Archive for Giugno, 2022

Anniversari. Perché il 2 giugno merita di essere una vera festa

giovedì, Giugno 2nd, 2022

di Simonetta Fiori

E’ una data fondativa, una delle più importanti del nostro calendario civile. Ma il 2 giugno non è riuscito mai a decollare come grande festa popolare, come pure fu nell’immediato dopoguerra. E come avviene in altri paesi per celebrazioni di analoga importanza, il 14 luglio in Francia o il 4 luglio negli Stati Uniti, tra balli in piazza e fuochi d’artificio. Da noi, al di là della parata militare e del brivido delle frecce tricolori, il giorno della Repubblica stenta a farsi rituale vivo nella comunità. Lo rivela anche una recente indagine nelle scuole. Sollecitati da un’équipe di storici, molti studenti prossimi alla maturità classica hanno liquidato l’anniversario repubblicano come il primo ponte verso l’estate. O comunque l’inizio delle vacanze. Niente più di questo.

Quanti sanno che cosa è accaduto tra il 2 e il 3 giugno del 1946, data del referendum istituzionale e punto di partenza del processo di costruzione della democrazia italiana con l’elezione dell’assemblea costituente? Quanti conoscono quel “miracolo della ragione” (copyright Piero Calamandrei) per il quale “una Repubblica è stata proclamata per libera scelta di popolo mentre era ancora sul trono il re”? Dei nostri vuoti di memoria si è occupata l’Associazione di Public History nella conferenza annuale promossa al Museo del Novecento di Mestre. Sin dalla titolazione, “Storia bene comune”, l’iniziativa ha tratto ispirazione dal manifesto scritto per Repubblica nel 2019 da Andrea Giardina e firmato da Liliana Segre e Andrea Camilleri dopo la soppressione del tema storico alla maturità.

Chi sono i responsabili di questa nostra diffusa smemoratezza? Non si è trattato di un vero processo contro i colpevoli, ma certo sono emerse molte connivenze e complicità. A cominciare da quelle degli storici che hanno raccontato il parto repubblicano in modo approssimativo e distorto. Per porre riparo a una storia mal narrata, Maurizio Ridolfi ha coordinato un progetto in sei volumi edito da Viella, 2 giugno. Nascita, storia e memorie della Repubblica. “La nostra nuova indagine”, dice Ridolfi, “nasce proprio dalla consapevolezza che molti studiosi avevano trattato questa data fondativa in modo inadeguato. Prendiamo i manuali scolastici: generalmente liquidano il 2 giugno in cinque righe e restituiscono una visione molto semplificata dell’origine della Repubblica, nata malamente in un’Italia spaccata in due e con una debole legittimazione popolare”.

L’opera di Viella approfondisce aspetti del voto referendario finora trascurati, a partire dal rapporto con la demografia. “Quel referendum disse altro rispetto alle narrazioni dei libri di testo”, continua Ridolfi. “Bastano solo due cifre per mutare l’immagine di un’Italia settentrionale interamente proiettata verso la Repubblica e un’Italia meridionale interamente monarchica: il 40 per cento degli italiani che votarono per il re viveva tra Torino, Milano e Padova. E il 20 per cento dei voti repubblicani era concentrato nel Meridione: quel venti per cento fu decisivo! La fotografia dell’atto fondativo ne risulta profondamente modificata: la Repubblica fu il frutto di diversità legate alla storia e alle differenti culture politiche ereditate dal primo dopoguerra, ma esisteva una prospettiva comune che mirava a creare qualcosa di nuovo. Se si cancella questa comunione di intenti, si finisce per indebolire l’immagine del 2 giugno come importante festa nazionale”.

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Giustizia, il nuovo bavaglio all’informazione

