Archive for Marzo, 2022

Vlad “The Mad” ha gettato la maschera

domenica, Marzo 6th, 2022

MASSIMO GIANNINI

Sentinella, a che punto è la notte? La domanda del profeta Isaia martella le nostre coscienze straziate dal martirio del popolo ucraino. E proprio come nelle Scritture, la risposta è sempre la stessa: viene la mattina, e viene anche la notte, se volete interrogate pure, tornate un’altra volta. Il canto di chi è sicuro che l’alba arriverà, ma non sa quando. E intanto il buio continua. Continua nei corpi dei bimbi violati sotto le bombe di Kharkiv e affacciati ai finestrini del treno mentre salutano i padri alla stazione di Dnipro. Continua nel dolore delle madri senza più cibo né acqua che vagano come fantasmi nei sotterranei del metrò di Kiev e nel coraggio dei figli che si armano da volontari per resistere all’invasore. Continua nella fredda ferocia dello Zar di Mosca che distrugge le vite degli altri mentre gioca a risiko con le centrali e le testate nucleari. Nelle giovani reclute ignare mandate al fronte a sparare ai fratelli. Nei soliti demoni russi che tornano, sempre più Stavrogin e sempre meno Raskolnikov.

Appena trascorsi, questi nuovi “dieci giorni che sconvolsero il mondo” sembrano solo un preludio. Come dice Macron, che parla frequentemente e inutilmente con Putin, “il peggio deve ancora venire”. Per chi vive di chiacchiere e distintivo, la trattativa è iniziata tra finti corridoi umanitari e falsi cessate il fuoco. Per chi muore al fronte, la guerra va avanti ogni ora più efferata e disperata. Da che doveva finire tra i detriti del Muro trentadue anni fa, secondo l’improvvida idea di Fukuyama, nella fiera e povera Ucraina la Storia è cominciata un’altra volta. Sarà almeno la sesta volta che capita, tra l’attacco alle Twin Towers e l’invasione dell’Iraq, l’offensiva dell’Isis e la fuga dall’Afghanistan, il BigCrash del 2008 e la pandemia del 2019.

Ma stavolta è diverso. Non ricomincia negli angoli bui dell’Ovest: quelli che il sacro fuoco del turbocapitalismo trionfante aveva dimenticato di illuminare, come l’attacco mortale dei jihadisti delle seconde generazioni mai integrate o l’azzardo morale dei banchieri gonfiati fino a esplodere nella bolla del debito altrui. Come il vento, la Storia fa il suo giro.

Rating 3.00 out of 5

Fuga dal gas russo. Draghi punta ad aumentare di 10 miliardi le importazioni dall’Algeria

domenica, Marzo 6th, 2022

ALESSANDRO BARBERA

Aumentare le forniture dei gasdotti di Algeria e Libia, del Tap che trasporta il metano dall’Azerbaijan, intensificare i viaggi di navi carichi di gas liquido dal Qatar. Fino a qualche giorno fa, il governo era rincorso dall’emergenza prezzi. Ora Mario Draghi e il ministro Roberto Cingolani hanno un problema ben più grave: attrezzarsi a rinunciare al gas russo. L’anno scorso la rete dei tubi che entra in Italia dal Tarvisio ha garantito il 40 per cento del fabbisogno. Per liberarsi dallo Zar di Russia bisogna trovarne altrettanto.

Il governo ha già deciso di riaprire i pozzi nei mari territoriali, ma secondo i calcoli dell’Eni per risultati apprezzabili occorreranno due anni. Si possono aumentare i parchi solari ed eolici, ma anche in questo caso occorre tempo. In caso di emergenza si riattiveranno le centrali a carbone dismesse, ma significa stracciare gli accordi di Parigi sul clima. La strada più semplice resta diversificare le forniture della meno inquinante delle energie tradizionali.

