Archive for Marzo, 2022

L’Occidente è più impantanato di Putin. Alla fine è “Cina pensaci tu”

martedì, Marzo 8th, 2022

di Gianni Del Vecchio

“Penso che la Cina abbia una certa influenza sulla Russia. Ho discusso con il ministro degli Esteri cinesi questa mattina ed ho chiesto alla Cina di usare tutta la sua influenza in potenziali iniziative diplomatiche e arrivare a un cessate il fuoco. La Cina può giocare un ruolo, non come mediatore, perché è molto vicina alla Russia, ma può giocare un ruolo. Ha un’amicizia e delle connessioni con la Russia e può giocare un ruolo cruciale per una soluzione diplomatica alla crisi”. A parlare è Josep Borrell, il capo della politica estera comunitaria, in una conferenza stampa assieme al ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian. Dettaglio non trascurabile quest’ultimo, visto che martedì sarà il presidente francese Macron in persona ad alzare la cornetta e chiamare l’omologo cinese Xi Jinping per chiedergli di far ragionare Putin. Insomma, l’Europa si affida a uno spudorato “Cina, pensaci tu” che nasconde la grande difficoltà negoziale in cui l’Occidente si trova in questo momento: impantanato diplomaticamente, più o meno come lo è la Russia sul campo in Ucraina. L’Europa infatti non vuole fare un passo in avanti su entrambi i dossier più caldi: le sanzioni a gas e petrolio russi e l’invio di ulteriori armi all’Ucraina. E non vuole farlo per più di una buona ragione rispedendo al mittente la grande spinta di Stati Uniti e Gran Bretagna, tanto che più di un osservatore nota una prima importante incrinatura nell’asse atlantico dall’inizio della guerra.

Partiamo dalle sanzioni. Sul tavolo del prossimo consiglio informale di giovedì prossimo a Versailles c’è il quarto pacchetto di misure economiche contro la Russia. Non è un mistero che gli Stati Uniti stiano da qualche giorno pressando fortemente affinché venga boicottato l’acquisto di petrolio russo. Una misura, questa, che metterebbe davvero in ginocchio l’economia di Mosca: il greggio conta per tre volte il gas in termini di entrate per le ormai disastrate casse russe. Ed è proprio per questo che gli americani vogliono colpire proprio lì. Però quando si parla di sanzioni c’è sempre il rovescio della medaglia e cioé quanti punti di crescita economica mangeranno qui in Occidente, in particolare in Europa. Mettere dei limiti alle importazioni di energia da parte della Russia rischia di far davvero male agli europei, soprattutto a quei paesi che più dipendono dal metano che arriva dai gasdotti siberiani. Stiamo parlando di Germania e Italia, in primis: Berlino importa addirittura il 51% di oro blu da Mosca (e il 50% del carbone più il 35% di petrolio), l’Italia si “limita” a un più contenuto 40%. Percentuali mostruose, che non possono essere sostituite completamente con altri fornitori e con altre fonti energetiche né nel breve né nel medio termine. Insomma, se si vuole azzerare il consumo russo prima di almeno due-tre anni non ci sono grandi alternative: le imprese tedesche e italiane dovranno fare i conti col razionamento energetico e con il blocco della produzione per un tot di ore al giorno. Proprio per questo il cancelliere tedesco Scholz ha messo le cose in chiaro: “l’approvvigionamento russo è di essenziale importanza” .”Il fabbisogno energetico per il riscaldamento, per la mobilità, per il rifornimento dell’elettricità e per l’industria al momento non può essere garantito diversamente”, aggiunge. Il messaggio è chiaro: niente sanzioni energetiche, please. Posizione, questa, su cui si è assestato implicitamente anche Mario Draghi oltre al governo olandese. Pazienza quindi per i desiderata di americani e britannici.

Ma la sintonia fra l’Europa e gli Stati Uniti – che finora era stata massima – s’è bloccata anche su un altro punto non banale: la tipologia di armi da inviare agli ucraini. Biden vorrebbe che la Polonia inviasse i suoi Mig di fabbricazione russa – e in quanto tali capaci di essere pilotati dagli ucraini – a Kiev in cambio di nuovi jet da guerra di fabbricazione americana per Varsavia. Una specie di triangolazione utile a ricostituire parte della difesa aeronautica ucraina. Ma la Polonia non ha nessuna voglia di partecipare a questo scambio, perché sa benissimo che la Russia la considererebbe come una partecipazione attiva al conflitto, con le conseguenze catastrofiche che ne deriverebbero. E su questo Varsavia ha incassato la comprensione di tante capitali europee, a partire proprio da Roma. Il ministro degli esteri Di Maio ha detto esplicitamente che mandare aerei così come istituire una No Fly Zone sarebbero due mosse propedeutiche all’allargamento del conflitto e allo scoppio della Terza Guerra mondiale. Quindi per la Ue più di questo non si può fare, più delle armi inviate (e da inviare nei prossimi giorni) alla resistenza ucraina non si può volere. Con buona pace degli appelli continui di Zelensky su entrambi i punti. Del resto la stessa diplomazia europea si sta rassegnando a uno scenario che non fa piacere a nessuno ma che ormai sembra inevitabile: la “sirizzazione” dell’Ucraina.

