Archive for Giugno, 2022

Tagadà, Paolo Mieli asfalta Conte: “Pagliacciata in Parlamento”, cosa pochi hanno notato

venerdì, Giugno 24th, 2022

La tragicommedia del Movimento 5 Stelle all’ombra di una sciagura vera, quella della guerra in Ucraina. In collegamento con Tagadà a La7, Paolo Mieli guarda con amara ironia al livello della classe dirigente europea, “impreparata alla guerra, come se fosse una dimensione mai contemplata”. 

Il problema, poi, è un altro: la classe dirigente ha in qualche modo il quadro di quanto sta accadendo, “ma l’opinione pubblica no”. Ecco spiegati i sondaggi in cui prevalgono nettamente i no all’invio delle armi, i no alle sanzioni, l’opinione dell’inflazione legata alla guerra quando invece non lo è. Da qui la polemica di Mieli con quei partiti della maggioranza, “e mi riferisco principalmente ai 5 Stelle, che volevano dare voce a questa parte riottosa e che al momento opportuno hanno risolto tutto con un conflitto interno e hanno bocciato”. 


“Una pagliacciata”. Paolo Mieli contro il M5s, guarda qui il video a Tagadà

“Ci aspettavamo tutti che il 21 giugno fosse il giorno in cui i 5 Stelle, e forse anche la Lega, dicessero basta.

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La rete idrica è un colabrodo. Persi 40 litri ogni cento “Gravi ricadute ambientali”

venerdì, Giugno 24th, 2022

Francesco Giubilei

Per giustificare il rischio di una nuova emergenza idrica che si sta abbattendo sull’Italia, nelle ultime settimane si punta il dito contro l’assenza di precipitazioni e un inverno povero di nevicate che ha impedito l’accumulo di acqua sulle Alpi con un effetto domino. Si tratta senza dubbio delle principali motivazioni della situazione che stiamo vivendo ma c’è un aspetto altrettanto importante che non viene tenuto in doverosa considerazione e riguarda gli sprechi connessi alla rete idrica italiana. Tra scarsa manutenzione, tubature vecchie di decenni, burocrazia, una miriade di società deputate alle gestione dell’acqua, la nostra rete idrica è a tutti gli effetti un colabrodo. I dati Istat che prendono in considerazione gli anni dal 2019 al 2021 ci consegnano un quadro impietoso: «Oltre un terzo dell’acqua immessa nella rete di distribuzione va perduto. Nel 2020 sono andati persi 41 metri cubi al giorno per km di rete nei capoluoghi di provincia/città metropolitana, il 36,2% dell’acqua immessa in rete». Una percentuale che sale al 40% secondo il «Blue Book» della Fondazione Utilitas, ciò significa che ogni 100 litri immessi nella rete di distribuzione, 40 sono persi e non arrivano ai rubinetti delle case.

Nonostante da anni l’Istat metta in guardia sul pericolo della dispersione idrica, la situazione continua ad essere critica e peggiora in assenza di precipitazioni: «Le perdite totali di rete hanno importanti ripercussioni ambientali, sociali ed economiche, soprattutto per gli episodi di scarsità idrica sempre più frequenti. Sono da attribuire a fattori fisiologici presenti in tutte le infrastrutture idriche, alla vetustà degli impianti, prevalente soprattutto in alcune aree del territorio, e a fattori amministrativi, riconducibili a errori di misura dei contatori e ad allacci abusivi, per una quota che si stima pari al 3% delle perdite».

Basti pensare che in più di un capoluogo su tre si registrano perdite superiori al 45% con una situazione particolarmente preoccupante nell’Italia centrale e meridionale dove la provincia di Frosinone è fanalino di coda con una dispersione pari al 77,8% secondo i dati del dossier «Acqua in rete» di Legambiente seguita da Latina al 70,3%. La cattiva gestione della rete idrica ha portato nel 2020 ben undici comuni capoluogo di provincia del Mezzogiorno ad adottare misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile disponendo la riduzione o sospensione dell’erogazione idrica.

