Archive for Giugno, 2022

Provenzano: “L’Ue vuole rivoluzionare il lavoro, adesso l’Italia non resti indietro”

venerdì, Giugno 10th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

Peppe Provenzano è tra gli esponenti del Pd che più hanno creduto alla battaglia sul salario minimo e contro il lavoro povero. «Per noi ha un valore identitario – spiega il vicesegretario dem – se i salari sono fermi da decenni, se dilaga il precariato, la sinistra del passato ha le sue colpe. Ora abbiamo capito, e dobbiamo andare fino in fondo per recuperare credibilità. E per dimostrare che la destra, e in particolare la Lega che raccoglieva il voto operaio, al dunque si schiera sempre dall’altra parte».

La spinta che arriva dall’Europa aiuterà a condurre in porto la legge?

«Intanto è una rivoluzione per l’Europa, che fin qui riproponeva al suo interno i meccanismi distorsivi della globalizzazione. Certi Paesi membri che facevano dumping sociale mettendo i lavoratori gli uni contro gli altri con le delocalizzazioni. Questa direttiva invece è un passo fondamentale nella direzione dell’Europa sociale, premessa necessaria al rilancio di quella politica. E la Repubblica fondata sul lavoro non può restare indietro».

Il centrodestra non vuole neanche sentirne parlare.

«La direttiva non è vincolante giuridicamente, ma lo è sul piano politico. Il salario minimo non va introdotto perché ce lo chiede l’Europa, ma per i tre milioni e mezzo di lavoratori poveri. Oggi i salari sono sotto i livelli del 1990 e l’inflazione corre a quelli della metà degli anni ’80: un mix esplosivo. Ci sono ragioni di tenuta sociale e democratica, ma anche economiche. Se non sosteniamo la domanda interna rilanciando i consumi rischiamo la recessione».

In che tempi bisogna intervenire?

«Presto, perché a settembre le bollette potrebbero salire ancora e dobbiamo arrivarci preparati, anticipando i contenuti della direttiva. Sveliamo l’imbroglio della destra: non c’è alcuna contrapposizione tra il rafforzamento della contrattazione e l’introduzione di un salario minimo. La nostra proposta, quella su cui lavora il ministro Orlando, tiene insieme i due aspetti».

Eppure secondo Confindustria non li riguarda.

«Allora perché opporsi? Dare valore legale erga omnes ai trattamenti economici fissati dai contratti nazionali più rappresentativi serve a debellare i contratti pirata. In questo momento secondo il Cnel ci sono 992 contratti nazionali di lavoro. Davvero qualcuno pensa siano tutti rappresentativi? La verità è che lungo la filiera dei subappalti molte imprese fanno dumping contrattuale. Se Confindustria lo tollera, va contro la sua funzione di rappresentanza».

La cosa che servirebbe, secondo il centrodestra, è la riduzione del cuneo fiscale.

«Basta giochetti. Quando abbiamo proposto noi il taglio del cuneo, a dicembre, la destra chiedeva solo flat tax e condoni. Questo passaggio rivela la vera partita politica dei prossimi mesi: chi paga i costi di questa crisi e dell’inflazione?».

Chi dovrebbe pagarli?

«Noi non permetteremo che a farlo siano i redditi medio bassi».

Devono farlo i redditi alti o gli imprenditori?

«Quelli che fanno extraprofitti con il caro energia, senz’altro. Ma noi abbiamo sostenuto le imprese di fronte al Covid, alle conseguenze della guerra, alle transizioni. Ora l’urgenza è la questione salariale. Sulla delega fiscale, invece di impantanarsi sul catasto e provare a difendere chi le tasse non le ha mai pagate, la destra lavori con noi per destinare ulteriori risorse ad alleggerire il carico fiscale sui redditi medio bassi. La più grande riduzione del cuneo a vantaggio dei lavoratori l’abbiamo fatta con Gualtieri nel 2020».

