Archive for Aprile, 2022

M5S, l’odore dei soldi

domenica, Aprile 24th, 2022

MASSIMILIANO PANARARI

Denaro sterco del demonio. Sembra di sentir risuonare l’anatema di Lutero guardando alle origini del Movimento 5 Stelle. Lo “stato nascente” della (elettoralmente molto redditizia) reinvenzione della «questione morale» in Italia. Al cospetto della quale il grillismo si presentava come la talpa della storia (che scavava da sotto la torre eburnea dei privilegi) e lo scudo delle persone perbene, vessate dalle tante “caste” e dai “nemici del popolo”. «Onestà, onestà» era il ritornello gridato senza sosta dalle piazze pentastellate: e, ovviamente, il denaro era la sentina di ogni corruzione. Al punto che nelle varie e confuse proposte grilline di monete alternative all’euro si rifletteva anche un po’ di questa sfiducia moralistica nei confronti della circolazione del denaro e della ricchezza in quanto tale.

Difatti, mentre rivendicava il pauperismo della dichiarazione dei redditi dei suoi esponenti, il Movimento si definiva addirittura «francescano». Ma, si sa, chi di puritanesimo ferisce, di finanziamenti e denaro può morire (almeno un po’). Beppe Grillo è un professionista affermato dello show business (e, più di recente, un superperformer della politica-spettacolo) che coi soldi, nel corso della sua vita, ha avuto sempre grande dimestichezza e consuetudine. Così ora, dopo l’ennesimo periodo di silenzio, lo si ritrova di nuovo al centro delle cronache per la sottoscrizione di due “contratti di partnership”, dell’ammontare complessivo di 300 mila euro, finalizzati a «sviluppare la linea comunicativa» del M5S (ospitandone i post sul proprio blog). In buona sostanza, il cofondatore, l’«Eletto», il già «megafono» del Movimento riceverà un (lauto) compenso, come se fosse un consulente o un fornitore esterno. Non per nulla, il “savonaroliano” M5S, infaticabilmente proiettato ad additare i conflitti di interesse altrui, è stato di fatto un’azienda-partito per tutto il tempo della simbiosi con la Casaleggio Associati; e a tutt’oggi continua ad avere una natura piuttosto sfuggente, nella quale lo sterco del demonio rischia di percolare da dove meno te lo aspetti. Ma, per l’appunto, non si tratta di un inedito, visto che, in realtà, la storia del Movimento è costellata a più riprese di incidenti di percorso e omissioni riguardanti proprio il “vil denaro”. Una (tutt’altro che) magnifica ossessione. E pure una, inequivocabile, nemesi, che si può leggere anche nei termini di una via crucis a tappe.

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L’arte impossibile di arrendersi: i combattenti che difendono l’Azovstal temono la vendetta dei filo-russi

domenica, Aprile 24th, 2022

Domenico Quirico

Platone giudiziosamente raccomandava di proibire nello stato ideale la lettura dei poemi di Omero; perché trasmettevano ai cittadini «idee false riguardo alle questioni umane e divine», una di queste idee false e pericolose era la concezione dell’eroe che combatte fino alla morte per il desiderio della gloria e dell’onore. Che preferisce perire piuttosto che arrendersi anche quando la sua morte appare inutile. Mark Twain accusava Walter Scott di essere tra i responsabili del macello della guerra civile americana. I suoi romanzi cavallereschi avrebbero modellato le genti del Sud spingendole a una guerra gloriosa fino all’inutile sacrificio. Questo mi è venuto in mente attendendo, invano, ogni giorno, da settimane la notizia della resa dei difensori della acciaieria Azovstal a Mariupol dove la battaglia divora vite tra le rovine di una città che ha gli edifici rotti come gusci. Invece loro sembrano decisi a immolarsi, temo purtroppo trascinando nel proprio destino anche i civili rinchiusi nei sotterranei del complesso industriale e che non hanno più alcuna possibilità di modificare il corso della battaglia o di ricevere aiuti dagli ucraini.