giovedì, Giugno 2nd, 2022

Paolo Colonnello

Se è vero che la strada per l’Inferno è lastricata di buone intenzioni, allora la riforma Cartabia, in tema di libertà di stampa, equivale a un’autostrada la cui destinazione è il bavaglio dell’informazione. Sotto la voce di «presunzione d’innocenza» si rischia infatti non solo di rendere le Procure luoghi vietati ai giornalisti, come è già accaduto a Torino e in altre città d’Italia, ma di ingabbiare la cronaca nera e giudiziaria in una serie di sterili comunicati teleguidati da algidi procuratori con la reintroduzione del concetto delle «veline di regime»: in particolare dove si stabilisce che le notizie «autorizzate» veicolate alla stampa debbano avere «attinenza alle indagini» (e ci mancherebbe) e «un interesse pubblico». Già nella scelta delle parole, cioè notizie «autorizzate» e di «interesse pubblico» non può che intravvedersi un’attribuzione impropria ai procuratori – che sono comunque delle parti del processo e quindi intrinsecamente privi di terzietà – di compiti di inevitabile censura, intollerabili in un Paese democratico.
Se poi si considera che la norma prevede per la maggior parte dei casi «l’esclusivo» utilizzo dei comunicati stampa, si può ben capire che ai giornalisti viene vietato perfino di porre domande. Il diritto di cronaca non è un’invenzione dei giornalisti ma un principio garantito dall’articolo 21 della Costituzione, essendo l’esercizio della ricerca delle notizie e la loro pubblicazione uno dei pilastri delle società democratiche. Tutelati dalla Costituzione sono anche i diritti degli individui, compresa la presunzione d’innocenza. Far prevalere però con un articolo di legge uno dei due diritti, nella difficile e quasi quotidiana ricerca di equilibrio tra questi due capisaldi democratici, è come truccare la partita e apre la strada a un sogno sempre accarezzato da chi sta al potere: controllare l’informazione. Anche e soprattutto in tema di cronaca giudiziaria dove, com’è noto, spesso si consumano vicende sgradite al potere: dalle corruzione alle grandi scalate finanziarie, fino ai delitti di sangue che spesso si rivelano un formidabile termometro per la febbre del disagio sociale (non a caso la cronaca nera venne sostanzialmente vietata durante il fascismo). Impedire all’informazione di avere un libero accesso a possibili fonti e attribuire a un inquirente il potere di stabilire cosa sia di «pubblico interesse» e cosa no, è semplicemente un arbitrio che nulla ha a che fare con la presunzione d’innocenza.

Nessuno nega che l’incontinenza verbale espressa in certi titoli o articoli non sia più accettabile e che il vezzo del processo mediatico sia francamente intollerabile e fuorviante. Ed è giusto che venga vietato agli inquirenti o alle forze dell’ordine di intitolare le loro inchieste con nomi suggestivi e inevitabilmente colpevolisti. Ma il diritto di cronaca è altro. È la possibilità di poter controllare direttamente una notizia, di poter fare domande ai protagonisti di un’inchiesta, siano essi indagati, avvocati o magistrati.

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Il mondo in recessione. Il Nobel Spence: “La crisi in Europa sarà dura”

giovedì, Giugno 2nd, 2022

FABRIZIO GORIA

TORINO. La transizione ecologica rischia di rallentare. Quella energetica pure. Dal Festival Internazionale dell’Economia di Torino il premio Nobel Michael Spence e il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, moderati dal vicedirettore de La Stampa Marco Zatterin, lanciano l’allarme. Gli strascichi economici della guerra in Ucraina entrano di prepotenza sul futuro dell’eurozona. Il quadro è complicato, ma sia Spence sia Cingolani concordano che questo è il momento di spingere sull’acceleratore della svolta verde.

Le sanzioni
Spence:«Viviamo in un mondo pieno di turbolenze. Partiamo dall’assunto che abbiamo poche armi a disposizione per contrastare l’invasione russa in Ucraina. E la decisione sul greggio farà un po’ male, dal punto di vista economico, all’area euro. Meno di un intervento rapido sul gas naturale, che ha una catena di approvvigionamento molto più complessa, perché bisognerebbe sostituire i gasdotti, per esempio. In generale sono un po’ più pessimista rispetto alla Banca centrale europea. Credo che potrà esserci una recessione in Europa. Forse non ovunque, e non c’è la certezza che ci sarà. I rischi però stanno crescendo».

Cingolani: «Abbiamo capito quanto è elevata l’interdipendenza energetica. Questa ha creato una incredibile debolezza a livello globale. Guardiamo all’Italia. Noi abbiamo un mix di energie molto limitato, prevalentemente carburanti fossili, con il 40% del gas che arriva dalla Russia e circa il 20% di fonti rinnovabili. Quando la guerra è esplosa, Italia e Germania si sono accorte che la dipendenza dalla Russia era letale per l’economia. L’Italia importa da 29 a 30 milioni di metri cubi di gas dalla Russia ogni anno, e sostituire questa fonte nel breve termine è molto complesso. Siamo riusciti a fare qualcosa, ma servono nuove infrastrutture energetiche. Sostituire i carburanti fossili dalla Russia con altri fornitori è importante, ma è anche importante allontanarci dal gas per l’obiettivo della decarbonizzazione del 55%».