In Italia non c’è è soprattutto un problema di bassa produttività?

«A parte che i salari sono andati indietro e la produttività, per quanto di poco, è cresciuta, ora con il Pnrr abbiamo la grande occasione di fare un salto. E certo il lavoro precario e malpagato non aiuta la produttività».

Secondo il presidente di Confindustria Bonomi il reddito di cittadinanza è un competitor.

«Vorrebbe dire che il nostro sistema produttivo invece di competere con la Germania o la Francia vuole farlo con chi paga 500 euro al mese. Siamo nel G7. Avere come modello non l’Europa, ma il terzo mondo, offende i lavoratori e gli stessi imprenditori».

Secondo lei Draghi è pronto a superare le resistenze del centrodestra sui salari?

«Credo sia pienamente consapevole della difficile situazione sociale aggravata dalle conseguenze della guerra. Deve tener conto di questa maggioranza, ma i no ideologici della destra possono essere superati rilanciando il dialogo sociale».

In questo momento le posizioni sono molto distanti: tra Cgil e Cisl e Uil, tra governo e Confindustria.

«Il governo ha il dovere, a partire dai problemi concreti, di riallacciare il filo del confronto con le organizzazioni sociali. Sarebbe davvero un paradosso se la stagione di unità nazionale lasciasse l’eredità pesantissima della rottura dell’unità sindacale».

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Elicottero disperso con sette persone a bordo, le ricerche sull’Appennino tosco-emiliano riprese stamane all’alba

venerdì, Giugno 10th, 2022

Sono riprese questa mattina, intorno alle 6.30, le ricerche dell’elicottero scomparso ieri tra l’Emilia Romagna e la Toscana. Si tratta di un elicottero civile con a bordo sette persone, si legge in una nota del Soccorso Alpino, decollato dalla provincia di Lucca e diretto nel trevigiano. Subito dopo l’allarme, scattato nel pomeriggio di ieri, diverse squadre territoriali del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico si sono dirette verso il campo base organizzato a Pievepelago (Modena). Le ricerche, che già nella giornata di ieri hanno potuto contare su sorvoli ricognitivi di elicotteri dell’Aeronautica Militare, Elisoccorso 118, Guardia di Finanza e Vigili del Fuoco, hanno dato esito negativo. I militari dell’Aeronautica, in collaborazione con il Soccorso Alpino, hanno protratto le ricerche fino alla scorsa mezzanotte inoltrata. Questa mattina, sono riprese le operazioni, con campo base sempre nel capoluogo dell’Appennino modenese: il Soccorso Alpino è presente con diverse squadre territoriali, alcune delle quali saranno imbarcate su velivoli dell’Aeronautica, che coordina le operazioni, per la ricerca dall’alto. A bordo del mezzo c’erano sette persone: il pilota italiano, quattro cittadini turchi e due libanesi. Tutti avevano intrapreso il viaggio attorno alle 9.30 dall’aeroporto di Capannori Lucca Tassignano diretti a Castelminio di Resana, nel Trevigiano, in cui erano attesi circa un’ora dopo. L’elicottero era stato ingaggiato dalla Elettric80, società con sede nel Reggiano, allo scopo di trasportare alcuni buyer alla Roto Cart, un nuovo impianto all’avanguardia sulla lavorazione e movimentazione di bobine di carta per lo stoccaggio anche alimentare.

Secondo quanto emerso, l’ultima rilevazione dei velivolo si colloca nel Modenese, nel comune di Pievelago. Le ricerche si sono dunque concentrate sul crinale appenninico tra il piccolo comune di San Pellegrino in Alpe e Piandelagotti dove ieri mattina, in un orario compatibile col volo, si è abbattuta una tempesta temporalesca di pioggia, grandine e vento. Per le ricerche si sono adoperati gli elicotteri del Soccorso Alpino e anche una squadra di terra composta da 24 volontari del Soccorso Alpino; le zone sono impervie, vaste e gran parte disabitate. Le ricerche sono riprese con le prime luci dell’alba.