Questo fazzoletto di undici chilometri quadrati sporchi di tutti i sudiciumi della guerra si abbranca alla grandezza della volontà di non alzare bandiera bianca. Aleggia la puzza di imbalsamazione eroica, di sepolcri che rimettono in piedi i vecchi miti dei combattenti martiri. I difensori di Mariupol, nazisti o non nazisti che siano, sono in preda alla chimera della eternità, della bella morte.

C’è in questo feroce frammento della guerra qualcosa di cui aver paura. Sognatori e saturi di notte tengono insieme la loro vita e quella a cui costringono civili, donne, bambini. Anche loro lì, sottoterra, con le onde sonore che penetrano nelle orecchie negli occhi, nel cervello e sbatacchiano i corpi in un violento tremore. Loro che obbligo hanno di diventare semidei, martiri morti in battaglia? Chi ha chiesto a questi sventurati nel misterioso mondo del campo di battaglia di convincere, sacrificandosi, gli altri che la loro causa è sacrosanta e quindi è onorevole morire in suo nome? La grandezza dei miliziani di Azovstal semmai non sarebbe proprio nell’arrendersi per dare ai civili, almeno a loro, qualche possibilità di salvarsi?

Speravamo di essere entrati in un età finalmente anti eroica. Eppure l’onore militare riveste ancora un ruolo importate negli eserciti, soprattutto tra le forze speciali. Il codice di condotta dei marines che risale agli Anni Settanta detta: «Non capitolerò mai volontariamente. Quando sarò al comando non capitolerò mai per i miei uomini se essi avranno ancora la possibilità di opporre resistenza».

Non so se i miliziani ultranazionalisti abbiano mai letto l’avvertenza di Omero, (mi pare che il loro comandante abbia affermato semmai di frequentare le pagine di Kant!), e che questa ostinata volontà di non capitolare sia davvero legata alla ricerca omerica della fama, perché solo il coraggioso avrà la consacrazione del ricordo e non tornerà nel nulla inghiottito dal buio eterno dell’oblio.

O non sia piuttosto la loro una non scelta, un eroismo obbligatorio: perché nella tragedia grande della guerra ucraina Mariupol sembra essere una scaglia che custodisce in sé un frammento particolare di odio e di veleni. Che insomma sia anche guerra civile, il regolamento di conti tra gli uomini della Azov, nazisti forse non soltanto per la propaganda russa, e gli abitanti del Donbass che hanno scelto il campo russo, altrettanto spietati.

Sono stati otto anni di feroce guerra civile, dove la pietà viene dopo e la prima cosa che conta è uccidere e vendicarsi, cancellare il nemico. E quindi per loro non esiste quell’arte della resa, capitolare, consegnarsi al nemico, che nel corso dei secoli ha modellato o cercato di disciplinare quello che è stato definito non a caso l’atto archidemico della guerra. Sanno cioè che il loro destino non è quello di prigionieri ma di esser giustiziati, massacrati in nome della vendetta. Questo è Mariupol, un luogo che esisterà in un lungo istante di violenza che va al di là di qualsiasi immaginazione.

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L’Italia liberata, la guerra russa e la resistenza dei popoli in armi

domenica, Aprile 24th, 2022

MASSIMO GIANNINI

La sofferenza umana! Sarà ricordata, nei secoli a venire? Perché le pietre degli enormi palazzi e la gloria dei generali restano, ma la sofferenza no; la sofferenza è fatta di lacrime e sussurri, di ultimi respiri e del rantolo di chi muore, di grida di disperazione e di dolore, ma scompare senza lasciare traccia, insieme al fumo e alla polvere che il vento disperde nella steppa…». Sono i pensieri che l’immenso Vasilij Grossman fa brillare nella mente di Zenja, una delle donne-coraggio del monumentale “Stalingrado”, appena pubblicato da Adelphi. Anche lei, come altri, viene dall’Ucraina, che allora era sovietica. Cammina tra le macerie, per le strade della città devastata dai bombardamenti tedeschi, e osserva corpi che vagano, pregano, agonizzano. Vede una vecchia che sta morendo, mentre accarezza per l’ultima volta suo figlio. Si chiede cosa accadrà dopo, quando tutto sarà finito. Che ne sarà di questo legno storto che chiamiamo uomo, travolto dal fiume della Storia?