La recessione
Spence : «Si tratta di uno scenario possibile. Abbiamo tassi d’inflazione che non si vedevano da vent’anni o più. Abbiamo messo nell’angolo le banche centrali, che stanno perdendo la loro credibilità su come gestiscono l’inflazione. Dovrà per forza esserci una normalizzazione della politica monetaria. E quindi un rialzo dei tassi d’interesse. Di conseguenza, ci sarà un impatto sulla crescita. Sarà possibile mitigare questi effetti negativi con la politica fiscale. Non vedo però soluzioni di breve termine. Bisognerà raggiungere schemi sostenibili di crescita».

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Processo a Salvini, così vacilla la leadership del Capitano

giovedì, Giugno 2nd, 2022

FRANCESCO OLIVO

ROMA. La strategie internazionale di Matteo Salvini e la sua rete tessuta in gran silenzio con Antonio Capuano stanno provocando un incendio che non si può spegnere con un monologo su Facebook. Il segretario ora ha un fronte interno da affrontare, con il rischio concreto che i mugugni prendano corpo.

I suoi sono spiazzati. Quando li invitano in televisione o alla radio, declinano all’ultimo, niente interviste, «non oggi». La diplomazia parallela di Salvini ha messo in imbarazzo anche i più fedeli tra i suoi, quelli che non lo hanno mai attaccato, ma che adesso non sanno più cosa dire, davanti alle mosse di un capo che li ha scavalcati e anche disorientati. Il malessere cova da tempo e fino a oggi non ha portato frutti concreti, tanti borbottii e poi basta un consiglio federale per rimettere tutti in riga. Ora però qualcuno inizia a muoversi in maniera più decisa e qualche elemento inizia a esserci. Paolo Damilano, l’imprenditore che il centrodestra aveva candidato a sindaco di Torino, ha abbandonato la coalizione denunciando «una deriva populista», una mossa che viene considerata da molti come una sorta di “pesce pilota” verso un approdo che non è ancora definito, ma che potrebbe coinvolgere governisti e governatori, ovvero il contropotere istituzionale all’interno della Lega. Lo stesso Salvini ha annusato il pericolo e i suoi fedelissimi in parlamento hanno insinuato che dietro alla mossa di Damilano ci fosse Giancarlo Giorgetti, amico personale dell’imprenditore, e, a sentir loro, anche ispiratore dei suoi esperimenti. Alla finestra ci sono anche Massimiliano Fedriga e Luca Zaia, i governatori che finora hanno sempre rifiutato le offerte di lasciare il Nordest per tornare all’impegno nazionale.

La convinzione di molti nella Lega è che di questo passo Salvini non arrivi al 2023 e che quindi occorra muoversi in fretta. Le elezioni amministrative di giugno potrebbero essere, in caso di risultato negativo e di sorpasso definitivo di Giorgia Meloni, l’occasione di un movimento clamoroso, ancora tutto da definire, per affrancarsi da Salvini. Le difficoltà però sono molte e non inedite: l’individuazione di un eventuale leader di questa nuova creatura e la collocazione in vista delle elezioni politiche dell’anno prossimo. Senza una modifica della legge elettorale, poi, è difficile per tutti immaginare nuove avventure. Ma a dare credito a queste ipotesi è lo stesso nucleo duro salviniano che parla ormai apertamente, sebbene in privato, di manovre ostili «volte a indebolire il segretario» con il fine di imporre un governo simile a quello attuale, anche dopo le elezioni. Gli occhi sono puntati sui ministri, Giorgetti e Massimo Garavaglia, accusati di aver accettato ogni decisione di Mario Draghi a scapito della linea del partito. A loro viene addebitato il calo netto nei sondaggi. La politica estera del leader del Carroccio sta mettendo in serio imbarazzo anche Forza Italia, specie il settore guidato da Licia Ronzulli e Antonio Tajani, che ha scommesso su un’alleanza stretta con la Lega e che per questo subisce quotidiani attacchi interni (si veda il caso Gelmini). Silvio Berlusconi, preso dall’euforia per la promozione in Seria A del suo Monza, ha evitato ogni commento, ma di certo non condivide le ultime mosse di Salvini. L’opposizione interna azzurra è pronta a rinfacciare ad Arcore gli errori dell’alleato privilegiato, anche per ostacolare ogni idea di federazione o di liste uniche con la Lega.

