Archive for Marzo, 2022

Ucraina, attaccata la centrale nucleare di Zaporizhzhia: l’incendio

venerdì, Marzo 4th, 2022

Le truppe russe hanno attaccato la più grande centrale nucleare d’Europa in Ucraina, a Zaporizhzhia.  Un funzionario del governo ha detto che sono stati rilevati livelli elevati di radiazioni vicino al sito della centrale che fornisce circa il 25% della produzione di energia del paese. Oltre a quella di Zaporizhzhia, l’Ucraina ha altre tre centrali nucleari attive.
(I video sono ripresi da telecamere di sorveglianza e sono senza audio)

LA STAMPA

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“War-tax”, i rincari che ci attendono per riempire il carrello della spesa e i prodotti che potrebbero scarseggiare

venerdì, Marzo 4th, 2022

Paolo Russo

Prezzo del grano e del mais alle stelle con conseguente caro pane e pasta, ma anche bistecche e carni varie alle porte, perché è proprio con il mais importato in larga parte da Russia e Ucraina che alleviamo il nostro bestiame. E poi i concimi provenienti dai territori in guerra che non arrivano più, mettendo a rischio i prossimi raccolti, con la possibilità che vengano poi a mancare sulle nostre tavole anche verdure, pomodori, patate e vino, che com’è noto senza uva non si fa. La “war tax” fa schizzare alle stelle il prezzo di energia e carburanti ed anche, ma non solo per questo, minaccia di abbattersi sulle nostre tavole, dove il caro alimenti si era già fatto sentire da un anno a questa parte. Con ricadute molto più pesanti per le tasche dei meno abbienti, per i quali il governo potrebbe rispolverare il residuato bellico dei buoni pasto se la situazione dovesse precipitare. “Rischiamo di non avere a disposizione le quantità necessarie di fertilizzanti per i prossimi raccolti. E il blocco dell’attività nel porto di Odessa potrebbe far collassare il mercato internazionale dei cereali”, mette in guardia il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. L’Ucraina è infatti il terzo esportatore di cereali a livello globale e la Federazione russa è al primo posto. L’emergenza è mondiale, ma per l’Italia lo è ancora di più, perché come sottolinea Coldiretti noi importiamo il 64% del nostro fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti, mentre da oltre confine arriva il 53% del mais, utilizzato per l’alimentazione del bestiame. E come ricorda l’associazione dei coltivatori diretti, proprio l’Ucraina è il nostro secondo fornitore di mais, con una quota che copre oltre il 20% del nostro fabbisogno, mentre l’import di grano dallo stesso paese ora sotto attacco è pari al 5%. E l’aumento di mais e soia sta mettendo in ginocchio gli allevatori italiani che devono affrontare costi vertiginosi per l’alimentazione del bestiame, già saliti del 40%, visto che il 47% della dieta degli animali allevati nelle nostre stalle è composta da mais, mentre la bolletta energetica è andata su del 70%, incidendo sui costi di produzione.

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I grandi marchi lasciano Mosca, Eni e Generali via con Ikea e Bp

venerdì, Marzo 4th, 2022

di Vittoria Puledda

MILANO – I grandi gruppi abbandonano la Russia. Ieri è stata la volta di Ikea, che ha sospeso produzione, vendita , import ed export, e di Generali, che ha deciso di chiudere la sede di rappresentanza a Mosca, le attività di Europ Assistance nel paese e di ritirare i suoi rappresentanti dal board di Ingosstrakh (ma non di vendere la quota). Dal 2013, infatti, Generali detiene il 38,5% nella compagnia assicurativa, in cui ha una partecipazione del 10% anche l’oligarca Oleg Deripaska. Quota di minoranza quella di Generali (che ha donato 3 milioni a favore dei rifugiati) che nel comunicato aggiunge di «non avere alcuna influenza sulla sua attività».

La compagnia ha aggiunto che «per quanto riguarda gli investimenti finanziari e il business assicurativo, sta valutando costantemente la propria marginale esposizione sul mercato russo ed è conforme al rispetto di tutte le sanzioni che potrebbero essere applicate». Nel frattempo, si sono dimessi dal board russo Giorgio Callegari, Luciano Cirinà (responsabile dei paesi dell’Est per Generali) e Paolo Scaroni, rimasto nel consiglio di Ingosstrakh anche dopo l’uscita dal cda Generali.

