Archive for Aprile, 2022

Kiev e Casa Bianca, i 12 giorni di Draghi che deve conciliare tra Usa e Europa

giovedì, Aprile 28th, 2022

Adalberto Signore

Nei prossimi dodici giorni Mario Draghi sarà prima a Kiev per incontrare Volodymyr Zelensky e poi a Washington per un bilaterale con Joe Biden. Un tour piuttosto impegnativo, dedicato tutto alla crisi ucraina e alle sue conseguenze sia sugli equilibri geopolitici globali che sul fabbisogno energetico europeo.

Ed è proprio della visita nella capitale dell’Ucraina che hanno parlato ieri il premier italiano e Zelensky, nel corso di una telefonata di cui ha dato notizia sui social il presidente ucraino. Una trasferta complicata per evidenti ragioni logistiche, legate a una situazione sul campo in costante evoluzione. I protocolli di sicurezza sono infatti rigidissimi e coinvolgono presidenza del Consiglio, Farnesina e Aise, i servizi di intelligence esterna. Si stanno studiando diversi slot, anche se sembra improbabile che – come auspicato da Palazzo Chigi – sia possibile organizzare a Kiev una visita che oltre a Draghi coinvolga contestualmente anche il presidente francese Emmenuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Massimo riserbo, ovviamente, sui tempi. Da oggi, però, ogni giorno è considerato buono per un viaggio che sarà necessariamente a tappe: in aereo fino in Polonia, per poi raggiungere Kiev con il treno o, se necessario, con la macchina. Perché non solo i cieli dell’Ucraina sono interdetti, ma anche le principali reti ferroviarie – alcune delle quali sono utilizzate per spostare i rifornimenti militari della Nato – sono considerate a rischio. In tutto, dunque, per arrivare da Roma a Kiev ci vorranno circa dieci ore di viaggio. Una trasferta che qualcuno ipotizza entro il primo maggio, ma che più probabilmente slitterà a dopo il 3 maggio, quando il premier interverrà a Strasburgo alla plenaria del Parlamento europeo. Peraltro, due giorni dopo – il 5 maggio – Draghi potrebbe essere proprio in Polonia per partecipare a un vertice Ue sulla crisi ucraina.

Un incontro, quello tra Zelensky e Draghi, che avrebbe ovviamente un alto valore simbolico. Non a caso, ieri il presidente ucraino ci ha tenuto a ribadire il suo «apprezzamento» per il «sostegno» di Roma sul fronte delle sanzioni. Zelensky si è detto anche «grato» per «il coinvolgimento italiano nelle indagini sui crimini contro l’umanità commessi dalla Russia» e ha «ringraziato» il nostro Paese per aver dato rifugio «a oltre 100mila ucraini» che «sono stati costretti a fuggire a causa dell’aggressione di Mosca».

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“Ciao, mamma va nello spazio”. Samantha Cristoforetti ritorna in orbita, partita la missione della Crew-4

giovedì, Aprile 28th, 2022

Antonio Lo Campo

Samantha Cristoforetti è in orbita dalle 10 e 01, ora italiana. Un’orbita iniziale, che dovrà essere aggiustata ancora prima di andare all’inseguimento definitivo verso la Stazione Spaziale Internazionale. Un lampo di luce nella notte della Florida, e il razzo Falcon 9 si è sollevato dalla piattaforma 39 A dello spazioporto di Cape Canaveral. Ed è schizzato verso il cielo che da nero è diventato ancora più nero, in orbita attorno alla Terra a quasi 400 chilometri d’altezza. Obiettivo, la Stazione Spaziale Internazionale, che verrà raggiunta e attraccata questa notte, alle 2,45 ora italiana. È iniziata così la seconda missione spaziale di Samantha Cristoforetti, astronauta italiana dell’ESA europea. Tutto si è svolto regolarmente, dall’inizio del conto alla rovescia, sino al riempimento delle centinaia di litri di combustibile liquido, che viene rifornito nelle ultime ore prima del lancio (a differenza di ciò che avveniva in passato) quando gli astronauti sono già all’interno della capsula, in cima al razzo.