Draghi ieri ne ha parlato al telefono (era la seconda volta in due settimane) con l’emiro del Qatar Al Thani. Il premier ha dato mandato di discutere dei dettagli a Doha il ministro degli Esteri Luigi di Maio e il numero uno dell’Eni Claudio Descalzi. Il Qatar è uno dei principali produttori al mondo di metano liquido, che fin qui ci ha garantito il 10 per cento degli approvvigionamenti. Ma non si tratta della soluzione più facile per noi: quel gas va trasportato via nave e rigassificato in enormi strutture offshore. In Italia ce ne sono tre: a Panigaglia, in Liguria, al largo di Livorno e a Porto Viro, di fronte a Rovigo. Per costruirne di nuove – seppure su strutture temporanee – occorrono mesi. Anche l’aumento delle forniture dall’Azerbaijan (un altro 10 per cento del fabbisogno) non è semplice: il tubo sottomarino che unisce l’Italia all’Albania e trasporta il gas azero andrebbe raddoppiato. Qualcosa in più può arrivare dai giacimenti libici, ma la situazione nel Paese è caotica e da lì arriva appena il 4 per cento del metano. La soluzione più rapida ed efficace resta l’Algeria, non a caso la prima destinazione di Di Maio dopo l’attacco russo all’Ucraina. Dal tubo di Mazara del Vallo entrano in Italia più di 21 miliardi di metri cubi di gas l’anno, quasi un terzo dei consumi. Secondo le stime che circolano a Palazzo Chigi ci sarebbe la disponibilità degli algerini ad aumentare le forniture di altri 10 miliardi. Se così fosse, scalzerebbe Mosca come primo fornitore.

Rating 3.00 out of 5

Guerra in Ucraina, perché Putin sta attaccando le centrali nucleari nonostante possa creare una nuova Chernobyl

domenica, Marzo 6th, 2022

di Giordano Stabile

Il capo della redazione esteri de La Stampa,Giordano Stabile, analizza l’evoluzione della guerra tra Ucraina e Russia spiegandoci il perché dell’attacco russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia.

Rating 3.00 out of 5

Putin ha sottovalutato la forza dei (nostri) valori

domenica, Marzo 6th, 2022

di Angelo Panebianco

Questa guerra costituisce anche un attacco al nostro concetto di società. Ma l’Occidente ha le idee più persuasive e attrattive

desc img
Vladimir Putin in un ritratto di Fabio Sironi

È una ingenuità che nasce da ignoranza della storia pensare che la «forza delle idee» sia, da sola, in grado di sconfiggere le armi. Il «mattatoio», come Hegel definisce la storia umana, ce ne ha dato infiniti esempi contrari. Ma è anche una ingenuità (di segno opposto) credere che le idee, se sono convinzioni diffuse, non abbiano un peso rilevantissimo nei conflitti. In questa guerra due circostanze lo dimostrano.

La prima è data dal fatto che la guerra lampo, che Putin credeva di fare quando ha ordinato l’invasione, è fallita perché l’Ucraina è una nazione autentica, gli ucraini hanno mostrato di pensare a se stessi come a una comunità la quale non è tale solo perché occupa un territorio ma anche perché dispone di una identità in cui si fondono amor patrio, fiducia in una leadership (Zelensky) all’altezza della sfida e desiderio di libertà. Per inciso, si può ipotizzare che Putin abbia umiliato pubblicamente il capo dei servizi segreti perché quest’ultimo, sapendo, grazie alle spie in Ucraina, come la pensavano davvero gli ucraini, abbia fatto a Putin un resoconto veritiero che il dittatore non voleva ascoltare.

La seconda circostanza è data dall’improvvisa rivitalizzazione dell’Occidente, dal rinsaldarsi dei legami, che si stavano sempre più sfilacciando, fra Europa e Stati Uniti e dalla nuova spinta, innescata dalla guerra che Putin ha scatenato nel cuore dell’Europa, all’unità degli europei, all’accantonamento, in modo ancor più netto rispetto al momento dello scoppio della pandemia, delle tradizionali divisioni nazionali in seno alla Ue.

