Archive for Marzo 23rd, 2022

Salvini lancia la federazione alle urne. Ira FdI, a rischio le alleanze per il 2023

mercoledì, Marzo 23rd, 2022

di Emanuele Lauria

Eccola, la federazione di centrodestra. Matteo Salvini la mette in campo con una fuga in avanti che disorienta Forza Italia. La propone per le prossime elezioni in Sicilia, terra che tradizionalmente anticipa i processi politici nazionali. “Torniamo a essere laboratorio”, gongola il senatore Nino Minardo, responsabile della Lega nell’isola. In realtà quello che viene annunciato – durante il consiglio federale in cui si battezza la sede romana in via delle Botteghe Oscure – è ancora un progetto in nuce. Un’iniziativa da costruire attorno a una lista leghista che cambia di nuovo nome e simbolo, visto che a Sud dello Stretto non è che Alberto da Giussano tiri moltissimo mentre l’effetto traino del Capitano è diminuito, e si trasforma in “Prima l’Italia”. Sotto quest’ombrello dovrebbero finire non solo i candidati della Lega, ma pure pezzi di centro, del mondo autonomista, liste civiche: l’obiettivo, a lungo termine, è farlo diventare appunto il contenitore di un centrodestra unito, una sorta di Pdl riveduto e corretto. Laboratorio siculo o meno, non è affatto una questione locale, tanto è vero che lo staff di Salvini collega subito l’iniziativa all’investitura da parte di Berlusconi nel corso della festa di sabato scorso che ha celebrato l’unione con Marta Fascina: “Matteo, sei l’unico leader vero che c’è in Italia”, aveva detto il Cavaliere. Ma Forza Italia – che in Sicilia è primo partito – ora non ci sta, o per lo meno frena, e lo fa subito sapere: “Noi avremo una nostra lista sia alle Comunali sia alle Regionali”, sottolineano fonti azzurre.

Gianfranco Micciché, commissario di Fi in Sicilia, conferma ma parla comunque di “Prima l’Italia” come di una “idea intelligente”. E si sfilano pure i redivivi autonomisti dell’Mpa di Raffaele Lombardo.
Resta il fatto che, nella seconda regione del Paese per numero di abitanti, la Lega scende a patti con i moderati e si avvia invece verso uno strappo con Fratelli d’Italia. Salvini e i berlusconiani, infatti, non vogliono sostenere una nuova corsa del governatore Nello Musumeci, che invece è appoggiato da Fdi e, in mancanza di un’intesa, si stanno dividendo da soli le candidature per le amministrative di primavera: a Palermo dovrebbe scendere in campo un forzista quale l’ex presidente dell’Ars Francesco Cascio, alla Regione un esponente della Lega qualo lo stesso Minardo (ma continua a circolare il nome di Giulia Bongiorno). Fra poco più di due mesi si voterà anche a Messina, dove potrebbe spuntare la candidatura di un civico gradito a Fi (l’ex assessore regionale Maurizio Croce), e forse pure a Catania, dove il sindaco sospeso Salvo Pogliese potrebbe dimettersi. E dove Raffaele Lombardo medita di piazzare un proprio uomo, forse l’assessore regionale Francesco Scavone.

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“In Europa stop brutale alle misure anti-Covid”. L’Oms bacchetta l’Italia