Anche dal mondo delle auto, all’hi-tech, a quello dell’intrattenimento, della moda e delle spedizioni, e soprattutto a quello petrolifero, le multinazionali stanno girando le spalle a Putin. L’elenco è lungo: Volkswagen, Toyota, Honda e Mazda (che fermerà le forniture di parti di ricambio) mentre Apple e Nike hanno bloccato le attività commerciali, anche online. In campo energetico la prima a muoversi era stata Bp, che vuole cedere la sua quota di quasi il 20% in Rosneft, anche a fronte di una perdita stimata in 25 miliardi di dollari. Shell vuole uscire dalla joint venture con Gazprom, mentre Exxon sta pianificando una uscita graduale dal paese. La norvegese Equinor ha cessato le partnership con Rosneft, e ha detto addio a Putin anche la danese Orsted. Da giorni anche Eni ha annunciato per quanto riguarda la partecipazione congiunta e paritaria con Gazprom nel gasdotto Blue Stream (che collega la Russia alla Turchia), che «intende procedere alla cessione della propria quota».

Diversa invece la posizione di Unicredit. La banca guarda da vicino le evoluzioni della situazione ma per il momento non ha preso decisioni. «Stiamo seguendo da vicino gli sviluppi, il paese è già stato soggetto a una serie di sanzioni e ci siamo sempre adeguati al contesto», spiega un portavoce dell’istituto. Che, dopo aver venduto nel 2016 la banca in Ucraina, è presente in Russia con Ao Unicredit bank, quattordicesima banca del paese con 70 sportelli e 4 mila dipendenti, ma ha un peso limitato all’interno del gruppo italiano (circa il 3% dei ricavi e il 4% del patrimonio netto complessivo).

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Con i soldati in fuga dall’inferno di Kherson. E il fronte della guerra ora è Odessa

venerdì, Marzo 4th, 2022

dal nostro inviato Giampaolo Visetti

MYKOLAJIV –  In un silenzio assoluto e nel buio della notte la prima grande città ucraina è caduta nelle mani dei russi. Esercito di difesa e popolazione mercoledì avevano disperatamente cercato di evitare a Kherson l’umiliazione della resa.

Anziani disarmati, donne con i bambini per mano e ragazzi arruolati nelle milizie volontarie si sono opposti ai tank e ai blindati di Putin. I soldati di Kiev hanno combattuto casa per casa, coperti dalle molotov fai da te lanciate da tetti e finestre. Prima dell’alba di ieri è stata una delegazione degli stessi abitanti a chiedere alle autorità di città e regione di fermarsi per evitare il definitivo massacro. Troppi morti e feriti. I 290 mila residenti di Kherson da due giorni erano circondati dai russi: dalle rive del Dnipro, dalla foce sul Mar Nero, dalle colonne di carri armati che Mosca ha spostato via terra da Donbass e Crimea. Da ore nella città deserta si muovevano solo mezzi militari e truppe nemiche, scaricate dagli elicotteri MI8 attorno ai luoghi decisivi. La gente si è scoperta stanca, sotto shock. Senz’acqua potabile, cibo, energia elettrica, medicine, senza la speranza di una via di fuga a ovest, verso la costa del Mar Nero che conduce a Odessa e fino alla Moldavia. 

«Abbiamo scelto di trattare con i vertici militari degli invasori per aprire almeno un corridoio umanitario», dice il sindaco Igor Kolykhayev. Se il patto sarà rispettato, presto di qui passeranno viveri, alimentari, farmaci e feriti. Anche le salme, che la città non sa dove seppellire. Con loro cercheranno di fuggire decine di migliaia di persone, fino all’altra notte imprigionate nel sottosuolo dei rifugi. Dure le condizioni imposte dai russi, decisi a insediare a Kherson un governo fantoccio controllato dai militari. In città resta il coprifuoco. A piedi si circola soli o in coppia, obbligati a lasciarsi perquisire. Le auto viaggiano soltanto di giorno e dentro la città, dove sarà possibile inviare alimentari e medicine. Chi è sopravvissuto non sa se, come e quando potrà uscire da un luogo all’improvviso divenuto estraneo, ostile.