Da questo punto di vista occorrerebbe rimediare a una (piccola) ingiustizia. Dopo la fine della Guerra fredda il politologo statunitense Francis Fukuyama è stato sbeffeggiato a lungo per avere dedicato un libro di successo (citando Hegel) alla «fine della storia». L’errore ci fu senz’altro ma non fu suo, fu di quegli occidentali che presero alla lettera quella espressione e che ne dedussero l’idea che i grandi conflitti fossero finiti per sempre. Intesa non in senso letterale ma restituendole il significato filosofico che Fukuyama le attribuiva, quell’espressione è tuttora valida, e proprio la guerra ucraina lo dimostra. Fukuyama intendeva dire che, finita la Guerra fredda, affondata la dottrina comunista per effetto della disgregazione dell’Urss, era scomparsa l’unica ideologia che avesse la potenza e la credibilità sufficienti per competere con l’Occidente, per parlare indistintamente a tutti gli esseri umani. Dopo il comunismo, nessun’altra ideologia avrebbe avuto la stessa capacità di penetrare nei vari angoli del mondo per opporsi alle idee-forza occidentali.

Rating 3.00 out of 5

Mike Mullen: «Con una no-fly zone si rischia una guerra tra la Nato e la Russia»

domenica, Marzo 6th, 2022

di Viviana Mazza

Gli scenari spiegati dall’Ammiraglio Mike Mullen, ex capo di stato maggiore delle Forze armate Usa, appena tornato da Taiwan: «Con una no-fly zone si rischia la guerra tra Mosca e l’Alleanza. Putin è determinato a prendere le città, ma non sarà la fine del conflitto»

desc img

L’ammiraglio Mike Mullen, dal 2007 al 2011, sotto George W. Bush e poi Barack Obama, è stato il capo di stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, la carica militare di più alto rango e il principale consigliere militare del presidente. Ha parlato con il Corriere della sera in questa intervista esclusiva. (Qui la versione in inglese)

Gli ucraini continuano a chiedere una no-fly zone, la Nato lo esclude.
«Capisco la richiesta, ma la possibilità di un conflitto tra la Russia e la Nato aumenta significativamente con una no-fly zone. In teoria hai questa zona in cui non si può volare, gestita da Paesi Nato. Se un aereo russo tenta di entrare, ti ritrovi con aerei della Nato a contatto con quelli russi e una delle regole d’ingaggio è: posso sparargli? Una volta che li abbatti, sei in una qualche versione di una guerra con la Russia. È per questo che stiamo evitando la no-fly zone. Se fossimo in guerra con la Russia potremmo metterla in piedi, ma non penso che succederà a breve».

Il convoglio di mezzi russi a nord di Kiev si è fermato e si parla da tempo di uno sbarco a Odessa che non è ancora avvenuto. I russi stanno incontrando difficoltà o l’attesa fa parte della loro strategia?
«Sin dall’inizio è stato molto difficile entrare nella testa di Putin, e continuerà ad esserlo. Inoltre sin dall’inizio ci sono stati tre assi dell’invasione, e penso che alla fine al minimo alla fine Putin controllerà in pratica Donetsk e Lugansk, nella misura in cui non li aveva già per via della popolazione russa e delle milizie che aveva già sul posto. Il secondo asse è il porto di Odessa e il Mar Nero ed è vitale per via dei commerci: è una seconda area da cui può spingersi verso nord-ovest, se vuole. E il terzo asse, che più di tutti è la chiave nella sostanza e nella percezione è la capitale; 190,000 truppe sono tante, ma non bastano a controllare il Paese. Se Putin raggiunge i tre obiettivi, non sono abbastanza per controllarli. Una delle questioni aperte, prima dell’inizio del conflitto, era il livello della resistenza, che si è rivelato straordinario e ha un leader straordinario. Sono stato al fianco di leader per tutta la mia vita, Zelensky è straordinario. La resistenza ha cambiato il gioco. Ora Putin deve capire: 1) Come prendere il Paese, cosa che ritengo sia determinato a fare; 2) Come mantenere il controllo. Se in un Paese di 44 milioni di persone hai una resistenza del 10%, fa 4 milioni, sono tanti, e dobbiamo aiutarli. È una lotta molto più difficile di quanto Putin si aspettasse. Ero capo di stato maggiore nel 2008, quando Putin andò in Georgia, un Paese assai più piccolo, ma anche lì fecero esercitazioni in numeri superiori a quelli visti prima e poi entrarono. Non sarà così facile stavolta.

