Archive for Marzo 24th, 2022

Vladimir Putin, “ammutinamento su larga scala in atto”. Fsb, al via il piano dei servizi: la lettera della talpa al Cremlino

giovedì, Marzo 24th, 2022

“Ammutinamento su larga scala in atto”. Ai vertici del Cremlino alcuni errori commessi da Vladimir Putin in Ucraina non andrebbero giù. Addirittura, è l’indiscrezione diffusa su Twitter dall’osservatore ucraino Igor Sushko, non è esclusa un’insurrezione. Sushko dice di essere stato in contatto con presunte “talpe” nei servizi russi, che avrebbero inviato resoconti dettagliati sugli sbagli commessi da Mosca prima e dopo l’attacco a Kiev. 
Sushko riferisce che i ‘ribelli’ sarebbero “un numero rilevante” anche se il loro non sarebbe “un colpo di Stato” bensì un tentativo di convincere l’Occidente a intervenire direttamente per fermare il presidente russo. Lo zar – stando a una lettera arrivata dall’interno dell’Fsb e riportata sui social – sarebbe tentato di minacciare la Polonia, considerata come un “nuovo possibile obiettivo” per il suo ruolo attivo di sostegno all’Ucraina. Anche se, si precisa, si tratterebbe solo di “vuote” minacce, dal momento che una simile mossa comporterebbe l’intervento della Nato.
La missiva pubblicata dall’osservatore non è la prima proveniente da una talpa del Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa. Dall’inizio dell’invasione diverse informazioni anonime hanno parlato di una resa dei conti avviata da Putin all’interno del Quinto servizio dell’intelligence e dello Stato maggiore. Il motivo? Con ogni probabilità lo stesso presidente temerebbe un colpo di Stato o, peggio ancora, un tentativo di farlo fuori.

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Guerra Russia-Ucraina, il mese che ha cambiato la vita degli ucraini e le nostre

giovedì, Marzo 24th, 2022

Francesca Mannocchi

La vita di prima è finita. La guerra si può riassumere così, con una frase netta che parla solo al tempo presente.

Quando sono atterrata a Kiev, il 20 febbraio scorso, la città era imponente e nervosa, le truppe russe erano già da settimane ammassate ai confini dell’Ucraina e pur consapevole della minaccia reale di un conflitto, restavo convinta che Putin non avrebbe lanciato una guerra totale contro l’Ucraina, certa che Mosca avrebbe inasprito i combattimenti in Donbass e che sarebbe stato quello – il territorio delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk – il palcoscenico militare su cui si sarebbe consumata la muscolare, temporanea, espressione della forza per fare pressione sulla Nato, portare a casa qualche risultato, un pezzo di territorio forse, rosicchiare un po’ di consenso e mantenere una solida, internazionale, impunità. Pensavo che raccontare la crisi da Kiev significasse osservarla da lontano, da un luogo inquieto sì, ma tutto sommato confortevole. Le guerre, ci hanno insegnato, si devono guardare da vicino e il posto piu’ prossimo da cui osservare questo conflitto, solo un mese fa, era appunto il Donbass. Così, affacciata all’undicesimo piano di un hotel del centro di Kiev – le pubblicità delle collezioni delle grandi firme a illuminare i larghi viali della capitale, gli annunci dei concerti pop e della stagione dell’opera – ho deciso che avrei preso un volo per Kharkiv già il giorno successivo e che da lì mi sarei spostata in auto a Kramatorsk, città duramente contesa nel 2014, e rimasta sotto controllo ucraino dopo che Donetsk è finita sotto il controllo dei separatisti. Era lì la linea di contatto, era lì che sarebbe di certo, accaduto qualcosa, ma l’eventualità di un assalto su vasta scala pareva non solo irrazionale ma svantaggiosa anche per i russi che continuavano a negare ogni intenzione di invasione.

Anche a Kramatorsk, nonostante la prossimità con la linea del fronte, nessuno si stava davvero preparando a una possibile spirale militare: non erano stati predisposti alloggi in prospettiva dell’arrivo degli sfollati, non c’erano centri di accoglienza riforniti di cibo e acqua, e gli ospedali non erano in allerta. Nessuno a fare scorta di sangue o medicine. E’ l’abitudine alla guerra, mi sono detta. Forse è così che funziona, se hai il fronte in casa per otto anni, alla fine quasi non ci pensi piu’ e la guerra diventa qualcosa che semplicemente è lì, sulla linea del fronte, sulla linea di contatto.