mercoledì, Marzo 23rd, 2022

di Elena Dusi

L’Italia torna a sfiorare i 100mila contagi. Sono stati 96.365 ieri i casi di Covid. L’8 febbraio quando ne avevamo 101mila e pensavamo che le infezioni da Omicron fossero definitivamente in riflusso. Invece la curva sta risalendo, «anche se meno rapidamente rispetto a una settimana fa» fa notare Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Università di Milano. «Mercoledì scorso l’aumento settimanale era stato del 30%, ora siamo sotto al 20%. Penso che da inizio aprile torneremo a scendere».
La ripresa dei contagi è attribuita in parte a Omicron 2 (o Omicron BA.2), la sottovariante di Omicron più infettiva del 20-30%, che in Italia il 7 marzo rappresentava il 44% dei nuovi casi. Ma anche, sottolinea Hans Kluge, direttore dell’ufficio europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità, «a quei Paesi che stanno allentando le restrizioni in maniera brutale. Da troppo a troppo poco». Il medico belga cita i Paesi in cui i contagi sono in risalita: «Germania, Francia, Italia e Regno Unito».
La Gran Bretagna, senza alcuna misura anti Covid da circa due mesi, ieri ha registrato 80mila casi. La Germania è a 220mila: alcuni Stati hanno prolungato l’obbligo di mascherine all’aperto, senza però altri provvedimenti particolari. La Francia, nonostante i suoi 180mila casi, procede verso il ritorno alla normalità. Anche gli Stati Uniti, dove ieri Omicron 2 ha raggiunto il 35% di prevalenza, non si preoccupano più di tanto. I casi quotidiani sono 46mila, le previsioni parlano di un aumento, ma l’immunologo Anthony Fauci dice di non aspettarsi una nuova ondata importante.

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Il discorso di Zelensky al Parlamento. E in Italia nulla sarà come prima

mercoledì, Marzo 23rd, 2022

di Stefano Folli

Quei parlamentari assenti dall’aula di Montecitorio durante il discorso di Zelensky non hanno solo offeso la dignità del mandato ricevuto dai loro elettori. Hanno anche dimostrato la povertà della loro posizione. Il presidente dell’Ucraina si è infatti tenuto lontano da temi che avrebbero potuto creare divisioni nella politica italiana. Ci si attendeva un richiamo a una precisa pagina di storia: la Resistenza del ’44-’45, il 25 aprile, Bella Ciao. Poteva essere una sfida a chi contesta la resistenza ucraina e nega il parallelo tra i russi invasori di oggi nell’Est e i tedeschi invasori nell’Italia di allora. Niente di tutto questo. E nemmeno richieste esplicite di aiuti militari, di cui pure l’Ucraina ha un disperato bisogno. Zelensky ha invece fatto riferimento allo spirito umanitario degli italiani, al loro slancio verso i sofferenti. Nelle sue parole è sembrato rivolgersi al Parlamento di Roma, sì, ma anche se non soprattutto al papa Francesco, citato ed elogiato come un interlocutore ideale. Si capisce che il sostegno del pontefice è fondamentale per Kiev e una conversazione telefonica avrebbe confermato al presidente che può farvi conto. Del resto, la parte occidentale del paese è cattolica, in sintonia con la Polonia, e nella parte orientale gli ortodossi ucraini sono divisi dagli ortodossi russi, il cui patriarca Kirill è legato a Putin e al suo sistema di potere.
In definitiva Zelensky è parso consapevole che l’Italia è il paese della Nato dove i sentimenti filo-russi sono più radicati: minoritari, ma diffusi sul piano politico e mediatico, in buona o cattiva fede. Al tempo stesso l’Italia non è una potenza militare in grado di determinare le scelte dell’Alleanza Atlantica. Quindi egli ha usato un tono diverso da quello a cui aveva ispirato gli interventi al congresso americano, e poi a Berlino e a Gerusalemme. Ha sollevato argomenti che l’intero arco parlamentare, salvo frange estreme, può intendere: sanzioni, confisca dei beni agli oligarchi compromessi col regime, consapevolezza che l’Ucraina difende se stessa e insieme l’Europa, per cui la resa vorrebbe dire regalare a Putin il grimaldello per scardinare l’Unione.


