Archive for Marzo, 2022

Per gli Usa ancora 3-4 settimane e poi in Ucraina sarà guerriglia urbana

mercoledì, Marzo 2nd, 2022

di Alberto Flores

Non c’è stato accordo e non c’è stata rottura totale. Dopo cinque ore, i colloqui di Gomel, la cittadina sulle rive del fiume Prypyat ai confini tra Bielorussia e Ucraina, si sono chiusi con la promessa di un nuovo round ancora tutto da definire. Per il governo di Kyiv le richieste del Cremlino, un vero e proprio ultimatum, erano irricevibili. Chiedere che venga riconosciuta ufficialmente l’annessione della Crimea alla Russia (ottenuta con un’invasione armata e violando il diritto internazionale), la smilitarizzazione totale e il divieto eterno di ingresso nella Nato e nell’Unione Europea, significa chiedere all’Ucraina di rinunciare totalmente alla propria sovranità e di diventare uno Stato vassallo al servizio di Putin e governato di fatto da Mosca. Accettando, almeno a parole, un nuovo incontro nei prossimi giorni tutte e due le parti hanno preso tempo per vedere cosa accadrà sul terreno.   È lo scontro militare, unito alla capacità dell’Occidente di fornire l’aiuto necessario alla resistenza ucraina, che deciderà il futuro di una libera nazione dell’Europa. Quanto sta accadendo nelle ultime ore è indicativo. Scottato dai primi giorni di invasione, dalla resistenza imprevista, dalla perdita di numerosi carri armati e soprattutto dai morti e dai prigionieri russi (non ci sono cifre ufficiali, ma anche la propaganda ufficiale del Cremlino ha dovuto ammettere che ci sono), Putin ha ordinato ai suoi generali di mettere in campo le forze per schiacciare l’Ucraina nel più breve tempo possibile. Entrata dalla Bielorussia, una colonna di mezzi militari (con artiglieria pesante e lancia-missili) lunga 40 miglia (le foto dei satelliti Usa sono inequivocabili) sta dirigendosi verso la capitale. Se i primi giorni anche soldati di leva non ancora ventenni sono stati mandati in prima linea, ora tocca ai cosiddetti ‘contrattisti’, ai mercenari della Wagner e alle forze speciali che si sono ‘allenate’ alla guerra in Cecenia e Siria.    Da un punto di vista puramente militare la vittoria di Putin è scontata, troppo soverchianti sono le forze russe, che ancora non hanno usato appieno i caccia-bombardieri (i bombardamenti vengono soprattutto dagli elicotteri da combattimento). Il Cremlino deve però fare i conti con quella che si sta trasformando in una guerra partigiana, di guerriglia urbana, con parte della popolazione civile che diventa parte attiva nella resistenza. Per Zelensky il fattore tempo è ancora più decisivo. Le sanzioni occidentali iniziano ad avere effetti sull’economia russa e di conseguenza anche sui finanziamenti per la guerra, mentre Stati Uniti, Europa ed Australia stanno inviando armi per cercare di limitare l’avanzata russa.    Secondo l’Intelligence Usa oggi Putin ha due opzioni. La meno probabile è quella di fare dell’Ucraina terra bruciata come ha fatto in Cecenia (con il rischio di costi altissimi anche per i russi), oppure di stringere l’assedio, bombardare la popolazione civile e avanzare città dopo città fino a raggiungere i confini occidentali. È quello che sta accadendo e che probabilmente accadrà ancora di più nei prossimi giorni. 

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La forza dei popoli trascina i governi: stavolta la libertà non è negoziabile

mercoledì, Marzo 2nd, 2022

di  Alessandro De Angelis

La verità, antica e moderna, è che prima dei discorsi, di Draghi, di Scholz, delle élite europee, c’è la forza dei popoli, ed è la forza dei popoli che spinge discorsi e governi e non viceversa. La straordinaria resistenza del popolo ucraino, innanzitutto, e l’enorme folla radunatasi sotto la porta di Brandeburgo, lì dove 33 anni fa si riunificò l’Europa sotto le macerie del muro di Berlino, a conferma di quanto conti la forza dell’opinione pubblica nelle democrazie. E di quanto sia ingannevole l’idea che le autocrazie abbiamo un vantaggio strategico dovuto al fatto che l’autocrate decide da solo, senza l’impiccio della “voce” di un paese.