Al tempo stesso, se è vero che il consumo giornaliero di acqua in Italia per ogni abitante è superiore alla media europea (236 litri contro 125), nel nostro paese gli investimenti in manutenzione delle infrastrutture è meno della metà che nel resto d’Europa (49 euro per abitante contro 100 euro in Europa) con un crollo a 8 euro per abitante al sud Italia. La Fondazione Utilitas punta il dito proprio sul gap Nord-Sud con grandi differenze tra le due aree del paese sia per la manutenzione della rete idrica sia per la gestione delle infrastrutture con il servizio idrico al Sud Italia gestito in prevalenza dalle amministrazioni locali.

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Ora anche per la Bce è allerta risorse: il prezzo alle stelle frenerà la crescita

venerdì, Giugno 24th, 2022

Francesco Giubilei

Il tema dell’energia continua a tenere banco nell’agenda dei leader europei e ieri ed oggi è al centro del Consiglio europeo in cui si è discute l’adesione dell’Ucraina all’Ue. Nonostante le rassicurazioni delle settimane passate, la situazione è sempre più critica dopo il taglio delle forniture da parte di Mosca e i campanelli d’allarme si moltiplicano; prima l’Agenzia internazionale dell’energia ha messo in guardia dal pericolo di uno stop completo del gas russo, poi la Bce nel bollettino economico ha attestato una crescita del 39,2% dei prezzi dell’energia rispetto a un anno fa. Nella nota dell’Eurotower si legge: «Il Consiglio direttivo ritiene che i rischi legati alla pandemia si siano ridotti, ma che la guerra in Ucraina continui a rappresentare un significativo rischio al ribasso per la crescita. In particolare, costituirebbe un rischio rilevante l’ulteriore interruzione delle forniture di energia all’area dell’euro». Nelle prospettive di medio termine questi rischi sono rappresentati da contrazioni durature della capacità produttiva dell’economia dell’area euro, dai prezzi dei beni energetici e alimentari elevati e dalle aspettative di inflazione superiori all’obiettivo della Bce.

Non a caso il governo tedesco ha attivato lo stato di allarme nel piano di emergenza sul gas ed è passato al carbone, anche se per il ministro dell’Economia e del Clima Robert Habeck ha invitato alla calma poiché «al momento l’approvvigionamento del gas è garantito». Lo stato di allarme è il secondo passaggio del piano tedesco che prevede tre step: allerta, allarme ed emergenza. La Germania si trova in un contesto più complicato dell’Italia come spiegato dal ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani sottolineando che al momento per l’Italia non è necessario alzare il livello di allarme. Sebbene anche il nostro paese dipenda dall’importazione di gas dalla Russia per una percentuale ingente (in progressiva diminuzione), a differenza dei tedeschi possiamo infatti contare su una maggiore diversificazione di fornitori. Il peggioramento della situazione a Berlino è testimoniata dal dibattito sulle tre centrali nucleari tedesche che dovrebbero essere chiuse entro la fine del 2022 con il leader della Cdu Friedrich Merz che ha chiesto al governo una proroga alla luce del cambiamento dello scenario globale negli ultimi mesi. Un’ipotesi però già rispedita al mittente dal cancelliere Scholz: «non ci sono al momento indicazioni da parte degli esperti sul modo di estendere il funzionamento delle centrali».

Se la soluzione per la crisi energetica nei prossimi anni sarà l’incremento delle rinnovabili, al momento è impensabile fare a meno del gas e si continua a discutere per trovare soluzioni condivise in Europa. Principale motivo del contendere è il tetto al prezzo del gas, una misura che vede Mario Draghi e il governo italiano in prima linea per la sua approvazione sostenuto anche da altri paesi come Spagna e Grecia. Diversa la posizione dell’Olanda con il premier Rutte che per il momento ha espresso la propria contrarietà: «non siamo contrari per principio ma, sulla base delle prove che abbiamo, pensiamo che potrebbe non funzionare come alcuni pensano».