Rating 3.00 out of 5

Ucraina-Russia, le notizie di domenica 6 marzo sulla guerra: Putin minaccia, Israele media. Visa e Mastercard: via da Mosca

domenica, Marzo 6th, 2022

di Lorenzo Cremonesi, Francesco Battistini, Andrea Nicastro, Marco Imarisio, Marta Serafini

Le ultime news in tempo reale : falliti i corridoi umanitari, Putin: le sanzioni dell’Occidente sono come un atto di guerra. Il premier di Israele vola al Cremlino e tenta la mediazione. La Cina: no al conflitto

desc img
Epa

• La guerra tra Russia e Ucraina è giunta all’undicesimo giorno: i combattimenti continuano, Mosca prepara l’attacco a Odessa, e la tregua annunciata ieri per l’apertura di corridoi umanitari è fallita.
• Le forze armate ucraine lanciano intanto un allarme sulla diga che serve la centrale idroelettrica di Kaniv, di cui i russi, dicono, vorrebbero assumere il controllo. Il sindaco di Mariupol parla di «situazione disperata» in città, dove mancano da giorni elettricità, acqua, riscaldamento ed è difficile reperire forniture mediche e altri beni essenziali.
• Nella giornata di ieri, il premier israeliano Bennett è volato da Vladimir Putin per tentare una mediazione. Gli Stati Uniti hanno cercato il coinvolgimento della Cina per porre fine al conflitto. Lunedì è previsto un nuovo round di negoziati tra Kiev e Mosca .
Le sanzioni continuano a colpire l’economia russa: e mentre Putin le paragona a «un atto di guerra», a lasciare la Russia ora sono anche Visa e Mastercard.

• Le Nazioni Unite hanno registrato 351 civili uccisi e 707 feriti in Ucraina , secondo l’ Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

• Il Corriere ha avviato una newsletter speciale , una serie di podcast sulla guerra in Ucraina e una sottoscrizione per aiutare le vittime della guerra. Qui sotto, le notizie in diretta.


***

Ore 8.35 – Milizie Donetsk: i corridoi umanitari riapriranno oggi
I corridoi umanitari a Mariupol e Volnovakha, che ieri non hanno retto, riapriranno questa mattina. Lo ha riferito Eduard Basurin, vice comandante della milizia popolare dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, citato da Tass. «In mattinata verranno nuovamente aperti i corridoi umanitari sia a Mariupol che a Volnovakha. Ci auguriamo che, tuttavia, quei comandanti ucraini che guidano il processo di difesa diano ai loro subordinati un comando per sbloccare l’uscita dagli insediamenti e la popolazione civile possa andare via», ha detto ai giornalisti.

Ore 8.30 – Bukhard: ecco le difficoltà dell’esercito russo
(Guido Olimpio) Strategie. Il capo di Stato Maggiore francese Thierry Bukhard ha fornito due spunti sull’invasione russa. Primo. L’Armata vuole spaccare in due l’esercito ucraino, separando il contingente nemico schierato sul fronte del Donbass dal resto. Ma l’operazione ha incontrato difficoltà che i pianificatori non avevano messo in conto e ora devono impiegare maggiori forze. Secondo. Alcune unità impegnate nell’assalto sembrano avere problemi di training e di «prontezza al combattimento». Confermati i problemi sul fronte logistico.

Ore 8.25 – Mosca: parte di Mariupol sotto controllo
L’offensiva nella periferia occidentale e nordoccidentale di Mariupol da parte delle forze della Repubblica popolare di Doneck prosegue «con successo» secondo il ministero della Difesa russo, che ha comunicato di avere preso «il quartiere Stary Krym di Mariupol sotto controllo».