Mario Draghi ha raccolto tali suggestioni e le ha trasformate in un discorso di forte tensione emotiva. Un discorso molto politico che senza dubbio accresce la credibilità italiana nell’area atlantica. L’idea di Europa che il presidente del Consiglio afferma — e nella quale vuole comprendere l’Ucraina — è infatti strettamente collegata al rapporto di alleanza con gli Stati Uniti. Così come i nuovi traguardi della difesa europea (il 2 per cento delle spese militari) hanno senso se si integrano nel quadro della Nato. È su queste basi che l’Italia vuole confermarsi nella crisi internazionale come uno dei maggiori partner europei degli Stati Uniti. Vale a dire che alla vigilia del vertice Nato e del viaggio di Biden in Polonia, il profilo della nostra politica estera non si presta ad ambiguità.

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Il punto di Andrea Margelletti: “L’Ucraina che entrerà nell’Ue potrebbe restare nel mirino dei russi. Riflettiamoci”

mercoledì, Marzo 23rd, 2022

Emanuela Minucci

Professor Margelletti, il premier Draghi ha dichiarato che l’Europa vuole l’Ucraina nell’Ue. Che futuro geopolitico avrà questo nuovo assetto?

«Il governo italiano si è dimostrato fermo nel mantenere il punto sul supporto all’Ucraina. Ma ora è anche doveroso chiederci se questo Stato dovrà dotarsi dello stesso dispositivo militare dell’Europa e chiarire di quale Ucraina stiamo parlando. Perché è molto probabile che dal punto di vista territoriale sarà un Paese  profondamente diverso. E nessuno ci potrà assicurare l’Ucraina, benché neutrale, non divenga oggetto di un nuovo interesse da parte russa. Insomma, vale la pena di fare una riflessone dal punto di vista della sicurezza internazionale».

Quindi l’Europa deve chiedersi che cosa sarà disposta a fare in futuro per questa nazione?
«Esattamente. Proprio perché si tratta di uno Stato che confina con la Russia, potrebbe essere ancora particolarmente esposto a una sua nuova offensiva militare».

Lei vede improbabile un futuro ingresso dell’Ucraina anche nell’alleanza Atlantica?
«No. Abbiamo visto che cos’è successo alla Svezia quando ha manifestato questa volontà. Subito è partita la minaccia russa, quindi non credo proprio che questa sia la prospettiva, ma  vedo quella della neutralità». 

Come vanno le trattative diplomatiche?
«Il desiderio di Kiev di trattare si scontra da giorni contro i bastioni del Cremlino che oppongono a queste richieste il loro ortodosso desiderio di vittoria».

A Kiev l’esercito ucraino si sta difendendo bene vero?
«
Sì, la situazione a Ovest è molto diversa rispetto a quella delle città del Sud, come l’ormai piegata Mariupol. Anzi a Kiev l’esercito ucraino non solo ha respinto l’attacco russo, ma ha guadagnato terreno rispetto al giorno precedente spingendo più lontano dalla città le truppe».

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La Nasa ha trovato 5.000 esopianeti, simili alla Terra e fuori dal sistema solare: «Può svilupparsi la vita»

mercoledì, Marzo 23rd, 2022

di Massimo Sideri

La Nasa ha appena certificato l’esistenza dell’esopianeta numero 5mila. La ricerca di una Earth 2.0 è il Sacro Graal dell’astrofisica. Anche per rispondere alla fondamentale domanda: «Siamo soli nell’universo?»

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Immaginate dei pianeti che orbitano intorno al proprio sole. Pianeti potenzialmente abitabili, ma fuori dal sistema solare. E che come la Terra traggono dalla propria stella energia e luce. Ora smettete di immaginare perché questi pianeti esistono: si chiamano «esopianeti» o pianeti extrasolari. E non sono pochi. L’agenzia spaziale americana, la Nasa, ha appena certificato l’esistenza dell’esopianeta numero 5 mila. È solo un numero, si potrebbe pensare. Nulla di diverso dal 4.999 o dal 5.001. Ma in realtà è un numero che conta molto perché, fino a pochi anni fa, pensavamo di essere gli unici ad avere un sistema solare con una Terra e pochi altri pianeti che ne fanno parte (sempre lo stesso errore).