Cambio di equipaggi La navicella Crew Dragon di nome “Freedom” è stata lanciata dal “Pad” 39 A, storico e leggendario poiché da qui, a un passo dalle coste dell’Atlantico, presero il via le missioni lunari Apollo con il gigantesco Saturn V, la stazione Skylab e circa la metà delle missioni Shuttle.

Il Falcon 9, il razzo di Elon Musk che garantisce ormai da due anni il servizio spola Terra-Spazio con astronauti, e da un decennio invia le capsule cargo alla Stazione, ha lanciato una navicella con equipaggio per la sesta volta. Ha inviato sinora in orbita 4 equipaggi di astronauti di professione per missioni Nasa e di partner internazionali della Stazione Spaziale, compreso quello di stamani, e due equipaggi di astronauti “privati”, cioè non di professione, l’ultimo dei quali è ammarato lunedì a conclusione della missione Axiom-1. Proprio i continui ritardi (soprattutto per cause meteorologiche nella zona d’ammaraggio) della capsula Crew Dragon di Axiom-1 ha fatto di conseguenza ritardare di otto giorni il lancio della missione Minerva di Samantha e dei suoi tre compagni di missione Crew 4: Kjell Lindgren, Bob Hines e Jessica Watkins. La Cristoforetti, 45 anni compiuti proprio ieri, nata a Malé, in Trentino, ex pilota e ufficiale dell’Aeronautica Militare, è in orbita con il ruolo di ingegnere di bordo. Il rientro di lunedì dei 4 astronauti, uno di professione e 3 imprenditori addestrati e idonei al volo spaziale, anticipava di sole 39 ore il lancio di AstroSamantha e dei suoi 3 compagni di missione. E una volta raggiunta la Stazione, l’equipaggio di Crew 4 sostituirà quelli della Crew 3, partiti lo scorso novembre . Sono gli astronauti Raja Chari, Thomas Marshburn and Kayla Barron della NASA e il tedesco dell’Esa Matthias Maurer, che rientreranno sulla Terra tra 5 giorni.

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Metano, la Tap batte Mosca: ecco come l’Italia corre verso l’indipendenza dalla Russia

giovedì, Aprile 28th, 2022

Paolo Baroni

Gli operatori del settore, «off the records», lo spiegano col calo dei consumi e con le normali dinamiche commerciali: non illudiamoci che anche fra 6-7 mesi quando farà più freddo sia ancora così, ma è un dato di fatto che questo mese l’Italia abbia dimezzato la sua dipendenza dal gas russo: dal 32% di 12 mesi fa si è infatti passati al 16%.

Come è stato possibile alleggerire così tanto la dipendenza da Mosca? Massimizzando tutte le altre principali fonti di approvvigionamento alternative ed aumentando l’impiego dei rigassificatori. Esattamente come prevedono i piani del governo, che però in vista dell’inverno avrà bisogno di altri apporti di forniture.

Consumi in calo
Stando ai dati che quotidianamente Snam pubblica in rete nella giornata di ieri era prevista l’immissione nelle rete nazionale dei gasdotti di 211,2 milioni di metri cubi di metano (contro gli oltre 400 richiesti nei mesi più freddi dell’anno): 177,1 destinati ai consumi di famiglie e imprese, 2,5 esportati e 32 destinati a riempire gli stoccaggi.

Già nel primo trimestre la Russia aveva ceduto il passo all’Algeria, che in questo modo aveva conquistato la prima posizione tra i nostri fornitori di gas. Nelle scorse settimane non solo questo fenomeno si è consolidato ma la Russia è scesa addirittura in terza posizione, superata a seconda dei giorni anche dalle importazioni dal nord Europa (Norvegia in primis) attraverso il Transitgas che arriva a Passo Gries e da quelle dall’Azerbaigian attraverso il gasdotto Tap che approda a Melendugno.

Passo Gries batte Tarvisio
Ieri a Tarvisio grazie al Tag sono arrivati nelle 24 ore 28,2 milioni di metri cubi di metano, contro i 29,2 di Melendugno ed i 25,6 milioni di Passo Gries. Martedì a fronte di un totale di 238,4 milioni di metri cubi immessi in rete il Transitgas ci ha assicurato 39,1 milioni di mc, il Tag 38,7 ed il Tap 30. Solo un mese prima, il 26 aprile, il contatore che controlla il flusso di gas dal Nord Europa era sullo zero spaccato mentre Tarvisio arrivava a 69,6 milioni.