Ore 7.57 -Intelligence Gb: «Contro resistenza Ucraina, la Russia attacca le aree abitate: la tattica già usata in Siria e in Cecenia»
Sorpresa dal livello e dalla forza della resistenza ucraina, la Russia risponde attaccando aree abitate con bombardamenti aerei e terrestri. Lo scrive l’intelligence della Difesa britannica in un tweet. In particolare, le forze armate russe prendono di mira «aree abitate in diverse località fra cui Kharkiv, Chernihiv e Mariupol». La Russia, si fa notare, «ha usato in precedenza tattiche simili in Cecenia nel 1999 e in Siria nel 2016, impiegando sia munizioni aeree che terrestri». Dal canto suo, la difesa ucraina continua a colpire le linee di rifornimento russe, «rallentando il tasso di avanzamento delle loro forze di terra». Infine, la Difesa del Regno Unito segnala che esiste «una possibilità realistica che la Russia ora stia tentando di dissimulare i camion di combustibile per trasformarli in mezzi di sostegno regolare per minimizzare le perdite».

Ore 7.30 – Governo ucraino: Mariupol «sull’orlo della catastrofe umanitaria»
La situazione nella regione di Sumy e nella città di Mariupol è «sull’orlo di una catastrofe umanitaria». Lo ha detto al canale televisivo Ukraine-24 il consigliere del governo ucraino, Vadim Denisenko, specificando che attualmente non c’è elettricità o acqua nelle città di Akhtyrka e Trostyanets nella regione settentrionale di Sumy.

Ore 7.14 – Interrotte le forniture di gas a Kiev e altre città
La guerra in Ucraina sta provocando diffuse interruzioni della distrubuzione del gas: a confermarlo è l’operatore del sistema di trasmissione del gas, citato dai media locali, che «ha dovuto chiudere 16 stazioni di distribuzione del gas – a Kharkiv, Mykolaiv, Zaporizhzhia, Kyiv, Donetsk e Luhansk». L’operatore ha aggiunto di non essere in grado al momento di ripristinare le forniture in alcune delle zone rimaste scoperte.

Ore 7.10 – Kiev, i russi vogliono il controllo della centrale idroelettrica
Le forze russe vogliono assumere il controllo della diga della centrale idroelettrica di Kaniv, situata circa 150 chilometri a sud di Kiev, sul fiume Dnipro. L’allarme arriva dallo stato maggiore delle forze armate ucraine: le unità russe – hanno riferito alle prime ore di oggi i militari – stanno tentando di tutto per penetrare nella periferia sud-occidentale della capitale Kiev.

Ore 6.13 – Spari sui civili: evacuazioni difficili a Bucha e Gostomel, almeno 3 morti
Spari contro i civili bloccano le evacuazioni di Bucha e Gostomel, vicino Kiev. A denunciarlo sono i residenti dell’area secondo quanto riportato dai media locali. Le ricostruzioni parlano di almeno tre morti, fra i quali una volontaria che aveva appena consegnato cibo a un rifugio. La ragazza era assieme ad altre due persone in auto quando i russi hanno attaccato.

Ore 4.00 – Esperti: russi in pausa, nuova offensiva in 24-48 ore
Le forze russe potrebbero essere entrate in una breve pausa operativa in vista della ripresa delle operazioni contro Kiev, Charkiv e forse Odessa nelle prossime 24-48 ore. Lo afferma il think tank americano Institute for the Study for War in un report online, nel quale si osserva come le forze russe non hanno lanciato alcuna offensiva maggiore contro Kiev, Charkiv o Mykolayiv nelle ultime 24 ore.

Rating 3.00 out of 5

I pacifisti vogliono trattare con Putin ma è Putin che non vuole trattare con loro

sabato, Marzo 5th, 2022

di  Alessandro De Angelis

Mentre in Ucraina è in atto un massacro, la cui atrocità è tale rendere inadeguato qualunque aggettivo, un singolare dibattito attraversa l’opinione pubblica e le élite italiane in modo trasversale. Che suggerisce una semplice domanda: ma davvero chi manda le armi per difendere Kiev – non per bombardare Mosca – è contro la pace, e favorisce l’escalation? Non si può intervenire militarmente, come ovvio, se non si può nemmeno aiutare il popolo ucraino a difendersi, che cosa si può fare che non turbi le anime belle di certo, non tutto, il pacifismo nostrano?