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La vera ricetta anti-inflazione

venerdì, Giugno 10th, 2022

Carlo Cottarelli

La Banca centrale europea ha finalmente annunciato un aumento dei tassi di interesse e una fine alla politica di acquisti netti di titoli di stato finanziata stampando euro. La reazione dei mercati non è stata buona: i tassi di interesse e gli spread sono aumentati e le Borse sono calate. Perché? Alcuni commentatori hanno detto che le decisioni prese rivelavano una crescente influenza dei “falchi” (i rappresentanti dei Paesi del Nord Europa) nel Consiglio direttivo della Bce. In realtà, mi sembra che quello che la Bce ha annunciato sia il minimo che ci si potesse aspettare da una banca centrale che si trova a fronteggiare un’inflazione di oltre l’8 per cento (questa è la media nell’area dell’euro). Anche una colomba qualcosa doveva pur fare … La Bce ha detto due principali cose. Primo, che intende aumentare il tasso di interesse annuale a cui la Bce presta soldi alle banche da 0 a 0,25 per cento in luglio e a 0,50 in settembre, con aumenti di uguale misura per gli altri tassi di interesse praticati dalla Bce. Sono aumenti molto contenuti: a maggio, in un singolo mese, i prezzi sono aumentati nell’area dell’euro dello 0,8 per cento.

Ripeto: in un mese. Cioè, l’inflazione, se va avanti a questi ritmi, si potrebbe portare via in un mese più di tutto il rendimento di un anno sui soldi prestati dalla Bce. Quindi, i tassi di interesse aumentano, ma restano ampiamente negativi al netto dell’inflazione. Continua a convenire indebitarsi per spendere e di parecchio. Secondo, la Bce ha deciso di sospendere gli acquisti netti di titoli di stato, non solo quelli legati alla pandemia (il cosiddetto Pepp, la cui sospensione era già stata annunciata), ma anche quelli del programma preesistente (App). Quindi basta sostegno al mercato dei titoli di stato, compreso quelli italiani. Brutta notizia? Sì, ma del tutto prevista. La Bce si è inoltre premurata di sottolineare un’altra cosa importante: non solo, come già si sapeva, continuerà a ricomprare i titoli di stato che giungono a scadenza, ma manterrà la propria libertà nell’acquistare titoli di stato di un Paese diverso da quello dei titoli in scadenza. Che significa? Supponiamo che il prossimo mese giungano a scadenza 2 miliardi di titoli di stato tedeschi detenuti dalla Bce. Quest’ultima potrà decidere di sostituirli con titoli, per esempio, greci o italiani. Questo per evitare che i tassi di interesse greci o italiani aumentino troppo rispetto a quelli tedeschi, ossia che lo spread salga troppo. Il comunicato della Bce fa addirittura riferimento esplicito alla Grecia, il Paese dove lo spread è al livello più alto: 268 punti base. L’Italia non è molto distante però: 228 punti base. Mi sa che questo è un tipico esempio di “parlare a nuora, perché suocera intenda”.

Quindi, la Bce si sta muovendo cautamente. Il timore è quello di esagerare e di causare una recessione con un ritorno a tassi di inflazione ben al di sotto del 2 per cento, come abbiamo avuto dal 2013 al 2020. Perché allora i mercati finanziari non hanno reagito bene? I mercati sono stati sorpresi da un’azione chiaramente restrittiva, come alcuni media hanno riportato? Stanno predominando i falchi? Non mi sembra proprio, per i motivi che ho spiegato. Un’interpretazione alternativa (e più preoccupante) è che l’annuncio di gradualità nella stretta monetaria non sia ritenuto adeguato a frenare l’inflazione. I tassi di interesse a lungo termine, quindi, sarebbero aumentati perché gli investitori avrebbero rivisto verso l’alto le aspettative di inflazione e quindi cercherebbero di coprirsi facendo aumentare i tassi di interesse. Difficile raggiungere chiare conclusioni (non attribuirei troppa importanza a quello che accade in un singolo giorno), ma il rischio che questa interpretazione sia valida esiste.