Blindati russi in una strada di Kherson (reuters)

Per questo i 60 chilometri della via di fuga fino a Mykolajiv, ultima roccaforte prima che l’avanzata russa irrompa a Odessa, sono oggi invasi solo dai reparti ucraini ritirati da Kherson. Migliaia di camion, tank, ambulanze e furgoni gonfi di soldati feriti, sfiniti e affamati. Ai lati, tendoni improvvisati dove i medici cercano di chiudere le ferite più gravi. Non uno si considera però sconfitto. «È una guerra – dice Roman, capo dell’esercito di difesa territoriale costretto a ripiegare – non una battaglia. Se i russi vorranno prendere Mykolajiv dovranno accettare un impresentabile sacrificio». Sulla strada vengono scaricati centinaia di blocchi di cemento. Volontari alzano muri di mattoni. Donne e ragazzi dei villaggi trascinano migliaia di cavalli di Frisia anti-tank e seminano sull’asfalto ricci di ferro. Caterpillar scavano voragini. Ovunque crescono trincee fatte con sacchi di sabbia, vecchi copertoni, armadi e carcasse di auto. 

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Ucraina: si ferma il gasdotto Yamal, da cui passa il 10% del gas russo verso l’Europa

venerdì, Marzo 4th, 2022

Già nella mattinata del 3 marzo il flusso era drasticamente diminuito, ora si è interrotto del tutto. Il gasdotto Yamal-Europa ha smesso di funzionare. Lo ha annunciato l’operatore del gasdotto, la società tedesca Gascade. Il suo tracciato attraversa la Polonia e arriva alla Germania. Yamal è uno dei tre gasdotti attraverso i quali il colosso dell’energia russo Gazprom convoglia il suo gas naturale verso l’Europa. Attraverso di esso passa circa il 10% delle forniture totali di gas proveniente dalla Russia.
Alla luce di questa interruzione, Bruxelles sta accellerando il lavoro per “diversificare le fonti di energia”, come ha annunciato la stessa presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. L’esecutivo comunitario è impegnato per definire un ‘energy compact’ per rispondere al caro prezzi che sarà presentato la prossima settimana. La volontà, ha spiegato la leader, è di essere “indipendenti dal gas, dal petrolio e dal carbone russo”. Sulla stessa linea anche la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, che punta a inserire “la sicurezza energetica” nelle “fondamenta” dell’Ue.

REP.IT

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Diretta Attacco russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia. Ore di paura, poi Kiev annuncia: “È in sicurezza”. Zelensky: “Mosca ricorre al terrore atomico. L’Europa intervenga”

venerdì, Marzo 4th, 2022

L’offensiva militare russa prosegue senza sosta, con bombardamenti e città sotto assedio. Al centro della battaglia anche la centrale nucleare più grande d’Europa: per qualche ora si teme un disastro molto più grave di quello di Chernobyl, poi le autorità di Kiev fanno sapere che l’impianto è in sicurezza. Nel secondo round negoziale le delegazioni di Mosca e Kiev trovano soltanto un’intesa di massima sui corridoi umanitari. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky chiede di parlare con il capo del Cremlino. Ma Vladimir Putin ribadisce i suoi obiettivi: “Non ritornerò mai indietro rispetto alla mia dichiarazione che Russia e Ucraina sono un unico popolo”. E secondo il presidente francese Emmanuel Macron, che ha parlato di nuovo con il leader russo, lo scopo è “prendere il controllo di tutta l’Ucraina“.

08.00 Kiev, russi hanno preso controllo centrale nucleare Zaporizhzhia

Le forze russe hanno preso il controllo della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia a Enerhodar, la più grande d’Europa. Lo ha reso noto l’amministrazione militare regionale in una dichiarazione, spiegando che il personale operativo ne sta assicurando il funzionamento sicuro.

7.40 Aiea convoca conferenza stampa

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha segnalato che “al momento non si registrano cambiamenti nei livelli di radiazioni nell’impianto” nucleare di Zaporizhzhia. Prevista per le 10 e 30 una conferenza stampa dell’Aiea, che nel frattempo ha messo in allerta il suo Centro per le emergenze in modalità 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

7:10 Zelensky: “Solo l’Europa può fermare la Russia”

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto “un’azione immediata da parte dell’Europa” dopo che i militari russi hanno bombardato la centrale nucleare di Zaporizhzhya, nel sud dell’Ucraina, causando un incendio. “Solo un’azione immediata da parte dell’Europa può fermare le truppe russe”, ha detto Zelensky su Twitter.

06.55 Airbnb sospende le sue attività in Russia

“Airbnb sospende tutte le operazioni in Russia e Bielorussia”. Lo scrive su twitter il ceo della società Brian Chesky.