Dolore e memoria: è la “materia” di cui sono fatti i nostri incubi, in questa vigilia di 25 aprile. Noi festeggiamo la sconfitta del nazifascismo, mentre gli ucraini soffrono e muoiono sotto le bombe di Putin. Vicende storiche diverse, ma è impossibile non vederle connesse nella tragedia di un Novecento che non si rassegna mai a finire. Negli anni passati siamo riusciti a dividerci sul giorno della Liberazione perché, per usare la vecchia formula di Ennio Flaiano, una “trascurabile maggioranza” della destra italiana non ha mai fatto i conti con se stessa, accettando una volta per tutte l’idea che a far nascere la nostra democrazia sia stata la Resistenza.

L’esito, nel tempo, è stato scandaloso: una specie di “cancel culture” al contrario, tra “Bella Ciao” bandita nelle scuole e proposte di legge per trasformare il 25 aprile nella liberazione dal fascismo e dal comunismo. Quest’anno siamo riusciti a dividerci perché una deprecabile minoranza della sinistra italiana considera sacrilego qualunque accostamento tra la nostra Resistenza e quella degli ucraini, rifiutando a priori l’idea che Putin sia il carnefice e quel popolo la vittima. L’esito, qui ed ora, è stato vergognoso: una sorta di maccartismo incrociato, tra “russofili” pagati dal Cremlino e “amerikani” al soldo della Casa Bianca.

Sergio Mattarella ha rimesso ordine nel caos. Con il 25 aprile ricordiamo la rivolta morale e militare contro l’oppressore Mussolini: un “popolo in armi” riconquistò la libertà e la pace, dopo la guerra voluta dal regime fascista. Con il 25 aprile celebriamo «la data fondativa della nostra democrazia», la ricomposizione dell’unità nazionale e la riconciliazione sancita dalla Costituzione, che è la culla di tutti i diritti e la casa di tutti gli italiani. Con il 25 aprile ricordiamo «la sofferenza dei civili», contro i quali si accanirono le camicie nere e quelle brune. Gli stessi crimini si stanno consumando oggi con la sporca guerra russa contro l’Ucraina. Un «attacco violento e ingiustificato» ai danni di uno Stato indipendente. Un’invasione che ci riporta «alle pagine più buie dell’imperialismo» e che richiede una solidarietà «ferma e coesa» verso l’Ucraina. Dovrebbe essere naturale, proprio per noi che gli stessi orrori li abbiamo vissuti durante il Ventennio: un’esperienza terribile, che sembra dimenticata in queste settimane «da chi manifesta disinteresse per le sorti e la libertà delle persone, accantonando valori comuni su cui si era faticosamente costruita, negli ultimi decenni, la pacifica convivenza tra i popoli».

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“Phasing out”: la nuova strategia europea contro l’energia russa

domenica, Aprile 24th, 2022

Andrea Muratore

Nessun embargo totale, ma un piano graduale di distacco dei mix energetici europei dalla dipendenza dalla Russia: la via già tracciata sul carbone, con la graduale sostituzione delle forniture australiane a quelle russe, potrebbe essere la strategia segnata anche sul fronte del petrolio e, in prospettiva, del gas naturale per rompere la trappola della dipendenza da Mosca.

