Concita De Gregorio
Grazie, America, per questa nuova grande lezione di
democrazia: grazie per aver mostrato al mondo che la differenza fra
destra e sinistra esiste, e chi dice di no è sempre di destra. Grazie di
aver mostrato a quelli che non vanno a votare perché «la politica si
occupa di giochi di potere e di poltrone, mai di problemi reali della
gente» che sono quelli che occupano le poltrone – a volte ne bastano sei
– a cambiare la vita della gente, milioni di persone: sono loro, quelli
che la politica ha scelto senza il vostro contributo, a decidere anche
per voi. Peccato. Peccato per il tempo che ci vorrà a risarcire questa
ferita colossale, un salto indietro di cinquant’anni, ma si sa che la
destra demolisce con un calcio castelli costruiti in decenni, sulle
rovine festeggia.
Nel Paese in cui da oggi non si può più abortire ma si può entrare in
un asilo con la pistola da puntare alla tempia dei bambini abbiamo
appena assistito allo spettacolo: le conseguenze delle cose. Quando
Trump nominò il suo terzo giudice della Corte Suprema cambiando così la
maggioranza politica del massimo organo di giurisdizione americano se ne
occuparono le cosiddette élite: i giornali, qualche dibattito per
amatori in tv ma certo non le moltitudini, nessuna rivolta di popolo
perché, appunto, cosa vuoi che sia: parliamo di tasse e di salari, di
lotterie e di orari dei locali notturni, piuttosto, le cose che
importano al popolo. Poi però di quelle nove persone che – nominate dai
Presidenti eletti, incaricate a vita – scriveranno la legge anche per
chi di questa roba non si occupa risentirai parlare, dopo. Sarà quando
decideranno che la Costituzione non tutela la libertà delle donne di
abortire, come una storica sentenza aveva stabilito nel 1973. E saranno
le donne più povere, meno istruite e consapevoli, al solito, a non
poterlo fare: chi ha i mezzi trova sempre la strada.
La sentenza è passata sei contro tre, perché questo oggi è
l’equilibrio politico della Corte: sei giudici nominati dai repubblicani
(tre dai Bush, padre e figlio, tre da Trump) e tre dai democratici
(Clinton uno, Obama due). Quando i tre giudici democratici che hanno
votato «No» – si chiamano Sonia Sotomayor, Elena Kagen e Stephen Breyer –
hanno detto, nella loro dichiarazione ufficiale e congiunta, «Noi
dissentiamo» a chi si occupa di legge e conosce la storia sono salite le
lacrime. Perché «Io dissento» era la frase simbolo, il motto
identitario di Ruth Bader Ginsburg: la leggendaria giudice della Corte,
ebrea di Brooklyn, paladina dei diritti degli ultimi e delle donne,
l’unica donna di legge al mondo a essere conosciuta con le sole iniziali
– con «Rbg» si vendono le tazze per la colazione, le magliette e gli
adesivi da attaccare sul cruscotto. Una rockstar con il colletto di
pizzo e gli occhiali, sepolta nel cimitero dei presidenti e degli eroi,
ad Arlington: quando è morta, a 87 anni, nel 2020, gli uffici pubblici
hanno abbassato le bandiere a mezz’asta come si fa con gli eroi. È
bella, questa storia, e molto eloquente. Portate pazienza e ascoltatela.
Quando nel 1972 fu presentata alla Corte la causa Roe vs Wade, quella
che avrebbe dato vita al riconoscimento costituzionale del diritto
all’aborto, «Rbg» fu molto cauta: non era convinta. Ancor più prudente
fu quando l’anno dopo quando, 7 voti contro 2, la Corte decise che sì,
la donna aveva ragione e da quel momento l’aborto sarebbe stato tutelato
dalla Costituzione. Disse, Bader Ginsburg, che quella decisione era
«vulnerabile» perché si appellava al principio sbagliato. Era
incentrata, difatti, sul diritto alla privacy inteso come «diritto alla
libera scelta nella sfera intima», in base al quattordicesimo
emendamento. Avrebbe dovuto secondo lei, invece, incardinarsi sull’Equal
protection cause: sull’uguaglianza di genere, attraverso la clausola
della parità di protezione. In quello stesso periodo «Rbg» stava
seguendo un’altra vertenza, quella di un’infermiera dell’Esercito
rimasta incinta in Vietnam, il capitano Struck. La scelta che le fu data
era abortire o lasciare l’esercito (prima della sentenza Roe vs Wade
l’aborto era proibito nella maggior parte degli Stati ma consentito
nelle basi militari). L’Air Force, resasi conto che il capitano Struck
aveva possibilità di vincere, con l’ausilio di «Rbg», lasciò che avesse
il figlio e mantenesse il lavoro – cambiando le sue regole – pur di non
far esprimere la Corte sul caso. Poco dopo arrivò la sentenza che
avrebbe cambiato la storia, ma aveva piedi d’argilla. «È troppo, e
troppo in fretta», disse la giudice col colletto di pizzo. Aveva
ragione. Ieri Samuel Alito, un giudice (conservatore) dei nove, ha detto
questo: le motivazioni di Roe vs Wade erano deboli.