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Giannini: “Il tour a Mosca, i vertici con Razov, il ruolo di Capuano, Kissinger di Frattaminore: le trame russe di Salvini danneggiano l’Italia”

giovedì, Giugno 2nd, 2022

L’intervento del direttore de La StampaMassimo Giannini durante la puntata dell’1 giugno 2022 di Otto e Mezzo su La7.

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2 Giugno, Blinken agli italiani: “Condividiamo gli stessi valori di libertà e democrazia”. Oggi la parata delle Forze armate in via dei Fori Imperiali

giovedì, Giugno 2nd, 2022

ROMA. È la festa del 2 Giugno, quella che doveva rappresentare il ritorno alla «quasi» normalità dopo le strette della pandemia, invece è una cerimonia segnata dalla drammatica guerra in Ucraina. Sergio Mattarella ha invitato ieri sera al Quirinale le alte cariche dello Stato e il corpo diplomatico, ma senza il tradizionale ricevimento nei giardini del Palazzo. Assenti – perché non invitati – gli ambasciatori russo e bielorusso. L’Italia condivide infatti la decisione dell’Ue dei primi di maggio – presa proprio durante la riunione dei diplomatici – che prevede diverse misure, tra cui quella – dopo l’invasione dell’Ucraina – di non coinvolgere le rappresentanze in occasione delle feste nazionali e interne.

Mattarella neanche sfiora le polemiche suscitate dal «quasi» viaggio a Mosca di Matteo Salvini, ma invita tutti – visti i «gravi pericoli comuni» – a superare «ogni egoismo, ogni volontà di sopraffazione». A fronte dunque del conflitto, che il presidente definisce «di stampo ottocentesco», Mattarella ha pronunciato con severità un discorso intenso partito dai valori della nostra Costituzione che «ci ha spinto e ci spinge il solenne impegno al ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali». Mattarella richiama alla «responsabilità» nel momento in cui «l’amara lezione dei conflitti del XX secolo sembra dimenticata». La condanna dell’aggressione è ancora una volta dal Quirinale ribadita con fermezza, ma è altrettanto chiara deve essere la posizione del nostro Paese «convintamente impegnato nella ricerca di vie di uscita dal conflitto che portino al ritiro delle truppe occupanti e alla ricostruzione dell’Ucraina».

Le cerimonie di oggi
Oggi è in programma la parata delle Forze armate in via dei Fori Imperiali, la prima dopo lo stop dovute alle restrizioni per il Covid. Il presidente salirà prima al Vittoriano per deporre la corona d’alloro con nastro tricolore al Milite Ignoto, per poi passare in rassegna i reparti schierati e assisterà alla tradizionale Parata Militare dalla tribuna presidenziale di via dei Fori Imperiali. Nel pomeriggio non ci sarà la consueta apertura al pubblico ma, sempre nel rispetto delle misure di prevenzione del rischio di contagio dal Covid, l’ingresso dei Giardini del Quirinale riguarderà categorie di persone con fragilità rappresentate dalle associazioni a carattere nazionale. Saranno circa 2.300 gli invitati a rappresentare l’Italia fragile ma anche quella che nelle difficoltà si è messa in gioco, prestando la propria opera per l’intera comunità.

Garavini: «Democrazia e amicizia tra i popoli antidoto contro le guerre»
«Libertà e pace sono valori fondanti della Repubblica italiana e dell’Unione Europea – dichiara la senatrice Laura Garavini, vicepresidente della commissione Esteri – ma gli eventi storici che hanno portato a questo patrimonio democratico, di cui oggi noi possiamo godere, ci insegnano che non dobbiamo darlo per scontato». «Il nostro atteggiamento quotidiano – prosegue – deve essere improntato a tutelare le conquiste di chi ha combattuto contro l’oppressione nazifascista. Altrimenti la celebrazione del 2 giugno diventa un puro esercizio retorico». Garavini ricorda che «in queste ore assistiamo al ripresentarsi di un conflitto bellico proprio sul continente europeo». Quindi, «in un momento così drammatico, c’è ancora più bisogno di ribadire con forza come il futuro dell’Italia e dell’Europa sia saldamente ancorato ai principi di democrazia, libertà e amicizia tra i popoli».