Parola d’ordine: “phasing out”. Ovvero “eliminazione graduale”. Questo il termine tecnico con cui, in economia dell’energia, si analizza la possibilità di sostituire una fonte con un’altra in un mix energetico. Tradizionalmente, il phasing out è la fase con cui un sistema economico adotta politiche volte a gestire la fase di transizione da un combustibile a un altro. Il caso più celebre è quello per il riequilibrio dei mix dopo la graduale dismissione di combustibili come il carbone o di fonti come il nucleare. Ma in questo caso il termine va inteso con un’accezione diversa: a parità di fonte, si intende infatti la sostituzione di un tipo di importazione, quella dalla Russia, con altre giudicate politicamente più affidabili.

Questo appare ancora più urgente in una fase in cui l’Ue si prepara alla stretta finale sulle nuove sanzioni anti-russe che potrebbero essere approvate alla fine della prossima settimana. Misure che includeranno il petrolio russo. Uno stop all’import da subito è praticamente impossibile. Le ipotesi di lavoro si apprende, sono più di una. La prima è adottare per il petrolio lo stessa schema usato per il carbone, ovvero una eliminazione graduale (phasing out) dell’import che verrebbe azzerato solo tra qualche mese. L’altra via è l’introduzione di un ‘price cap’ al petrolio: l’obiettivo, in questo caso, sarebbe evitare che il Cremlino faccia più cassa, finanziando la sua guerra. Le complessità legate a manovre di questo secondo tipo per motivi di concorrenza e uniformità del mercato europeo rendono il phasing out una strategia più praticabile.

L’Ue non ha di recente trovato l’accordo per eliminare entro il 2027, con una strategia impostata, le importazioni dalla Russia di gas e petrolio, ma di fronte a sé ha i casi di Stati Uniti, Regno Unito e Germania che hanno imposto il phasing out dal petrolio russo con obiettivo fine 2022 o 2023. Stessa strategia quella che l’Italia sta portando avanti per eliminare, nelle intenzioni del governo Draghi, entro il 2025 (o più realisticamente nel 2026-2027) la dipendenza dal gas russo cercando accordi con Paesi come Algeria, Nigeria, Congo, Azerbaijan. Tutte queste politiche sono ascrivibili a strategie gradualiste di phasing out, unite dal fatto che la risorsa-obiettivo o l’importatore che si vuole ridimensionare non sono colpiti da un embargo immediato, ma bensì gradualmente depotenziati nella loro rilevanza sul mix energetico complessivo.

E ora anche Bruxelles pare convinta a sottoscrivere piani di questo tipo. Segnando di fatto un alt a chi, come i Paesi baltici, chiedeva una rottura totale imemdiata, e un via libera alla strategia pragmatica voluta dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, fautore numero uno di un approccio capace di rifiutare ogni drammatica rottura con la Russia essendo a capo del Paese maggiormente esposto ai rischi di una disruption delle forniture da Est. In prospettiva questo muove delle prospettive interessanti.

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Tasse e “Bella Ciao”. La sinistra di governo dei marziani di Leu