Kiev non è Kabul, come cultura e distanza geografica né un pezzo della steppa asiatica, ma una grande capitale europea che si sente tale. E la resistenza ucraina, che è militare, ma anche politica e morale di un paese, ha scosso le timidezze delle leadership europee, che la notte dell’invasione, quando si pensava che quella di Putin fosse una guerra lampo, erano avvitate attorno a un primo pacchetto di sanzioni “morbide”, poi forse un secondo, poi forse lo Swift ma selettivo, insomma la solita politica degli “step”. Fallito il blitzkrieg, sono diventate il più dure possibile grazie alla spettacolare resistenza di Zelensky, che lo spirito del suo popolo lo incarna forse anche grazie all’animo dell’attore capace di ingaggiare una sorta di guerra di comunicazione asimmetrica. Di spiazzare i russi come i turchi che, a studiarla a tavolino, non sarebbe venuta così bene.

Perché poi, diciamocelo, ogni popolo ha i suoi attori: c’è chi ha Grillo che blocca il Tap, chi ha avuto Reagan che firmò il disarmo con Gorbaciov, chi questo sottostimato leader che chiama in diretta i capi dei governi europei, convertendoli sullo Swift e bloccando in tal modo carte di credito e conti correnti di banche e oligarchi. È grazie all’anelito europeo dell’Ucraina che l’Europa, per una volta, viene trascinata lontano dal famoso “spirito di Monaco” riattualizzando ciò che diceva Jean Monnet e cioè che l’unico modo per farla crescere sono le crisi come, in fondo, si è visto con la pandemia che ha rottamato il rigorismo del patto di stabilità.

E quel popolo tedesco che rompe l’antico riflesso pacifista della Germania, paese che non è mai andato oltre operazioni di peacekeeping e, al primo stormir di fronda ha valutato il ritiro dal Sael, con Scholz ieri decide di portare la spesa per la difesa al due per cento del Pil, richiesta che fu di Donald Trump e rimasta finora inevasa. È la più grande operazione di ammodernamento della difesa vista nella storia recente di quel paese. E con la Germania, Finlandia, Svezia, Norvegia, mobilitatesi sulla paura di fronte un precedente che avrebbe portato l’insicurezza ai propri confini.

Ecco, anche il discorso di Mario Draghi è figlio di quel che è avvenuto in questi giorni. E infatti, rispetto alle comunicazioni di venerdì scorso, corrette come posizionamento ma algide come pathos, incrocia di più il pathos del tempo, ponendo la sfida all’altezza di quel che è, un attacco al cuore dell’Europa, attraverso il paragone con quel che avvenne nel ’39. Anche se, sul passaggio, va in scena un singolare giallo. C’è una frase nel testo reso noto ai giornalisti che Draghi, in Aula, non legge. E riguarda proprio la similitudine con Hitler e con “l’annessione dell’Austria, l’occupazione della Cecoslovacchia, l’invasione della Polonia”.

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Un golpe contro Putin è possibile?

mercoledì, Marzo 2nd, 2022

di Paolo Valentino

La guerra contro l’Ucraina sarebbe costata alla Russia, in una settimana, già oltre 10mila morti, più dei soldati persi in Siria in 8 anni. E a Mosca si moltiplicano voci di dissenso: oligarchi (pochi), star, società civile. Ma le élite potrebbero tradire Putin e rovesciarlo? O il potere è ancora saldamente nelle mani dello «zar»?

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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO — L’offensiva contro l’Ucraina sarebbe costata finora alla Russia oltre 10 mila morti . «Abbiamo avuto un numero di perdite tremendo: in una sola settimana abbiamo perso lo stesso numero di soldati della missione in Siria in otto anni», rivelano al Corriere fonti militari russe.

Se confermata, si tratterebbe di una cifra spaventosa, che la dice lunga sulle difficoltà incontrate dall’esercito del Cremlino, nonostante la soverchiante superiorità di mezzi e uomini.