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Politiche e regionali, verso l’election day il 28 maggio 2023

venerdì, Giugno 10th, 2022

Carlo Bertini

Roma. Uno che ci tiene sempre a far vedere di saperla più lunga, lo aveva già guardacaso pronosticato: «Vedrete, si voterà a maggio 2023», aveva buttato lì un mese fa alla Camera Matteo Renzi. E ora spunta una data possibile, confermata da fonti di governo, il 28 maggio 2023, in cui 46 milioni e mezzo di italiani potrebbero essere chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Sarà in ogni caso un election day (che accorperà le politiche e le regionali in Lombardia e Lazio) e quella del 28 maggio per celebrarlo è attualmente la data più gettonata nei Palazzi.

Il nodo su quando si terranno le prossime elezioni politiche, al netto di eventuali (e poco probabili) crisi di governo, tiene banco da mesi e si è rianimato da giorni: da quando si è sparsa voce di contatti tra la ministra Luciana Lamorgese ed esponenti di alcuni partiti di maggioranza. Riguardo una scadenza che andrà fissata a suo tempo dal consiglio dei ministri, su indicazione del titolare degli Interni e che cattura già ora con anticipo l’attenzione dei più alti livelli istituzionali.

Governo stabile nel semestre

Per una serie di ragioni: intanto perché con la guerra in Ucraina votare a fine maggio consentirebbe di mantenere un alto tasso di stabilità nelle strutture dello Stato. Utile anche a portare avanti le incombenze ministeriali del cronoprogramma di riforme legato alla seconda tranche del Pnrr. Questa la principale preoccupazione. «Il versamento ogni sei mesi della quota di risorse Ue spettante a ogni paese – spiega un parlamentare a conoscenza delle trattative sul tema – è legata al raggiungimento degli obiettivi, quali riforme e investimenti, anche dentro i singoli ministeri: tutto va avanti se c’è una forte leadership politica, altrimenti se si votasse a marzo, in mezzo al semestre, non si avrebbe tempo per fare le cose per bene. Mentre se si hanno a disposizione cinque mesi del 2023 prima della fine della legislatura, c’è il tempo per assicurarsi la tranche di finanziamenti di giugno e per stare tranquilli di poter portare avanti le riforme».

Le nomine delle partecipate

Secondo motivo, tenuto più sullo sfondo nei pour parler: votando a fine maggio, sarebbe il governo attuale a decidere il rinnovo delle cariche di governance delle principali società pubbliche, Eni, Enel e Leonardo, che vanno in scadenza triennale nel 2023 e che furono nominate il 20 aprile del 2020. E anche questo è un tema di primario interesse, che viene non a caso poco sbandierato.

Nuovo “Tfr” per tanti peones

La voce di elezioni il 28 maggio è tracimata come un fiume in piena nei corridoi di Camera e Senato: rispetto ad uno scioglimento delle Camere a fine gennaio 2023, per andare alle urne in marzo (visto che nel 2018 si era votato il 4 marzo), due mesi in più di attività parlamentare e di relative indennità, farebbero assai comodo a centinaia di peones che non verranno ricandidati al prossimo giro. Dove tra l’altro la compagine dei neoeletti sarà falcidiata dalla riforma del taglio del 30% dei parlamentari che andrà in vigore dalla prossima legislatura.