06.03 Spento l’incendio alla centrale nucleare

 I soccorritori del Servizio di emergenza dell’Ucraina hanno spento l’incendio divampato in un edificio della centrale nucleare di Zaporizhzhia. “Alle 6:20 ora locale, l’incendio nella struttura di formazione della centrale nucleare di Zaporizhzhia, nella città di Energodar, è stato spento. Non ci sono vittime o feriti”, ha comunicato il Servizio di emergenza statale in una dichiarazione su Facebook.

05.26 I pompieri hanno fermato l’incendio

I vigili del fuoco hanno arrestato la propagazione dell’incendio alla centrale nucleare di Zaporizhzha. Lo ha reso noto il Servizio statale ucraino per le emergenze

04.19 Aiea: l’incendio a Zaporizhzha non ha interessato strutture essenziali

L’incendio alla centrale nucleare di Zaporizhzhia non ha interessato strutture o attrezzature “essenziali”, il personale dell’impianto sta prendendo misure per la messa in sicurezza: lo scrive su Twitter l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) che è stata informata dalle autorità dell’Ucraina.

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L’inaspettata resistenza di Zelensky mette a nudo le quinte colonne italiane dei russi

giovedì, Marzo 3rd, 2022

di  Alessandro De Angelis

Al settimo giorno di guerra, la questione ruota a due concetti antichi che, negli strani tornanti della storia, talvolta tornano drammaticamente attuali: la “resistenza”, in questo caso eroica e imprevista del popolo ucraino, e la “quinta colonna”, intesa come punti di permeabilità nell’opinione pubblica anche occidentale di fronte a un conflitto che prosegue, militarmente ad est, ma anche con altri mezzi nell’Occidente.

Nell’intervista che, una settimana fa, Marco Minniti ha rilasciato all’HuffPost, a conferma di quanto la conoscenza della geopolitica e degli ingranaggi di sicurezza siano cruciali nell’analisi e nell’orientamento delle scelte, l’ex sottosegretario a palazzo Chigi ai tempi del Kosovo, ex capo dell’Autorità delegata dei servizi, ex ministro dell’Interno diceva: “Dopo l’annessione unilaterale del Donbass, Putin aveva di fronte due strade: la strada di fermarsi e di accontentarsi di quello che appariva un chiaro successo tattico come lo spostamento di qualche centinaio di chilometri dei confini della Russia e l’aver stracciato gli accordi di Minsk. Oppure l’azzardo dell’invasione. Questo azzardo può però essere per Putin un rischio oltre le sue capacità. E il compito dell’Occidente è dimostrare non sono accettati azzardi”.

Una settimana dopo, è conclamato l’azzardo, le cui ragioni sono evidenti a occhio nudo, e spiegate da diversi analisti. Il “rischio” che si è assunto si è manifestato nel fallimento del blitzkrieg in Ucraina, grazie alla straordinaria capacità di resistenza di un popolo e del suo leader, un ex comico, diventato, anche grazie alle sue doti istrioniche un’incredibile interprete dell’anelito libertario dell’Ucraina e del suo spirito europeista. Il suo collegamento video al Parlamento europeo è un’immagine iconica che certifica proprio questo non collasso. Anche in un paese devastato, con duemila morti, città prive di acqua, file chilometriche di carri armati, c’è ancora una connessione che regge meglio che nei nostri paesi del Sud e un leader che mostra il suo corpo e regge la sfida.

Ed è proprio questa resistenza la chiave degli eventi, perché il tempo gioca a favore degli ucraini, secondo un paradigma rovesciato rispetto al ’42 quando il “generale inverno” fu il primo alleato dei russi rispetto ai tedeschi, essendo il fango, più del ghiaccio, nemico dei corazzati. E il primo a rischiare in una possibile evoluzione siriana del conflitto è lo stesso Putin che ha presentato l’Ucraina come un paese “fratello”, in larga parte parla russofono e russofilo. Un conto è colpire i cosiddetti “deviazionisti”, salvando la popolazione, altro è rinunciare a un intervento selettivo a favore di un intervento indiscriminato, senza pagare, nel tempo, il prezzo di possibili conseguenze anche nella propria constituency domestica.

