Archive for Giugno, 2022

Giorgia Meloni candidata premier? Forse no: centrodestra, l’ultima clamorosa idea

lunedì, Giugno 20th, 2022

Antonio Socci

Era scontato. Ora è Giorgia Meloni ad essere scaraventata nel tritacarne da quell’establishment ideologico-politico che pretende di avere il monopolio delle idee ammesse: la gogna mediatica serve a puntellare il Palazzo e a far restare al potere sempre i soliti. Per anni è stato “bombardato” Silvio Berlusconi perché Forza Italia era il partito di maggioranza e lui il federatore e leader del centrodestra. Poi è stata la volta di Matteo Salvini, quando il consenso della sua Lega ha toccato il 34 percento (alle europee del 2019). Oggi che Fratelli d’Italia rischia di essere, stando ai sondaggi, il primo partito, sopra al 20 per cento, l’attacco si concentra sulla leader della Destra.

L’obiettivo è sempre lo stesso: impedire al Centrodestra di vincere le elezioni politiche. In genere è sempre lo stesso anche il rito della caccia alle streghe. Il primo passo è la “sacra indignazione”, lo stracciarsi le vesti che serve ad espellere un politico dai confini del dibattito civile e ad escludere le sue idee dal catalogo di quelle ammesse (da lorsignori) nel confronto pubblico. Tutto può fornire il pretesto per far scattare la macchina demolitrice. Anche il tono della voce. Nel caso della Meloni infatti il primo passo della demonizzazione è già stato compiuto nei giorni scorsi quando hanno trasformato in uno scandalo pubblico il suo comizio fatto in Spagna.

Approfittando del tono alto della voce della leader di FdI (d’altronde non si è mai visto un comizio sussurrato) si è voluto far passare la Meloni per «pazza», «indemoniata», «razzista» (ovviamente «fascista») e quindi i suoi contenuti come violenti e pieni di odio. La Stampa ha intervistato perfino la vicepremier spagnola Yolanda Dìaz che puntualmente ha bollato quello della Meloni come «un discorso pieno di odio e di intolleranza» che fa «paura». La Dìaz, c’informa la Stampa, «ha la tessera del Partito Comunista spagnolo» che – com’ è noto – rimanda a una storia politica piena di amore e mitezza, a un’ideologia che ha diffuso nel mondo bontà e tolleranza…

IL DISCORSO
Ma cos’ha detto la Meloni di così scandaloso? In realtà ha avuto buon gioco un vecchio democristiano come Raffaele Fitto (oggi copresidente Ecr-FdI al Parlamento europeo) a mostrare che la leader di FdI ha detto le cose che spiega da anni, che sono tipiche dei partiti moderati e che peraltro sono condivise da buona parte della società italiana. Il suo «sì alla famiglia naturale», argomenta Fitto, fa riferimento alla nostra Costituzione (articolo 29). Il suo «no alle lobby Lgbt» e «all’ideologia di genere» non è un attacco alle persone omosessuali, ma a un gruppo ideologico (di cui fanno parte anche eterosessuali) «che segue un’agenda politica volta a destrutturare quell’idea di famiglia» (lo stesso papa Francesco nel luglio 2013 aveva detto: «La lobby gay non va bene, perché non vanno bene le lobby. Circa i gay, io non giudico, se è una persona di buona volontà, chi sono io per giudicare?»). Anche quando la Meloni ha detto «sì alla cultura della vita, no all’abisso della morte» ha ripetuto concetti che sono insegnati dal papa attuale e dai suoi predecessori.

Enrico Letta ha detto di pensare «tutto il male possibile, non c’è nulla che condivido» dell’intervento della Meloni, così la leader di FdI ha chiesto se per caso lui (che in teoria era cattolico) oggi dice «no alla cultura della vita» e «sì all’abisso della morte». Questo vale anche per un’altra frase della Meloni sull’universalità della Croce (cioè dell’amore) e sul «no alla violenza islamista».

Quando poi ha detto «sì a confini sicuri, no all’immigrazione di massa» ha espresso un principio che è ovvio in qualsiasi stato, su cui può concordare anche chi chiede più accoglienza e apertura agli immigrati. Del resto in Europa tutti i governi, a cominciare da quelli di sinistra (salvo il Pd in Italia), sono ferrei nel controllare gli ingressi ai confini.