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Il primo esopianeta è stato avvistato solo negli anni Novanta. «Non è solo un numero — ha detto Jessie Christiansen, scienziata responsabile per l’archivio e la ricerca degli esopianeti con la Nasa per il Science Institute del Caltech in Pasadena — ognuno di questi è un nuovo mondo, un nuovo pianeta. Sono entusiasta di ognuno di essi perché non ne sappiamo nulla». Nell’ultimo grappolo che ha permesso di raggiungere la soglia dei 5.000 ne abbiamo scoperti oltre 60, tutti insieme. Più dell’uno per cento del totale. Dunque la domanda è: cosa è cambiato dagli anni Novanta?

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Noi e l’Ucraina: l’appello e l’impegno

mercoledì, Marzo 23rd, 2022

di Antonio Polito

«L’Ucraina è il cancello, ma è in Europa che vogliono entrare». Applaudendo ieri il presidente Zelensky, il Parlamento italiano ha condiviso questa sua analisi, e l’ha fatta propria. È un passaggio decisivo della nostra politica estera, e per molti aspetti una svolta. Per vent’anni una parte importante della politica italiana ha sperato in vario modo di poter essere amica di Putin, e di riceverne perciò un trattamento speciale. Nello stesso Parlamento in cui ieri il presidente ucraino ha accusato l’autocrate di Mosca di essere l’unico responsabile della carneficina nel suo Paese, siedono molte forze politiche che si erano fregiate di una «relazione speciale» con Putin, e l’avevano fatta valere anche in politica interna.

Dell’ammirazione personale di Berlusconi, al limite della venerazione, sappiamo tutto. Dei rapporti di Salvini e Savoini, inviato speciale della Lega a Mosca, si è occupata perfino la magistratura. Della generosità con cui il governo di Giuseppe Conte aprì le porte a una missione medico-militare russa durante il Covid, stiamo apprendendo molto in queste ore. Eppure ciò non ha impedito al nostro Parlamento di invitare Zelensky, di ascoltarlo, di applaudirlo e di prendere attraverso il governo un impegno solenne nei confronti dell’Ucraina: aiutarla a difendersi (anche con l’invio di armi, unico modo per difendersi in guerra) e aiutarla a entrare nell’Unione europea (perché la considera parte della nostra stessa comunità ideale e politica). Vedremo quanto a lungo durerà questa compattezza, e sopratutto se reggerà a prove più dure per tutti noi, esposti come siamo al ricatto energetico del Cremlino. Ma, per ora, troppo brutale, troppo ingiustificata, troppo disumana è stata l’aggressione militare di Putin perché ci potessero essere dei distinguo.

Naturalmente, al solito modo degli ignavi, più di 350 parlamentari hanno disertato la seduta, forse perché semplicemente distratti, indifferenti, in altri affari affaccendati; o impauriti, o neutrali tra l’aggressore e l’aggredito, come il senatore pentastellato Petrocelli che vorrebbe togliere la fiducia al governo e non si capisce a che titolo possa restare presidente della commissione Esteri a nome del partito che sia Conte, sia Fico, sia Di Maio hanno schierato contro l’aggressione. O addirittura perché, come la senatrice Granato, ennesima profuga della diaspora dei Cinquestelle, tifano apertamente per Putin, che «sta combattendo una battaglia non solo per la Russia ma per tutti noi». Ma dal punto di vista politico, quando persino i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, maggior partito di opposizione, riconoscono a Zelensky di essere un «leader europeo» che va aiutato in tutti i modi, ci possono essere pochi dubbi sulla posizione del nostro Paese: l’Italia — nelle parole di Draghi — vuole l’Ucraina libera e la vuole nell’Unione europea.