Ma non è solo dal Nord Europa che l’Italia importa più gas: come detto sono infatti tutte le altre fonti di approvvigionamento che vanno a pieni giri a partire dal Transmed, il gasdotto che collega l’Algeria e dai noi arriva a Mazara del Vallo che negli ultimi giorni non trasporta meno di 63-64 milioni di metri cubi al giorno, mentre il Tap a sua volta viaggia sempre attorno a 26-30 milioni.

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La nostra Europa vicina al tramonto

giovedì, Aprile 28th, 2022

Massimo Cacciari

Mentre prosegue la tragedia ucraina e l’opinione pubblica è indotta a pensare di capirne qualcosa dalle tremende immagini dell’ultima ora provenienti dal fronte, le vicende dell’Europa occidentale sembrano svolgersi sul canovaccio di un suo sempre più irresistibile tramonto. Le sanzioni, inevitabili dopo l’invasione (e che Putin non poteva non aver previsto, dal momento che in precedenti e assai meno gravi occasioni la Russia le aveva subite), peseranno sulla sua economia, e, quel che conta ancora più, in modo tremendamente disuguale, accentuando le differenze tra Paese e Paese dell’Unione nelle politiche di welfare. Il suo ruolo geopolitico, poi, tenderà a scomparire, dopo le brillanti prove fornite con la guerra in Iraq, dal Medio-Oriente all’Afghanistan. Eppure, qualche anno fa, sulla tragedia in Ucraina (che, allora, quando l’esercito ucraino attaccò i secessionisti del Donbass, non suscitava molto interesse) si era alzata la voce di un suo protagonista. Macron aveva infatti “sponsorizzato” un accordo possibile tra Ucraina e Russia sulla base dello “stand by” di ogni decisione in merito all’ingresso dell’Ucraina nella Nato e dell’apertura di serie trattative sulla sistemazione delle regioni del Donbass e della Crimea che sono a larghissima maggioranza russofone (il pubblico forse ignora che la Crimea venne “donata” da Kruscev, ucraino, nel 1954 alla sua repubblica natale allora ovviamente parte dell’Urss, e che al referendum di qualche anno fa votò per tornare alla Russia il 96,7% degli aventi diritto – brogli meravigliosamente riusciti, vero?). Ora, questi spiragli per un’azione autonoma sono ridotti a meno della cruna dell’ago. Ma ciò è destinato a incidere radicalmente anche sugli equilibri politici interni dei nostri Paesi.

Diciamoci le cose con la franchezza, l’onestà e il realismo che le tragedie impongono. Le elezioni francesi insegnano, come, nello stesso senso, insegnano anche le vicende italiane, e prima ancora quelle greche, spagnole, ecc. ecc. Casi diversi, certo, in base anche alla forza dei diversi Stati, ma un filo rosso li unisce. Le Marine Le Pen potranno provare altre dieci volte a vincere e mai vinceranno. Pericolo felicemente scampato – meno felici forse le ragioni per cui ne siamo immuni. Semplicemente, i nostri concittadini europei hanno compreso in grande maggioranza che non è possibile governare un Paese occidentale senza l’esplicito sostegno delle grandi potenze finanziarie e economiche globali. Votare le Le Pen significa votare per aprire una crisi. I cittadini europei votano oggi, e del tutto ragionevolmente, per coloro che pensano in grado di difendere, grazie alla autorevolezza di cui godono proprio “a casa” di quelle potenze, quel poco o tanto di benessere e sicurezza che è loro rimasto. Le Le Pen non sono votate – o non sono votate abbastanza – non perché culturalmente indigeribili, ma perché sicuri fattori di sicura insicurezza. Così almeno in tutte le elezioni che contano, in altre il voto può essere più “libero” e la protesta nei confronti dell’establishment alzare la voce. Se però la alza troppo – vedi affermazioni grilline – la situazione diviene ingovernabile e si provvede, come da noi, con i Ciampi, i Dini, i Monti, i Draghi (e conseguente ravvedimento dei rottamatori – incredibile addirittura nel caso dei vari Di Maio nostrani). Provvedimenti provvidenziali, magari, ma la morale della favola non cambia: in Occidente non si governa se non sulla linea politico-economica che questi nomi rappresentano. La scomparsa della cosiddetta “sinistra” è il prodotto di tale destino, ben più che della incapacità e smemoratezza dei suoi leader. E la nostalgia per quel nome, rimasto un puro flatus vocis, semplicemente patetica. La riduzione dell’Europa a Provincia atlantica è l’altrettanto inevitabile conseguenza – che poi, per rendere la legge meno dura, si dipinga la Nato come una grande forza di pace non è, si sarebbe detto una volta, che trascurabile sovrastruttura ideologica.