Ma la Meloni è stata contestata pure per aver detto «sì al lavoro della nostra gente» (che di fatto è l’articolo 1 della Costituzione) ed è stata contestata per aver detto «No alla grande finanza internazionale», che, spiega Fitto, è «una critica alle ingerenze di Goldman Sachs nella politica italiana». La vicepremier spagnola ha curiosamente visto in queste parole un attacco «ai lavoratori e alle donne»: ha letto a rovescio. L’esatto contrario.

IDEE NON AMMESSE
Anche l’ultimo messaggio della Meloni («sì alla sovranità dei popoli, no ai burocrati di Bruxelles»), dice Fitto, sta «nell’articolo 1 della nostra Costituzione, ma è difficile da accettare per chi governa da anni senza vincere le elezioni». Infine ha detto «sì alla nostra civiltà» e no alla cancel culture.
Naturalmente su qualche punto (o su tutto) si possono avere idee diverse dalla Meloni, ma Letta e compagni non possono pretendere di decidere quali sono le idee ammesse e cosa può (o non può) dire chi si oppone a loro. La Meloni si è comprensibilmente spaventata per la pesantezza delle reazioni al suo discorso e merita tutta la solidarietà (non solo dagli altri leader del centrodestra), anche perché contro donne di sinistra certi attacchi non si sentono (del resto, in barba alle quote rosa, donne leader a sinistra non ci sono). Ma questo episodio è solo un assaggio di quello che accadrà da oggi alle elezioni. Crescerà sempre più, sulla stampa nazionale e internazionale, il bau bau contro “la donna nera” a Palazzo Chigi e contro il presunto ritorno del fascismo. Questo avvelenerà il clima e creerà enormi difficoltà al centrodestra. È presumibile che la Meloni non voglia affrontare una campagna elettorale come una corrida che ha la sua persona come bersaglio. Lei sa che, quando si scatenano certe campagna di odio, la politica e le idee spariscono e resta solo il Nemico da battere.

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Ucraina, le notizie in diretta. “Schierata la divisione missilistica”: la mossa dei russi. Bombardata la città di Zelensky

lunedì, Giugno 20th, 2022

La guerra non accenna a fermarsi. I russi continuano a premere da Est mettendo in difficoltà la resistenza ucraina. La morsa di Mosca stra stringendo le truppe di Kiev proprio nella parte orientale dell’Ucraina, quella che maggiormente fa gola a Putin. Secondo Zelensky, nel corso di questa settimana, i raid russi aumenteranno. Intanto il New York Times sottolinea l’uso di armi bandite da parte dell’esercito russo. Sul fronte dei negoziati è ancora stallo e di fatto l’intesa tra il presidente ucraino e Putin è sempre lontana. In mezzo il processo di adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Un processo lungo che potrebbe aprire nuovi scenari sia sul fronte del conflitto che su quello di un’intesa. 

Ore 8.33 Ucraina, Stato maggiore della difesa: “I russi schierano divisione missilistica antiaerea nel Bryansk”
 “Il nemico ha schierato la divisione missilistica antiaerea S-300V4 nella regione di Bryansk”. Lo ha scritto su Facebook lo Stato maggiore delle forze armate dell’Ucraina, nel comunicato quotidiano sull’andamento delle operazioni belliche contro la Russia. “In direzione nord – si legge nella nota – il nemico continua a tenere fino a tre gruppi tattici di battaglione della 1a armata Panzer del distretto militare occidentale e unità aviotrasportate per coprire il confine russo-ucraino nelle regioni di Bryansk e Kursk”.

Ore 8.20 Ucraina, colpita nella notte la città natale di Zelensky
Colpito nella notte dall’artiglieria russa il distretto di Kryvyi Rih, città natale del presidente Volodymyr Zelensky nella regione di Dnipropetrovsk, in Ucraina orientale. Lo ha reso noto Valentyn Reznichenko, capo dell’amministrazione militare regionale, riportato da Ukrinform.

Ore 7.30 Ucraina: due civili uccisi da missili russi nel Donetsk
Due civili uccisi e 12 feriti durante un attacco missilistico dell’esercito russo nella regione di Donetsk. Lo ha annunciato il capo dell’amministrazione militare regionale Pavlo Kyrylenko, citato da Unian. 


Ore 7.00 Nyt: russi hanno usato oltre 210 munizioni bandite
Il New York Times ha identificato, tramite oltre 1000 foto di propri giornalisti ed altre fonti, più di 2000 munizioni usate dalla forze russe in Ucraina, “una vasta maggioranza delle quali non guidata”. Secondo il quotidiano, oltre 210 munizioni appartengono a tipologie che sono state ampiamente messe al bando in base a vari trattati internazionali.