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Otto e mezzo, Cacciari perde la pazienza sul caso Cremlino: sbotta con Sallusti e zittisce Floris

venerdì, Giugno 10th, 2022

Giada Oricchio

“Cremlino palazzo di me***a?”. Massimo Cacciari perde le staffe con Alessandro Sallusti e Giovanni Floris, temporaneo padrone di casa a “Otto e Mezzo”. Durante la puntata di giovedì 9 giugno, il direttore del quotidiano Libero ha ribadito di aver usato l’espressione forte “Cremlino palazzo di m***a”, durante l’ultima puntata del programma Non è l’Arena, in quanto luogo dove si sono decise le più grandi tragedie dell’umanità. Interrogato sul punto dal conduttore, il filosofo Cacciari, spazientito e irritato, ha sospirato: “Non posso fare la storia del Cremlino, abbia pazienza…”.

Floris ha osato chiedergli cosa intendesse dire e il professore è sbottato e ha zittito il conduttore: “Cosa vuole che intenda?! Quello che dico! Immaginate voi! Una persona poco più che analfabeta dovrebbe sapere cos’è il Cremlino, lì c’è stata Caterina la Grande. C’è stato Stalin? Sì come a Berlino c’è stato Hitler e a Roma Mussolini, non per questo Palazzo Chigi diventa di me**a!”.

Sallusti lo ha interrotto insistendo sul fatto che davanti a una guerra non si può pensare a esaltare l’architettura del palazzo di Vladimir Putin e Cacciari è andato su tutte le furie: “E allora parli lei! Per l’amor di Dio, cosa volete che discuta con Sallusti di cosa rappresenta la Russia!”, “Non siamo a un convegno di storia” ha replicato il direttore.

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Ucraina senza più munizioni: “Stiamo perdendo”, Putin si paragona a Pietro il Grande: restituire terre alla Russia

venerdì, Giugno 10th, 2022

L’Ucraina sta perdendo le munizioni e il conflitto. “Questa è una guerra di artiglieria” e in prima linea “stiamo perdendo, ora tutto dipende da ciò che l’Occidente ci fornisce, abbiamo quasi esaurito le munizioni in nostro possesso” ha detto al Guardian Vadym Skibitsky, numero due dell’Intelligence militare di Kiev. È l’ennesimo appello affinché Usa ed Europa aumentino ulteriormente gli invii di armi all’Ucraina. Intanti i combattimenti continuano intorno a Severdonetsk. La Russia “ha di nuovo il controllo della maggior parte della città, ma le sue forze hanno fatto pochi progressi nei tentativi di circondare l’area più ampia da nord e da sud”, si legge nel bollettino quotidiano dell’intelligence britannica sull’invasione dell’Ucraina. “La Russia sta lottando per fornire servizi pubblici di base alla popolazione nei territori occupati. L’accesso all’acqua potabile è stato inconsistente, mentre continuano le gravi interruzioni dei servizi telefonici e Internet” si legge nel report che sottolinea la “grave carenza di medicinali a Kherson, mentre Mariupol è a rischio di una grave epidemia di colera. Da maggio sono stati segnalati casi isolati. L’Ucraina ha subito una grave epidemia di colera nel 1995 e da allora ha sperimentato piccoli focolai, soprattutto intorno alla costa del Mar d’Azov, che include Mariupol”. Sul campo nella regione di Luhansk “il nemico ha cercato di effettuare operazioni d’assalto in direzione di Nyrkovo e Mykolayivka, ma si è ritirato con perdite. Anche un attacco alla periferia nord-occidentale di Toshkivka è stato respinto”, rende noto l’amministrazione militare-civile di Luhansk, denunciando “la distruzione di 15 case a Orikhovo, 6 a Vrubovka, 8 a Lysychansk. Il villaggio di Synetsky alla periferia di Severodonetsk è stato gravemente danneggiato. Non ci sono civili uccisi o feriti”. Quanto alle altre regioni ucraine, le diverse amministrazioni fanno sapere che “nel Donetsk le truppe russe hanno sparato con armi leggere, carri armati, artiglieria, mortai, aerei, MLRS a Bakhmut, nei villaggi di Kalinovo, Pervomaiskoe, Chrome, Mikilskoe. Tre persone sono morte. 17 strutture sono state danneggiate, tra cui quattro condomini privati ​​e due appartamenti, una fattoria, un centro di cura, un’impresa industriale, binari e locali della stazione ferroviaria di Phenolna. Non c’è gas nella regione, e l’acqua e l’elettricità sono scarse.