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La fuga dei 61 toglie alle casse del Movimento 2,3 milioni. Rischia pure Grillo

venerdì, Giugno 24th, 2022

Pasquale Napolitano

Luigi Di Maio lascia in «mutande» Giuseppe Conte. La scissione grillina svuota le casse del Movimento e costringe il capo politico al taglio di spese inutili e consulenze. La prima consulenza in odore di sforbiciata, che è anche la più onerosa per il portafoglio dell’avvocato del popolo, è quella tra il Movimento e la società BeppeGrillo Srl. Ecco l’ultima vendetta che il ministro degli Esteri consuma contro il suo (ormai ex) padrino politico. Questo spiegherebbe anche la decisione di Grillo, irritato per le ripercussioni sul proprio conto corrente generate dallo strappo tra Di Maio e Conte, di annullare la visita a Roma in programma oggi. E di mandare tutti a quel paese. C’è da fare un passo indietro.

Nel mese di aprile, il Movimento e la BeppeGrillo Srl, la società che gestisce il Blog del fondatore, stipulano ben due contratti di partnership. «I termini dell’accordo – come riporta il Corriere della Sera – sono coperti da clausole di riservatezza. Ma i ben informati parlano di 200mila e 100mila euro annui per i due contratti. Entrambi i contratti sono relativi alla comunicazione e al ruolo del garante. In altre parole eventuali spese, come ad esempio un eventuale contratto a Nina Monti, collaboratrice storica di Grillo, graveranno direttamente sulle spalle del fondatore dei Cinque stelle». Il garante avrebbe incassato la somma di 300mila euro dal Movimento-partito e non dai gruppi parlamentari.

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Il piano di Draghi sul tetto ai prezzi del gas, spiegato

venerdì, Giugno 24th, 2022

Andrea Muratore

Mario Draghi ha aperto al Consiglio Europeo la partita sul tetto ai prezzi del gas che da diverse settimane rappresenta la proposta prioritaria dell’Italia in campo energetico. Un piano volto a spostare gli equilibri nel mercato europeo dell’energia in un contesto che vede i prezzi dell’oro blu completamente consegnati a volatilità e incertezza dalla guerra in Ucraina. Prima della guerra il prezzo del gas in Europa era intorno a 20 euro per MWh, nei momenti più drammatici è arrivato a 350, infine si è assetato attorno ai 100-120 euro, con picchi temporanei di rialzo e scossoni, nell’indicatore principale europeo alla Borsa di Amsterdam.

La motivazione della proposta di Draghi

Discusso a lungo come caso di studio, lo stratagemma di imporre un tetto ai prezzi del gas nel mercato interno europeo per ridurre le pressioni esercitate dalla guerra economica tra Occidente e Russia sul mercato. Nella consapevolezza che i grandi perdenti di queste dinamiche sono i cittadini europei che pagano la crescita esasperata di bollette e incertezze e la grande vincente una Russia che continua a ricevere 530 milioni di euro al giorno (al 20 giugno) dall’Europa per le forniture energetiche.

Imporre uno stop alla corsa folle dei prezzi appare, secondo la proposta di Draghi, necessario per ridurre la bolletta quotidiana pagata giorno dopo giorno dal sistema europeo: di fronte a un tetto alla negoziazione interna al mercato europeo, si spera che la mossa possa far trasmettere sui mercati di provenienza del gas l’effetto riducendo dunque le entrate per le forniture negoziate sui mercati che evolvono su base giornaliera (spot).

Al tempo stesso, si vuole porre un freno a extraprofitti giudicati eccessivi da parte delle compagnie a scapito dei cittadini europei già sottoposti a inflazione e carovita. Infine, l’obiettivo politico è sistematizzare la risposta europea alla sfida energetica russa, stratificando su più livelli le mosse comunitarie: sostenibile l’embargo al carbone, possibile lo stop (da gennaio 2023) con alcuni distinguo al 90% del petrolio russo e infattibile l’embargo del gas, il tetto ai prezzi è visto come un volano chiave per la diversificazione delle fonti.

La proposta di Draghi

Qual è, detto ciò, concretamente la proposta che Mario Draghi ha portato all’attenzione dei leader del Consiglio Europeo? I prodomi vanno ricercati nell’ultima riunione, conclusasi il 31 maggio, durante la quale Draghi e Emmanuel Macron hanno ottenuto il risultato di far inserire nelle conclusioni l’impegno per Commissione dir studiare la fattibilità del price cap, il tetto al prezzo, aprendo una breccia sulle discussioni politiche tra i leader.