La Cisl, non proprio un’associazione guerrafondaia, non ha aderito alla manifestazione di piazza San Giovanni, indetta dalla Rete per il disarmo, diversamente da Uil e Cgil, proprio a causa di questo “equivoco” tra pacifismo e neutralismo, vecchio tic da guerra fredda che scatta a ogni guerra calda. Si dice, nel comunicato che annuncia l’adunata: “La pace è possibile solo fermando la fornitura di armamenti, che possono solo acuire il conflitto”. È un’affermazione impegnativa: se il conflitto prosegue, un po’ di colpe ce l’ha anche l’Occidente che aiuta la resistenza. Stesso concetto viene espresso in un lungo comunicato della Ong Mediterranea: “Il legittimo diritto alla resistenza degli aggrediti non può diventare la scusa dei governi europei per lavarsi la coscienza favorendo l’escalation. Non può voler dire inviare armi senza assumere coraggiose iniziative politiche e lavorare a un cessate il fuoco immediato”.

Certo, se Putin avesse già annesso l’Ucraina, dettando le sue condizioni, la guerra sarebbe già finita. Ogni resa è la fine del conflitto, altro che via diplomatica. E chissà, se compiuta l’annessione, qualcuno avrebbe indetto una manifestazione contro l’imperialismo russo. In fondo, questo dibattito è possibile proprio perché c’è chi non si è arreso. Perché la democrazia, colpita nel cuore dell’Europa, non si è arresa. Invece, in questo gioco degli specchi per cui formalmente tutti sono vicini al popolo ucraino ma sostanzialmente si pratica una equidistanza moralisteggiante, l’equivoco sta nello sbandierare l’idea di un negoziato possibile alternativo all’uso della forza, quando invece la forza, intesa come contrasto all’aggressione, ne è l’unico presupposto.

Quale sarebbe la via diplomatica per far ragionare Putin? Pochi giorni prima dell’invasione del Donbass sono volati a Mosca Scholtz e Macron, e anche il governo italiano pensava, mettendo in agenda una visita che fosse percorribile la via della trattativa. Si è visto quel che è successo e, ancora ieri, il presidente francese, dopo una telefonata con Putin, ha dichiarato che “il peggio deve ancora venire”. La resistenza è dunque la via della diplomazia, però tutta la discussione si è spostata sulle armi che manda l’Occidente, senza soffermarsi più di tanto sulla “gradualità” scelta, proprio per evitare l’escalation che ad esempio sarebbe resa possibile da una no fly zone, che pure il governo ucraino ha chiesto. A quel punto, basta una scintilla e patatrac. Le armi inviate sono difensive, non offensive, ma questo non conta.

Rating 3.00 out of 5

La Russia chiude Twitter e Facebook. La Bbc riapre Radio Londra: cos’era

sabato, Marzo 5th, 2022

Mosca stringe sui media, per oscurare la narrazione sulla guerra e rispondere alle sanzioni del mondo occidentale e dei Big della tecnologia. Limita l’accesso ai siti d’informazione, annuncia il blocco di Facebook e Twitter, mentre approva anche una legge che prevede multe e carcere per chi diffonde ‘fake news’ sul conflitto. Per tutta risposta la Bbc ritira i suoi giornalisti dalla Russia e riapre le trasmissioni ad onde corte come ai tempi di Radio Londra, evocando un sistema che ha già scritto la storia degli eventi bellici del ‘900.

Radio Eco Mosca invece resiste e continuerà a trasmettere su YouTube. In una escalation pari a quella militare la Russia, attraverso il Roskomnadzor, l’agenzia che controlla le comunicazioni, sta bloccando di ora in ora l’accesso a numerosi media indipendenti e ha annunciato prima il blocco di Fb, poi quello di Twitter. Meta ha subito rassicurato sul fatto che «farà il possibile per ripristinare il servizio e dare la possibilità agli utenti di esprimersi in sicurezza e mobilitarsi».