Che c’era di piu’ l’avrei capito passeggiando nella piazza di Kramatorsk con Olixey, trent’anni e una figlia di otto. Cosa fai se si intensificano i combattimenti in Donbass? gli avevo chiesto. Immaginavo una risposta patriottica, l’ostentazione d’orgoglio di un giovane che vede la sua nazione minacciata e non indugia, si unisce all’esercito, alle Unità di Difesa Territoriale e va a combattere. Invece Olixey ha detto: provo a nascondermi perché ho paura.

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Siccità, il Po ai livelli minimi dal 1972

giovedì, Marzo 24th, 2022

Situazione di estrema siccità nel distretto del Po: a fronte di un deficit di pioggia che, negli ultimi trenta giorni, è superiore ai 100 millimetri in meno (pari a -92%) e dopo 107 giorni di assenza di precipitazioni significative nel comprensorio padano, le portate evidenziano un abbassamento drastico in tutte le stazioni di registrazione del dato, tutte al di sotto della soglia di emergenza, raggiungendo i livelli più bassi dal 1972. L’area a oggi che ancora mostra il deficit maggiore, quindi con una siccità definita estrema che si sta propagando verso valle, è sicuramente quella Piemontese fino alle province di Piacenza e Cremona, ma il trend si palesa anche a Boretto e Borgoforte, fino a raggiungere il Delta nella stazione di Pontelagoscuro (Fe).

Rispetto alla scorsa settimana le quote rilevate hanno portato un ulteriore calo della risorsa idrica disponibile fino al 5% nelle stazioni di Piacenza, oggi a -70% (dal -66% di sette giorni fa) e Cremona a -62% (rispetto al -57% della settimana scorsa); ma sono in discesa anche le quote di Boretto, ora a -61% (da -60%), Borgoforte, a -56% (da -54%) e Pontelagoscuro, a -56% (da -55%). Sia i Grandi laghi che gli invasi artificiali, invasati dal 5 al 30% rispetto alla media, languono pesantemente e i possibili quanto necessari rilasci dal Lago Maggiore a beneficio delle aree sottostanti non saranno attuabili in modo proporzionale al fabbisogno agroambientale. Estremamente deficitario anche lo stato del manto nevoso su tutto l’arco Alpino e quasi del tutto assente da quello Appenninico.

LA STAMPA

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Chiudere i tubi prossima mossa

giovedì, Marzo 24th, 2022

Davide Tabarelli

E’ surreale e allo stesso tempo agghiacciante la richiesta di Putin. Surreale perché è fuori dal tempo, riporta indietro la storia ai tempi dell’Unione Sovietica, quando ci furono altri tentativi di quotare il barile di petrolio in rubli. Come fece anche in passato l’Iran, sotto sanzione da parte degli Stati Uniti, in diverse occasioni. Forse che abbia trovato ispirazione dall’Arabia Saudita che pochi giorni fa ha cominciato a discutere con la Cina la possibilità di abbandonare il dollaro e usare lo yuan per le esportazioni di petrolio, passo che preoccupa Washington. È agghiacciante la richiesta perché è una sorta di escalation commerciale nelle relazioni con l’Occidente, anzi con la vicina Europa, con cui da 60 anni Mosca ha costruito relazioni saldate soprattutto dalle esportazioni di gas e petrolio. Il prossimo passo, se continua così, sarà la chiusura dei tubi, perché noi non accetteremo questa richiesta, semplicemente perché stiamo applicando sanzioni finanziarie durissime.