A inizio guerra, nota Il Riformista, “i 27 andarono in ordine sparso con un clamoroso nulla di fatto. I quattro mesi di guerra, la consapevolezza che sull’approvvigionamento delle fonti di energia l’Europa tutta non potrà mai più essere ostaggio dei gasdotti e dell’oleodotti russi ha cambiato prospettiva, priorità e strategie”. Largo dunque alla proposta Draghi sul tavolo, informalmente, come traccia per le mosse della Commissione all’attuale Consiglio.

Due sono le linee guida della proposta italiana: tutela dei prezzi e intervento attivo per contenere le conseguenze del caro energia.

Sul primo fronte, Draghi propone un calmiere ai prezzi e di inserire un tetto massimo fissato a 80 euro al MWh. Un valore quattro volte superiore a quello a cui il gas era mediamente scambiato prima della guerra, ma inferiore a un quarto del massimo prezzo toccato durante la tempesta energetica primaverile. Per Draghi, e Macron con lui, quella del tetto ai prezzi è una misura che non si ritiene capace di avere senso se presa unilateralmente a livello nazionale, perché creerebbe una distorsione asimmetrica del mercato. Ma al contempo scegliere di seguira a livello comunitario non rappresenterebbe, come molti temono, un freno alla concorrenza ma anzi un calmiere alla frenesia di mercato, depotenziando la componente di speculazione finanziaria implicitamente contenuta in fluttuazioni del genere.

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La guerra e l’Unione Europea frenata dalle debolezze renane

venerdì, Giugno 24th, 2022

di Paolo Mieli

Forse stavolta non è esagerato definire «storica» la decisione — solennizzata a Bruxelles — con cui il Consiglio europeo ha conferito all’Ucraina (e alla Moldavia) lo status di «Paese candidato» all’ingresso nella Ue. E, contemporaneamente, ha offerto alla Georgia la «chiara prospettiva» di un imminente passo nella stessa direzione. A riprova di tale storicità giungono da Mosca le ormai consuete offese di Dmitry Medvedev che ha definito i leader europei «politici di basso livello, fanatici e rabbiosi».

Accantoniamo gli insulti. Ma non possiamo sottrarci ad una riflessione sulla coppia dell’asse renano a cui, da tradizione, spetta la guida dell’Europa: il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuele Macron. I due uomini di Stato purtroppo sono stati costretti ad affrontare l’emergenza bellica in condizioni non ottimali. Per un mancato rodaggio della loro intesa. Per la necessità che ambedue hanno avuto di misurarsi con opinione pubblica e apparati recalcitranti ad un reale impegno a favore dell’Ucraina (un problema che abbiamo avuto anche qui in Italia). Per il peso di decisioni assunte nel più o meno recente passato che andavano in direzione opposta a quelle ritenute doverose per l’oggi (in particolare la Germania). Per l’essere stati obbligati a misurarsi in prove elettorali con competitori indulgenti nei confronti di Putin (in particolare la Francia). Per lievi difetti attinenti alle personalità di entrambi i leader.

Scholz — ha scritto su queste colonne Jonathan Littell con la franchezza che possono consentirsi solo i grandi scrittori — quando è il momento di consegnare armi all’Ucraina, «trascina i piedi». Assieme a gran parte della classe politica tedesca, il successore di Merkel mostra d’esser convinto — sempre secondo Littel — «che la soluzione alla dipendenza energetica del Paese nei confronti della Russia non sia quella di sottrarvisi, bensì di chiudere gli occhi e tornare pian pianino a soddisfare le proprie rovinose comodità». Un altro romanziere e poeta, Tahar Ben Jelloun è stato — se è possibile — ancor più sprezzante nei confronti di Macron ironizzando sulle sue telefonate al Cremlino («lui era contento di parlare, non sapremo mai se lo fosse anche Putin»). Per poi inchiodare il presidente francese in un giudizio impietoso: Macron sarebbe, ad ogni evidenza, «un bambino viziato», «non all’altezza» del compito storico assegnatogli.