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Bollettino 27 aprile, nuova fiammata di contagi e 186 morti: “Restano le mascherine”, le cifre e le conseguenze

giovedì, Aprile 28th, 2022

Sono 87.940 i nuovi contagi da Covid registrati in Italia nelle ultime 24 ore: lo si legge nel bollettino diramato dal ministero della Salute. Il dato è in crescita rispetto a ieri, quando invece erano stati segnalati 29.575 positivi. In aumento anche i morti, che passano da 146 a 186. A fronte di 554.526 tamponi eseguiti, invece, il tasso di positività cala al 15,85%. 
In lieve diminuzione le ospedalizzazioni, sia in terapia intensiva che nei reparti medici ordinari: In quest’ultimo caso, infatti, i ricoverati calano di 173, portando il totale dei pazienti con sintomi a 10.155; mentre nei reparti più critici i ricoverati calano di 15 unità, facendo scendere il totale dei ricoverati gravi a 394. La buona notizia è che i pazienti di terapia intensiva scendono sotto quota 400 per la prima volta dopo oltre cinque mesi. 

Nel frattempo si discute del nuovo decreto Covid che dovrebbe essere approvato nei prossimi giorni. Al centro del dibattito la proroga dell’obbligo di mascherina al chiuso. Secondo il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, bisogna continuare a “mantenere l’obbligo al chiuso e riservarlo in alcune situazioni: trasporti pubblici, cinema, teatri, luoghi dove c’è un affollamento maggiore. Lì è ragionevole pensare a una proroga di un mese dell’obbligo. Per tutto il resto si può passare a una raccomandazione”, ha detto ai microfoni di Rtl 102.5.

LIBERO.IT

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Lucio Caracciolo, escalation nucleare: “Dove Putin può sganciare l’atomica”. Conto alla rovescia?

giovedì, Aprile 28th, 2022

La minaccia della guerra totale e, peggio ancora, delle armi atomiche, con il passare dei giorni di guerra in Ucraina, si fa sempre più concreta. Il Cremlino non lo nega, l’ultima minaccia è arrivata direttamente da Vladimir Putin giusto qualche ora fa. “Di fronte alle minacce alla Russia abbiamo tutti gli strumenti. Quelli di cui nessuno può vantarsi ora. E noi non ci vantiamo. Se necessario li useremo”, ha detto chiaro e tondo lo zar riferendosi alla Nato. 
E della possibilità di un attacco atomico se ne parla a Otto e Mezzo, il programma condotto da Lilli Gruber su La7, dove nella puntata di martedì 27 aprile, ospite in studio, ecco Lucio Caracciolo, il direttore di Limes ed esperto di strategie militari. E Caracciolo, di fatto, non esclude un’escalation atomica.

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Matteo Salvini, dopo mesi di gelo con Giorgia Meloni… La mossa: qui si decide il futuro dell’alleanza