domenica, Aprile 24th, 2022

Paolo Bracalini

In pochi se ne sono accorti, ma al governo c’è anche Articolo Uno, il partitino di Speranza, che a Roma celebra un congresso con un unico candidato alla segreteria, il segretario Speranza medesimo, ovviamente riconfermato. Avendo più ministri che voti, il tema di Articolo Uno è trovare un modo per sopravvivere in Parlamento alle prossime elezioni, con i seggi dimezzati dal taglio dei parlamentari. Una prima ipotesi era quella di confluire tutti nel Pd, da dove vengono, ma il problema è che nel Pd non ce li vogliono perché i posti buoni in lista saranno pochi, ci manca solo di doverseli spartire con i profughi di Speranza. La strada quindi è quella di allearsi con Pd e M5s nel famigerato «campo progressista», nel quale la truppa di Speranza coprirà l’ala di sinistra-sinistra, il Pd quella di centro, e i grillini quella populista-qualunquista (settore magnificamente coperto da Conte), il ruolo che ha già nel governo Draghi, ma come alleato minoritario e ininfluente. E così il congresso di Articolo Uno (più noto come Leu, il nome del gruppo parlamentare di cui fa parte) si è aperto con il gruppetto dirigente che intona «Bella Ciao», in attesa di accogliere l’ospite Gianfranco Pagliarulo, l’ex comunista (già Pci, poi senatore cossuttiano) presidente dell’Anpi, che parteggia per la Russia e vuole smantellare la Nato. «Fatemi partire dai fondamentali. È la prima cosa che voglio dire: a a Milano alla grande manifestazione del 25 Aprile al fianco dell’Anpi. Il valore supremo dell’antifascismo va coltivato ogni giorno» dice Speranza, prima di ospitare sul palco Anastasia, una ragazza ucraina. Sono pacifisti, sono a fianco dell’Anpi, ma sono pur sempre nel governo Draghi, fermamente atlantista, infatti – controvoglia – hanno dovuto votare l’invio delle armi a Zelensky. Perciò il ministro ammicca all’Anpi e a tutto il mondo della sinistra anti-americana che, più o meno apertamente, è per il disimpegno dell’Italia nel conflitto ucraino, ospita sul palco il segretario della Cgil Maurizio Landini per il quale se continuiamo ad aiutare Kiev «c’è il rischio concreto che si trasformi in guerra nucleare». Ma Speranza deve tenere insieme anche la linea della sua maggioranza, per cui ricorda che «tutti i Paesi europei si sono giustamente schierati al fianco dell’Ucraina. Non ci si poteva voltare dall’altra parte. Si tratta di un’ aggressione ingiustificabile. Non possono esserci zone grigie o giudizi a metà».

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Primi bersagli colpiti nella cyber-guerra. Il rischio escalation contro Usa, Ue e Nato

domenica, Aprile 24th, 2022

Gian Micalessin

La tanto temuta escalation sembra già iniziata. Ma anziché manifestarsi nel settore convenzionale del conflitto sta prendendo forma su quello della guerra cibernetica. Non sarebbe una novità. L’inizio fu Stuxnet, il cybervirus sviluppato da Stati Uniti ed Israele responsabile, nel 2010, della distruzione di centinaia di centrifughe impiegate dall’Iran per l’arricchimento dell’uranio. Da allora la guerra cibernetica si è fatta molto più aggressiva e le operazioni messe a segno dal Mossad hanno causato non solo danni, ma anche vittime all’interno di strutture nucleari e missilistiche di Teheran. Ora però nel mirino c’è la Russia.

E Mosca, accusata in passato di penetrare le difese cibernetiche occidentali rischia di trasformarsi da protagonista in bersaglio. Al centro dei sospetti vi sono gli incendi sviluppatisi tra giovedì e venerdì all’interno di tre impianti industriali russi collegati all’industria militare. Il primo, costato la vita ad almeno sei persone, è divampato giovedì dentro l’Istituto di Difesa aerospaziale di Tver specializzato nello sviluppo dei missili Iskander. Poche ore dopo le fiamme hanno avvolto gli impianti chimici di Dmitrievsky. Venerdì il fuoco ha colpito il complesso di Korolev, cuore dell’industria spaziale e missilistica. Quei tre incidenti nel giro di sole 48 difficilmente possono venir attribuiti al caso. Anche perché una delle principali preoccupazioni di Stati Uniti, Nato ed Europa è stato il finanziamento e lo sviluppo di una struttura cibernetica ucraina capace di misurarsi con quella russa. Gli americani, attivi da anni, ne hanno delegato lo sviluppo alla società Dai Global, un impresa del Maryland teoricamente privata, ma finanziata congiuntamente da Usaid (Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale) e dal Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale del Regno Unito. A garantire la formazione di una autentica struttura di cyber difesa si sono aggiunti i finanziamenti garantiti dal Dipartimento di Stato Usa grazie ad leggi come il Department of Defense Appropriations Act e l’Ukraine Security Assistance approvate dal Congresso statunitense. E a questi fondi si sono aggiunti lo scorso dicembre i 30 milioni di euro messi a disposizione dal Consiglio europeo attraverso il cosiddetto Fondo europeo per la pace. I finanziamenti europei, assieme alla formazione condotta dalla Dai Global, hanno contribuito alla nascita del Cut (Cyber Unit Technologies) la struttura cyber-militare ucraina dotata di capacità sia difensive che offensive. Una struttura con sede, guarda caso, in quelle stessa Estonia dove la Nato ha stabilito il suo Centro di difesa informatica.