Il messaggio degli Stati Uniti agli italiani
In occasione del 76° anniversario della fondazione della Repubblica, il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, a nome degli Stati Uniti d’America, scrive al nostro Paese: «In questo giorno, l’Italia e gli Stati Uniti celebrano il nostro patrimonio e valori condivisi, tra cui libertà, democrazia, stato di diritto e fiorenti legami culturali». Milioni di americani, «rivendicano con orgoglio l’eredità e la famiglia italiane, a testimonianza del rapporto duraturo tra le nostre due nazioni e degli impegni reciproci che ci stanno a cuore».

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I partiti servono, ma ora cambino

giovedì, Giugno 2nd, 2022

di Sabino Cassese

Sono necessari perché la società possa dialogare con il governo, però debbono ridiventare forze vive

Sono molti i segni di esaurimento della forma-partito. Una volta tutti i partiti avevano un radicamento nazionale; ora tre dei principali partiti hanno la loro base solo in una parte del territorio. Una volta i partiti erano pochi e coesi (le correnti ne arricchivano il pluralismo, non li dividevano); ora sono frammentati e divisi al loro interno, mentre loro frazioni sono tentate di creare sempre nuove forze politiche. Una volta avevano milioni di iscritti; ora i loro membri sono un ottavo di quelli del passato e il numero di iscritti rispetto ai votanti si riduce, mentre si cercano surrogati, agorà o campi larghi. Una volta i partiti avevano basi elettorali fedeli, con un forte senso di appartenenza; ora gli elettorati sono estremamente volatili (alcuni partiti, in pochi anni, hanno raddoppiato o dimezzato, o raddoppiato e poi dimezzato, il proprio seguito, comprendendo così che il vento può nuovamente girare in un breve volgere di tempo). Una volta i leader dettavano la linea, ora — come ha osservato Angelo Panebianco su questo giornale il 30 maggio scorso — i leader sono divenuti follower, in perenne ascolto dei sondaggi e dei risultati delle elezioni locali. I congressi di partito erano una volta un rito rispettato; ora sono divenuti una rarità. Lì una volta maturavano progetti e proposte, mentre ora basta un argomento minuscolo come quello dell’inceneritore romano a infiammare le parti.

Una volta tutti i partiti portavano nella loro denominazione la parola partito, ora rifiutata da tutte le forze politiche in Parlamento, con una sola eccezione.

Se i partiti sono un magma in continua ebollizione e dividono, invece di unire (mentre i leader si muovono per tentativi quotidiani, e un po’ alla cieca), deve concludersi che rappresentano una figura in via di estinzione? Prima di giungere a questa drastica conclusione, proviamo a cercare la spiegazione di questa «disarticolazione del sistema politico istituzionale» (così l’ha definita Alessandro Campi su Il Mattino del 30 maggio scorso).

Vorrei provare a indicare una ragione — quella che ritengo fondamentale — della ossificazione dei partiti: la realizzazione/esaurimento delle tre grandi tradizioni che hanno dominato la storia novecentesca della società italiana, quella liberale, quella popolare e quella socialista.

I protagonisti di queste tre grandi tradizioni compirono azioni stupende, opere bellissime e ci hanno trasmesso un ricco tesoro di forme di pensiero, di idealità, di istituzioni, che si sono realizzate, talora in modo incompleto, talora in modo contraddittorio, per cui oggi, parafrasando una nota frase di Benedetto Croce, non possiamo non dirci tutti liberali, popolari, socialisti. Questo perché nessuno può rifiutare l’idea che l’individuo rappresenti un valore autonomo rispetto allo Stato, la cui azione va limitata, per assicurare libertà come quella di parola, di stampa e di associazione, il rispetto del diritto, l’indipendenza dei giudici, l’economia di mercato. Perché nessuno può rifiutare di riconoscere il ruolo della famiglia, delle autonomie territoriali e del decentramento, della libertà di religione e di quella di insegnamento, il posto della piccola proprietà, della piccola e media impresa e dei corpi e delle comunità intermedie. Perché nessuno può rifiutare l’idea che la Repubblica debba assicurare l’eguaglianza sostanziale, in primo luogo garantendo a tutti assistenza sanitaria, istruzione, lavoro e protezione sociale.