Ore 2.30 Cnn, secondo gli 007 Usa Mosca tenterà di minare voto Midterm
Mosca “probabilmente” tenterà di scoraggiare il voto e minare la fiducia degli americani nelle elezioni di Midterm di novembre, come ritorsione alla risposta occidentale guidata dagli americani all’invasione dell’Ucraina: lo rivela la Cnn citando un nuovo documento declassificato dell’ufficio intelligence del ministero degli interni. “Ci aspettiamo interferenze russe nelle elezioni di Midterm del 2022, perché la Russia vede tale attività come una giusta risposta alle azioni di Washington e come un’opportunità sia per minare la posizione globale Usa sia per influenzare le decisioni americane”, si legge nel rapporto, intitolato “minacce chiave alla nazione attraverso il 2022”. 

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Il campo largo è senza futuro

lunedì, Giugno 20th, 2022

Alessandro De Angelis

Magari finirà (non sarebbe la prima volta) con qualche artifizio retorico nella mozione di domani in Aula. In fondo, qualcosa vuole dire se i Cinque stelle sono passati dal «no all’invio» di armi alla richiesta di un impegno per la «de-escalation», al «teneteci informati». E la sensazione è che proprio la faccia feroce verso Luigi Di Maio mostrata da Conte&Co serva a coprire, senza che appaia un cedimento, una correzione di rotta rispetto alle premesse. Per la serie: mettiamola sulla disciplina. E tuttavia la questione resta, anche dopo il passaggio parlamentare, perché l’Ucraina è solo l’epifenomeno di una crisi più profonda dei Cinque stelle, squadernata dalla botta elettorale. E accelerata dalla mossa di Luigi Di Maio che, conoscendo le abitudini della casa, già aveva messo in conto, nel momento in cui ha pronunciato la prima sillaba, la scissione, di cui c’è solo da capire l’epilogo: se il «che fai mi cacci?» o il «sai che c’è? Me ne vado». Sia come sia, il Re è nudo, svestito anche degli abiti dell’ipocrisia. E interroga, in prospettiva, innanzitutto il Pd. Enrico Letta sa quanto siano deflagranti le scissioni, perché proprio grazie a una scissione (di Alfano da Berlusconi) prolungò la sua permanenza a palazzo Chigi: può il Pd far finta di nulla e considerare come principale alleato un partito che processa, e magari espelle, il ministro degli Esteri per eccesso di atlantismo, notizia destinata a fare il giro del mondo?

In altri tempi su una cosa del genere si sarebbe aperta una crisi di governo, cosa che non accadrà in una legislatura segnata dallo stato di necessità. Però il dibattito è inevitabilmente destinato, prima o poi, ad aprirsi. Perché la verità è che il campo largo si è sfarinato elettoralmente e politicamente: quel popolo che il Movimento aveva intercettato, deluso anche dalla sinistra e con cui la sinistra voleva ri-contaminarsi, è andato altrove (destra e astensionismo) ed è rimasta una nomenklatura in crisi di identità che celebra il suo meta-congresso sull’Ucraina, con in mente collegi e mandati al prossimo giro.

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Governo, sulla politica estera l’ultimatum di Draghi

lunedì, Giugno 20th, 2022

ALESSANDRO BARBERA

ROMA. La fonte anonima impegnata nella trattativa sul testo della risoluzione di maggioranza lo dice esplicitamente: «I problemi interni ai partiti non possono condizionare le scelte di politica estera del governo». Da giovedì Mario Draghi è impegnato in tre appuntamenti chiave dall’inizio guerra in Ucraina: il Consiglio europeo a Bruxelles, il vertice dei sette grandi in Baviera, quello della Nato a Madrid. Nelle intenzioni del premier il discorso di martedì alle Camere e il voto che lo accompagnerà dovranno spazzare via ogni dubbio sulla linea italiana, e non solo rispetto al conflitto. Il discorso è ormai pronto. Ciò che non c’è ancora è l’accordo sul testo che motiverà il sì di deputati e senatori. Oggi pomeriggio, per la terza volta in pochi giorni, il sottosegretario agli Affari europei Enzo Amendola incontrerà i capigruppo dei partiti per discuterne. Resta da scrivere il punto più delicato della mozione, quello relativo al sostegno italiano allo sforzo bellico di Kiev.