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Nella storia l’origine delle ossessioni di Mosca

domenica, Aprile 24th, 2022

di Ernesto Galli della Loggia

La Russia è uno Stato formatosi in un modo che in Europa non ha eguali, sicché solo se si conosce questo singolare processo, la sua storia, si può arrivare a capire anche la psicologia e il comportamento dei suoi governanti. A cominciare dalla loro secolare ossessione per la sicurezza con il tipico esito paranoico di sentirsi di continuo accerchiati e minacciati e di conseguenza predisposti alla più risoluta aggressività. Un modello che Putin incarna alla perfezione.

La Russia è innanzi tutto un problema geografico. Collocata per gran parte fuori dal nostro continente, è l’unica statualità europea che si è costituita con operazioni di conquista di tipo coloniale. Infatti, da un lato nel Sei-Settecento ha incorporato una parte enorme (e ricchissima di risorse minerarie) dell’Asia settentrionale allora abitata da sparuti gruppi di popolazioni indigene, la Siberia, e più o meno contemporaneamente ha strappato al dominio tartaro la grande regione che dal basso Volga e dalla Crimea arriva fino al Caucaso; dall’altro lato nell’Ottocento si annetté gli sterminati territori dell’Asia centrale islamica (Kazakistan, Uzbekistan, ecc.) fino alle pendici del Karakorum.

Tutte operazioni bellico-espansionistiche — e di tipo colonialistico, ripeto — favorite da due dati fondamentali: il fatto che il nucleo originario slavo dello Stato russo (costituito dal triangolo Kiew, Mosca, Novgorod) mancava di qualunque confine geografico preciso, e la superiorità militare che le davano gli armamenti moderni di cui era in possesso.

Questo singolarissimo dato storico-geografico ha voluto dire innanzi tutto uno Stato con una formazione per aggregazioni successive di parti tra loro diversissime e multietnico come nessun altro Stato europeo: si pensi che tutt’oggi — vale a dire anche dopo le secessioni seguite alla fine dell’Unione sovietica — nella Federazione russa esistono circa duecento (dicesi duecento) differenti gruppi etnici. Ma proprio perciò ne è venuta fuori una statualità che ha introiettato nel proprio modo d’essere e in quello dei suoi gruppi dirigenti due disposizioni patologiche: da un lato la perenne paura della disintegrazione, del disfacimento dall’interno, il perenne sospetto che qualche potere straniero trami per favorire tale disfacimento; e dall’altro — precisamente al fine di esorcizzare una simile paura — la convinzione ossessiva circa la necessità di un accentramento assoluto del potere, il bisogno rassicurante del governo forte, del pugno di ferro. Insomma: l’autoritarismo come requisito per l’esistenza stessa dello Stato e l’uso della forza come la sua istintiva modalità d’azione.

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Putin alla messa di mezzanotte a Mosca per la Pasqua ortodossa

domenica, Aprile 24th, 2022
Al fianco del presidente russo il sindaco della capitale. La funzione celebrata dal patriarca Kirill

CorriereTv

Vladimir Putin ha partecipato alla messa di mezzanotte in occasione della Pasqua ortodossa nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca.

Al fianco del presidente russo il sindaco di Mosca, Sergey Sobyanin. La funzione è stata celebrata dal patriarca di Mosca, Kirill.