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Guerra in Ucraina, tutti gli uomini di Zelensky che guidano la resistenza

mercoledì, Marzo 23rd, 2022

di Milena Gabanelli e Francesco Tortora

Non solo militari, diplomatici e politici di lungo corso. Tra gli uomini e le donne che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha scelto per guidare la resistenza contro l’aggressore russo ci sono tanti outsider come lui: amici di infanzia, sceneggiatori televisivi, esperti del mondo digitale, giornalisti dissidenti e persino un’ex ammiratrice di Putin.

La prima vita di Zelensky

Prima di diventare presidente dell’Ucraina, Zelensky è stato un comico di successo. Nato a Kryvyi Rih nel 1978 da famiglia della borghesia ebraica (padre professore d’informatica, madre ingegnere), si laurea in legge a Kiev. Nel 2003 fonda la casa di produzione «Kvartal 95» e sposa Olena Kiyashko, da cui ha due figli Oleksandra (2004) e Kyrylo (2013). Recita in dieci film e tre serie tv, acquistando grande fama con la serie «Servitore del popolo» in cui denuncia la corruzione in Ucraina. Stravince le elezioni presidenziali nel 2019 con il 73% dei consensi promettendo di fermare lo strapotere degli oligarchi e di trovare una soluzione nella crisi russo-ucraina.

Gli esperti militari

Vediamo ora chi sono i collaboratori più vicini al presidente partendo da chi dirige le operazioni sul campo di battaglia: Valery Zaluzhnyi, 49 anni, nominato comandante in capo delle forze armate ucraine a luglio 2021. È il primo capo di stato maggiore del Paese a non aver appreso l’arte della guerra in una caserma sovietica. Da ufficiale si è distinto nel 2014 in Donbass e ha velocemente scalato le gerarchie militari, diventando un grande sostenitore dell’entrata nella Nato. Come consigliere per le azioni militari c’è Oleksiy Arestovych, 47 anni, studi all’Accademia militare di Odessa e carriera nell’esercito prima di diventare il volto che ogni sera racconta in tv agli ucraini come sta andando la guerra.

I negoziatori

Tra gli uomini ai quali Zelensky ha affidato il delicato compito di trattare con la Russia c’è il ministro della Difesa Oleksii Reznikov. Classe 1966, fedelissimo del presidente, ha ricoperto precedentemente anche il ruolo di vicepremier e di ministro per la Reintegrazione dei territori temporaneamente occupati. Avvocato di professione con la passione per gli sport estremi (al suo attivo 260 immersioni subacquee, 163 lanci con il paracadute e vari rally nel mondo), parla fluentemente russo, polacco e inglese e dal 1984 al 1986 ha prestato servizio militare nelle forze aeree sovietiche. Ad affiancarlo nei negoziati ci sono David Arakhamia, 43enne leader di «Servitore del popolo» (il partito di Zelensky); il 52enne viceministro degli Esteri Mykola Tochytskyi (anche lui ha fatto il servizio militare dal 1985 al 1987 nelle forze armate russe); Rustem Umerov, 40enne filoeuropeo che si batte per il riconoscimento dei diritti della minoranza tartara di Crimea e infine Mykhailo Podolyak, 50enne di Leopoli: come giornalista ha lavorato a lungo in Bielorussia, prima di essere arrestato dal Kgb di Lukashenko «per attività contro la sicurezza dello Stato» ed espulso in Ucraina. Oggi è uno dei consiglieri più ascoltati dal presidente ucraino ed è lui che ha svelato al Financial Times la bozza di accordo di 15 punti su cui stanno lavorando i due Paesi nemici. All’appello manca Denis Kireyev, il banchiere 45enne che ha partecipato ai primi due incontri dei negoziati, prima di scomparire nel nulla. Secondo i media ucraini sarebbe stato ucciso il 5 marzo perché sospettato di essere una spia russa. Per il Ministero della Difesa invece è un eroe che si è sacrificato in un’operazione di intelligence.

