il numero potrebbe essere drammaticamente inferiore alla realtà).

Ore 8.00 – Dove sono i super-falchi intorno a Putin?
Sin dall’inizio della guerra, non appaiono in pubblico il inistro della Difesa, Shoigu, e il capo di Stato Maggiore Valerij Gerasimov. E alcuni alti ufficiali dei servizi russi sono stati «licenziati», o arrestati. Cosa si sta muovendo nel cerchio intorno a Putin? Marco Imarisio racconta i misteri che circondano il presidente russo, qui.

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