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Il patriarca di Mosca si arruola con Putin, guerra giusta “contro la deriva gay”. Missione in salita per gli emissari del Papa

martedì, Marzo 8th, 2022

di  Maria Antonietta Calabrò

Nelle stesse ore in cui il Papa dopo l’ Angelus ha chiamato la guerra con il suo nome, nella giornata di domenica, la domenica del Perdono, che in Russia segna l’inizio della Quaresima, il patriarca di Mosca Kirill, notoriamente legato a Putin, ha pronunciato un sermone scioccante che ha frustato le aspettative di quanti sia da parte cattolica che da quella ortodossa ucraina, avevano levato le loro voci affinchè il patriarca si pronunciasse chiaramente contro la guerra d’invasione. Ma la sua risposta è stata l’opposto. Kirill infatti ha parlato in termini apertamente giustificazionisti della guerra in Ucraina, vista come lotta contro le élite mondialiste e la promozione di modelli di vita peccaminosi e contrari alla tradizione cristiana. L’esempio principale? Il Gay Pride.   Per Kirill lo “scoppio delle ostilità” è arrivato dopo che “per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass”, dove c’è “un rifiuto fondamentale dei cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale”. E secondo lui “oggi esiste un test per la lealtà a questo governo, una specie di passaggio a quel mondo felice, il mondo del consumo eccessivo, il mondo della libertà visibile. Sapete cos’è questo test? È molto semplice e allo stesso tempo terribile: è una parata gay”.    Nel suo sermone al termine della Divina Liturgia nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, il patriarca ortodosso inoltre ha fatto riferimento solo alle vittime filo-russe nel Donbass, e mai a quelle dell’invasione in corso. E ha fatto appello ai credenti a seguire le decisioni delle autorità governative. “Siamo entrati in una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico – ha quindi insistito a proposito della necessità di combattere -. So come, purtroppo, gli ortodossi, i credenti, scegliendo la via di minor resistenza in questa guerra, non riflettano su tutto ciò a cui pensiamo oggi, ma seguano umilmente la strada che mostrano loro i poteri costituiti”.   Il nodo da mettere in luce è che per il Patriarcato di Mosca la guerra contro l’Ucraina è l’occasione di una vera e propria riconquista, visto che dopo lo scisma della Chiesa ortodossa del 2018, ha perso tra il 60 e il 70 per cento dei propri fedeli. La gran parte degli ortodossi ucraini si sono costituiti in una chiesa autocefala che ha avuto la benedizione del Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I. Più che dimezzando così la consistenza della chiesa di Mosca nel suo complesso in tutto il mondo ortodosso (cioè non solo in Ucraina), a favore appunto del Patriarcato di Costantinopoli. Sembra perciò che Kirill segua Putin in modo che si avveri in Ucraina l’ espressione latina “cuius regio eius religio”.   Non è un caso se il 2 febbraio 2022 a pochi giorni dall’invasione, Putin ha insignito il Metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca (e spesso in Vaticano) di una delle massime onorificenze russe: l’Ordine di Aleksandr Nevskij, il santo nobile russo, principe di Kiev, sepolto a San Pietroburgo, la città natale di Putin, di cui è patrono.

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Russia fuorilegge per il diritto internazionale: ecco le violazioni

martedì, Marzo 8th, 2022

di Sabino Cassese

Con l’aggressione a uno Stato indipendente sono state infrante norme dell’Onu e trattati bilaterali. Il possibile ruolo di Osce e Consiglio d’Europa

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Il presidente russo Vladimir Putin (LaPresse)

Tre quarti degli Stati del mondo e cinque sesti dei rappresentanti del popolo europeo hanno duramente condannato l’invasione militare russa dell’Ucraina (la più ampia occupazione militare di un territorio straniero dopo la Seconda guerra mondiale), ma il conflitto continua. Il mondo e l’Europa sono quindi impotenti nei confronti di uno Stato autocratico che aggredisce un altro Stato?

Il presidente russo ha illustrato il 21 febbraio i motivi dell’operazione militare, iniziata tre giorni dopo. Ha detto che l’Ucraina è «parte inalienabile della nostra storia, della nostra cultura, del nostro spazio spirituale», che fu creata dalla Russia bolscevica, «non ha mai avuto tradizioni stabili di vera statualità», è stata sussidiata per venti anni con 250 miliardi di dollari dalla Federazione russa. Questo spiegherebbe il riconoscimento della indipendenza delle regioni di Donetsk e di Luhansk e l’«operazione militare speciale» in Ucraina.

Il presidente russo non ha ricordato che il popolo ucraino aveva votato per l’indipendenza del Paese nel 1991 con una maggioranza del 91 per cento e che nei trenta anni di storia come nazione indipendente ha avuto sei presidenti democraticamente eletti. Ha dimenticato che l’Ucraina era entrata il 24 ottobre 1945, lo stesso giorno in cui entrò l’Unione sovietica, nell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu).

I principi dell’Onu

Ordinando l’aggressione all’Ucraina, il presidente russo ha violato molti principi che reggono l’Onu: il rispetto della sovranità degli Stati, la regola dell’autodeterminazione dei popoli, l’obbligo di risolvere in modo pacifico le controversie, il dovere di astenersi dall’uso della forza, l’obbligo di non interferire con le competenze interne di altri Stati. Ha violato, inoltre, accordi multilaterali sottoscritti dalla Russia, come quelli istitutivi del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), nonché il «memorandum» di Budapest del 1994 e due trattati bilaterali, quali il trattato di amicizia Russia-Ucraina del 1997 e l’accordo del 2010 sulla flotta russa in Crimea. Quindi, dal punto di vista del diritto internazionale, la Federazione russa è ora uno Stato fuorilegge.