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Paolo Nori: “Non so cosa temano di Dostoevskij, essere russo non può essere una colpa”

giovedì, Marzo 3rd, 2022

ANNALISA CUZZOCREA

Quale ateneo, quale tempio del sapere, quale luogo di conoscenza, può considerare Fëdor Michajlovič Dostoevskij un pericolo? È questa la domanda che ruota intorno all’incredibile vicenda raccontata da Paolo Nori in un post Instagram diventato virale: un’università italiana, la Bicocca di Milano, ha comunicato allo scrittore – profondo conoscitore della Russia, della sua letteratura come delle sue città, della sua lingua come della sua anima – che il ciclo di lezioni sull’autore di Delitto e castigo, I fratelli Karamazov, L’Idiota, veniva sospeso a causa della situazione internazionale. Al che Paolo Nori, che sa raccontare la Russia come un romanzo e la sua vita quotidiana come fortunati sketch di teatro, ha strabuzzato gli occhi, ha puntato il cursore del portatile di nuovo su, ha riletto daccapo. Poi ha pensato: «Che teste di c…Lo scriva, lo scriva pure: che teste di c.».

Vedendo le sue lacrime sui social non si può non pensare al suo ultimo romanzo, Sanguina ancora. È sempre Dostoevskij a farla sanguinare. Ma stavolta i suoi libri non c’entrano.
«Cosa può far paura di Dostoevskij? Cosa temono di un uomo che è stato condannato a morte perché aveva letto pubblicamente una lettera proibita nel 1849?».

L’università parla di un malinteso, il corso si farà.
«Non so ancora se accettare e anzi non penso che lo farò. A meno che non mi dicano la verità: cosa hanno ritenuto imbarazzante di Dostoevskij riguardo alla guerra? La mail che mi hanno mandato è chiarissima: “Il prorettore alla didattica, d’accordo con la rettrice, ha deciso di rimandare il percorso su Dostoevskij per evitare tensioni interne in questo momento di politica internazionale”. Che malinteso può esserci in una lettera del genere?».

Lei cosa pensa di quel che sta accadendo in Russia e in Ucraina?
«A lezione con i ragazzi del secondo anno (Nori insegna allo Iulm, ndr)abbiamo tradotto l’editoriale del premio Nobel per la pace Dmitry Muratov, il direttore della Novaya Gazeta. Racconta che si sono ritrovati addolorati in redazione e c’è quest’immagine di Putin con in mano il pulsante nucleare come fosse il portachiave di una macchina lussuosa, come stesse giocando. Muratov scrive: “Ci rifiutiamo di considerare l’Ucraina un popolo nemico, questo numero del giornale esce in edizione bilingue, in russo e in ucraino, che non sarà mai per noi la lingua del nemico”. Ecco, io sono contento di aver portato dentro l’università questa roba qui. E ho scritto a un grande fotografo russo, Alexander Gronsky, arrestato in Russia per aver protestato contro la guerra, perché a Reggio Emilia hanno cancellato la sua partecipazione al Festival Fotografia. Gli hanno revocato l’invito perché russo. Mi sono scusato, gli ho detto che mi dispiace».

Le ha risposto?
«Sì. Mi ha detto che non riesce a essere tanto dispiaciuto per la revoca perché soffre per l’Ucraina. Questa guerra è una condanna per tutti. Ci stiamo dimenticando che in Russia ci sono persone così e non dobbiamo farlo. Io voglio ribadire il mio amore per la Russia oggi più che mai».

Si aspettava dall’università questo istinto di censura?
«Nella risposta ho scritto: “Sono senza parole”. Quasi non volevo raccontarlo».

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Con le armi consegnate a Kiev siamo già in guerra con Mosca

giovedì, Marzo 3rd, 2022

Domenico Quirico

Le parole le pronunciamo talvolta controvoglia. Le usiamo per separarci da noi stessi, dalle conseguenze delle nostre azioni. Significano prudenza. E mancanza. Ma di fronte a quello che accade in questi giorni nelle pianure d’Ucraina bisogna pronunciarle perché non si può fare altrimenti. Eccole: l’Occidente, la Nato, l’Europa e l’Italia sono già in guerra con la Russia che ha invaso l’Ucraina e posto mano alla sua distruzione. Perché inviare armi a chi combatte è in ogni significato possibile bellico, giuridico, morale entrare in combattimento, ovvero partecipare e uccidere.

Le armi che abbiamo fornito e ora in maggiore quantità e efficacia forniremo all’esercito di Kiev non serviranno come semplice arnese di deterrenza, per convincere un nemico, ancora incerto, che pagherà un prezzo salato se attacca. Questa è la storia di ieri, seppellita sotto le bombe dell’incallito mestatore di Mosca. Adesso abbiamo liberato il terribile genio dalla lampada.