E allora la risposta di Putin sarà dura, con blocco delle esportazioni, che vorrà dire razionare la domanda, perché di gas in giro non ce n’è proprio nelle quantità che importiamo. Sono 150 miliardi di metri cubi all’anno che importa l’Unione Europea, su un mercato globale, misurato in esportazioni, che possiamo stimare in 800 miliardi. La Germania ne importa 55 e l’Italia 29 e se troveremo 20-30 miliardi di metri cubi, per tutta l’Unione Europea, prima del prossimo inverno, darà un gran successo. Paradossalmente, nel frattempo, il flusso di gas dalla Russia non si è mai interrotto, con i dati di che regolarmente, ora per ora, ci confermano che i flussi da Tarvisio, dove entra il gasdotto che arriva dalla Russia, sono sempre i più alti rispetto agli altri punti di entrata. Sollevare la questione di come pagare non fa che smuovere le acque e avvicinare il momento di una interruzione che molti, anche da noi vorrebbero, probabilmente con una determinazione che poggia su poca conoscenza di quello che ci aspetta. L’Italia è il caso più interessante in Europa, perché è il paese con la più alta dipendenza da importazioni di gas dalla Russia in termini di incidenza sul proprio bilancio energetico. I tentativi di contenere gli effetti sui prezzi, con aumento di debito, non hanno evitato il raddoppio delle bollette, la ripresa dell’inflazione e una frenata della produzione industriale. Il tentativo di trovare in giro per il mondo volumi aggiuntivi di gas, nonostante l’ottimismo sfoggiato dal nostro governo, si scontra con la dura realtà che nei prossimi mesi, se va bene, ci saranno al massimo 5, forse 10 miliardi in più, ma ancora troppo poco rispetto ai 29 che ci potrebbero mancare. Nel frattempo, ieri, la Commissione, in vista del Consiglio di oggi, ha sfornato un altro pacchetto di misure, dove spicca l’obbligo di scorte alte e il tetto ai prezzi del gas, ma sembrano più di alchimie che misure concrete, perché si evita di parlare di più carbone o di più nucleare, mentre rimane un’incognita dove si potrebbe prendere altro gas.

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Guerra Russia-Ucraina, Putin alla battaglia del rublo: “Il gas russo va pagato con la nostra moneta”

giovedì, Marzo 24th, 2022

Marco Bresolin, inviato a Bruxelles

Tra l’Unione europea e Vladimir Putin è in corso una partita a poker sul gas. I governi Ue hanno sin qui adottato una strategia piuttosto conservatrice, evitando di alzare la posta. Ieri invece il capo del Cremlino ha fatto una mossa azzardata e per ora nessuno è in grado di capire se si tratti di un bluff oppure no: d’ora in poi i contratti per le forniture di gas ai «Paesi ostili» andranno pagati esclusivamente in rubli. Una decisione con importanti ripercussioni politiche, giuridico-contrattuali, economiche e monetarie. Una mossa che certamente ha preso alla sprovvista i governi europei e le società energetiche coinvolte nell’acquisto di gas dalla Russia.

La nuova direttiva sarà operativa «il prima possibile», ma il Cremlino ha dato una settimana di tempo al governo e alla Banca centrale russa per predisporre il nuovo sistema. «Se ha bisogno di una settimana – fa notare un diplomatico europeo – evidentemente vuol dire che ci sono parecchie questioni tecniche da sistemare e che dunque non è così semplice da adottare». La prima questione riguarda la validità dei contratti: se negli accordi è previsto il pagamento in euro, questa decisione potrebbe renderli nulli. O almeno questa è l’interpretazione fatta filtrare da Berlino. L’annullamento dei contratti comporterebbe dunque l’immediata interruzione delle forniture? Difficile trovare qualcuno in grado di dare una risposta certa. «Se andiamo avanti così – prevede un altro diplomatico europeo – finirà che i rubinetti verranno chiusi presto e a quel punto si sprecheranno le interpretazioni su chi avrà effettivamente girato la manopola. Succederà come per l’uscita di Mosca dal Consiglio d’Europa: noi diciamo di averli cacciati, mentre loro sostengono di essersene andati».

Una cosa è certa: nell’immediato gli effetti dell’annuncio si sono subito fatti sentire. Innanzitutto sul prezzo del gas, che ieri ha registrato aumenti fino al 30%, arrivando a toccare i 132 euro per Megawattora. E poi sul rublo, che è salito ai massimi da tre settimane a questa parte, recuperando parte del terreno perso dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Secondo diversi analisti, la mossa di Putin punterebbe proprio a questo, a ridare forza a una moneta in caduta libera, oltre che a «scongelare» le riserve monetarie della Banca Centrale che sono bloccate in Europa. Ma veramente i Paesi «ostili» – che rappresentano il 70% dell’export di Gazprom – accetteranno di pagare i contratti in rubli?