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Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi |Orban blocca le nuove sanzioni. La rabbia di Mosca per l’invio a Kiev dagli Usa di nuovi missili

giovedì, Giugno 2nd, 2022

di Francesco Battistini, Marta Serafini, Paolo Foschi

Le notizie di giovedì 2 giugno sulla guerra, in diretta: le truppe russe continuano ad avanzare nell’est. Il Cremlino ora non esclude un incontro Putin-Zelensky

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Lanciarazzi delle milizie separatiste nel Donetsk (Ap)

• La guerra in Ucraina è arrivata al 99esimo giorno, l’avanzata dei russi nell’est in questa fase del conflitto pare inarrestabile.
• Sale la tensione sull’asse Mosca-Washington, dopo che Joe Biden ha annunciato che gli Usa forniranno all’Ucraina missili Himars a medio raggio ad alta tecnologia.
• Il ministro degli Esteri russo Lavrov parla di rischi di un allargamento del conflitto nel caso gli Usa mandassero i lanciarazzi a Kiev. Washington però assicura di aver avuto la garanzia dall’Ucraina sul fatto che i nuovi sistemi missilistici non saranno utilizzati per colpire bersagli nel territorio russo.
• Sul fronte diplomatico, nonostante la tensione, si registra una significativa novità: per la prima volta il Cremlino ha aperto all’ipotesi di un incontro fra Putin e Zelensky.
Macron lancia risoluzione a Onu per lo sblocco del grano ucraino.
• L’Ungheria chiede di escludere Kirill dalla lista nera Ue: il nuovo pacchetto di sanzioni, compreso l’embardo del petrolio, è dunque in stallo, bloccato dal veto esercitato da Orban.
• Mattarella: l’aggressione russa mina coesistenza pacifica.
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Ore 08:37 – Il presidente dell’Unione africana in Russia per incontrare Putin

Il presidente dell’Unione africana, il senegalese Macky Sall, si recherà oggi in Russia per incontrare (domani) il presidente Vladimir Putin a Sochi. A renderlo noto l’ufficio di Sall, con un comunicato. La visita «fa parte degli sforzi della Presidenza in carica dell’Unione per contribuire a una tregua… e sbloccare le scorte di cereali e di fertilizzanti, il cui blocco colpisce in particolare i Paesi africani», si legge nella nota.

Ore 08:21 – La First Lady Olena Zelenska: «Cedere territorio è cedere libertà»

Cedere una parte del territorio ucraino alla Russia significherebbe «cedere una libertà» e non porrebbe fine all’invasione del Paese da parte del presidente Vladimir Putin. È quello che pensa la first lady ucraina Olena Zelenska, ascoltata dall’emittente americana ABC News.

«Non puoi semplicemente cedere… parti del tuo territorio. È come cedere una libertà — ha detto Zelenska —. Anche se prendessimo in considerazione i territori, l’aggressore non si fermerebbe. Continuerebbe a premere, andrebbe sempre più avanti, continuerebbe a lanciare sempre più attacchi contro il nostro territorio».

Ore 08:12 – L’Ucraina commemora i 243 bambini uccisi finora nel conflitto

L’Ucraina ha voluto ricordare i 243 bambini che sono rimasti finora vittime del conflitto con la Russia. Nella città di Leopoli un’installazione interattiva, intitolata «Gita che non avverrà mai», usa degli scuolabus vuoti e dei peluche legati ai sedili, a simboleggiare i piccoli morti sotto le bombe.

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AFP

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AFP

Ore 08:09 – Il presidente della Duma: «Gli Usa vogliono l’Ucraina non indipendente, ma come una colonia»

«Gli Stati Uniti non hanno bisogno di un’Ucraina indipendente, perché vogliono farne una propria colonia, spremerne tutte le risorse e utilizzarle per indebolire la Federazione russa». Sono le parole del presidente della Duma di Stato, la Camera bassa del Parlamento russo, Vyacheslav Volodin, che sul suo canale Telegram si è scagliato contro l’operato degli Stati Uniti.

«Biden ha affermato che “l’obiettivo dell’America è semplice: vogliamo vedere un’Ucraina democratica, indipendente, sovrana e prospera” — scrive sul suo canale Telegram Volodin —. Il mondo intero ha visto cosa ha portato la democrazia in stile americano in Libia, Iraq, Afghanistan, Siria, Jugoslavia. Nessuno di questi Stati, che Washington voleva anche rendere democratico e prospero, ha vinto».