Ma soprattutto sarebbe una cifra che amplifica i problemi di Vladimir Putin, alle prese con la scommessa della vita. Quella che lo potrebbe consacrare come restauratore della Santa Russia, il nuovo zar che ha unificato il Russkij Mir, come sogna. Ovvero potrebbe infliggere un colpo contundente al suo prestigio e alla sua autorità, al punto da farne vacillare il potere.

Le notizie dal terreno dicono che i comandi russi hanno cambiato tattica e che ora la linea di attacco si sta facendo più brutale, meno attenta ai costi civili dei bombardamenti. «Putin vuole una vittoria militare e la vuole presto, la conquista di Kiev è diventata la priorità», dicono le fonti, secondo cui il regime change, il cambio di regime con la cacciata di Zelensky, indicato come obiettivo all’inizio, non è più nei desiderata del Cremlino. Anzi. «Una vittoria militare permetterebbe di dettare le condizioni di un negoziato con l’attuale governo».

È solido Vladimir Putin, sul piedistallo finora intoccabile e intoccato dal quale, da oltre due decenni, «regna» sul Paese degli undici fusi orari? O anche per lui varrà la legge non scritta degli autocrati e dei dittatori, il cui destino spesso si intreccia con le avventure militari?


La prima risposta di molti analisti e imprenditori è che Putin sia ancora in pieno controllo di tutte le leve del potere e inoltre disponga di uno zoccolo duro nell’opinione pubblica, che ne appoggia le scelte anche grazie alla forza e penetrazione della sua propaganda.

«Ha un potere totale – dice un manager italiano da molti anni in Russia – e anche se la situazione sta spingendo alcuni fra gli oligarchi a esprimere insoddisfazione, queste voci non hanno al momento alcuna sponda politica o militare».

Certo, a renderlo forte è anche uno scetticismo di fondo che permea una parte della popolazione russa quanto alla possibilità di un cambiamento: «Il bombardamento di Kiev è uno shock per molti russi, che lì hanno parenti o amici. Ma la maggioranza non protesta, c’è un’apatia di fondo perché sono convinti che non serva a nulla, che tutto è stato già deciso da Putin e dai cinque o sei fedelissimi che lo spalleggiano».

Nessuno però nega gli scricchiolii, i sussulti, segnali che qualcosa si stia muovendo dentro un Paese che scende progressivamente verso una fase di incertezza, durezze economiche e isolamento dal mondo.

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Gli errori di Putin

mercoledì, Marzo 2nd, 2022

di Aldo Cazzullo

Il presidente russo ha sottovalutato la resistenza degli ucraini, la reazione degli occidentali e anche gli stessi russi. E ora è in difficoltà

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Vladimir Putin (LaPresse)

Vladimir Putin ha sottovalutato la resistenza del popolo ucraino. Ha sottovalutato la reazione degli occidentali. E — errore gravissimo per un leader della sua esperienza — ha sottovalutato i russi: sia l’opinione pubblica, che non è ancora asservita del tutto (anzi lo è sempre meno), sia il suo entourage, che non pare così entusiasta del pantano in cui il Cremlino si è infilato. È una guerra difficile da decifrare.

Al giorno dei negoziati segue un giorno durissimo di missili, scontri e colonne di carri armati in marcia su Kiev. Come accade sempre, la verità è velata dalla cortina delle false notizie, infittita dalla guerra delle immagini e da quella cibernetica. Ma già si intravede un fatto che può essere contraddetto tra poche ore, ma anche trovare nuove conferme: Putin è in difficoltà. La realtà è diversa dai suoi piani. Perché applicare le logiche di ieri al mondo di domani crea problemi, anche se hai un esercito che ha già tragicamente dimostrato in Cecenia, in Georgia, in Crimea, in Siria, in Libia di saper combattere.