Una cosa è certa: al momento non c’è ancora un’intesa tra i 27 per un embargo sul settore energetico, in particolar modo per il gas. Oggi il G7 dovrebbe adottare un ulteriore pacchetto di sanzioni, che prenderanno di mira nuovi soggetti e nuove entità, forse anche lo stop ai porti alle navi russe. Dovrebbe esserci un capitolo dedicato alla Cina per avere a disposizione strumenti in grado di colpirla nel caso in cui aiutasse Mosca ad aggirare le sanzioni. Sullo sfondo resta l’ipotesi di applicare dazi sull’import dalla Russia, anche per il settore energetico. O magari di introdurre un’imposta sul gas. Misure considerate pericolose perché potrebbero comportare un ulteriore aumento dei prezzi.

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Ucraina, la diretta dalla guerra. In fiamme il porto di Berdyansk, incendi a Chernobyl. Casa Bianca, creata la squadra speciale “Tiger team”

giovedì, Marzo 24th, 2022

Ventinovesimo giorno di guerra in Ucraina. Nella notte sono risuonate le sirene a Odessa, colpito il porto di Berdyansk nel sud est del Paese. Intanto la Casa Bianca ha creato una squadra speciale per la sicurezza nazionale se Vladimir Putin dovesse usare armi non convenzionali chimiche, biologiche o nucleari. Incendi vicino a Chernobyl.

Ore 06.51 In fiamme porto Berdyansk nell’oblast di Zaporizhzhia 
Il porto di Berdyansk, una città nell’oblast di Zaporizhzhia, nel sud-est dell’Ucraina, è in fiamme. Lo riporta il Guardian citando media ucraini. La città si trova a circa 75 km a nord-ovest di Mariupol. Anton Gerashchenko, consigliere del ministro dell’Interno ucraino, ha pubblicato su Telegram una foto nella quale si vedono enormi pennacchi di fumo alzarsi dal porto della città. “Un magazzino di armi missilistiche e di artiglieria a Berdyansk occupata dai russi”, ha scritto accanto all’immagine.

Ore 01.50 Casa Bianca crea il Tiger Team su attacchi russi con armi chimiche o nucleari
La Casa Bianca ha creato una squadra di funzionari per la sicurezza nazionale incaricata di delineare scenari sulle risposte di Stati Uniti e alleati se il presidente russo Vladimir Putin usasse armi chimiche, biologiche o nucleari. Lo rende noto il New York Times. Il gruppo, noto come Tiger Team, sta anche esaminando le risposte se Putin raggiungesse il territorio della Nato per attaccare i convogli che portano armi e aiuti all’Ucraina, riportano diversi funzionari coinvolti. Riunioni tre volte a settimana, in sessioni riservate, il Team sta anche esaminando le risposte se la Russia cercasse di estendere la guerra alle nazioni vicine, comprese Moldova e Georgia, e come preparare i paesi europei alla massa di rifugiati che affluirebbero su una scala mai vista in decenni.

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Battaglione Azov, chi è Denis Projipenko, comandante della resistenza di Mariupol, nemico numero uno di Mosca

giovedì, Marzo 24th, 2022

di Andrea Nicastro

Tra i fondatori del battaglione «nazista» dell’Ucraina di cui Putin vuole disfarsi, ex capo degli ultras della Dinamo Kiev, ma ora le tracce del suo passato sono state cancellate da Internet. E 14 mila soldati e decine di missili sono pronti per lui

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Sull’edizione russa di Wikipedia, il nome Denis Projipenko è messo in cima alla lista dei comandanti del battaglione Azov. Il più alto in grado. Il nemico numero uno di Mosca, l’uomo che personifica sul campo quell’Ucraina «nazista» da cui Putin vuole liberarla. Sui siti di Kiev, invece, nulla. Projipenko non c’è. Scomparso, la memoria digitale cancellata. Pulizia totale di tutto quanto lo riguardava. Fosse per Internet, l’ufficiale in capo della resistenza militare a Mariupol sarebbe un uomo senza passato, senza gloria, ma anche senza i sospetti di simpatie neonaziste che oggi nuocerebbero alla causa ucraina. Uno e novanta, biondo, naso sottile e occhi azzurri, il maggiore Denis Projipenko è uno dei fondatori del Battaglione Azov.