giovedì, Aprile 28th, 2022

Elisa Calessi

Lega e Forza Italia da una parte, Fratelli d’Italia dall’altra. Le strade dei due centrodestra (di governo e di opposizione) sembrano dividersi sempre di più, rompendo il miracolo che fin qui aveva retto, cioè di riuscire a tener separati il piano nazionale (dove c’è chi appoggia il governo e chi no) e quelle locali (dove finora il centrodestra si era presentato sempre unito). E così, in una escalation di tensioni, tra vertici che per qualcuno dovevano tenersi, per altri non erano mai stati nell’aria, ieri si è arrivati, da parte dei Fratelli d’Italia, alla minaccia dell’arma finale: andare, alle elezioni politiche, ciascuno per conto proprio. A sera fonti del Carroccio hanno provato a calmare gli animi, assicurando che «per la Lega l’unità del centrodestra è un valore importante, in Italia e in Europa: un incontro si può fare anche domani per superare divisioni che aiutano la sinistra». Ma, per ora, è più una mozione di affetti, più che altro. Le divisioni restano. E non è nell’aria un vertice tra i leader. I NODI DA SCIOGLIERE – L’oggetto del contendere è la Sicilia, in particolare Palermo, dove Forza Italia e Lega hanno deciso una candidatura, Francesco Cascio, che Fratelli d’Italia non condivide. Non tanto per la persona in sé. Quanto perché Giorgia Meloni vuole chiudere sull’intero pacchetto, compresa la candidatura alle Regionali, dove si voterà subito dopo. Meloni vuole la riconferma di Nello Musumeci. Solo che Forza Italia e Lega non ci stanno. Motivo per cui, Meloni pensa di sostenere Roberto Lagalla, nome gradito anche a Noi con l’Italia di Saverio Romano, ai forzisti che fanno capo a Marcello Dell’Utri, agli autonomisti di Raffaele Lombardo, ai centristi di Totò Cuffaro e ai renziani. Poi c’è Verona, dove Fratelli d’Italia punta alla riconferma di Federico Sboarina, ex leghista passato alla Meloni, ma Forza Italia non intende sostenerlo, anche perché il partito di Silvio Berlusconi è all’opposizione, non avendo ottenuto alcun posto in giunta. Questi sono i nodi veri. Poi c’è l’effetto: la tensione quotidiana, ieri molto alta.

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Corte Costituzionale, illegittimo dare in automatico il cognome del padre ai figli

giovedì, Aprile 28th, 2022

di Alessandra Arachi

Lo hanno deciso mercoledì i giudici con l’ermellino stabilendo che la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori, salvo che decidano diversamente di comune accordo. Cartabia: «Passo avanti verso effettiva uguaglianza di genere»

Sono illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente soltanto il cognome del padre con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. Lo ha deciso mercoledì la Corte Costituzionale con una sentenza che ha definito «discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre» e ha precisato che «la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dei medesimi concordato, salvo che essi decidano di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due». «Grazie alla Corte Costituzionale, un altro passo in avanti verso l’effettiva uguaglianza di genere nell’ambito della famiglia», commenta la Ministra della Giustizia, Marta Cartabia.

In attesa della sentenza — che sarà depositata nelle prossime settimane — dalla Consulta fanno sapere che le norme censurate sono state dichiarate illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Secondo la Corte nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale. È compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi a questa decisione.

Il caso è stato sollevato da una giovane famiglia lucana per una storia di tre fratelli, i primi registrati col cognome della madre e il terzo registrato automaticamente con il cognome nome del padre perché nato dopo il matrimonio tra i due genitori. I due genitori avrebbero voluto registrare con il cognome della madre anche il terzo figlio — per renderli tutti uguali — ma gli uffici comunali si sono opposti e i magistrati in primo grado hanno dato ragione al Comune. A sottoporre la vicenda alla Consulta, a novembre dell’anno scorso, è stata la Corte d’appello di Potenza dichiarando «rilevante e non manifestamente infondata» la questione di legittimità costituzionale delle norme in materia, sollevata dagli avvocati Domenico Pittella e Giampaolo Brienza che hanno commentato: «Storico risultato. La pronuncia della Corte Costituzionale sul cognome del nato rappresenta una piccola rivoluzione».

In Parlamento sono depositate cinque proposte di legge che prevedono che con un accordo tra genitori ci sia la possibilità di scegliere di attribuire un solo cognome, quello del padre o della madre o di entrambi cognomi nell’ordine che si ritiene. In caso di conflitto tra i genitori, tra le ipotesi c’è che il doppio cognome venga attribuito in ordine alfabetico.