Putin si è mosso con il metodo di un autocrate della prima metà del ’900, se non dell’800: minacce, incidente di confine, invasione, occupazione. L’Occidente ha reagito con il metodo del terzo decennio del ventunesimo secolo, in piena era globale. Le sanzioni finanziarie sono quelle che fanno più male, in particolare ai patrimoni privati: perché puoi accumulare miliardi di dollari sulla pelle del tuo popolo, oppure comprare la più bella villa del lago di Como; ma se non puoi spenderli, o non ci puoi andare, forse rischi di sentirti anche solo per un secondo come la babushka che spigola alla fine delle giornate di mercato.

Poi ovviamente l’Occidente è sempre criticabile e va sempre criticato; altrimenti non sarebbe il «mondo libero». Ma l’Europa, la famigerata Europa, che già aveva battuto un colpo con la pandemia, ha battuto un altro colpo con la crisi ucraina. La Germania che sostiene Kiev, che annuncia il riarmo, che addirittura — con una mossa un po’ precipitosa — promette di aprire a Zelensky le porte dell’Unione, segna uno scatto in avanti che non a caso fa dire al Cancelliere Scholz: nulla sarà più come prima. Se Putin ha pensato che in assenza di Merkel — con cui amava conversare a tu per tu senza interpreti, lui nel tedesco appreso nella sede berlinese del Kgb, lei nel russo imparato nelle scuole della Ddr — avrebbe avuto la vita più facile, ha sbagliato pure questo calcolo.

Intendiamoci: l’esercito russo è più forte, e se intensificasse la pressione finirebbe per prevalere, anche senza far scattare la minaccia atomica. La tragedia del popolo ucraino è tale che il governo accetta di negoziare in territorio occupato, senza neppure ottenere un cessate il fuoco, a un tavolo da cui rischia di uscire un patto leonino, se l’Occidente non intensificherà a sua volta la pressione su Mosca.

Ma non soltanto la storia recente ha mostrato che occupare un Paese vasto e ostile è impossibile
, anche per macchine militari più ricche e meglio intenzionate. Il presente e il futuro mostrano che ogni nazione è ormai interconnessa con le altre. Anche un’economia rudimentale come quella russa, che si regge sull’esportazione di materie, ha comunque bisogno dell’infrastruttura finanziaria su cui si fonda il sistema del credito e degli scambi. E questo vale a maggior ragione per un’economia avanzata che si basa sull’export industriale, come quella cinese. Per questo è evidente che difendere oggi l’Ucraina significa anche difendere Taiwan, o comunque rendere meno sereni i sogni di conquista di Xi Jinping.

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Sergei Shoigu, fedelissimo di Putin: chi è il ministro della Difesa con uno dei tre codici per l’atomica

mercoledì, Marzo 2nd, 2022

di Fabrizio Dragosei

Il generale e ministro della Difesa che ha preparato l’offensiva ha la madre ucraina: applica senza discutere ogni direttiva. Con Putin ha in comune l’abitudine di andare a pesca e cavalcare a torso nudo

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Dopo l’invasione della Crimea ottenuta senza sparare un colpo nel 2014, il ministro della Difesa Sergej Shoigu si era sentito forse come Alessandro III, il padre dell’ultimo zar Nicola II. «La sovranità della Russia è garantita dal suo esercito e dalla sua flotta», sentenziò ripetendo la frase dello zar il quale aveva spiegato ai suoi collaboratori che le due armi erano gli unici alleati veri sui quali il suo Paese poteva contare nel mondo. Per differenziarsi, Shoigu decise di andare oltre: «Saranno sempre il bastione contro il quale nel corso dei 1.152 anni di esistenza del nostro Stato ha sbattuto la faccia più di un imperatore».

Il marziale ministro-generale non sarà fortissimo in storia, visto che ha dimenticato i mongoli che spadroneggiarono in Russia per più di due secoli e i giapponesi che le suonarono alla flotta imperiale nel 1905. Ma certamente è il più fedele dei fedeli collaboratori di Vladimir Putin , quello sul quale il Capo può fare affidamento in ogni momento.