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Mosca: in Ucraina morti 11 combattenti italiani. E avverte: «Ai mercenari non si applica il diritto umanitario internazionale»

domenica, Aprile 24th, 2022

di Francesco Verderami

La nota inviata dal ministero della Difesa russo segnala un’escalation diplomatica. I foreing fighters facevano parte di un’unità composta da altri 60 connazionali

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Mosca ha avvisato Roma che undici «combattenti di professione» italiani sarebbero caduti in territorio ucraino mentre «partecipavano a operazioni militari» contro le Forze armate della Federazione russa. I foreing fighters avrebbero fatto parte di un’unità di sessanta «mercenari» connazionali che si sarebbero schierati a fianco della resistenza di Kiev nel corso del confitto: dieci di loro sarebbero rientrati in patria, mentre gli altri sarebbero ancora in Ucraina insieme a «diverse migliaia di cittadini stranieri» in armi. Non si conoscono né le identità dei deceduti né la località dove avrebbero perso la vita in combattimento. Non si può essere nemmeno certi dell’attendibilità della notizia, visto che alle autorità di Roma formalmente non risultano queste presenze nelle zone di guerra.

L’informazione però è giunta dal ministero della Difesa russo, che attraverso i canali diplomatici si è rivolta a palazzo Chigi. Colpisce la precisione con la quale Mosca quantifica il numero dei mercenari italiani che starebbero collaborando con la resistenza. Colpisce il dettaglio sui decessi. E la sorte che attenderebbe quanti ancora starebbero partecipando al conflitto. «Si può supporre — è scritto nella nota ufficiale — che le perdite irrecuperabili aumenteranno». Ma soprattutto si lancia un avvertimento sul destino di chi verrebbe preso prigioniero: «Ai mercenari non si applicano le norme del diritto umanitario internazionale». E in una guerra dove i militari di Putin si sono ripetutamente macchiati di crimini contro i civili, è facile immaginare quale sarebbe il trattamento per i «combattenti di professione».

È impossibile verificare se l’informativa abbia fondamento. Un mese fa — come aveva raccontato Giovanni Bianconi sul Corriere — ai funzionari dell’Antiterrorismo risultava la presenza di 17 italiani in Ucraina: nove schierati con Kiev, otto con le truppe di Mosca. Tutti peraltro penalmente perseguibili, visto che la legge vieta «atti ostili verso uno Stato estero». Ma il messaggio trasmesso dal ministero della Difesa russo ha una chiara valenza politica. È il segno — spiegano fonti della Farnesina — di una «escalation diplomatica di Mosca», che usa toni «sempre meno amichevoli» verso Roma. E non solo. Perché «note simili a quella inviata all’Italia» sono giunte ad altri Paesi europei che offrono assistenza all’Ucraina: l’obiettivo di Putin è «dividere il fronte occidentale in questa fase decisiva» del conflitto.

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Ucraina Russia, le news di oggi sulla guerra | Attacco a Odessa, 8 morti: ora la minaccia di armi chimiche. Zelensky: i russi sono nazisti sanguinari

domenica, Aprile 24th, 2022

di Lorenzo Cremonesi, Giusi Fasano, Andrea Nicastro, Marta Serafini

Le notizie di domenica 23 aprile sulla guerra in Ucraina, in diretta. Attacco a Odessa, 8 morti. La furia di Zelensky: «Tra loro c’era anche una bimba di 3 mesi». Oggi il ministro della Difesa e il segretario di Stato Usa saranno a Kiev

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• La guerra in Ucraina è arrivata al 60esimo giorno: si entra nel terzo mese di conflitto. Ieri, poco dopo l’inizio dei festeggiamenti per la Pasqua ortodossa, Odessa è stata colpita da un attacco missilistico che ha fatto almeno otto vittime.
• Arriveranno oggi a Kiev il ministro della Difesa e il Segretario di Stato degli Usa: è la visita di più alto livello da parte degli Stati Uniti dall’inizio della guerra, il 24 febbraio.
• Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha tenuto una affollata conferenza stampa nel metrò di Kiev in cui ha esplicitato due «linee rosse» che gli farebbero considerare «falliti» i colloqui di pace con Mosca: la Russia non deve uccidere i soldati ucraini ancora asserragliati a Mariupol, e non deve indire «pseudo-referendum» nelle aree occupate.