Le risoluzioni

Questa anomia della Russia è stata prontamente denunciata dal Parlamento europeo il 28 febbraio, con una risoluzione di condanna presa con 637 voti favorevoli su 705 rappresentanti del popolo europeo, 26 astenuti e solo 13 contrari, e dall’Assemblea generale dell’Onu il 2 marzo con una decisione di condanna presa con il voto di 141 Stati su 193, 5 contrari, 35 astenuti (questi comprendono Cina, India, e altri Stati asiatici e in prevalenza Stati africani), oltre ai non votanti. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, nel discorso del 27 febbraio, ha dichiarato che «non c’è dubbio che Putin voglia costruire un impero russo» e intenda «ridefinire lo status quo in Europa secondo la sua visione». Il presidente del Consiglio dei ministri italiano a sua volta, il 1° marzo, al Senato, ha duramente condannato l’invasione, promesso l’accoglienza dei profughi e l’adozione di sanzioni efficaci e selettive, assunte in modo collegiale e uniforme da tutti i Paesi europei. Il Parlamento italiano, immediatamente dopo, con un voto quasi unanime, ha aderito alla diagnosi del presidente e autorizzato l’invio di armi al popolo ucraino.

Alle condanne hanno fatto seguito le sanzioni alla Russia e l’assistenza ai rifugiati. Utilizzando un regolamento del 2014, l’Unione Europea ha adottato tre pacchetti di misure restrittive riguardanti finora 680 persone fisiche e 53 enti, disponendo il sequestro di beni appartenenti a facoltosi oligarchi russi e il divieto di viaggi. Utilizzando una direttiva del 2001, l’Unione Europea ha poi facilitato l’attraversamento delle frontiere da parte dei rifugiati e disposto la loro protezione temporanea.

Il nodo delle armi

Il presidente russo si è affrettato a dire che le sanzioni economiche disposte dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e dall’Unione Europea, nonché da altri Paesi, sono un atto di belligeranza. Ma cedere armi a un popolo che deve difendersi da un aggressore non fa diventare chi le fornisce parte nel conflitto e non autorizza contromisure. Infatti, l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite riconosce il «diritto naturale di autotutela individuale e collettiva» in caso di attacco armato; contro la Russia si è pronunciata l’Assemblea generale dell’Onu, anche se con una risoluzione non vincolante; la cessione di armi non comporta una diretta partecipazione nel conflitto e quest’ultimo riguarda due nazioni con forze militari molto diverse tra di loro.

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Razionale o psicopatico? La metamorfosi di Putin

martedì, Marzo 8th, 2022

di Sandro Modeo

La guerra scatenata contro l’Ucraina è mossa coerente di un leader razionale o l’azzardo di uno zar impazzito, offuscato dalla paranoia o dai farmaci necessari alla cura delle sue patologie? Un’analisi nella mente del presidente della Russia — perché capirne la prospettiva è indispensabile per intuirne le mosse (e la durata del conflitto)

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La domanda, purtroppo, è tutt’altro che oziosa, al punto da avere attivato da qualche giorno un’animata discussione internazionale ed essere diventata nelle ultime ore, non a caso, la «priorità» americana (dei servizi e del Pentagono): cercare di capire, almeno con approssimazione accettabile, se il presidente della Federazione Russa con cui dobbiamo «interloquire» per il conflitto da lui scatenato si ponga come «Putin the Rational» o «Vlad the Mad» (col secondo epiteto che allude al conte di Valacchia, l’«impalatore» prototipo di Dracula); o, forse, un ibrido tra le due identità, in alternanza o persino in sovrapposizione. Soprattutto da quell’interrogativo, infatti (anche se per fortuna non solo da quello, dato che incideranno fattori oggettivi, «esterni» alla personalità putiniana), dipendono le variabili dell’evoluzione bellica e politica: compresa, inutile girarci intorno, quella che si allunga come una nuova ombra sullo sfumare dell’ombra pandemica, quasi a staffetta: quella di un conflitto prolungato ed esteso o addirittura di un conflitto nucleare.

Il quadro è diviso, quasi polarizzato, con due schieramenti affollati di storici e studiosi di geopolitica, psicologi-psichiatri e neurologi: da una parte abbiamo i sostenitori della continuità, della coerenza e dell’ostinazione progettuale, sia nella visione storico-geopolitica che nella psicologia del presidente (e del suo cerchio magico); dall’altro, quelli che vedono invece un cambiamento più o meno marcato, comunque una metamorfosi, da ricondursi sia ai mutamenti della situazione ucraina sia, soprattutto, a un’alterazione neuropsicologica (per certi aspetti speculare a quella somatico-fisiognomica), dovuta alle varie patologie di cui Putin soffre o soffrirebbe, e alle relative terapie per curarle. Il tracciato è complesso, a tratti persino contradittorio, con buone ragioni da tutte e due le prospettive.

1. La «continuità» / 1: il sogno di una rinascita della Russia
2. La «continuità» /2: i rapporti con l’Ucraina e i momenti-chiave
3. Continuità e discontinuità nella nella psicologia di Putin
4. La metamorfosi e le patologie
5. Il «malato» e il «malvagio»
6. Che fare? Le domande all’Occidente

1. Putin e un sogno di vendetta che arriva da lontano

Nel momento in cui inquadra il crollo dell’Urss come «la più grande tragedia del ventesimo secolo» e abbandona presto l’iniziale apertura al dialogo e all’integrazione con Ue nascente e Nato, Putin mostra già in controluce il disegno soggiacente alle sue politiche future, la madre di tutte le revanches: un disegno descritto dall’esterno come neoimperialista, neosovietico o a mix tra i due, ma in ogni caso teso a un impulso di «riconquista» e «riparazione», di risalita a una grandeur originaria.