Addestrato come un incursore, bello come un attore, da anni è in prima linea contro i filorussi del Donbass e oggi, adesso, in questi minuti, è in trappola a Mariupol. Accerchiato senza possibilità di rinforzi. Bombardato dal cielo e dal mare. Braccato dai droni e dalle orecchie elettroniche. Basta una sua comunicazione, un avvistamento, una soffiata per potergli indirizzare contro un missile. Mosca sa come fare. Ci riuscì durante l’assedio di Grozny, in Cecenia, negli anni ’90 contro il presidente indipendentista Dudaev. E allora le tecnologie erano molto più arretrate.

A Mariupol 14-15mila militari russi stanno riversando una marea di esplosivi sulla città per eliminare lui e i suoi uomini. Decine di missili sono pronti a disintegrarlo, migliaia di soldati a reclamare la taglia che il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, intimo del leader del Cremlino Putin, ha messo sulla sua testa. Vivo o morto. Mezzo milione di dollari. Ciò che sta succedendo ai soldati che difendono Mariupol e al loro comandante Projipenko, ha lo spessore tragico delle grandi battaglie che cambiano il corso della storia e ispirano forti sentimenti. Anche se, nel frattempo, i protagonisti sono tutti morti. I 960 zeloti di Masada. I 300 spartani alle Termopili. Gli affamati di Stalingrado. Tutti sacrifici, vittoriosi o perdenti non è così importante per la storia, capaci però di segnare la consacrazione di un’identità non più negoziabile. Per il maggiore Projipenko, il riferimento più diretto è un altro, inciso persino in un bassorilievo dell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés a Parigi. E’ la battaglia combattuta a metà del 1600 dai liberi cosacchi della steppa di Zaparozhzhie contro l’esercito lituano-polacco di re Giovanni II Casimiro. Ortodossi contro cattolici. Un impero dell’ovest contro le steppe dell’est. La battaglia di Berestenchko è, probabilmente, il più grande scontro terrestre di un secolo per nulla pacifico. I cosacchi di Crimea e del bacino del fiume Dnipro non volevano sottomettersi. Persero, ma 400 anni dopo, Denis Projipenko continua ad ispirarsi alla loro lotta per giustificare la sua.

Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina


È, probabilmente pronto a diventare il nuovo eroe nazionale ucraino. E le sue simpatie politiche, verranno strumentalizzate o meno a seconda di chi si impossesserà della sanguinosa leggenda. Ex capo degli ultrà della Dinamo Kiev, con la guerra del Donbass, Projipenko accorse volontario nel 2014 alla difesa del Paese. Da allora è diventato un soldato professionista, si è addestrato, ha imparato a combattere battaglie vere, non contro i lacrimogeni degli stadi. I russi dicono che abbia avuto istruttori stranieri, dai Delta Force alla Legione Straniera.

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Il diritto smarrito

giovedì, Marzo 24th, 2022

di Sabino Cassese

È necessario rivedere la rete dei poteri internazionali e ristabilire un equilibrio tra sovranità nazionale e sovranità della comunità internazionale, che non può essere fermata da una nazione con potere di veto, se si vuole che il diritto internazionale sia efficace

Settantasette anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, una nuova guerra è scoppiata in Europa. Chi è nato prima della metà del secolo scorso ricorda le notti trascorse nei rifugi e la vita da sfollati. Dunque, quell’esperienza non ha insegnato nulla? La tanto elogiata globalizzazione non ha eroso il potere degli Stati e sono ancora questi ultimi a dettare legge? La rete di poteri ultrastatali costruita faticosamente in tutti questi anni è inefficace? Dopo un mese di guerra il diritto e le corti non hanno nulla da dire, perché conta solo la forza degli eserciti?

La decisione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 25 febbraio di sospendere temporaneamente la Russia, seguita dalla espulsione del 16 marzo, e la severa condanna dell’azione dei russi da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite, il 2 marzo, sono solo latrati di cani che non mordono, a differenza delle decisioni dei governi di venti Paesi che hanno introdotto sanzioni a carico di circa 3.600 persone fisiche e giuridiche russe? Se — come disse un famoso costituente americano, riferendosi alle corti nazionali — il potere giudiziario è quello meno pericoloso perché non comanda né i soldi né la spada, dobbiamo concludere che la voce dei giudici è completamente inascoltata quando parla una delle centinaia di corti operanti a livello internazionale?