Cos’era Radio Londra

“Radio Londra – si legge su Wikipedia – era l’insieme dei programmi radiofonici trasmessi, a partire dal 27 settembre 1938, dalla BBC e indirizzati alle popolazioni europee continentali.Le trasmissioni in lingua italiana della BBC iniziarono con la crisi di Monaco. Con lo scoppio delle ostilità, nel 1939, Radio Londra aumentò le trasmissioni in italiano fino ad arrivare a 4,15 ore nel 1943.La fortuna delle trasmissioni di Radio Londra derivò dal fatto che il Ministro della Guerra britannico Leslie Hore-Belisha del governo di Neville Chamberlain, anziché gestire in proprio le trasmissioni di propaganda, le aveva affidate ad un ente autonomo, la BBC, già allora fiera della propria indipendenza dal potere politico”.

“La redazione di Radio Londra – conctinua l’enciclopedia libera online – diventò famosa per la sua tempestività nel trasmettere informazioni nel mondo, con il suo tipico stile inglese, diretto e pragmatico. Nel Servizio Italiano si impone la carismatica figura del Colonnello Harold Stevens – il famoso “Colonnello Buonasera” – che, grazie ai suoi commenti pacati e ragionevoli, trasmetteva un senso di serenità e speranza nel futuro. Stevens era stato addetto militare a Roma, il suo italiano aveva l’accento britannico, misto a una rassicurante inflessione napoletana. Altra figura carismatica si rivelò Candidus (pseudonimo di John Marus), che, con la sua dialettica contrastava la propaganda nazi-fascista. Per Radio Londra lavorò dal 1940 anche Thomas Mann, che registrava i suoi messaggi nell’esilio in California. Il ruolo in guerra di Radio Londra divenne cruciale nello spedire messaggi in codice, redatti dagli Alti comandi alleati e destinati alle unità della resistenza italiana.

Le trasmissioni in italiano di Radio Londra erano aperte dalle prime note della 5ª Sinfonia di Beethoven (molto probabilmente perché codificavano – scandite secondo l’alfabeto Morse – la lettera “V”, iniziale di “Victory”, sempre ripetuto da W. Churchill). La BBC continuò a trasmettere in italiano L’Ora di Londra ogni sera fino al 31 dicembre 1981, quando il programma fu chiuso nonostante le proteste di numerosi ascoltatori. Le ultime trasmissioni andavano in onda dalle 22 alle 23 (23-24 quando vigeva in Italia l’ora legale) sulle onde medie di m 251 (1196 kHz) e nei campi d’onda corta di m 31 (9,915 MHz), m 49 (5,99 MHz) e m 75 (3,975 MHz). Pare che almeno centomila italiani avessero conservato l’abitudine di ascoltare la BBC fino ad allora.

Rating 3.00 out of 5

Così Israele si è ritrovato in una tenaglia

sabato, Marzo 5th, 2022

Fiamma Nirenstein

«Non ho visto Bennett avvolto nella bandiera ucraina». Zelensky, disperato e deciso a utilizzare la solidarietà ebraica che gli spetta, ha aperto nei giorni scorsi un fronte di critica verso Israele. Non fa abbastanza, ha detto, chiedendo al premier Bennett di mediare fra lui e Putin. Zelensky ha anche lanciato un commovente appello agli ebrei del mondo intero chiedendo di aiutarlo. D’altronde, l’unico fronte su cui può vincere contro un nemico infinitamente più forte è purtroppo quello della solidarietà.

Venerdì 25 febbraio Israele non si era astenuto sul voto alla bozza di risoluzione Usa al Consiglio di sicurezza Onu, comunque destinata a non passare per il veto russo. Al contrario, mercoledì scorso, Israele ha addirittura co-sponsorizzato la risoluzione di condanna dell’Onu. Cos’è accaduto nel frattempo? Israele ha scelto fra il cuore e la mente e ha deciso per quella cosa strana che si chiama «essere dalla parte giusta della storia». Ma non è stato facile, perché Israele è in un’autentica tenaglia.

Dal 2015, dopo la fuga di Obama, i russi si sono presi la Siria, salvando Assad e fornendo un riparo agli iraniani e a Hezbollah. Di fatto, quindi, Israele confina con la Russia, ed è grazie all’accordo con Putin che quel confine non è un inferno. Senza, Israele non potrebbe neutralizzare le basi militari e missilistiche e i trasporti di uomini e armi che i suoi peggiori nemici compiono a pochi chilometri da Gerusalemme, e Israele sarebbe bombardata ovunque dal confine.