Secondo quanto riferiscono fonti concordanti della maggioranza, i Cinque Stelle avrebbero rinunciato ad un passaggio esplicito contro l’invio di nuove armi, ma insistono perché si parli del «ruolo del Parlamento» laddove si dovessero rendere necessarie nuove forniture. La questione è politicamente delicata, ma è difficile immaginare che l’ala cosiddetta pacifista ottenga ragione: l’invio di armi senza voto è autorizzato fino alla fine di quest’anno dal primo decreto votato a larga maggioranza dopo l’inizio dell’attacco russo. Più probabile si trovi un compromesso che preveda di «tenere informate» le Camere.

Un altro passaggio su cui si sono concentrate le richieste Cinque Stelle riguarda la «de-escalation militare». Anche su questo la linea di Palazzo Chigi è però ferma: sì alla richiesta di pace, ma senza lasciare dubbi su chi sia l’aggressore e l’aggredito, e da quale parte debbano arrivare i segnali di tregua.

Il discorso che Draghi pronuncerà affronterà tutte le questioni in agenda, e sulla gran parte delle proposte non ci sono veti dei partiti. La prima: sostegno pieno all’Ucraina e alla sua richiesta di adesione all’Unione europea, che porta con sé il sì dell’Italia all’adesione delle sei repubbliche della ex Yugoslavia, della Moldavia e della Georgia. Draghi darà pieno sostegno alla proposta di riforma dei Trattati, e in particolare al superamento del principio di unanimità nelle decisioni dei Ventisette. Dirà con enfasi che occorre una riforma del patto di stabilità – tema graditissimo a Lega e Cinque Stelle – e a spese straordinarie per affrontare le difficoltà di famiglie e imprese colpite dal caro energia. Fra i Ventisette è quasi certo il no a nuove spese comuni, ma a maggior ragione Draghi difenderà l’ipotesi di stanziare risorse nazionali. E poi l’introduzione di un tetto al prezzo del gas: il premier spiegherà che la decisione dello Zar di tagliare le forniture di metano a Italia, Germania e Francia conferma la necessità di procedere. Su questo, sui conti pubblici e sulla riforma dei trattati Draghi sa di poter contare sul sì di tutti. Il discorso affronterà anche la diversificazione delle fonti di approvvigionamento dell’energia, lo spostamento a sud dell’asse geopolitico, i rapporti con Israele e la Turchia, la soluzione alla crisi del grano bloccato dai russi in Ucraina.

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Un presidente azzoppato, ostaggio degli estremisti

lunedì, Giugno 20th, 2022

Cesare Martinetti

Emmanuel Macron vince le elezioni legislative con una stretta maggioranza ma da oggi è un presidente azzoppato. La sinistra unita di Jean-Luc Mélenchon è a pochi voti dal cartello presidenziale «Ensemble!», l’estrema destra di Marine Le Pen ottiene un risultato storico. Macron è nella morsa delle estreme e nemmeno con i voti (eventuali) dei gollisti è sicuro di poter contare sulla maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale. «Scenario italiano», si sentiva dire ieri sera nei roventi dibattiti alla tv francese. Di certo scenario totalmente inedito per la tradizione politica e istituzionale del presidenzialismo alla francese che rimette tutto in gioco, le riforme liberali e anche la collocazione internazionale della Francia, sull’Europa e sulla guerra in Ucraina.

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Dal 2002 è cioè da quando il mandato presidenziale è stato ridotto da sette a cinque anni e le elezioni legislative sono previste poco dopo quelle per il capo dello Stato, il presidente eletto ha sempre ottenuto una maggioranza assoluta schiacciante. Così era stato anche per Macron cinque anni fa. Ma oggi non c’è nemmeno una maggioranza alternativa, che avrebbe potuto rilanciare il modello della coabitazione, con un presidente di destra e il primo ministro di sinistra, com’era accaduto tra il 1997 è il 2002 con Chirac e Jospin o negli anni Ottanta con Mitterrand e Chirac. Ma allora il sistema era rigidamente bipolare con il Partisti socialista (e gli alleati di circostanza, comunisti è verdi) da una parte e i gollisti dall’altra. Questo sistema è saltato da tempo, Emmanuel Macron è stato il primo ad a essere eletto nel 2017 senza un partito alle spalle, anzi con l’emblematico programma di superare lo schema destra-sinistra. Cinque anni dopo la sua performance allora stupefacente, i due partiti storici sono effettivamente crollati, ma destra e sinistra come si vede dai clamorosi risultati di ieri non sono mai state così forti.