Non le faranno sfilare nelle parate della festa dell’indipendenza per esibirle come una riserva, una garanzia. Poiché Putin ha già attaccato con scelta brutale e colpevole servono per uccidere i russi. Quelle armi nostre, uscite dai nostri arsenali, vengono usate, sventrano, annientano, abbattono, eliminano il maggior numero possibile di combattenti nemici in modo più moderno tecnologico, efficace.

Gli uomini che maneggiano quelle armi sofisticate, letalissime come viene precisato con scrupolo, non sarebbero in grado di farlo se non fossero stati addestrati nei mesi e negli anni scorsi da istruttori dell’Alleanza atlantica. Noi dunque non minacciamo, deprechiamo, confischiamo conti bancari o ville di lusso. Noi contribuiamo ai conti della morte, quindi siamo nella guerra. Mosca lo ha compreso benissimo, alzando il tono della sua minaccia di ritorsione nei confronti di quelli che chiama «attori esterni», ovvero gli alleati ora sul campo di Kiev.

Nelle dichiarazioni dei leader occidentali la parola, guerra, con ipocrisia ha disertato il senso che ricopre. Fornire cannoni e anticarro è presentato come una appendice un po’ più forte delle sanzioni economiche, quasi fosse un gesto necessario e innocuo, asettico per chi lo compie quando qualcuno viene aggredito e i perseguitati non hanno i mezzi sufficienti per difendersi. Questo è vero per le sanzioni. Ma non per la fornitura di armamenti quando già si combatte.

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L’incubo di una guerra permanente

giovedì, Marzo 3rd, 2022

Alessandra Ghisleri

L’87,8% della popolazione italiana non nasconde il fatto di essere preoccupato rispetto al conflitto russo-ucraino. Questa angoscia cresce proporzionalmente con il crescere dell’età: tra i più giovani il dato sfiora l’80,0%, mentre tra coloro che hanno più di 65 anni il dato registrato è il 96,1%. Per il 41,1% dei cittadini le principali attese sono riposte nella speranza che il conflitto sia breve, qualche settimana (21,3%) o al massimo fino alla prossima estate (19,8%). Il 32,0% invece è convinto che il percorso bellico possa procedere oltre l’anno. L’86,8% oggi si sente direttamente coinvolto nelle possibili influenze di questo conflitto: il 37,9% nel percorso di guerra e il 36,6% a livello economico. Il 6,6% teme addirittura che il conflitto possa arrivare fino ai nostri confini, mentre il 5,7% si sente già implicato avendo dei parenti o persone vicine ucraine o russe.

Mentre ancora scorrono i numeri – con un trend in discesa – della pandemia, un nuovo dramma si è imposto nella cronaca giornaliera; e come per il Covid, mai situazione fu tanto solo prefigurata per poi concretizzarsi con così tanta velocità. Siamo sgomenti nel seguire i racconti che un conflitto “social” narra nei particolari momento per momento. Gli italiani in maggioranza si dichiarano impauriti e contrari ad un intervento diretto delle nostre truppe (59,5%). Allo stesso tempo sono favorevoli ad escludere la Russia dal circuito di pagamenti swift (62,8%).

In tutto questo il mondo che conosciamo sta lentamente lasciando il posto ad una nuova interpretazione che improvvisamente ci ha riportato al primo quarto del secolo scorso.

Per il 76,7% degli italiani intervistati esiste la convinzione che questo conflitto avrà delle serie conseguenze sulla stabilità internazionale e sullo stato di pace vissuto fino ad ora. Tensioni e ritorsioni sono il pane del giorno e così anche la nuova dura posizione della Unione europea è stata vista di buon grado dal 47,1% dei cittadini -mentre solo una settimana fa il ruolo dell’Istituzione era definito “marginale” dal 45,9% del campione-. Questa posizione non è condivisa dal 34,0% degli intervistati principalmente raccolti tra i piccoli partiti e l’elettorato di Fratelli di Italia. E’ necessario evidenziare che il 18,9% non ha saputo dare una risposta nel merito. Anche le sanzioni fino ad oggi attuate nei confronti della Russia sia a livello economico, finanziario e sportivo spaccano il nostro Paese con il 45% di coloro che condividono e il 35,2% che non credono possano essere efficaci e utili per indebolire la morsa di Vladimir Putin, unitamente al 19,8% che, anche in questo caso, non sa rispondere nel merito.

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