Quarantuno Stati si sono rivolti alla Corte penale internazionale, chiedendo una condanna dell’aggressione russa. La procura della Corte ha aperto il 2 marzo una inchiesta.

Più avanti è andata la Corte di giustizia internazionale, organo dell’Onu, alla quale si è rivolta la stessa Repubblica Ucraina, sulla base della Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio. L’Ucraina, assistita da valenti studiosi di diritto internazionale, tra cui l’americano Harold Koh, ha sostenuto che nel Donbass non vi è stato genocidio nei confronti del popolo russo, come lamentato dal presidente Putin, e che quindi l’invasione, fondata su una falsa affermazione, va fermata e i danni prodotti risarciti. La Russia si è limitata a mettere agli atti del processo il discorso alla nazione di Putin del 24 febbraio, in cui il presidente russo ha messo sotto accusa l’intero sistema di relazioni internazionali prodottosi sul finire degli anni 80, affermando che l’aggressione è stata motivata dalla necessità di difendersi e sostenendo che la Corte di giustizia non ha giurisdizione.

La Corte internazionale di giustizia, con una ordinanza presa il 16 marzo, con tredici voti contro due, ha dato ragione all’Ucraina perché non si può usare la forza nel territorio di un altro Stato, con lo scopo di prevenire o punire un genocidio solo supposto. Ha quindi ordinato alla Russia, in via provvisoria ed urgente, di sospendere le operazioni militari in Ucraina.

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Usare le armi va sempre bene salvo che per difendere la libertà?

giovedì, Marzo 24th, 2022
Il punto del giorno del direttore del Corriere della Sera

Luciano Fontana / CorriereTv

Il dibattito politico italiano sembra aver fatto un tuffo nel passato quando in tanti avevano simpatie per Putin: le questioni sono l’invio delle armi e il rafforzamento delle sanzioni contro Mosca. L’uso delle armi in passato era stato molto esaltato: andavano bene contro i barconi dei migranti, per difendere le frontiere dai clandestini, come autodifesa personale e anche per inseguire caprioli e passeri. Sparare era un diritto. Sembra che l’uso delle armi non vada bene solo per difendere la democrazia e la libertà in Europa. Un pacifismo ipocrita che lascia agli ucraini una sola scelta: di arrendersi agli invasori. La realtà ci dice però che solo una resistenza forte e sanzioni internazionali rilevanti potranno costringere Putin ad arrivare a una trattativa e a una pace vera.

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Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi | Incendio a Chernobyl, all’Onu la Cina vota con la Russia. Lo spettro delle armi chimiche

giovedì, Marzo 24th, 2022

di Lorenzo Cremonesi, Andrea Nicastro, Marta Serafini, Redazione Online

Le notizie di giovedì 24 marzo sulla guerra, minuto per minuto: lo spettro delle armi chimiche, «già usate in Ucraina». Oggi i vertici Nato e dell’Ue: Biden è in Europa. Creato un «Tiger Team» contro gli attacchi russi con armi chimiche o nucleari

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• La guerra è al 29esimo giorno: un mese dall’invasione dell’Ucraina. Il presidente Volodymyr Zelensky ha lanciato un appello per proteste contro la guerra in tutto il mondo: «Chiediamo che la Nato aiuterà pienamente l’Ucraina a vincere questa guerra».
• Ma i 30 Paesi della Nato accetteranno di consegnare alla resistenza ucraina anche mezzi militari offensivi? Oggi si terranno a Bruxelles i vertici straordinari proprio dell’Alleanza Atlantica, dell’Unione Europea e del G7, ai quali parteciperà anche il presidente Usa Joe Biden: tra i temi sul tavolo il rafforzamento dei meccanismi di difesa.
• Ieri Putin ha annunciato che chi compra gas dalla Russia dovrà pagarlo in rubli. Un modo per far rivalutare la moneta russa, da settimane in caduta, e per aggirare le sanzioni.
• Sul fronte bellico, a dispetto delle stime sempre più alte sulle perdite nel suo esercito, la Russia continua nella sua opera di distruzione sistematica.