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Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen sono incontestabilmente i due vincitori delle legislative. Il leader della sinistra è riuscito nell’impresa storica di costruire un cartello elettorale chiamato «Nupes» (Nouvelle union populaire écologiste sociale) con i suoi «Insoumis», socialisti, comunisti è verdi. Va all’Assemblea con circa 180 deputati e sarà il secondo gruppo dopo l’Ensemble presidenziale.

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Processo a Di Maio

lunedì, Giugno 20th, 2022

Antonio Bravetti

La notte delle stelle cadenti. È iniziato il processo a Luigi Di Maio: ieri sera l’ex capo politico è ufficialmente finito sul banco degli imputati per le sue «accuse strumentali» al Movimento 5 stelle. La resa dei conti si consuma col buio, fin dopo la mezzanotte, in una riunione fiume del Consiglio nazionale del partito convocata da Giuseppe Conte. Il leader M5S esprime «forte rammarico» per le parole del ministro degli Esteri e ribadisce «i cittadini non vogliono vedere l’invio di altre armi all’Ucraina». Vuole schierare tutto il Movimento contro di lui, chiedendo un chiarimento pubblico di fronte agli iscritti, nessuno chiede la sua espulsione, ma «è un problema che va risolto», fanno sapere i fedelissimi di Conte. Quando ormai è notte e il Consiglio nazionale è ancora riunito, però, sono in tanti a protestare con il leader e i suoi vice per «la guerra comunicativa di questi giorni». Il partito che l’ex premier sognava muoversi granitico contro Di Maio, si rivela essere pieno di sfumature e di colombe che chiedono una tregua.

Quella di ieri, d’altronde, è stata una giornata di cannoneggiamenti, l’ennesima. Durissimi i vicepresidenti pentastellati. Per Michele Gubitosa «siamo a un punto di non ritorno». Riccardo Ricciardi sostiene che il ministro «da tempo è un corpo estraneo al Movimento». Quanto alla sua possibile espulsione, «vorrei ricordare che da capo politico Di Maio ha espulso persone per cose molto, molto meno gravi». La colpa di Di Maio, per Ricciardi, è di aver «detto che il M5S ha una posizione anti-atlantica o anti-europea. Non è così».

Stesso giudizio da Alessandra Todde, che ricorda che il M5S ha «una sola linea» e giudica così le critiche dell’inquilino della Farnesina: «Dichiarazioni forti, neanche supportate dai fatti, perseguendo obiettivi personali, delegittimando la forza politica che rappresenta». L’atteggiamento di Di Maio, all’interno del partito, non è piaciuto a nessuno, ma in molti durante la riunione chiedono di evitare una guerra fratricida. Gli stessi vertici M5S, nel pieno della riunione, percepiscono che se si continuerà su questa strada verranno messi nel mirino i vicepresidenti. Primo tra tutti, Ricciardi, che ha guidato l’assalto più violento.

Di Maio, da parte sua, non desiste. Risponde a metà giornata con una lunga nota. Si aspettava dai dirigenti pentastellati che facessero «autocritica» e invece, sottolinea, «decidono di fare due cose: attaccare, con odio e livore, il ministro degli Esteri e portare avanti posizioni che mettono in difficoltà il governo in sede Ue.

Un atteggiamento poco maturo che tende a creare tensioni e instabilità all’interno del governo. Un fatto molto grave». Per il titolare della Farnesina «l’Italia non può permettersi di prendere posizioni contrarie ai valori euro-atlantici. Valori di democrazia, di libertà, di rispetto della persona e di difesa degli Stati. In ballo c’è il futuro dell’Italia e dell’Europa». Con lui Francesco D’Uva, che accusa i vertici stellati di essere «di giorno atlantisti ed europeisti, di notte attenti accusatori pronti a puntare il dito contro Di Maio». Sergio Battelli, altro deputato di area, chiede conto di un «fuoco incrociato sui giornali con parole di una violenza e un odio senza precedenti».