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L’Unione (di nuovo) di fronte al bivio

venerdì, Giugno 10th, 2022

di Goffredo Buccini

La guerra in Ucraina ripropone il tema dell’ingresso dei Paesi ex comunisti, che Macron propone secondo un processo «graduale»

La crisi ucraina rimette l’Europa di fronte a una scelta cruciale fatta nei primi anni del Duemila: l’allargamento dell’Unione ai Paesi ex comunisti. E le impone di soppesarne le conseguenze nel bene e nel male, anche in vista del prossimo, delicato Consiglio europeo del 23 e 24 giugno. Poche cose come l’ansia di protezione di Zelensky ci mostrano quanto allora fosse ragionevole accogliere in seno all’Europa delle democrazie liberali chi si era appena sbarazzato del giogo di Mosca. Se anche l’Ucraina fosse entrata a suo tempo nella Ue, Putin assai difficilmente si sarebbe avventurato adesso ad aggredirla: l’ombrello europeo è, e sarà, l’ostacolo politico maggiore alle mire espansionistiche di chicchessia.

Per converso, poche cose come l’ostruzionismo filorusso del leader ungherese Orbán ci rivelano quanto fosse prematuro inglobare membri privi di una sedimentata cultura dei diritti e permeati invece da una corruzione istituzionale endemica, quali erano i Paesi ex comunisti, senza prima definire un contesto di norme che ne ammortizzasse l’impatto. Se non fossimo gravati ancora oggi dallo sciagurato fardello dell’unanimità, l’Ungheria tanto legata a Putin avrebbe una capacità di paralizzarci ben più ridotta e, forse, commisurata infine a una popolazione pari appena a quella della Lombardia. Si tratta di contraddizioni vistose, che solo una politica visionaria (e coraggiosa) può sanare domani. Come politicamente visionaria (e generosa) fu la scelta che ieri le generò.

Ricordiamolo: dal trattato di Nizza, del dicembre 2000, all’allargamento ufficiale ai nuovi membri, nel maggio 2004, l’Unione, con Romano Prodi a capo della Commissione, era permeata dall’entusiasmo di riappropriarsi del suo intero corpo, esorcizzando i demoni dei totalitarismi che tanto l’avevano piagata nel Novecento e includendo quei fratelli europei a lungo imprigionati nella cortina di ferro. Prodi non era il solo a sentire lo slancio che portò l’Europa da quindici a ventisette. Alla cerimonia nel Castello di Dublino, il premier francese Raffarin aveva «le lacrime agli occhi» e il cancelliere tedesco Schröder (non ancora putiniano) scommetteva: «L’allargamento ci renderà più ricchi». Purtroppo, a un afflato così nobile non corrispose una fortuna politica all’altezza. Il Trattato di Nizza si rivelò elefantiaco e inapplicabile. La Costituzione europea, altrettanto pletorica, fu affondata nel 2005 dal referendum francese e da quello olandese. Nell’impalcatura, pur rivista dal Trattato di Lisbona, restò la falla delle minoranze di blocco: il voto di quei Paesi in grado di paralizzare le decisioni europee impedendo di raggiungere la prescritta unanimità. Erano insomma già sul tavolo i guai che ci avrebbero afflitto in seguito.

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Il mistero delle scorte di grano della Cina: sono superiori a quelle di tutto il resto del mondo. Ma perché?

venerdì, Giugno 10th, 2022

di Federico Rampini

Le riserve di grano custodite nei silos cinesi superano i 140 milioni di tonnellate: molto più di quanto ne manchi sul mercato a causa dell’invasione russa in Ucraina. Ma perché Xi Jinping è arrivato così preparato a questo choc? Come userà il «tesoro» su cui è seduto?