Il sessantaseienne Sergej non viene da San Pietroburgo come buona parte degli amici di Vladimir Vladimirovich, non è mai stato tra le file dei democratici e riformisti, non rappresenta un clan di potere. Potrebbe essere sostituito in qualunque momento e può contare solo sulla benevolenza del numero uno. Del quale applica senza discutere qualunque direttiva. Anzi, da esperto servitore dello Stato, ha sviluppato la capacità di intuire, subodorare i suoi desideri e quindi anticiparli. Così, ad esempio, pur avendo una madre nata in Ucraina non ci ha pensato due volte a organizzare a puntino le «esercitazioni pacifiche, non aggressive e sul territorio russo» che servivano a mettere le truppe nella condizione di invadere l’Ucraina al minimo cenno.

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Ucraina-Russia, ultime notizie sulla guerra. Parà russi a Kharkiv, palazzi in fiamme, «conquistata Kherson»

mercoledì, Marzo 2nd, 2022

di Francesco Battistini, Lorenzo Cremonesi, Andrea Nicastro, Marta Serafini, Marco Imarisio, Paolo Foschi

Le news sulla guerra, in diretta: dopo ore di bombardamenti intensi nella notte i parà russi atterrano a Kharkiv, «presa Kherson, circondata Mariupol». L’offensiva russa accelera anche su Kiev. Ma Mosca è sempre più isolata. Biden annuncia la chiusura dello spazio aereo ai voli russi: Putin è un dittatore, pagherà

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In Ucraina si combatte da 7 giorni, e la Russia ha accelerato l’offensiva. Dopo gli intensi bombardamenti su Kiev (colpita la torre della tv) e su altre città, i parà di Mosca nella notte sono atterrati a Kharkiv; Mariupol è circondata, Kherson sarebbe caduta. Si moltiplicano le notizie relative al possibile utilizzo da parte dei russi di bombe termobariche e a grappolo, ma Mosca smentisce.
• Il presidente Usa Joe Biden, nel discorso sullo Stato dell’Unione, ha parlato a lungo dell’Ucraina, ha definito Putin un «dittatore» e ha annunciato la chiusura dello spazio aereo Usa a tutti i voli delle compagnie aeree russe.
Aumenta il numero delle vittime civili. L’ambasciatore italiano a Kiev ha intanto spostato la sede diplomatica a Leopoli, portando in salvo 20 minori.
• In un drammatico discorso al Parlamento europeo, Zelensky ha chiesto agli europei di «provare di essere con noi». Il presidente è in un bunker in località tenuta segreta.
La Russia è sempre più isolata dalla comunità internazionale e a Mosca e nelle altre città gli effetti delle sanzioni già si fanno sentire. Il nostro premier Mario Draghi ha espresso «ferma condanna» per Putin e ha aggiunto che l’Italia «non si volta dall’altra parte».
• Il Corriere ha avviato una newsletter speciale e una serie di podcast sulla guerra in Ucraina. Qui sotto, le notizie in diretta.

***

Ore 8.15 – «Kherson è stata conquistata»
L’esercito russo avrebbe conquistato la città di Kherson, nel Sud dell’Ucraina. Se la notizia venisse confermata, si tratterebbe di una conquista di alto valore strategico per l’avanzata russa.

Ore 7.45 – I morti, a Kharkiv, e l’università in fiamme
Secondo il governatore regionale, a Kharkiv sono morte nelle ultime 24 ore almeno 21 persone; 112 sono rimaste ferite.

Kharkiv, seconda città dell’Ucraina, vicinissima al confine con la Russia, è stata colpita da pesantissimi bombardamenti: ad essere colpite sono state non solo la piazza principale e il palazzo del governatore, ma anche altre zone residenziali.

Nel video qui sotto, pubblicato nella mattinata di mercoledì 2 marzo, si vede un edificio in fiamme: si tratterebbe di una sede universitaria, posta vicino a un dipartimento di polizia.

Ore 7.00 – Le città circondate, e quelle sotto attacco
Le città meridionali ucraine di Kherson e Mariupol sono adesso probabilmente circondate dalle forze russe: lo scrive il ministero della Difesa britannico sul suo account Twitter.

Nella notte un attacco violentissimo è stato lanciato su Kharkiv, dove i paracadutisti russi sono atterrati: nella notte sarebbe stato attaccato anche un ospedale militare.