Nei primi giorni a ridosso dell’invasione russa del 24 febbraio, era parso che l’Unione europea intendesse darsi un contegno assai dignitoso. Quasi si fosse finalmente convinta di dover adempiere ad una missione. E che, di conseguenza, ritenesse fosse giunta l’ora di dar prova d’unità di intenti. E soprattutto di carattere. Nessuno statista europeo avrebbe cercato riparo dietro le ritrosie ungheresi; anzi, stavolta tutti assieme avrebbero mostrato agli Stati Uniti di che pasta è fatto il nostro continente. Prendendo decisioni responsabili per la guerra e, successivamente, per le trattative di pace.

Poi, però, man mano che Joe Biden ha iniziato a ritirarsi dal proscenio, è apparso sempre più chiaro che i «grandi d’Europa», anziché raccogliere la bandiera della libertà dell’Ucraina e della lotta contro la sopraffazione russa, si sono rifugiati nei meandri delle procedure e delle discussioni economiche che da decenni sono la loro specialità. Procedure e discussioni che servono sostanzialmente a prender tempo, rinviare di Consiglio in Consiglio le decisioni, vantare come magnifici risultati di scarsa entità. Le questioni geopolitiche sono state rapidamente accantonate, tutto si è ridotto alla ricerca di un’applicazione il più possibile indolore delle sanzioni alla Russia. Con il prevedibile risultato che difficoltà economiche post pandemiche, probabilmente inevitabili, verranno percepite dai nostri popoli come conseguenza esclusiva delle sanzioni. E che il comune sentire dei singoli Paesi d’Europa prima o poi approderà, alla chetichella, sul terreno (già abbondantemente arato negli ultimi otto anni) delle furbizie atte ad aggirare le sanzioni stesse.

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Gas, cos’è il «price cap»? Come funziona il tetto da 80 euro contro i ricatti di Mosca

venerdì, Giugno 24th, 2022

di Valentina Iorio

Cos’è il «price cap»?
L’idea di introdurre un «price cap», ovvero un tetto al prezzo del gas a livello europeo, è una battaglia che il governo italiano porta avanti da mesi. «L’imposizione di un tetto al prezzo del gas russo consentirebbe di ridurre i flussi finanziari verso Mosca», ha ricordato di recente il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Di fatto si tratterebbe di individuare un meccanismo per fissare un tetto nelle piattaforme di negoziazione del gas, un prezzo al di sopra del quale gli operatori europei non possono comprare. L’ipotesi è quella di una soglia massima tra gli 80 e 90 euro a megawattora.

Perché il governo italiano ritiene che sia uno strumento utile?
Secondo il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, questo meccanismo consentirebbe di attutire gli effetti del caro energia e di scoraggiare la «speculazione su imprese e famiglie». Inoltre dato che le tariffe dell’elettricità rinnovabile sono connesse al prezzo della produzione elettrica a gas, il tetto al gas potrebbe spingere a rivedere l’intero sistema delle tariffe. «Il problema è che non possiamo imporre il tetto solo alla Russia, quindi una volta applicato non sappiamo come reagirebbero altri produttori, ad esempio l’Algeria, nei confronti del mercato europeo», osserva Gianclaudio Torlizzi, esperto di commodity. Il timore è che una volta fissato un limite in Europa, la concorrenza di Paesi in cui il tetto non c’è, come quelli asiatici, possa diventare più forte.

Perché alcuni Paesi europei si oppongono al tetto al prezzo del gas?
Ad opporsi sono soprattutto i Paesi Nordici, Olanda in testa, secondo la quale fissare un tetto al prezzo del gas sarebbe un passo indietro rispetto alla liberalizzazione del mercato dell’energia. Per comprendere il no di Amsterdam bisogna tenere conto del fatto che l’Olanda è un paese produttore di gas e la sua capitale è sede del principale mercato Ue dell’energia. «Non siamo contrari» al price cap sul gas «per principio ma, sulla base delle prove che abbiamo, pensiamo che potrebbe non funzionare come alcuni pensano», ha dichiarato ieri il premier Mark Rutte. Anche la Germania fino a poco tempo fa si è sempre opposta all’ipotesi di introdurre un tetto al prezzo del gas, ma, dato che a Berlino la situazione è di massimo allarme dopo il razionamento delle forniture di gas deciso da Mosca, il governo tedesco potrebbe adottare una linea più morbida su questo tema. La linea italiana invece è condivisa da Francia, Spagna, Portogallo e Grecia.