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Un coltivatore vicino a Shanghai (Epa)

C’è un Paese al mondo che pur essendo un grande importatore di grano non subisce la crisi attuale, anzi può trarne vantaggio. È la Cina: ha accumulato per ragioni «misteriose» più scorte di grano di tutto il resto del mondo messo assieme.

Cominciò a farlo molto prima che Vladimir Putin lanciasse l’ultima aggressione militare sul suolo ucraino.

L’enigma delle riserve alimentari di Pechino potrebbe essere sciolto con qualche colpo di scena, se solo Xi Jinping lo volesse.

Per adesso possiamo solo interrogarci su una situazione anomala, le sue possibili spiegazioni, gli sviluppi che avrà. Il dato è ufficiale e una delle fonti più attendibili in questo settore è lo U.S. Foreign Agricultural Service.

Le riserve di grano custodite nei silos cinesi superano i 140 megaton (milioni di tonnellate).

Di per sé questa è un ottima notizia.

È rassicurante se si confronta quel dato con la quantità di grano che manca sui mercati mondiali per via dell’invasione russa in Ucraina: al massimo 50 o 60 megaton. Però l’immensa mole delle riserve cinesi lascia sconcertati quando la si confronta con le scorte di grano disponibili nel resto del mondo.

La coalizione occidentale composta da Stati Uniti, Europa, Canada e Australia si avvicina a stento a 40 megaton di grano in riserva. L’Asia meridionale che include l’India ne ha meno di noi (ma è pur vero che l’India è diventata una grande produttrice/esportatrice di grano). L’area che include Medio Oriente e Nordafrica ha riserve per circa la metà dell’Occidente.

Se si addizionano tutte queste scorte, la conclusione è positiva e al tempo stesso sconcertante: il mondo con 280 megaton di grano ne ha abbastanza da poter affrontare il ricatto di Putin che sequestra le esportazioni ucraine.

Come nel caso dell’energia fossile, non siamo veramente di fronte a una penuria e certi aumenti di prezzi sono eccessivi rispetto agli squilibri reali tra offerta e domanda. Però per mandare i mercati in fibrillazione bastano degli sconvolgimenti parziali in alcuni flussi di rifornimento tradizionali.

Inoltre le riserve di grano sono gestite da ogni nazione secondo criteri specifici, non sono a disposizione di tutti per far fronte alle emergenze locali.

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La trappola di Putin contro l’Europa. La Bce costretta ad alzare i tassi d’interesse

venerdì, Giugno 10th, 2022

di Federico Fubini

La trappola di Putin contro l'Europa. La Bce costretta ad alzare i tassi d'interesse

La persona più influente per le scelte della Banca centrale europea oggi non siede a Francoforte, né in una delle capitali dell’area euro. Quella persona sta al Cremlino: l’accelerazione decisa ieri dalla Bce nell’alzare i tassi d’interesse a luglio e settembre e poi continuare — in modo «graduale ma sostenuto» — deriva in primo luogo da Vladimir Putin. È lui ad aver scatenato una guerra che impedisce al costo di gas, petrolio, fertilizzanti o grano di scendere, anzi tende a proiettarli in alto. mercati

La Bce non fa che reagire all’onda lunga di rincari, prodotti o aggravati dalla guerra, su beni che l’Europa compra dal resto del mondo. In questo l’area euro non somiglia agli Stati Uniti, anche se in entrambe le aree l’inflazione corre un po’ sopra l’8%. Lì sussidi federali da 2.800 miliardi hanno surriscaldato l’economia fino a un aumento della domanda interna di quasi il 7% rispetto agli anni pre-Covid. In area euro invece siamo a stento tornati ai livelli di consumi e investimenti di prima della pandemia, secondo i dati della Commissione Ue. Si può pensare all’inflazione europea più come a una tassa da circa due punti di prodotto interno lordo che paghiamo ad Arabia Saudita, Algeria, Norvegia o a Putin stesso per materie prime il cui prezzo oggi è scandito dal rombo dei cannoni nel Donbass. Tacessero questi, quello crollerebbe. Ma poiché non tacciono, la Bce vuole rallentare il resto dell’economia perché tutti gli altri prezzi — quelli interni — frenino o scendano. Se questa era una trappola di un ex tenente colonnello del Kgb, la Bce rischia seriamente di caderci.