Prosegue anche l’attacco contro Kiev, dove ieri è stata colpita la torre della tv.

Ore 6.54 – La Borsa di Mosca chiusa anche oggi. Sberbank lascia l’Europa
La Banca di Russia ha deciso di non riprendere le sessioni di trading nei mercati azionari, per il terzo giorno consecutivo.

La principale banca russa, Sberbank, ha annunciato la decisione di lasciare il mercato europeo. «Nella situazione attuale, Sberbank ha deciso di ritirarsi dal mercato europeo. Le banche sussidiarie del gruppo stanno affrontando deflussi anormali di fondi e minacce alla sicurezza dei loro dipendenti e uffici», ha affermato il gruppo in una nota.

Le sanzioni decise dall’Occidente stanno colpendo in modo durissimo l’economia russa: qui il reportage di Marco Imarisio.

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Il Putin atomico è un leader solo, pericoloso ma anche vulnerabile

martedì, Marzo 1st, 2022

di  Gianni Riotta

“Мы вас похороним!”, “Noi vi seppelliremo”, esclamò il 18 novembre del 1956, con le macerie di Budapest ancora fumanti per l’invasione sovietica in Ungheria, il primo segretario del partito comunista dell’Urss, Nikita Kruscev, davanti a una sala colma di diplomatici occidentali, all’Ambasciata polacca. “Voi capitalisti… -scandì il leader cresciuto in Ucraina e sopravvissuto alle purghe di Stalin grazie all’obbedienza cieca, che aveva poi condannato il dittatore nel rapporto al XX Congresso Pcus- vi piaccia o no, la Storia sta dalla nostra parte. Noi vi seppelliremo”. Già nell’agosto del 1963, dopo la crisi dei missili a Cuba dell’anno precedente, Kruscev moderava però la retorica bellica e firmava a Mosca, con il giovane presidente John Kennedy, cui restavano solo tre mesi di vita prima di essere assassinato misteriosamente a Dallas, il “Trattato per il bando degli esperimenti di armi nucleari nell’atmosfera, nello spazio cosmico e negli spazi subacquei”, primo tentativo di disgelo pacifico di un mondo sull’orlo dell’inverno atomico.

Una generazione intera, nel dopoguerra, è cresciuta nella paura dell’olocausto nucleare, bambini americani con le esercitazioni a nascondersi sotto i banchi di scuola, bambini sovietici nati in città segrete, mai segnate sulle mappe, come Seversk, Oblast di Tomsk, in mezzo a fabbriche di testate nucleari, dove i cittadini non avevano indirizzo, telefono, identità, fantasmi della Guerra Fredda. In Italia nacque il Movimento dei Partigiani per la Pace, spin off dei partiti comunista e socialista, ispirato dal dirigente stalinista Pietro Secchia che però, ricordava la giornalista Miriam Mafai, diventa popolare per la paura della bomba atomica, al punto che star dello spettacolo, calciatori, scienziati aderiscono agli appelli, pur nel clima anticomunista di quegli anni.

Il poeta beat americano Gregory Corso, nel 1958, scrive il poema “Bomba”, testo in cui i versi disegnano, su una lunga striscia di carta, la macabra sagoma di un fungo atomico: “Incalzatrice della storia/ Freno del tempo/ Tu Bomba/ Giocattolo dell’universo/ Massima rapinatrice di cieli/ Non posso odiarti/ Forse che l’odio il fulmine scaltro la mascella di un asino/ La mazza nodosa di Un Milione di A. C. la clava il flagello l’ascia Catapulta Da Vinci tomahawk Cochise acciarino Kidd pugnale Rathbone/…E non ha S. Michele una spada infuocata S. Giorgio una lancia Davide una fionda/ Bomba sei crudele come l’uomo ti fa e non sei più crudele del cancro/ Ogni uomo ti odia preferirebbe morire in un incidente d’auto per un fulmine annegato/ Cadendo dal tetto sulla sedia elettrica di infarto di vecchiaia di vecchiaia Oh Bomba…” nella traduzione della cara Fernanda Pivano. E, citatissima sui titoli di giornali di queste ore, “Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba”, classica pellicola di Stanley Kubrick, con i meravigliosi protagonisti Peter Sellers e George C. Scott a dibattere sull’atomica come nostra vita quotidiana. Il generale americano Douglas MacArthur, sostengono fonti storiche, chiese il lancio di atomiche contro la Cina di Mao Zedong, durante la guerra di Corea, venendo dunque rimosso dal comando dal presidente Harry Truman.