Gli Stati Uniti hanno avuto «otto anni per rendere l’Ucraina democratica, indipendente, sovrana e prospera, quando, dopo il colpo di Stato (la rivoluzione del Maidan di Kiev, ndr) consiglieri e istruttori americani presero la guida effettiva del regime di Kiev — continua Volodin —. Ma invece di lavorare per lo sviluppo dell’Ucraina, che ha un grande potenziale, l’hanno saccheggiata. I media indesiderati sono stati chiusi, giornalisti indipendenti sono stati uccisi e i partiti politici sono stati banditi. E nessuno del governo corrotto ha pensato al popolo ucraino». Washington, conclude il presidente della Camera bassa del Parlamento russo, «non ha bisogno di un’Ucraina indipendente. La leadership degli Stati Uniti vuole farne la propria colonia. Spremerne tutte le risorse fuori dal Paese e usarle esclusivamente per indebolire la Russia».

Ore 07:59 – I russi controllano la maggior parte di Severodonetsk

Non sono cessati i combattimenti nelle strade di Severodonetsk, ma le forze russe controllano ormai circa l’80% di questa città strategica dell’Ucraina orientale. A dare una stima dell’occupazione russa è il capo dell’amministrazione militare regionale del Lugansk, Serhiy Gayday, citato dalla Cnn.

«In alcune strade, i nostri difensori hanno successo», ha detto Gayday, citando sei soldati russi che sono stati catturati dagli ucraini. I combattimenti continuano anche nei villaggi a sud e ad ovest della città, mentre le truppe di Mosca cercano di circondare completamente le difese ucraine.



Anche il ministro della Difesa britannico conferma che i russi hanno oramai preso il controllo di Severodonetsk: il report di giornata riporta che «le strade principali di Severodonetsk rimangono sotto il controllo ucraino, ma la Russia continua ad acquisire controllo locale, grazie a una costante azione di artiglieria».

Ore 07:51 – La scheda — Cos’è il sistema «Himars» e come influirà sui combattimenti

(Giuseppe Sarcina) Il Pentagono fornirà a Kiev camion sui quali è montata una batteria in grado di lanciare sei missili, con una gittata massima fino a 70 km. Si chiamano «High mobility artillery rocket system» (Himars).

Gli ucraini avevano chiesto razzi più potenti, gli «Army tactical missil system», con una capacità fino a 300 km. Ne scrive qui Giuseppe Sarcina, spiegando quale può essere l’impatto di questi nuovi ordigni sulla guerra.

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Johnny Depp e Amber Heard, un processo-reality tra droga, lusso e volgarità: l’altro volto di Hollywood

giovedì, Giugno 2nd, 2022

di Matteo Persivale

Per sei settimane, un pubblico record ha seguito il processo, con le sue testimonianze a tratti incredibili. Il momento clou è stato lo sfogo-confessione di Depp sulla sua infanzia, mai raccontata in 37 anni di carriera

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Scene da un matrimonio, il film per la tv di Ingmar Bergman del 1973, quasi mezzo secolo dopo rappresenta ancora il sommo esempio del modo in cui l’arte può raccontare la disgregazione di un amore attraverso il sublime.

Le scene dal matrimonio Depp-Heard, in diretta tv e in streaming su YouTube, Facebook, Twitter, TikTok («trial by TikTok», processo via TikTok l’ha ribattezzato la solitamente pacata Bbc) per sei settimane dal tribunale della Virginia nel quale ieri sera è stato pronunciato il verdetto dei sette giurati, purtroppo non avevano niente di bergmaniano, niente di sublime, solo l’oceano di volgarità delle reciproche accuse di violenza, l’abuso di droga e alcol, i messaggini irriferibili, il duello dei periti da 600 dollari l’ora (quelli a buon mercato) o 1.000 dollari (quelli più costosi).

Le interazioni sui social media hanno cancellato la guerra in Ucraina, l’inflazione-record, il Covid, l’aborto che presto tornerà illegale negli Usa, la scalata a Twitter di Elon Musk: Depp contro Heard 24 ore su 24, con il canale dedicato alla diretta, Law & Crime, ha polverizzato un record che a nessuno sembrava possibile, superando il miliardo di clic su dirette, siti internet e quotidiani, serotini riassunti della giornata di dibattimento.

Per sei settimane il mondo ha potuto guardare in diretta il reality show — più freak show da circo di una volta che reality, in effetti — di tutto quello che avevamo sempre sospettato su Hollywood nei momenti di pessimismo: soldi, droga, alcol, aerei privati, alberghi di lusso, sganassoni, e un’infinita sfilata di galoppini, «assistenti», avventizi, parrucchieri, truccatrici, portieri, cascherini, la variegata fauna di coloro che circondano le «celebrities» creando — quando funziona, cioè non in questo caso — un cordone sanitario che li distacca e li protegge dal mondo esterno.