Al riguardo, tutti i suoi referenti culturali sono emblemi, in vari sensi, della tradizione e dell’«anima» russa: su tutti, Lev Gumilëv e Ivan Il’in.

Il primo, figlio d’arte (il padre — fatto fucilare da Stalin — era un poeta amatissimo da Raissa Gorbaciova; la madre nientemeno che Anna Achmatova) è un etnologo-geografo tra i massimi teorizzatori del ritorno a una Russia eurasiatica, secondo l’idea di certi esuli in età sovietica; il secondo, un «pensatore aristocratico» di iniziali simpatie naziste, che piega la filosofia idealistica tedesca in chiave slavofila (lui stesso si proclama discendente da Rjurik, il fondatore della Rus’ di Kiev) per rilanciare una Russia spiritualista e anticomunista, insieme antioccidentale e antisovietica. A concentrato esponenziale, non si può non citare il «Rasputin» Aleksandr Dugin, equivalente putiniano dello Steve Bannon trumpiano: perché è vero che Putin lo utilizza soprattutto in modo strumentale per aumentare il consenso, ma gli fa gioco la teoria delirante del «sogno eurasiatico», che vede nella Russia la nuova incarnazione dell’«Eterna Roma» espansa sia a est (fino all’Oceano Indiano) che a ovest (con l’Ue ridotta a «protettorato») e nell’America la nuova Cartagine (o la «chimerica», «impura» Nuova Babilonia). Anche se — con pronta e non casuale virata — Dugin vede nell’America trumpiana un interlocutore sintonico. Condendo il tutto con un non meno calcolato amplesso alla Chiesa ortodossa (vedi la sua frequentazione dell’archimandrita Tychon, stesso nome del «confessore» di Stavrogin, il protagonista dei Demoni di Dostoevskij), Putin conduce così lungo il «ventennio» le sue guerre: in Cecenia tra fine anni ’90 e nuovo millennio (con la devastazione di Groznji), in Georgia (2008), in Crimea e già in Ucraina (2014) in Siria (2015), a tacere della presa silente del Kazakhstan, che viene puntualmente ricordata quasi solo da Garry Kasparov, uno dei pochi ad aver capito tutto e presto.

2. Perché Putin ha puntato l’Ucraina? La Grande e la Piccola Russia

Una simile continuità è spesso legata al controllo degli snodi geo-strategici (Mare d’Azov e Mar Nero) e soprattutto delle risorse e dei traffici delle aree volta a volta (ri)occupate, quindi del relativo business statal-mafioso, come riassume proprio il rapporto tra Russia e Ucraina. Anche in questo caso, Putin utilizza a cornice — ancora in queste ore — una rilettura deformante di fatti e processi storici, riassunta addirittura in un saggio di suo pugno (Sull’unità storica di russi e ucraini, 12 luglio 2021) in cui l’indissolubilità originaria dei due popoli viene fatta risalire alla citata Rus’ di Kiev , e quindi alla comune origine da etnie scandinave migrate nelle aree della futura Madre Russia.

Poco importa che in realtà l’Ucraina (alla lettera: terra «al confine») abbia poi cercato lungo i secoli in molte occasioni di arrivare a un’autonomia che rifletta una propria identità nazionale; e — peggio ancora — che nel nuovo millennio abbia cercato l’integrazione geopolitica nell’Ue.

Qui siamo allo snodo-chiave, e al perverso intreccio Stato-mafia, che si salda al coté ideologico — o se vogliamo idealistico — come i muscoli alla struttura ossea di un organismo. Intreccio già in parte descritto da Roberto Saviano (qui), sul quale esiste un’oceanica bibliografia.

In estrema sintesi, lo schema rodato è per lungo tempo il seguente: il gigante Gazprom vende enormi cubature di gas naturale alla gemella ucraina Rue (RosUkrEnergo) «a prezzi stracciati», consentendo agli intermediari (come il controllore de facto di Rue, il boss «Don Semyon» Mohylevič, o oligarchi «buoni» come Dmytro Firtaš e il re dell’alluminio Oleg Deripaska) di trasportarlo (via Turkmenistan) e rivenderlo (anche ai Paesi europei) a prezzi astronomici: in cambio delle «creste», Putin (che ne beneficia in prima persona) chiede finanziamenti ai Partiti filorussi come il partito delle Regioni e ai relativi candidati-fantoccio (un nome per tutti: Viktor Janukovyč), che a loro volta si arricchiscono.

La summa materiale e simbolica di tutto questo è la cosiddetta Mežyhir’ja dello stesso Janukovyč, la «Versailles di Ucraina» in cui il presidente travasa una minima parte dei 12 miliardi di dollari acquisiti durante la presidenza: un’immane magione in cui risaltano uno zoo privato con canguri e struzzi, un galeone ancorato in un lago artificiale, 70 automobili da collezione, eliporti, e molto altro. Venatura non trascurabile: questo assetto di potere e business (in cui i confini tra Stato e mafia sono «fluidi» e «ibridi» come quelli tra guerra e pace nella teoria militare dell’attuale capo delle Forze Armate Valerij Gerasimov) acuisce presto il suo carattere transnazionale con inserzioni yankee: vedi la figura di Paul Manafort, decisivo (e strapagato) spin doctor di Janukovyč prima di diventarlo per Trump, e quindi ponte ideale verso la connection o collusion Trump-Putin.