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Ucraina-Russia, news di oggi sulla guerra | Putin minaccia: «Useremo armi che nessuno ha, non interferite»

giovedì, Aprile 28th, 2022

di Lorenzo Cremonesi, Gianluca Mercuri, Marco Imarisio

Le notizie di giovedì 28 aprile sulla guerra in Ucraina, in diretta: violento discorso di Putin: «Se qualcuno dall’esterno vuole interferire, sappia che la nostra risposta sarà rapida». Gli Usa: «Giustiziati ucraini che volevano arrendersi»

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Un hangar distrutto all’aeroporto di Gostomel, nei pressi di Kiev (Epa)

• La guerra in Ucraina è arrivata al 64esimo giorno, e le minacce verbali di Putin ieri si sono alzate – di nuovo.
• Ieri Mosca ha interrotto le forniture di gas alla Polonia e alla Bulgaria perché le società energetiche dei due Paesi non hanno accettato di pagare in rubli, come chiesto da Mosca.
• Il presidente del Consiglio Draghi andrà negli Usa da Biden il 10 maggio. In via di organizzazione anche il viaggio di Draghi a Kiev.
• Uno dei vicepresidenti di Gazprombank, Igor Volobuev, ha lasciato la Russia per l’Ucraina dove ha dichiarato che si unirà ai combattimenti contro Mosca.

Ore 07:40 – La flotta russa continua a colpire le coste ucraine, nonostante l’affondamento del Moskva

C’è un aggettivo, nell’aggiornamento quotidiano sul conflitto redatto dal ministero della Difesa britannica, che i militari di Londra devono aver inserito con un misto di soddisfazione e perfidia. E che contrasta, però, con la sostanza — cupa — dell’«update» stesso.

«Nonostante le imbarazzanti perdite della nave da sbarco Saratov e dell’incrociatore Moskva» — scrive il ministero della Difesa britannico — «la Flotta russa del Mar Nero mantiene la capacità di colpire obiettivi sulla costa e il territorio ucraino».

Secondo il governo britannico, lo «Stretto del Bosforo rimane comunque chiuso a tutte le navi da guerra non turche, impedendo alla Russia di rimpiazzare il Moskva nel Mar Nero».

In totale, sottolinea Londra, sono «circa 20 le navi, compresi sottomarini, della Marina russa attualmente presenti nella zona operativa del Mar Nero».

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Ore 07:33 – Le mosse di Putin sono un segno di debolezza?

(Marco Imarisio) Anche la voce del padrone può nascondere qualche debolezza. Soprattutto quando urla più forte. Vladimir Putin ha agito per primo, facendo ricorso al taglio del gas nei confronti di Polonia e Bulgaria, due Stati confinanti e sempre più schierati con l’Occidente. La chiusura dei rubinetti, dovuta al rifiuto del pagamento in rubli come richiesto dal Cremlino, potrebbe estendersi ben presto al resto dell’Europa, così dipendente dall’energia fornita da Mosca.

E per questo è stata accolta con il consueto giubilo in Russia, giudicata come una prova di forza del presidente russo, fedele alla sua immagine ormai consolidata di nuovo zar in missione contro l’intero Occidente, considerato una causa persa, una entità con la quale al momento non vale la pena conservare alcuna forma di rapporto. Tanto vale infliggersi da solo questa prima e parziale mutilazione, senza aspettare che l’Unione europea si decida per la mossa uguale e contraria, ovvero la rinuncia alle forniture russe, che sarebbero l’arma totale. Perché senza i soldi incamerati con gas e petrolio e le riserve aurifere e monetarie all’estero bloccate dalle sanzioni, l’autonomia dello Stato russo per pagare i propri dipendenti, tra i quali i soldati impegnati nell’Operazione militare speciale, viene stimata intorno ai 2-3 mesi.

Ma è proprio questo dettaglio che rivela la debolezza nascosta dietro la decisione annunciata ieri da Gazprom. La scelta di richiedere il pagamento in rubli ai Paesi europei non è una impuntatura, ma una necessità. La Russia ha bisogno di moneta corrente. Le sanzioni stanno avendo l’effetto della goccia cinese, scavano ogni giorno di più. E persino il ministero delle Finanze è stato costretto ad ammettere che le cose vanno male.

(Qui l’articolo completo)

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Ucraina, in gioco valori non solo interessi

giovedì, Aprile 28th, 2022
Il commento dell’ex direttore ed editorialista del Corriere della Sera

Ferruccio de Bortoli / CorriereTv

La solidarietà agli ucraini, l’aggressione sanguinosa, la strumentalizzazione a cui si assiste in Italia, la sottolineatura eccessiva degli interessi rispetto ai valori: ecco su cosa dovremmo stare più attenti. Se gli interessi arrivano prima dei valori siamo una società in un declino inarrestabile.

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