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Il grande freddo di Conte e Salvini

mercoledì, Marzo 23rd, 2022

Marcello Sorgi

Sotto gli occhi di Zelensky (che forse non se n’è accorto) e di Draghi, che aveva appena confermato le promesse di aiuti militari (forniture di armi) e diplomatici (accelerazione del processo di integrazione dell’Ucraina nell’Unione europea), la maggioranza che meno di due settimane fa aveva appoggiato il governo su questa linea, ottenendo a sorpresa il sostegno anche dell’opposizione di Fratelli d’Italia, s’è divisa, con Salvini e Conte che frenano e il leader dei 5 stelle che sta ventilando una mozione al Senato per fermare l’aumento delle spese per armamenti.

Così che si potrebbe quasi dire che nella giornata carica di emozione in cui il Parlamento ha sentito dalla viva voce del presidente ucraino la tragica descrizione delle conseguenze dell’invasione russa – bambini uccisi, città rase al suolo come Mariupol, paragonata a Genova, un Paese distrutto – all’ombra della più grave crisi internazionale degli ultimi anni e alla vigilia del vertice europeo con la partecipazione di Biden, in Italia è rinata, o sta provando a rinascere, la vecchia alleanza gialloverde che governò, con risultati assai mediocri e con un’evidente intenzione di spostare l’asse della collocazione internazionale dell’Italia, nel primo anno di legislatura. Salvini, rispetto a Conte, è stato più cauto: ha ammantato di pacifismo, mettendosi all’ombra del Papa, le riserve della Lega sulle posizioni del governo che in Parlamento la Lega aveva già approvato. Conte invece – evidentemente spinto dal Movimento 5 Stelle in ebollizione, vistosamente assente a Montecitorio e alle prese con il caso del presidente della commissione Esteri del Senato, Petrocelli, a rischio espulsione perché minaccia di non votare più la fiducia al governo – ha parlato di un’iniziativa al Senato per ridiscutere l’aumento delle spese militari. Ciò che, se confermato, porterebbe a una frattura della maggioranza gravida di conseguenze.

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Renzi: “La reazione a Putin va calibrata, nessuno scherzi con l’atomica”

mercoledì, Marzo 23rd, 2022

Carlo Bertini

ROMA. «La reazione a Putin va calibrata, nessuno scherzi con l’atomica», avverte Matteo Renzi. Invoca un ruolo nelle trattative dell’Europa, «che deve dare chance alla pace», mettendo in campo figure come la Merkel o Prodi. E bolla il presidente russo come «immorale, ma non umorale, perché vuole cambiare l’ordine mondiale». Ma l’ex premier liquida, «purtroppo, la narrazione di una Russia piegata dal sequestro degli yacht degli oligarchi». Sperando però che da questo choc, così come avvenuto per il Covid, l’Europa possa crescere, magari anche con un esercito comune: «Ora o mai più». Appena uscito da Montecitorio, dove ha ascoltato il discorso «emozionante» di Zelensky, Renzi mette i puntini sulle i: «Anche chi vuole a tutti i costi una pace frutto della diplomazia, deve riconoscere che c’è un aggredito e un aggressore. Chi li mette sullo stesso piano compie un grave errore politico».

Come le è sembrato l’intervento di Zelensky, rispetto agli altri suoi discorsi ai parlamenti Usa o israeliano?
«Un uomo coraggioso ma ovviamente provato da un mese di angoscia. Questa non è Netflix, è la guerra e Zelensky lo sa meglio di tutti. Forse meno forte di altri interventi analoghi, ma comunque un discorso orgoglioso e commosso».

Ha mantenuto toni moderati senza chiedere armi e una no-fly zone forse perché si sta lavorando più intensamente ad un accordo per via diplomatica?
«Spero che sia così. La no-fly zone non esiste: sarebbe l’inizio della terza guerra mondiale. E considerato il numero delle testate nucleari della Russia sarebbe la fine del pianeta. Putin è il responsabile di questa situazione, nessuna giustificazione per lui. Ma la reazione deve essere calibrata: nessuno può scherzare con l’atomica».