Parallelamente, gli Stati Uniti richiedono oggi a Israele uno schieramento assoluto: dalla Guerra dei Sei Giorni gli Usa sono il maggiore referente strategico, nonché un partner militare e un finanziatore. Un prezzo però c’è: l’associazione di Israele agli Usa nella mentalità comune è costata non poco sul piano ideologico, suggerendo che Israele sia il «piccolo Satana» al servizio di quello grande, colpevole di imperialismo e malefatte mondiali. Ma l’alleanza è vitale. La Cnn, pilastro dell’informazione antisraeliana, ha ripetuto che Israele non si univa la blocco antirusso; per molti si sarebbe anche rifiutato di fornire il sistema missilistico Iron Dome a Kiev, cosa impossibile per i tempi lunghissimi e l’indispensabile assenso americano. Il governo è restato in equilibrio con un gioco delle parti fra Naftali Bennett e Yair Lapid, ministro degli Esteri, ma oggi ogni leader israeliano condanna in ogni discorso Putin: il sentiero della prudenza era troppo stretto anche se vitale, soprattutto quando entra in gioco il nucleare.

Rating 3.00 out of 5

Quante reclute ingannate nel Vietnam dei russi

sabato, Marzo 5th, 2022

DOMENICO QUIRICO

È difficile fissare il momento del fallimento della guerra. Non tutti gli uomini che la combattono, anche quelli dell’esercito che forse vincerà, quello russo, si sono alzati insieme nel mezzo della guerra. Alcuni non l’hanno scavalcata, o spinta fino in fondo. Non tutti hanno sopportato, con la loro ferraglia più o meno scientifica e tutta perversa, di diventare inumani. L’hanno mancata, la guerra. Per fortuna. E da questa guerra sono stati vinti. Questa guerra d’Ucraina è cattiva perché vince gli uomini. Questa guerra moderna, di ferro e di bugie. Questa guerra scientifica, implacabile in cui non c’è più nulla, nemmeno l’illusione o la forma, di quello che un tempo si bestemmiava come «arte». I vinti dalla guerra sono i soldati russi che telefonano alle madri, per piangere insieme. Entrati nella guerra non urlando ma a capo chino, spesso ingannati. Non dimentichiamo la loro mirabile nudità, non confondiamoli.

Attenzione a non farsi illusioni. la Russia vincerà, forse sta già vincendo. Giorno dopo giorno la resistenza ucraina sotto il semplice peso del nemico si flette, lentamente. Poi di colpo si spezzerà. I russi dominano il cielo e la terra, hanno invaso il cielo come hanno invaso la terra con fragore di aerei e missili. Hanno artiglieria e corazzati spropositati, schiaccianti.

Ma l’esercito russo non è un blocco unico, è attraversato da faglie e da strati, come se fosse formato da classi sociali diverse. Perché anche negli eserciti come nella società che li produce si distinguono classi lontane tra loro, ben riconoscibili nell’abbigliamento, nel mondo di comportarsi, nel rapporto con i superiori. La guerra li costringe a ricominciare da capo, a imparare il mondo, li avvicina alle cose, chiarisce i pensieri. E li separa brutalmente.

Ci sono i soldati “d’élite”, l’ultima generazione di guerrieri creata da Putin sul modello occidentale, ben armati, addestrati, ben pagati, «gli specialisti» che non hanno bisogno nemmeno di una ideologia. Combattere è la loro ideologia, cercano nel vincere la motivazione sufficiente. Professionisti. Lavorano nella costanza definitiva del loro furore, trionfano. Con loro Putin può mescolare tutti i veleni e attizzare tutti i fuochi del suo inferno. Difficile che lo abbandonino. E poi ci sono gli altri. Quelli che pensavano di andare alle esercitazioni al confine e poi hanno scoperto che venivano catapultati in una “operazione militare”. I richiamati, la leva, i “poilu” con cui si sono sfamate di carne tutte le guerre grosse: che forse a una guerra così, pur vestendo un’uniforme, non avevano mai pensato.

Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.