Lei: «Si è versato una maxipinta di vino».
Lui: «Sei solo un avanzo di night, una ex spogliarellista alla canna del gas».
Lei: «Se ne girava per la casa con l’affare sempre di fuori».
Lui: «Bevevo whisky di mattina perché l’happy hour è a tutte le ore».
Lui, nei messaggini a un amico: «Affoghiamola prima di bruciarla!!!…».

Il portiere che nega di aver visto Heard ferita, ma lo fa collegato in remoto, dalla sua auto, fumando una grossa sigaretta elettronica che riempie di una fitta nebbia l’abitacolo.

Gli unici momenti davvero sorprendenti sono stati quelli della lunga confessione di Depp sulla sua infanzia e gioventù, argomenti dai quali si era sempre tenuto lontanissimo in 37 anni di carriera hollywoodiana.

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La tela di Erdogan per arrivare ad agosto al cessate il fuoco

mercoledì, Giugno 1st, 2022

dal nostro corrispondente Claudio Tito

BRUXELLES – Un “cessate il fuoco” entro agosto. Da raggiungere con una sorta di prova generale: far partire dal porto di Odessa le tonnellate di grano ferme in banchina da settimane. Ecco il “Piano turco”. Con il via libera degli Usa. L’appoggio dell’Unione europea. E il sostegno dell’Onu. Dopo cento giorni di guerra in Ucraina, è il vero primo tentativo per arrivare ad una tregua. E passa lungo la linea di comunicazione Washington-Bruxelles-Ankara.
L’accelerazione sulla “scommessa turca” è stata impressa nelle ultime ore. Anche il Consiglio europeo, che si è chiuso ieri a Bruxelles, ha avuto una appendice tutta dedicata a questa delicatissima operazione. I tre principali leader dell’Ue – Macron, Draghi e Scholz – si sono consultati proprio per capire quali passi compiere e quali rischi correre. Perché è evidente che si tratta di un disegno con percentuali di successo non certo alte. Anzi. Ma considerato doveroso.

I passi sono stati accelerati nelle ultime ore sulla base dei report che alcuni servizi di Intelligence hanno consegnato ai governi Usa e europei. Putin vuole chiudere il conflitto entro il prossimo ottobre. Il suo obiettivo è evitare di restare sul terreno anche nel prossimo inverno. Neve, pioggi e freddo sono pessimi alleati. Questo vuol dire però che settembre potrebbe essere un mese di fuoco. Le truppe russe daranno il tutto per tutto. Il pericolo? Una carneficina. Oltre ai 14 mila militi russi già morti e ai quasi 25 mila persi tra le file ucraine. Per questo il “cessate il fuoco” va concordato entro agosto. Dopo sarebbe troppo tardi. Dopo si entrerebbe in una partita del tutto diversa e del tutto imprevedibile.

Per raggiungere il segno, però, il test è la “liberazione” dei cereali bloccati ad Odessa. In questo senso il “Piano turco” è già in una fase avanzata. Il cuore è lo sminamento dello spazio di mare davanti al porto. I primi controlli hanno veriricato che si tratta di ordigni e reti piazzate in larghissima parte dall’esecutivo di Kiev. Erdogan ha già fatto un passo con Zelenski. Il suo disco verde è la premessa. La risposta non è stata negativa. Ma con un quesito essenziale: chi garantisce che la flotta russa non ne approfitterà? Il presidente turco ha assicurato: siamo noi i garanti. La nostra flotta sigillerà lo spazio navale. Nessun altro potrà agire.

La richiesta di Mosca, invece, si basa sulla Convenzione di Motreux. Vuole essere certa che nessuna altra nave da guerra entrerà nel Mar Nero. Sostanzialmente le ammiraglie della Nato non dovranno avvicinarsi. E anche in questo caso sarà Ankara a presidiare lo stretto del Bosforo. E agirà solo sotto la sua bandiera. L’Alleanza Atlantica – pur essendone un partner – verrà tenuta fuori. E ha il “sì” degli States.

Non è un caso che nelle ultime ore dalla Casa Bianca siano partiti almeno tre segnali. Il primo è stato l’annuncio che non sarebbero stati consegnati a Kiev i razzi a media gittata, quelli in grado di colpire il territorio russo. Poi nella sede ufficiale delle Nazioni Unite hanno confermao che non bloccheranno l’import-export di fertilizzanti. Quindi la dichiarazione del Dipartimento di Stato a favore della “mediazione turca”.

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