Nel parlamento italiano c’è stata una inedita sintonia nelle reazioni a Draghi tra Lega, sinistra radicale ed ex grillini. Come giudica le critiche al premier per non aver posto l’accento sulla pace ma sull’invio di armi?
«Penso che spaccare il capello in quattro per criticare Draghi non abbia senso: ha fatto un intervento serio, in linea coi partner europei e ha raccolto consenso anche di una parte dell’opposizione».

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Guerra Russia-Ucraina, l’esercito dei legionari, fra ideali di libertà e orgoglio nazionalista

mercoledì, Marzo 23rd, 2022

Francesca Mannocchi

Pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione russa il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato l’istituzione di una legione internazionale di volontari, ha stilato una procedura per agevolare l’ingresso dei combattenti stranieri attraverso le ambasciate ucraine nel mondo e inviato un messaggio chiaro: armarsi al nostro fianco sarà la prova del sostegno all’Ucraina sotto attacco, «chi combatte oggi per l’Ucraina – è stato il messaggio di Kiev – difende la libertà di un popolo e del suo governo democraticamente eletto da un esercito invasore». La chiamata alle armi in una Legione straniera per la difesa della libertà ha evocato in molti l’entusiasmo di chi si recò a combattere il fascismo durante la guerra civile spagnola. In poche settimane, stando ai dati diffusi dal Ministro degli Esteri di Kiev Dmytro Kuleba, avrebbero fatto richiesta di unirsi alle forze armate ventimila volontari in arrivo da 52 Paesi. Sono cittadini di ritorno, ucraini della diaspora, ma soprattutto volontari in arrivo da Stati Uniti, Canada, Georgia, Svezia, Francia, Belgio, Bielorussia. Un’adesione massiccia, rafforzata dall’approvazione di alcuni leader di governo che hanno apertamente sostenuto i loro cittadini nella decisione di combattere contro le truppe di Putin in Ucraina. Politici come la ministra degli Esteri britannica Liz Truss che ha espresso sostegno a chi deciderà di combattere «per la libertà e la democrazia non solo per l’Ucraina ma per l’intera Europa», come Chrystia Freeland, la ministra delle finanze canadese, che ha definito la lotta per l’Ucraina una lotta tra libertà e tirannia, paragonandola alla battaglia di Gettysburg nella guerra civile degli Stati Uniti, e alle battaglie contro il nazismo nella seconda guerra mondiale, e come il primo ministro danese Mette Frederiksen, che ha detto: «È una scelta che chiunque può fare, vale per gli ucraini che vivono in Danimarca e vogliono tornare a difendere il loro Paese, ma anche per altri che pensano di poter contribuire direttamente al conflitto». Tanti i leader a sostegno della Legione internazionale, che hanno visto nelle richieste di Zelensky una disperata richiesta di supporto, ma anche alcuni dubbi, preoccupazioni su cosa può significare per la sicurezza globale una rinnovata ondata di combattenti stranieri in movimento.

Timori come quelli espressi dal Primo ministro australiano Scott Morrison che ha sottolineato «l’incerta legalità delle azioni di chi combatte nella legione internazionale». Morrison centra un punto, perché la storia recente insegna che, per quanto possa apparire nobile il sostegno all’esercito di un Paese invaso e sotto attacco, la definizione giuridica e le conseguenze della presenza di combattenti stranieri in un conflitto, rischiano di complicare la guerra anziché contribuire a risolverla velocemente. Questi timori hanno prove storiche e le hanno in Ucraina, dove la guerra nel Donbass ha già registrato il più grande afflusso di combattenti stranieri di qualsiasi conflitto nella sfera post-sovietica.

Dal 2014, sarebbero oltre 17.000 i combattenti provenienti da 55 Paesi che hanno combattuto lì sia dalla parte ucraina che da quella russa.

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