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Pensioni, maxi-aumento degli assegni nel 2023: ecco perché (e cosa c’entra l’inflazione)

venerdì, Giugno 24th, 2022

di Leonardo Comegna

Effetti sulle pensioni a partire da gennaio 2023

Potrebbe costare tra i dieci e i dodici miliardi di euro la rivalutazione delle pensioni di gennaio 2023. Un aumento senza precedenti. Parliamo della conseguenza diretta dell’inflazione. Ma questo com’è possibile? Cerchiamo di capirlo.

L’aggiornamento annuale

La rivalutazione degli assegni Inps segue il tasso di inflazione dell’anno precedente. Dunque, l’adeguamento degli importi, nel 2023 potrebbe subire modifiche col segno più dato che nel 2021 l’inflazione stimata è stata dell’1,9%, mentre nel 2022 potrebbe toccare, secondo le prime stime sull’anno in corso della Banca Centrale Europea, almeno il 6,8%. Questa circostanza, come sottolinea anche Money.it, potrebbe portare a una rivoluzione sugli importi degli assegni.

Qualche esempio

Vediamo allora qualche caso concreto. Una pensione di circa 1000 euro potrebbe vedere scattare un adeguamento di circa 68 euro mensili, una di 2 mila, nel 2023, potrebbe ritrovarsi con circa 136 euro in più al mese.

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Putin manda a morire le minoranze etniche. Chi sono i Buriati, i Kazaki, i Tuvani

venerdì, Giugno 24th, 2022

di Federico Fubini

Putin evita di arruolare i giovani delle grandi città perché teme le proteste delle famiglie. La ricercatrice Maria Vyushkova: «Chi si accorge di queste minoranze?»

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Un gruppo di soldati buriati dell’Armata rossa in Ucraina prega sotto la guida di un monaco buddista

Vladimir Putin paragona sé stesso a Pietro il Grande e dall’inizio la guerra è stata concepita dentro il Cremlino da una ristretta cerchia di uomini bianchi, in età avanzata, legati al sogno di un grande impero slavo che riconquisti le sue antiche regioni europee. Ma il tributo di sangue lo stanno pagando, fuori da ogni proporzione, giovani uomini dall’aspetto completamente diverso: occhi a mandorla, alti zigomi mongoli o carnagioni olivastre del Caucaso.

Province sperdute

Spesso sono musulmani dell’Ossezia del Nord o del Daghestan o buddisti tibetani della Buriazia o della Repubblica di Tuva, alle frontiere della Mongolia. Oppure vengono da qualche provincia sperduta dell’Estremo Oriente non lontana dai confini con la Cina e con la Corea del Nord, come la Provincia ebraica autonoma dove Stalin aveva cercato di deportare un’intera minoranza scomoda. In nome del sogno imperiale di Putin — numeri alla mano — questi giovani delle terre più lontane hanno una probabilità di morire in Ucraina centinaia di volte più alta dei coetanei di Mosca o di San Pietroburgo. La testarda ricerca e l’analisi dei dati dicono che loro per primi sono stati gettati nella fornace della guerra nelle settimane più cruente. I buriati per esempio sono appena lo 0,3% della popolazione, ma erano il 4,5% dei morti nelle prime tre settimane di guerra.

Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi
«Otto morti a Mosca»

La quota di kazaki etnici travolti nella macina della guerra è sette volte superiore al loro peso nella popolazione russa. È gente come loro e delle altre minoranze a trovarsi esposta molto più dei russi slavi, bianchi e originari delle grandi città europee. Di Mosca da oggi si conoscono appena otto morti in guerra, in una popolazione di venti milioni nell’area metropolitana. Di Tuva si conoscono con certezza sei volte più morti, malgrado una popolazione oltre sessanta volte più piccola: la probabilità di morire è centinaia di volte superiore, se si è è fra quelli venuti dalla parte sbagliata della Russia. Spinti contro il fuoco nemico tanto quanto questi russi asiatici o caucasici finora sono stati solo gli ucraini dei territori occupati, arruolati a forza a fianco dell’esercito di Mosca: coscritti con minacce e violenza nelle «repubbliche indipendenti» di Donetsk e Lugansk o mandati a morire sotto il fuoco ucraino da Sebastopoli che solo pochi anni fa è stata sottratta da Putin al controllo di Kiev. Esiste in Russia una rete clandestina che tiene ogni giorno la contabilità dei caduti, perché anche questo è un atto di resistenza civile sotto un regime che mente: il governo di Mosca aveva parlato di 1.351 caduti il 25 marzo e poi da allora più nulla, al punto che il presidente della commissione Difesa della Duma Andrei Kartapolov si è spinto a dire questo mese che sui morti in Ucraina regna il silenzio «perché non ce ne sono più».

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Covid, indifesi verso il picco di contagi

giovedì, Giugno 23rd, 2022

Paolo Russo

Ma torniamo all’oggi. Che siamo nel bel mezzo di una quarta ondata lo confermano i casi di ieri: altri 53.905, 22 mila in più rispetto a quelli di mercoledì della scorsa settimana. E aumentano gli italiani in isolamento domiciliare, arrivati a quota 619 mila, 50 mila in più in sole 48 ore. Il che vuol dire che di questo passo in una decina di giorni saremo con oltre un milione di persone in quarantena, con il rischio di mandare nuovamente in tilt i servizi essenziali. Come dimostrano già le difficoltà incontrare dalle scuole a mettere insieme le commissioni d’esame.

«Crescono i contagi ma i sintomi restano lievi», è andato ripetendo in questi giorni il partito degli ottimisti. Ma negli ultimi 10 giorni i letti occupati nei reparti ordinari sono 829 in più, quelli nelle terapie intensive 33, per un incremento percentuale rispettivamente del 19,7 e del 17%. Numeri destinati a salire nei prossimi giorni, quando nelle corsie inizierà a farsi sentire l’effetto ferie, che di solito dimezza il personale, rendendo inutilizzabile un letto su tre dei già pochi disponibili, secondo un’indagine dell’Ats, l’agenzia sanitaria milanese.

Potremmo evitare che fragili e over 80 finiscano in ospedale somministrando loro la quarta dose. Ma l’ha ricevuta solo il 20% di loro e nessuno sembra curarsene più di tanto, visto che le somministrazioni procedono al ritmo ultralento di circa duemila al giorno su una platea di oltre sei milioni ancora da immunizzare. Va appena meglio con i bambini tra i 5 e gli 11 anni, dove il 60% resta comunque senza vaccino. E così le vacanze con i nonni e gli abbracci post festività rischiano di diventare una nuova spinta ai contagi intra-familiari.

Un altro salvagente lo avremmo pure ed è l’antivirale Paxlovid, quello che con una manciata di pillole, prescrivibili anche dai medici di famiglia e acquistabili in farmacia, alza una barriera efficace all’85% contro il rischio di forme gravi di malattia. Ma anche questa ciambella è sgonfia. Secondo il rapporto dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, nell’ultimo mese infatti solo 2.210 contagiati con patologie o età che li espongono a rischio ricovero hanno potuto ritirare le pillole in farmacia, a fronte di circa 30 mila infezioni al giorno e delle 600 mila confezioni acquistate dall’Italia che rischiano tra l’altro di scadere e andare al macero. «La procedura attivata forse è ancora troppo complicata perché i medici di famiglia devono attenersi a un piano terapeutico. E poi non mi risulta che siano stati formati all’uso del farmaco, che ha molte interazioni negative con altre terapie», afferma Guido Rasi, ex numero uno dell’Ema e consulente dell’ex commissario Figliuolo. «Certo è che con questo numero di contagi mi sarei aspettato mille prescrizioni al giorno e non poco più di duemila in un mese», è la sua amara conclusione.

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