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La villa di Janukovyč (Afp/Getty Images)

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La black list secondo Mosca: tra i Paesi ostili alla Russia anche l’Italia. Quali ritorsioni rischia?

martedì, Marzo 8th, 2022

di Federico Fubini e Fiorenza Sarzanini

È lo strumento che Putin ha deciso di utilizzare per bilanciare le sanzioni imposte in accordo con l’Unione Europea. Possibili anche conseguenze sul credito alle aziende

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L’effetto immediato è il rientro urgente in patria degli italiani, già sollecitato dalla Farnesina. Ma se la guerra dovesse durare ancora a lungo, le conseguenze dell’inserimento del nostro Paese nella lista degli Stati «ostili» alla Russia potrebbero essere ben più pesanti. Perché è lo strumento che Vladimir Putin ha deciso di utilizzare per bilanciare le sanzioni imposte in accordo con l’Unione Europea. E quindi i danni economici potrebbero essere pesanti, così come le conseguenze sulla vita quotidiana con il taglio delle materie prime e dell’energia.

Il rilascio dei «visti»

Le autorità di Mosca potrebbero ritirare il visto agli stranieri, oppure applicare nei loro confronti le nuove regole sull’informazione che prevedono multe altissime e l’arresto per chi è accusato dalle autorità locali di divulgare notizie false. Per questo viene raccomandato il rientro in Italia.

Rimborsi in rubli

Le aziende dei Paesi presenti nella lista nera sarebbero rimborsate dei loro crediti in rubli, anziché nella moneta nella quale il pagamento era stato previsto nei contratti commerciali. Il rublo si è già svalutato del 45% sull’euro. Sul piano finanziario si tratta dunque di un default di fatto da parte delle entità russe verso i loro creditori, perché saranno ripagati in una valuta che ha già perso molto valore e altro ancora ne perderà sicuramente in futuro. Al momento la banca centrale russa può solo stampare rubli e fornirli alle imprese, che con quelli pagheranno i creditori italiani, tedeschi o francesi. Ma l’aumento della massa monetaria in rubli a sua volta contribuisce alla svalutazione e all’inflazione.

Le banche esposte

Le banche italiane sono le prime in Europa per il volume lordo delle esposizioni sulla Russia: 25,3 miliardi di euro al 30 settembre 2021, secondo la Banca dei regolamenti internazionali. E sono anche quelle in Europa che, in proporzione, hanno ridotto di meno la propria esposizione sulla Russia dopo la prima aggressione all’Ucraina nel 2014. Le banche tedesche e francesi invece hanno molto tagliato le loro posizioni nel Paese.

Le aziende

Uno dei rischi paventati dagli analisti internazionali riguarda la nazionalizzazione delle aziende. Proprio come ritorsione alle sanzioni il governo di Mosca potrebbe decidere di acquisire la proprietà o quantomeno il controllo delle ditte che operano in Russia.

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Ucraina – Russia, news sulla guerra di oggi: Mosca minaccia di tagliare il gas all’Europa. Bombe su Sumy, «uccisi bambini»

martedì, Marzo 8th, 2022

di Lorenzo Cremonesi, Marco Imarisio, Andrea Nicastro, Marta Serafini, Fabio Postiglione

• La guerra tra Russia e Ucraina è arrivata al tredicesimo giorno: dal campo non arrivano spiragli, Kiev si prepara al peggio.
• I colloqui tra Kiev e Mosca, ripresi ieri, sembrano lontani da uno sviluppo concreto. Le condizioni di Mosca (neutralità dell’Ucraina, «con la rinuncia ad entrare in qualsiasi blocco»; riconoscimento della Crimea come «territorio russo»; secessione del Donbass; cessione alla Russia della città di Kharkiv) sono inaccettabili per Kiev; i negoziati continueranno.
• Il punto militare: Mosca avrebbe perso centinaia di mezzi, e — secondo Kiev — 11 mila soldati (i russi ne ammettono solo 500). Nella notte nuovi attacchi a Odessa, porto strategico sul Mar Nero.
• Le vittime: centinaia, tra i civili, mentre gli sfollati sono ormai oltre 1,5 milioni. Secondo funzionari militari ucraini, nel corso di un bombardamento a Sumy questa notte «sono stati uccisi bambini». A Mariupol non c’è acqua né elettricità
• La Russia ha diramato una lista di «Paesi ostili» alla Russia a causa delle sanzioni: c’è anche l’Italia, e qui si spiega cosa cambia ora.

***

Ore 8.43 – Zelensky: ci sarà la “guerra mondiale”
«Questa guerra non finirà così. Scatenerà la guerra mondiale»: lo ha detto ieri sera il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel corso di un’intervista al programma «World News Tonight» della Abc. Zelensky afferma inoltre che il presidente russo Vladimir Putin è un criminale di guerra: «Tutti coloro che sono venuti sulla nostra terra, tutti coloro che hanno dato gli ordini… sono tutti criminali di guerra».

Ore 8.39 – Kiev, tregua per evacuazione civili da Sumy
La vicepremier dell’Ucraina, Irina Vereshchuk, in un video diffuso dai media ucraini, ha riferito dell’accordo con Mosca, per una tregua, così da consentire l’evacuazione dei civili da Sumy. «I primi autobus — ha affermato — partiranno da Sumy alle 11 ora di Mosca (le 9 in Italia, ndr)». Il cessate il fuoco riguarda il corridoio Sumy-Poltava.