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Le sfide dell’Occidente, il rilancio europeo

lunedì, Giugno 20th, 2022

di Ernesto Galli della Loggia

È vero: tra le principali conseguenze l’aggressione russa all’Ucraina ha avuto quella di rafforzare l’unità d’intenti e di azione tra i Paesi della Nato e dell’Unione europea, l’unità di quello che si chiama Occidente. Oggi l’Occidente appare assai più coeso politicamente di quanto fosse sei mesi fa. Non solo, ma proprio grazie all’aggressione di Mosca esso ha avuto modo di confermare il suo forte e vitale legame storico con Paesi come l’Australia, la Nuova Zelanda, il Giappone, la Corea del Sud, che da tempo — spesso da sempre — ne condividono i valori di fondo, le prospettive e le strategie negli affari del mondo.

L’Occidente dunque oggi è unito. Ma non bisogna illudersi: è anche solo. Ne è la prova più evidente il fatto che la maggioranza degli Stati del pianeta — e tra questi vi sono Paesi come la Cina, l’India, il Brasile, gli Emirati arabi, l’Egitto, praticamente tutta l’Africa – non ha aderito alle sanzioni contro la Russia.

Certo, Mosca soffre dell’esclusione dai circuiti bancari e dalle esportazioni di tecnologia euro-americani ma nel medio periodo o forse anche prima non le sarà difficile porvi rimedio trovando altrove e in un’altra maniera ciò che non può più avere da noi. Ma non si tratta solo dell’economia: nel mondo l’Occidente è soprattutto solo culturalmente e ideologicamente. Quando Putin — come ha fatto due giorni fa — proclama che «è finita l’era del dominio americano, l’epoca del mondo unipolare è terminata» e aggiunge che non hanno più corso «gli stereotipi imposti da un solo centro decisionale», sia pure a suo modo coglie precisamente questo punto essenziale. Il mondo nuovo che sta affermandosi nelle contrade del pianeta lontane e diverse dalle nostre, i suoi valori, i suoi regimi politici, i suoi modi d’essere, si discostano sempre di più da quelli dell’Occidente.

Se è vero come è vero che la Modernità nella sua versione tecnologica costituisce sempre più la matrice autentica e pressoché unica della cultura dei tempi nuovi, ebbene allora la presenza dominatrice e potenzialmente egemone della Cina in veste di portabandiera di una tale Modernità, segna davvero un decisivo passaggio d’epoca. Al di fuori dell’Occidente, infatti, è tale Modernità made in China, è la sua spregiudicatezza manipolatrice, la sua totale indifferenza rispetto ai valori, quella che appare dettare il codice del futuro. Quella che appare plasmare l’orizzonte sociale e politico sul quale ambiscono muoversi i gruppi dirigenti, i governi, le élite, dei tanti Paesi del mondo che vengono da una storia diversa dalla nostra. A indicare loro la strada, insomma, non è più la Modernità degli Stati Uniti e insieme la nostra, ancora in qualche modo legata ai valori del costituzionalismo liberale, all’idea dei diritti della persona umana, a uno ormai sbiadito ma pur sempre tenace retaggio cristiano-umanistico.

È questa perdita di egemonia sulle vicende del mondo la sfida — si può ben dire di carattere epocale — che oggi più che mai deve affrontare l’Occidente. Ma in suo nome soprattutto l’Europa. L’Europa, benché alleata indefettibile degli Stati Uniti ha però una sua identità diversa, nutrita di una maggiore profondità storica, più variegata e duttile, priva nel complesso del corrusco volto imperiale e talora imperialistico di quelli. Un’identità che se essa volesse le permetterebbe senz’altro di svolgere specialmente in Medio Oriente e in Africa — divenuta una comoda terra di conquista per gli appetiti di ogni genere di Pechino — un’efficace opera di contrasto anticinese e antirussa. Le consentirebbe senz’altro di esercitare su vasta scala un’influenza economica, una penetrazione culturale, di svolgere una politica di scambi di persone e di istituzioni scientifiche, capaci di rappresentare un solido punto di riferimento (anche sul piano militare, sì militare: guai a fare le anime belle su questo argomento) per le élite di quei Paesi. In tutti questi modi cercando di far penetrare in esse anche i valori politici dell’Occidente.

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I timori di Palazzo Chigi per la credibilità dell’Italia

lunedì, Giugno 20th, 2022

di Maria Teresa Meli

La preoccupazione che il conflitto nel M5S si ripercuota sull’esecutivo

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ROMA – C’è preoccupazione a Palazzo Chigi. Non tanto per la risoluzione di maggioranza che dovrebbe essere definita oggi in una nuova riunione tra i capigruppo parlamentari e il sottosegretario con delega agli Affari Europei, Enzo Amendola, o, al più tardi, domattina. Piuttosto i timori riguardano il fatto che le divisioni dei 5 Stelle e la lotta all’ultimo sangue tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio possano riverberarsi sul governo con una crisi internazionale in corso.