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La guerra rinsalda il governo e i partiti giocano al carnevale

martedì, Marzo 1st, 2022

di  Alessandro De Angelis

Neanche fosse una maschera di carnevale, questo “saio” politico indossato da Matteo Salvini a mani giunte sulla tomba di San Francesco: “Pace prima di tutto, bisogna usare cuore, diplomazia e preghiera, non bisogna rispondere alla guerra con la guerra”. Ah ecco, che è un po’ come mettere i fiori nei cannoni ucraini, invito che però non valeva per l’assessore pistolero di Voghera, assolto a canna fumante perché “la difesa è sempre legittima come estrema ratio di fronte all’aggressione”, quando nemmeno si sapeva se di aggressione si trattava, ma a terra c’era un marocchino.

È il nuovo capitolo del “vangelo secondo Matteo”, che la faccia di Putin ce l’aveva stampata sulle magliette e per la “metà” dell’autocrate avrebbe dato “due Mattarella”: il pacifismo della quinta colonna, come quelli che negli anni cinquanta associavano la parola pace al nome di Stalin, edulcorata da una condanna a metà: “Putin? Sono deluso dall’uomo”, che poi vai a capire cosa significhi, forse l’uomo sì, il politico no, un po’ come il Mussolini che fino alla guerra, signora mia, come arrivavano in orario i treni anche se ammazzava gli oppositori. Fate voi, ma sotto il pelo delle chiacchiere, mica l’ha rotto Salvini quel patto tra la Lega e Russia unita, celebrato nel 2017 come uno “storico” accordo di “cooperazione” tra partiti “fratelli”.

Troppa grazia, San Francesco almeno stavolta si possono accogliere i “profughi veri”, in attesa che don Matteo si lamenti su dove saranno messi, mentre su quelli finti che vengono dall’Africa non si scherza, casomai a qualcuno venisse in mente di non chiudere i porti o ritardare le operazioni di sbarco, vezzo mai dismesso dai tempi del Conte uno, telefonate per credere al comandante dalla Sea Watch. E che dire alla vigilia del martedì grasso, se non “hip hip, hurrà”, come Berlusconi, attovagliato venerdì sera con Dell’Utri e Salvini nel nuovo locale di Briatore davanti a pizzaioli acrobatici mentre Kiev è in fiamme. E nell’euforia poco importa che il Cavaliere si sia dimenticato di diramare un comunicato di ferma condanna dell’accaduto, inibito forse dal ricordo del lettone o dalle festicciole nella dacia di Vladimir.

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Di Maio a caccia di gas: missione in Algeria. Cingolani: riserve ok

martedì, Marzo 1st, 2022

Domenico Di Sanzo

«Tutelare le imprese e le famiglie italiane da questa atroce guerra, per rendere operative forniture addizionali di gas da altri partner». Questo è l’obiettivo della missione in Algeria del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Un viaggio ad Algeri necessario, che potrebbe essere decisivo per fronteggiare lo spettro della crisi energetica che incombe sull’Italia, uno dei possibili effetti economici della guerra tra l’Ucraina e la Russia. Mosca infatti è il primo esportatore di gas naturale verso il nostro Paese. Secondo gli ultimi dati del ministero della Transizione Ecologica, riferiti al 2020, il 43% del totale del gas che l’Italia importa dall’estero arriva proprio dalla Russia. Il secondo partner è l’Algeria, da cui proviene il 22,8% del gas importato. Domenica da Algeri era arrivata la disponibilità a fornire più gas all’Europa attraverso il gasdotto Transmed. E il premier Mario Draghi già venerdì in Parlamento aveva prospettato di «rafforzare il corridoio Sud» e il potenziamento «dei flussi da gasdotti non a pieno carico». Mentre, nella bozza del decreto approvato ieri dal Cdm, è previsto il ricorso a centrali a olio e carbone per compensare la mancanza di gas. Anche se Conte già avverte: «Più rinnovabili, non guardiamo al carbone».