Ore 8.34 – Cosa succede ora all’Italia?
Nelle scorse ore, la Russia ha inserito l’Italia nella lista dei Paesi ostili. Ma cosa cambia, per il nostro Paese? Qui un elenco delle conseguenze (e qui il pezzo che spiega tutto, nel dettaglio)

• L’effetto immediato sarà il rimpatrio dei nostri connazionali, già sollecitato dal ministero degli Esteri
•Stop ai visti, con sospensione di quelli già attivi (da qui il rimpatrio)
•Pagamento dei creditori stranieri in rubli, una botta se si considera che la moneta russa si è già svalutata del 45% sull’euro. Di fatto «si tratta dunque di un default da parte delle entità russe verso i loro creditori». Per i russi è anche un modo di mascherare il fatto che la loro banca centrale, per effetto delle sanzioni, deve congelare le sue riserve di valuta estera, e le loro imprese ne sono dunque sprovviste
•Banche e aziende «Le banche italiane sono le prime in Europa per il volume lordo delle esposizioni sulla Russia: 25,3 miliardi di euro al 30 settembre 2021». Quanto alle aziende, Mosca potrebbe nazionalizzare quelle che operano sul suo territorio
•Grano e mais Un quinto del commercio mondiale di mais è rappresentato da Russia e Ucraina: l’aumento dei costi può avere conseguenze su tutta la catena alimentare. C’è poi il caso del grano tenero: l’Italia dovrà rinunciare al 6% che importa dalla Russia, che si aggiunge al 30% sospeso dall’Ungheria per ragioni di sicurezza.

Ore 8.27 – Londra: da Mosca giustificazione a posteriori per invasione
«Dalla fine di febbraio c’è stato un notevole aumento delle accuse russe secondo cui l’Ucraina sta sviluppando armi nucleari o biologiche. Queste storie sono di vecchia data, ma al momento sono probabilmente amplificate come parte di una giustificazione a posteriori per l’invasione russa dell’Ucraina». Lo riferisce il ministero della Difesa britannico, in un aggiornamento dell’intelligence.

Ore 8.06 – Ucraina, prevista chiamata Macron-Scholz con Xi
Il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz avranno una telefonata oggi con il presidente cinese Xi Jinping. I due leader europei, insieme al premier britannico Boris Johnson, ieri si sono sentiti con il presidente americano Joe Biden.

Ore 7.59 – Gazprom, traffico gas via Kiev prosegue con stesso volume
Il transito del gas di Gazprom tramite l’Ucraina prosegue con lo stesso volume di 109.5 milioni di metri cubi al giorno. Lo rende noto l’agenzia di stampa russa Ria Novosti.

Ore 7.54 – Attacco a Sumy: oltre 9 vittime, anche bambini
Le forze russe hanno lanciato ieri notte un attacco aereo contro la città ucraina di Sumy, circa 350 chilometri ad est di Kiev, provocando oltre
almeno nove vittime, tra cui due bambini. Lo riferiscono i servizi si soccorso ucraini. «Degli aerei nemici hanno attaccato fortemente edifici residenziali», hanno spiegato su Telegram i servizi di soccorso, arrivati sul luogo verso le 23 locali. Sumy, vicino alla frontiera russa, è teatro di violenti combattimenti da diversi giorni. A Sumy c’è stata una «battaglia impari» con le forze russe che hanno bombardato la popolazione civile. Anche dei bambini «sono stati uccisi». Lo ha detto su facebook il capo dell’amministrazione militare regionale, Dmytro Zhyvytsky

Ore 7.52 – Il Giappone vara nuove sanzioni contro Russia e Bielorussia
Il Giappone ha imposto ulteriori sanzioni contro Russia e Bielorussia in conseguenza dell’invasione dell’Ucraina congelando i beni di 32 funzionari e oligarchi russi e bielorussi. Ad annunciarlo è stato oggi il capo di gabinetto del governo di Tokio, Hirokazu Matsuno, che ha parlato di un’intensificazione dell’attacco da parte della Russia e di un «chiaro coinvolgimento» della Bielorussia.

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Bonomi attacca: “Giusto riformare il catasto”. Pescherecci già fermi per il caro carburante

lunedì, Marzo 7th, 2022

Scintille sulla riforma del catasto tra Confindustria e Confedilizia. Sul tema, quantomai divisivo anche in seno al governo, ieri si è espresso il numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi. «Il catasto non è congruo ed equo, è dell’800 e va rifatto», ha tagliato corto il presidente di viale dell’Astronomia, ricordando che la riforma rientra tra gli impegni presi con il Next Generation Eu in cambio dei fondi del Pnrr. «Non è vera né l’una né l’altra cosa. Ma se (Bonomi ndr) è favorevole avrà i suoi motivi», ha subito risposto con un tweet il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa.

Il numero uno dell’associazione dei proprietari immobiliari non ha detto il falso. La delega fiscale è una riforma «di accompagnamento» e non è «abilitante» (cioè l’erogazione dei fondi non è subordinata alla sua implementazione). L’aggiornamento dei classamenti, inoltre, è stato effettuato negli anni scorsi da alcuni Comuni sulla base della manovra 2004, quindi non è tutto fermo da più di un secolo.

Bonomi, tuttavia, ha cercato di farsi interprete di un malessere della classe imprenditoriale, preoccupata per una ripresa ormai zoppicante e che vede la politica pensare ad altre priorità. «Non è vero che» con il nuovo catasto saliranno le tasse, «ci sarà un aumento fra 5 anni se il governo lo deciderà», ha sottolineato polemicamente a Mezz’ora in più. «Abbiamo problemi più importanti da affrontare», ha concluso.