«Se i conflitti interni arrivano sul tavolo dell’esecutivo in un frangente delicato come questo rischiano di avere effetti negativi anche sul Paese», è il ragionamento che viene fatto a Palazzo Chigi. Non solo: si vuole evitare che quanto sta avvenendo nel M5S mini la «credibilità internazionale del governo». Del resto, uno scontro tra il leader dei 5 Stelle, che ha i gruppi parlamentari più numerosi, e il ministro degli Esteri che appartiene allo stesso partito, mentre l’Italia è impegnata sul fronte della crisi ucraina, non è roba di tutti giorni.

A Palazzo Chigi ieri gli uomini del premier hanno cercato di capire, parlando con i ministri grillini, Di Maio in testa, le possibili conseguenze delle divisioni grilline. Una preoccupazione simile serpeggiava anche tra i dem. Enrico Letta si è attaccato al telefono e ha parlato con tutti. Con il governo, con Conte, con Di Maio. Il segretario Pd voleva accertarsi di quanto grave fosse la rottura e se sul serio l’esito della lotta interna al M5S potesse essere la cacciata del ministro degli Esteri dal Movimento. Eventualità, quest’ultima, poi scongiurata. «Spero che il confronto tra Di Maio e Conte non ingeneri fibrillazioni per il governo in un momento di massima delicatezza per il Paese», spiegava il segretario a tutti i suoi interlocutori. Sono fiducioso che prevarranno le ragioni dell’interesse nazionale».

L’impressione di una parte dei dem, ma anche di un pezzo del governo, è che Di Maio non si voglia fermare e intenda tirare dritto per la sua strada. Perciò il timore del Pd e di palazzo Chigi è che anche se il 21 non ci sarà nessuno strappo, le fibrillazioni all’interno del M5S potrebbero proseguire e perciò finire per ripercuotersi sul governo.

Questa è la situazione, che qualche dem definisce «grave ma non seria».

Eppure in questo clima circola un certo ottimismo sulla risoluzione di maggioranza. Si conta di trovare una mediazione accettabile per tutti. Anche perché a questo punto il voto di quel documento è diventato una sorta di voto di fiducia al governo presieduto da Draghi.

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Perché Salvini non deve mollare Draghi

domenica, Giugno 19th, 2022

Corrado Ocone

È giusto o no che la Lega esca dal governo a settembre e si presenti dall’opposizione alle elezioni politiche della primavera del 2023? Non lo so, dico semplicemente che non avrebbe senso. Prima di tutto perché non apporterebbe nessun vantaggio elettorale: gli elettori di destra che dall’inizio avrebbero preferito che il partito restasse all’opposizione non si capisce perché non dovrebbero dare il loro voto a Fratelli d’Italia, che quella scelta l’ha imboccata con risolutezza fin dal primo momento. Perché preferire la copia all’originale, cioè un’opposizione coerente ad una sopraggiunta e che apparirebbe un ripiegamento tattico?

L’agenda del governo

Si dice che la Lega prenderebbe semplicemente atto, uscendo dal governo, di non toccare quasi palla e ne trarrebbe le conseguenze. Ma siamo sicuri che le altre componenti della larga maggioranza tocchino tante più palle? Non è stato forse proprio Enrico Letta a dire qualche giorno fa che le scelte del governo Draghi sull’ambiente non sono quelle del Pd? Il fatto è che l’attuale esecutivo segue, come era facilmente prevedibile, soprattutto una propria agenda: nato per fronteggiare pandemia e crisi economica, impostando il Pnrr, si è poi trovato a dover affrontare strada facendo anche la crisi ucraina.

Le difficoltà di Draghi in politica estera

In dote, il presidente del Consiglio ha portato all’Italia un fattore immateriale che nessun partito poteva dare di suo, la credibilità internazionale e per i mercati. E grazie a questo capitale del tutto simbolico, ma con effetti reali, è riuscito a portare a termine i compiti per cui era nato. Oggi accusa evidentemente una crisi che dalla politica estera si riflette sulle decisioni interne e sullo stesso assetto politico, ma si tratta più che altro di una crisi di sistema che investe da anni il Paese e che non è sfociata nemmeno con Draghi (ammesso e non concesso che potesse avvenire il “miracolo”) in una soluzione positiva.