È emblematico che la Banca centrale ieri abbia alzato le sue «proiezioni» di inflazione in zona euro di quest’anno, ma abbia ridotto quelle di crescita: la stima di un’espansione del 2,8% nel 2022 non deve ingannare, perché in gran parte è l’effetto d’abbrivio dall’anno scorso mentre ora l’economia è molto lenta. È sintomatico anche che ieri l’euro si sia indebolito sul dollaro, anziché rafforzarsi con l’impennata dei rendimenti europei: qualcuno sente odore di recessione. tassi e rendimenti

Ma farsi illusioni non avrebbe senso. Questo cambio di stagione doveva comunque arrivare. Magari con più cautela o qualche garanzia in più i Paesi fragili, ma la Bce doveva comunque smettere di comprare titoli di Stato e alzare i tassi oggi sottozero. Restare inchiodati al mondo di ieri non era possibile, né può farlo l’Italia. Solo la cecità di parte della classe politica poteva far pensare che del debito di Roma ci si sarebbe occupati per sempre a Francoforte.

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A Torino c’è un giudice a Mosca no

giovedì, Giugno 9th, 2022

MASSIMO GIANNINI

«Esprimo la mia solidarietà a tutti i giornalisti de La Stampa e al suo direttore: da noi c’è la libertà di stampa, sancita dalla Costituzione…». Con queste parole, semplici e perfette, persino Mario Draghi aveva replicato all’attacco che l’ambasciatore russo in Italia aveva fatto al nostro giornale. Era il 25 marzo, e Sergey Razov aveva convocato agenzie e televisioni davanti alla Procura di Roma, per annunciare un esposto contro di noi, “colpevoli” insieme ad altri organi di informazione di aver “morso la mano che ci aveva aiutato” ai tempi del Covid. L’ambasciatore contestava i nostri articoli sull’opaca missione militar-sanitaria “Dalla Russia con amore”. Protestava per l’uso di una foto in prima pagina, che ritraeva in modo asettico una carneficina nel Donbass, di matrice incerta, come simbolo degli orrori della guerra. E soprattutto ci accusava per un impeccabile editoriale di Domenico Quirico, a sua volta “colpevole” di aver raccontato (per confutarla sul piano morale e politico) la tesi di chi sosteneva che l’unico modo per far finire la guerra in Ucraina era “uccidere Putin”.

La Stampa fa “apologia di reato e istigazione a delinquere”: questi i reati che Razov ci imputava, distorcendo clamorosamente la verità e chiedendo ai giudici una “condanna esemplare”. Due mesi e mezzo dopo è arrivata la risposta della Procura di Torino, alla quale il fascicolo era stato nel frattempo trasferito.

La pm Anna Maria Loreto ha chiesto l’archiviazione del procedimento, e il gip ha accolto la richiesta, perché non sussiste “il reato di cui all’articolo 414, commi 1 e 3 del Codice Penale, e nemmeno in astratto la possibilità di ravvisare altri reati”. Com’era logico e giusto. Il caso è chiuso, dunque. Quello che resta è ciò che denunciammo un minuto dopo l’improvvida offensiva giudiziaria dell’ambasciatore: un atto di cinica intimidazione, inaccettabile e ingiustificabile, da parte di un Paese che ne ha invaso un altro, sta violando con ferocia il diritto internazionale, sta reprimendo con violenza il dissenso interno. E per questo non può permettersi di dare lezioni di libertà e di democrazia a nessuno.

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