Ecco perché, secondo il presidente degli industriali, il new deal di Draghi non può prescindere da una revisione dei tempi e degli obiettivi del Pnrr. L’invasione russa in Ucraina «mette a rischio» la crescita del pil italiano, che stava peraltro già rallentando a fine dello scorso anno per il problema dell’energia. Freno che ora si è «aggravato». Il caveat di Bonomi segue quello lanciato sabato dal centro studi della stessa Confindustria che vede un’altra frenata dell’attività industriale a febbraio (-0,3%). E plastica rappresentazione dei settori ormai allo stremo è la decisione dei pescherecci di non uscire in mare per tutta la settimana: sciopero generale perché il gasolio è troppo caro. «Il governo deve intervenire anche per contenere il costo dei carburanti che rischia di mettere in ginocchio settori strategici come pesca e agricoltura», ha commentato il leader leghista, Matteo Salvini, chiedendo a tutti i partiti di sostenere un emendamento ad hoc al dl Energia.

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Le fake bipartisan e l’Occidente senza più verità

lunedì, Marzo 7th, 2022

Marco Zucchetti

Ai tempi dell’Unione Sovietica, quando i due quotidiani più popolari erano la Pravda («Verità», l’organo del Partito comunista) e Izvestija («Notizie», organo del Soviet supremo), sottovoce a Mosca si scherzava sul fatto che «nella Verità non ci sono notizie, nelle Notizie non c’è verità». A Cortina di ferro crollata, Urss implosa e Kgb dissolto, in piena era del «fact checking» e dei social che ci avvicinano agli eventi, questi primi dieci giorni di guerra dimostrano che non è cambiato granché. La disinformatia è ancora una specialità in cui si eccelle sul fronte orientale e noi fatichiamo a trovare contromisure.

Una premessa obbligatoria: un fatto incontrovertibile esiste, e cioè che Putin – poco contano al momento le ragioni profonde e geopolitiche – ha invaso un Paese straniero, causando migliaia di morti. Nessuno dei 116 siti di propaganda filo-russa censiti recentemente potrà mai cambiare questa realtà. Ma al di là di questo macro-avvenimento, la narrazione del conflitto è costellata da bugie provenienti da entrambe le parti, annunci smentiti, video postdatati, ricostruzioni parimenti plausibili. Il risultato è che mai come in questa guerra tutto l’Occidente si ritrova a leggere notizie da fonti anche attendibili, ma senza sapere quanto durerà quella certezza. Ma se nemmeno la corrispondenza di un reporter inappuntabile o la voce di un’istituzione terza è definitiva, si crea un clima destabilizzante di sospensione perenne della verità.

Gli elenchi sono aridi, ma il numero di ritrattazioni di cui siamo impotenti testimoni è impressionante: i 13 soldati ucraini morti da eroi sull’Isola dei Serpenti in realtà erano stati fatti prigionieri; i razzi dei separatisti sull’asilo di Luhanski in realtà provenivano dall’artiglieria russa; i «diecimila soldati invasori annientati» da Kiev sembrano essere molti meno, e non per i presunti «forni crematori» portatili di cui ha parlato Zelensky. E ancora nell’«Ucraina nazista», il partito di estrema destra Svoboda ha preso il 2,15% e ha un solo parlamentare, le immagini dell’addio dei ragazzi di Donetsk partiti per il fronte alle loro fidanzate sono tratte da un documentario del 2017, il mediatore-traditore giustiziato dai Servizi di Kiev ora sembra essere caduto in missione per mano russa. Non ci sono prove del genocidio della popolazione russa nel Donbass, non ci sono prove degli stupri etnici di cui si sarebbero macchiati i soldati di Mosca; l’attacco alla centrale nucleare da parte dei russi, per il Cremlino è opera dei sabotatori-provocatori ucraini; Zelensky è fuggito in Polonia, anzi è con il suo popolo e resiste; i russi bombardano i civili in fuga, no sono gli ucraini a non farli uscire e a usarli come scudi umani. E che dire del video da film dell’elicottero abbattuto dalla resistenza e quello di Putin con la mano che «attraversa» il microfono? Tutto ci appare verosimile, la fake e il suo doppio, il complotto e la sua negazione.

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Gentiloni: “Dalla crisi nasce la nuova Europa e sarà autonoma su energia e Difesa”

lunedì, Marzo 7th, 2022

MARCO BRESOLIN

DALL’INVIATO A BRUXELLES. «Il 24 febbraio ha cambiato il corso della storia europea. Ci ha fatto capire che la libertà non è un optional lussuoso e ci ha tolto l’illusione di un ritorno alla normalità. Ma soprattutto ci impone un salto, un secondo momento costituente dopo il successo del primo. Con il Covid è stato il momento della solidarietà, oggi è quello dell’autonomia. Soprattutto in campo energetico e in quello della Difesa». Paolo Gentiloni è convinto che la Storia stia portando l’Unione europea a un nuovo punto di svolta. Il secondo nel giro di due anni. Il commissario all’Economia difende le sanzioni alla Russia, ma sa che potrebbero non bastare per fermare l’invasione in Ucraina. E questo per l’Occidente è «un vero e proprio dilemma». La crisi «non si risolverà nel giro di qualche giorno» e quindi «bisogna attrezzarsi per un periodo più lungo». Da un lato bisogna tenere la barra dritta con Mosca e fare il possibile per difendere l’Ucraina, ma al tempo stesso bisogna anche proteggere la crescita dell’economia europea che si sta rialzando dopo la pesante recessione causata dalla pandemia. Fare insomma «una politica di crescita in tempo di guerra».