L’unica cosa seria che si può fare ora è tamponare qualche falla e sperare in un ritorno nel 2023 quanto meno di una normale dialettica politica, con le forze di governo da una parte e quelle di opposizione dall’altra. Credo che il primo che sia consapevole di ciò, e non voglia continuare la sua esperienza, sia proprio Draghi.

Una Lega di lotta e di governo

Ritornando alla Lega, la scommessa con cui entrò nel governo si fondava a mio avviso su due necessità: da una parte, “mettere in salvo” il Paese e portare a casa i fondi europei; dall’altra, darsi uno spessore di governo da portare in dote per il momento in cui si sarebbe dato vita a un governo di centrodestra. Questo sembrò chiaro nei primi mesi di governo, quando la Lega non aveva ancora adottato la politica, che non ha funzionato, del “partito di lotta e di governo”.

Perché Salvini non deve rincorrere FdI

Probabilmente questa strategia è stata adottata anche in seguito alla perdita di consensi a favore del partito di Giorgia Meloni. Ma questo era, in verità, da mettere in conto fin dal primo momento. La perdita si sarebbe potuta frenare e anche in parte compensare con la conquista del centro liberale e “moderato” ma chiaramente alternativo alla sinistra che in teoria, ma non sempre in pratica (almeno nel suo côté ministeriale), è occupato da Forza Italia. L’idea della federazione col partito di Berlusconi andava perciò nella giusta direzione, ma anch’essa sembra essere stato perseguita a fasi alterne. Si è così trasmesso un messaggio di ambiguità, probabilmente anche legato alla difficoltà oggettiva della situazione.

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Covid, Abrignani: «L’isolamento è stato utile. Il 40% dei vaccinati può infettarsi»

domenica, Giugno 19th, 2022

di Margherita De Bac

L’immunologo: «Attenzione, ma non allarme. La risalita dei casi non è rapida. La sottovariante Omicron BA 5 riesce ad aggirare il sistema immunitario»

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Professor Sergio Abrignani siamo alle solite, un’altra estate col magone? «I contagi sono in crescita eppure non vedo segnali di allarme eccessivo. Ora il virus è più contagioso ma meno aggressivo, i ricoveri in ospedale non salgono in proporzione ai casi di infezione. Attenti sì, non preoccupati», sdrammatizza l’immunologo dell’Università Statale di Milano.

I l virus ci ha sorpresi di nuovo? Ad aprile tutti scommettevamo sulla discesa dell’epidemia con l’arrivo del bel tempo e invece…
«In effetti sorprende che mentre in estate tutti i virus respiratori tendono a sparire questo è stato capace di un colpo di coda esprimendosi con un picco fuori stagione e con una sottovariante più trasmissibile, sebbene non di molto. Sta cercando la sua strada fra di noi».

Non di molto, lei dice? BA 5 viene considerata contagiosa quanto il morbillo con un infetto che ne contagia altri 15.
«A novembre, quando è comparsa Omicron, la risalita è stata più rapida. Adesso è sensibile però non impressionante, non esplosiva. Ricordiamoci che lo scorso inverno questa variante in poche settimane ha soppiantato Delta mentre oggi l’ascesa delle sottovarianti BA 4 e 5 è graduale».

Quali vantaggi ha dunque acquisito il nuovo virus?
«Ha a disposizione un bacino di persone suscettibili più ampio grazie alla capacità di aggirare le difese del sistema immunitario eretto dalla vaccinazione o da precedenti infezioni naturali. Il 40% dei vaccinati si può infettare e il 7% per la seconda volta, il doppio rispetto alle altre varianti».

Complice anche l’allentamento delle misure di prevenzione come la mascherina e il distanziamento?
«In tutta Europa le misure di contenimento sono state quasi completamente eliminate, l’Italia le ha mantenute più a lungo e non sarebbe stato accettabile dal punto di vista sociale prorogarle perché la vita normale deve riprendere. Non penso che torneremo indietro ripristinandole. Anche perché c’è la prospettiva concreta di avere un vaccino aggiornato in autunno, disegnato sulla variante Omicron, quindi più efficace rispetto a quello basato sul virus originario, di inizio pandemia. I dati preliminari già pubblici sono molto promettenti».

Saremo chiamati a ricevere la quarta dose?
«Non si tratta di quarta dose, ma di nuova vaccinazione. Come l’antinfluenzale. Ogni anno il virus dell’influenza cambia e dobbiamo cambiare vaccino».

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