***

Ore 7.20 – Il messaggio di Mattarella: «L’Europa ripiomba nell’epoca delle stragi»
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato nella mattinata di oggi un messaggio di saluto all’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, che oggi celebra il suo 17esimo congresso «in un momento drammatico». Ed è un messaggio molto chiaro sulla posizione dell’Italia nel nuovo scenario internazionale.

« L’ingiustificabile aggressione al popolo ucraino di cui si è resa responsabile la Federazione russa ha fatto ripiombare il Continente europeo in un tempo di stragi, di distruzioni, di esodi forzati che fermamente intendevamo non avessero più a riprodursi dopo le tragiche vicende della Seconda guerra mondiale», scrive il capo dello Stato.

«Il bersaglio della guerra non è soltanto la pretesa di sottomettere un Paese indipendente quale è l’Ucraina. L’attacco colpisce le fondamenta della democrazia, rigenerata dalla lotta al nazifascismo, dall’affermazione dei valori della Liberazione combattuta dai movimenti europei di Resistenza, rinsaldata dalle Costituzioni che hanno posto la libertà e i diritti inviolabili dell’uomo alle fondamenta della nostra convivenza.

La democrazia europea è stata garante di pace, motore di dialogo, di sviluppo e affermazione di valori di giustizia e coesione sociale. Ha saputo dare all’unità del Continente – pur con i suoi limiti – ordinamenti plurali e condivisi e oggi questa unità si esprime al fianco del popolo aggredito, chiedendo che tacciano subito le armi, che si ritirino le forze di invasione, che venga affermato il diritto del popolo ucraino a vivere in pace e in libertà. Sono i valori della Resistenza che, ancora una volta, ci interrogano. In Ucraina e in tutta Europa. Pace e libertà, diritti delle persone e delle comunità, sono caposaldi inscindibili e costituiscono traguardi che i cittadini del Continente oggi intendono riguadagnare per comporre un nuovo quadro di sicurezza, di cooperazione, di convivenza».

Ore 7.00 – «In 30 secondi non resterà più niente di Varsavia»
Marco Imarisio ha passato una serata a guardare il popolare show alla tv russa del putiniano di ferro Vladimir Solovyov, dove si parla apertamente di ritorsioni nucleari se l’Europa o la Nato intralciassero i piani dello «zar»: «I polacchi devono sapere che in trenta secondi appena non resterebbe più niente di Varsavia». Il racconto completo è qui.

Ore 6.50 — L’Ucraina: «Siamo al contrattacco»
Lorenzo Cremonesi, nel municipio di Kiev, ha parlato con il comandante ucraino Ruslan Diachenko, che dice: «Sino ad una settimana fa le nostre strategie erano difensive, ci limitavamo a cercare di fermare le colonne russe in avanzata. Ma adesso cambiano le regole del gioco, l’iniziativa diventa nostra, passiamo al contrattacco». L’articolo completo è qui.

Ore 6.30 – Le bombe contro il porto di Berdyansk
Una colonna di fumo e una serie di esplosioni hanno segnato il bombardamento del porto di Berdyansk, nella regione di Zaporizhzhia. L’offensiva di Mosca — dopo Mariupol e nell’attesa dell’assalto a Odessa — continua a colpire sulla linea di costa dell’Ucraina.

Ore 5.53 – Tornano a suonare le sirene anti-aereo a Odessa
Dopo una nottata abbastanza tranquilla è scattato un lungo allarme anti-aereo a Odessa questa mattina. Le sirene hanno cominciato a suonare attorno alle 6.30 ora locale (le 5:30 in Italia). Il coprifuoco notturno è terminato alle 6 ma le strade di Odessa sono comunque ancora deserte.

Ore 5.44 – Boeing sospende supporto a compagnie aeree russe
Il colosso aerospaziale statunitense Boeing ha annunciato la sospensione del supporto alla compagnie aeree della Russia. Lo ha confermato un portavoce dell’azienda all’emittente televisiva «Cnn». «Abbiamo sospeso tutte le operazioni a Mosca e chiuso temporaneamente il nostro ufficio a Kiev. Sospenderemo anche i servizi di sostituzione delle componenti, manutenzione e supporto tecnico alle compagnie aeree russe», ha dichiarato il portavoce, secondo cui Boeing «intende concentrarsi sulla garanzia della sicurezza dei nostri partner nella regione».

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