La scelta di finanziare l’invio di armi all’Ucraina con fondi Ue è un sintomo di questo momento costituente?
«Abbiamo preso una decisione senza precedenti: destinare 500 milioni di euro per fornire armi e altri dispositivi a un Paese aggredito. E lo abbiamo fatto con un consenso unanime. Anche su questo il vertice russo aveva fatto i conti sbagliati».

Al di là delle forniture militari a Kiev, l’Occidente sta combattendo una guerra principalmente economica: crede che basterà per fermare Putin?
«La risposta dell’Ue e degli alleati atlantici è stata molto forte, unita. E l’impatto di questa reazione sull’economia russa è enorme. L’Occidente è però alle prese con un dilemma: non è detto che questa risposta all’aggressione militare farà cambiare idea a Putin. Questo ovviamente non incrina la nostra scelta, che si è già mostrata molto rapida ed efficace. Molto più efficace della sua ipotetica guerra-lampo. Ma il dilemma resta».

Chi spera che le cose possano cambiare grazie a una “rivolta” dei cittadini russi o degli oligarchi rischia di rimanere deluso?
«Certamente Putin rischia di portare il suo Paese alla rovina economica e di costringerlo a essere il junior partner di una Cina peraltro riluttante. Questo avrà un impatto rapido anche sulla popolazione civile: ci saranno conseguenze in termini di occupazione, sull’inflazione. Nelle città e tra i giovani c’è già una maggiore consapevolezza. Inoltre le decisioni dei Paesi occidentali sugli oligarchi potrebbero cambiare gli equilibri interni al potere russo. Ma non abbiamo alcuna certezza. E quindi questa scelta, che è sacrosanta, di rispondere alla guerra non con la guerra ma con l’economia – oltre che con la diplomazia e la solidarietà – non è detto che nell’immediato possa far cambiare rotta a Mosca. Dunque bisogna attrezzarsi per un periodo più lungo».

Quanto lungo?
«È una crisi drammatica, con conseguenze umanitarie immani. Ma non si risolverà nel giro di qualche giorno. Dovremo gestire l’economia Ue in tempo di crisi e con una guerra ai nostri confini. Per ora le conseguenze sul settore bancario sono contenute, mentre il settore energetico potrebbe finire sotto pressione. Per questo bisogna attrezzarsi. Ci saranno conseguenze sulle catene di approvvigionamento, sulle materie prime e sulla produzione alimentare, soprattutto nei Paesi più poveri. Perché Russia e Ucraina sono ancora il granaio del mondo».

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La strage di Kiev: “Io, sorpreso dal boato. Poi quei corpi a terra”

lunedì, Marzo 7th, 2022

Gianluca Panella

Là al ponte di Irpin tutto è cambiato. I colpi di mortaio atterrano sulla strada.

Sono assordanti, gli uomini che presidiano il crocevia da cui nasce il rettilineo di tre chilometri che attraversa il bosco fino al ponte crollato sul fiume, ci intimano di non entrare. Ci dicono che un colpo di mortaio ha ucciso dei civili. È atterrato sulla strada, ma questa volta dalla parte del ponte dove ieri avevamo documentato l’esodo di donne, bambini e anziani, attraverso lunghe file di autobus. Adesso i mortai atterrano lì.

La situazione oggi è grave, i russi hanno preso Bucha, la popolazione non può lasciare la città e l’artiglieria russa si abbatte sulle strade di Irpin. La battaglia è diventata molto più violenta nelle ultime ventiquattro ore.

Un’intera famiglia: il papà, la mamma, una figlia adolescente con suo fratello che pareva coetaneo. La mamma con i figli muoiono sul colpo, sembra mancare un corpo, forse il padre è stato trasportato in fretta perché mostrava ancora segni di vita.

Il fatto che fossero civili ci obbliga ad andare immediatamente. Noi serviamo a questo: a raccontare gli effetti della guerra su chi la guerra la subisce.

La corsa in auto termina presto. Il driver non va avanti più di così, non ci porterà al parcheggio di fronte al grande magazzino come ha fatto ieri. Parcheggia dentro al bosco che costeggia la strada infilandosi in una strada fangosa e ci ritroviamo circondati da truppe ucraine nascoste che sorvegliano l’area.

Scendiamo dall’auto in fretta, sulla destra un soldato mimetizzato tra i cespugli, più avanti un altro che sta azionando un piccolo drone.

Attraversiamo la strada e ci dirigiamo verso quel ponte devastato. Corriamo bassi mentre i colpi di mortaio si alternano a gruppi di tre. Quaranta secondi tra l’uno e l’altro.

Via dall’asfalto, pensiamo. Non c’è niente di più pericoloso. Un mortaio, colpendo una superficie dura, crea danni maggiori; le schegge arrivano più lontano anche del triplo della distanza alla quale arriverebbero se atterrasse su un terreno morbido. Ci hanno detto che i corpi sono poco prima del ponte, proprio là dove c’è il monumento sovietico.

Corriamo per circa 700 metri, l’altroieri percorrevamo quella distanza seduti comodamente in auto. I muretti di mattoni e le staccionate di lamiera verniciata che strusciano sulla nostra giacca, portano i segni delle schegge, ma non è il momento di pensarci. Dobbiamo arrivare al monumento, fare le foto ai corpi di queste povere persone che cercavano di scappare dall’inferno dei mortai e tornare.

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