Perciò Di Maio è volato ad Algeri con l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi e un rappresentante del ministero della Transizione Ecologica. «L’Italia è impegnata ad aumentare le forniture di gas da vari partner internazionali», dice il titolare della Farnesina incontrando il suo omologo Ramtane Lamamra, il presidente algerino Abdelmajid Tebboune e il ministro dell’energia Mohamed Arkab. «L’Algeria, da sempre fornitore affidabile, ha un ruolo fondamentale, ciò conferma il valore strategico del nostro partenariato», spiega Di Maio. Il governo prova a prendere le misure, cercando di attutire le conseguenze energetiche della guerra in Ucraina e delle sanzioni imposte alla Russia per «tutelare imprese e famiglie italiane dagli effetti di questa atroce guerra», dichiara il ministro degli Esteri da Algeri. Dalla Farnesina trapela subito ottimismo sull’arrivo del gas algerino attraverso Transmed fornito da Sonatrach, la società pubblica degli idrocarburi in Algeria. E in serata fonti diplomatiche confermano: «È arrivato l’ok ad aumentare le forniture di gas a favore dell’Italia nel breve, medio e lungo termine». Un paracadute a tempo indeterminato per provare a sopperire all’eventualità di un calo degli approvvigionamenti dalla Russia. «L’energia non potrà restare fuori da questo conflitto. Che ci piaccia o meno abbiamo una dipendenza dal gas e dal petrolio russo e la dobbiamo diminuire il prima possibile», conferma l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell. Che prevede: «Ci saranno turbolenze nel mercato energetico, come succederà e sta succedendo, e aumenteranno i prezzi che verranno pagati dai consumatori».

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L’equilibrismo interessato di Pechino. Difesa degli affari e un occhio a Taiwan

martedì, Marzo 1st, 2022

Daniel Mosseri

Un attacco russo contro l’Ucraina era nell’aria da settimane, se non da mesi. In molti si aspettavano però un attacco russo limitato al Donbass secessionista, regione che i russi avrebbero strappato all’Ucraina così come avevano fatto nel 2014 con la Crimea. L’attacco a tenaglia scatenato da Vladimir Putin contro tutto il territorio dell’ex Repubblica sovietica è stato considerato molto audace e sebbene il capo del Cremlino sia padrone assoluto in Russia (e in Bielorussia), neppure lui può muoversi su un fronte (quello occidentale) senza assicurarsi sull’altro (quello orientale). E qui entra in gioco l’altra superpotenza: la Cina di Xi Jinping. Abituate a non ostacolarsi l’una con l’altra in ambito Onu e legate da un interscambio commerciale sempre crescente, anche in questo caso Mosca e Pechino hanno fatto attenzione e non mettersi i bastoni fra le ruote. All’inizio delle ostilità i portavoce della Repubblica popolare cinese si sono dunque ben guardati dal definire l’operazione militare russa «un’invasione». Allo stesso modo Pechino tiene una posizione defilata sulle sanzioni economiche e finanziarie che l’Occidente, Svizzera inclusa, stanno adottando per fiaccare lo sforzo bellico di Mosca. «Cina e Russia continueranno la normale cooperazione commerciale nello spirito del rispetto reciproco, dell’uguaglianza e del reciproco vantaggio». Così il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha ribadito come la Cina si opponga all’uso di sanzioni per risolvere i problemi «ed è ancor più contraria alle sanzioni unilaterali che non hanno basi nel diritto internazionale». La circostanza che non siano state votate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu rende le sanzioni antirusse irricevibili. E poco importa se Cina e Russia dispongono (al pari di Usa, Francia e Gran Bretagna) di un seggio permanente con diritto di veto in seno allo stesso Consiglio, diventando di fatto inattaccabili. A scanso di equivoci Pechino ha anche ribadito che le sanzioni sono uno strumento «che non risolve i problemi».

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