• L’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza europea (Osce) ha denunciato l’arresto di alcuni suoi osservatori militari nelle regioni di Donetsk e Lugansk.

Ore 08:33 – Gb: per Mosca perdite significative e morale basso

«Nonostante la Russia abbia guadagnato terreno, la resistenza ucraina è stata forte su tutti i fronti e ha inflitto perdite significative alla forze russe», come spiega il bollettino dell’intelligence britannica, diffuso su Twitter dal ministero della Difesa di Londra. Aggiungendo: «Il basso morale russo e il tempo limitato per ricostruire, riequipaggiare e riorganizzare le forze dopo le precedenti offensive probabilmente stanno pesando sull’efficacia in combattimento dei russi».

Ore 07:53 – «Riconquistati 8 insediamenti nella regione di Kherson»

Le forze armate ucraine hanno riconquistato otto insediamenti nella regione meridionale di Kherson, il cui capoluogo è sotto il controllo dei russi. Lo riferisce il Comando Operativo Meridionale delle forze di Kiev, secondo quanto riporta il Kyiv Independent.

Nelle scorse 24 ore le forze armate ucraine hanno abbattuto 17 bersagli aerei russi, nel dettaglio tre aeroplani militari, cinque missili e tre droni.

Ore 07:41 – Kiev, il console bulgaro rapito dai russi a Melitopol

Il sindaco di Melitopol, Ivan Fedorov, alla televisione ucraina, ripresa dall’Ukrainska Pravda, ha affermato che le forze russe hanno rapito il console onorario della Bulgaria a Melitopol (città che al momento è sotto il controllo di Mosca).

Ore 07:26 – Cremlino: 11 foreing fighters italiani uccisi in Ucraina

(Francesco Verderami) Mosca ha avvisato Roma che undici «combattenti di professione» italiani sarebbero caduti in territorio ucraino mentre «partecipavano a operazioni militari» contro le Forze armate della Federazione russa. I foreing fighters avrebbero fatto parte di un’unità di sessanta «mercenari» connazionali che si sarebbero schierati a fianco della resistenza di Kiev nel corso del confitto: dieci di loro sarebbero rientrati in patria, mentre gli altri sarebbero ancora in Ucraina insieme a «diverse migliaia di cittadini stranieri» in armi.

Non si conoscono né le identità dei deceduti né la località dove avrebbero perso la vita in combattimento. Non si può essere nemmeno certi dell’attendibilità della notizia, visto che alle autorità di Roma formalmente non risultano queste presenze nelle zone di guerra.

Leggi l’articolo completo qui.

Ore 06:55 – «50 alti ufficiali russi colpiti a Kherson, ieri»

In quello che potrebbe essere uno dei singoli episodi più gravi per l’esercito russo dall’invasione dell’Ucraina, un attacco missilistico dell’esercito di Kiev avrebbe distrutto ieri un posto di comando militare a Kherson, nel sud dell’Ucraina.

Secondo quanto comunicato ufficialmente già nella giornata di sabato, due generali russi sarebbero morti nell’attacco, che avrebbe però ucciso o ferito un’altra cinquantina di alti ufficiali dell’esercito di Mosca.

Oleksiy Arestovych, ex agente dei Servizi segreti di Kiev e ora consigliere del presidente ucraino Zelensky ha parlato di «almeno 50 alti ufficiali russi presenti nel posto di comando al momento dell’attacco. Non abbiamo conferme ufficiali sulla loro sorte, ma deve essere terrificante».

Kherson è di importanza vitale per la logistica russa.

Secondo Zelensky, Mosca vuole organizzare referendum nell’area per creare un’altra repubblica indipendentista dopo quelle di Luhansk e Donetsk.

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