Archive for Luglio, 2022

La vera eredità di Supermario

domenica, Luglio 31st, 2022

Linda Laura Sabbadini *

Non riesco ancora a farmene una ragione. Come si fa solo a pensare che sia stato utile ai cittadini far cadere in questa fase il governo Draghi? Per di più, a soli 10 mesi dalle elezioni. I tre raggruppamenti, Movimento 5 stelle da un lato e Forza Italia e Lega dall’altro, con difficoltà potranno spiegarlo ai loro stessi elettori. Nel bel mezzo di una crisi internazionale di grande portata, con un’inflazione come da anni non si vedeva, disuguaglianze gravi, emergenza climatica, pandemia ancora non completamente superata. E soprattutto con la necessità di traghettare il Paese accelerando il processo di sviluppo tramite il Pnrr. Si guarda avanti, non si fanno perdere colpi al Paese. Fermarsi significa tornare indietro. L’interesse del Paese deve venire prima dei calcoli elettorali dei singoli partiti. Come si fa solo a pensare di fare a meno di una risorsa eccezionale come quella di Mario Draghi? La sua premiership era una garanzia per il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr, anche per l’Europa, fatto non così scontato. All’estero ne sono tutti stupiti e non a caso. Per la prima volta il nostro Paese, grazie al suo Premier, si è trovato ad essere un protagonista primario fra i quattro grandi Paesi democratici del mondo. Ascoltato, consultato, seguito, emulato. Pare sia prevalso un impulso masochistico e non proprio patriottico nell’interrompere questa leadership.

L’agenda Draghi non può essere abbandonata e ha necessità estrema di essere ripresa e perseguita per fare in modo che i fondi previsti per l’Italia arrivino tutti e siano ben impiegati. Certamente questa agenda va fortemente rafforzata sul piano della lotta alle disuguaglianze sociali. Per combattere il lavoro povero, quello precario – non solo dipendente ma anche indipendente – la povertà, le disuguaglianze generazionali e di genere. Per dare una grande spinta al Sud dove tutte queste disuguaglianze sono più profonde e si sovrappongono. Investendo fortemente sulle infrastrutture sociali e sanitarie, sviluppando un nuovo welfare di prossimità. Per dare nuovo ossigeno alle imprese colpite dalla violenza della crisi. Il Presidente della Repubblica,Sergio Mattarella, al momento della sua rielezione aveva lanciato alcune raccomandazioni fondamentali. Vanno seguite, per perseguire l’interesse nazionale, garantendo la dignità delle persone. «Affinché la modernità sorregga la qualità della vita e un modello sociale aperto, animato da libertà, diritti e solidarietà, è necessario assumere la lotta alle diseguaglianze e alle povertà come asse portante delle politiche pubbliche». Era il 3 febbraio, poco meno di 6 mesi fa. Sembra passato molto più tempo. È successo di tutto. L’invasione dell’Ucraina e la terribile guerra voluta da Putin, l’inflazione, la crisi di governo, il precipitare del cambiamento climatico. Però ci troviamo sempre a fare i conti con una situazione istituzionale che dire inadeguata è poco. Possibile che invece che sviluppare il dibattito democratico sulle proposte per il rilancio del Paese si debba assistere all’eterno gioco dei veti e dei diktat? È ora che l’aria cambi. Bisogna confrontarsi seriamente su come rendere questo paese più competitivo economicamente, più equo, più sostenibile e finalmente a misura di donna. Tema quest’ultimo, ormai troppo rimosso e non più rimandabile.

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Ecco chi sono i fedelissimi di Putin

domenica, Luglio 31st, 2022

JACOPO IACOBONI

TORINO. Oleg Kostyukov – il funzionario dell’ambasciata russa al centro di un caso per il contenuto di alcuni suoi colloqui di fine maggio con l’emissario di Salvini, in uno dei quali si mostra troppo interessato alle sorti del governo di Mario Draghi – non è, nonostante la giovane età, un novizio del nostro Paese. Né lui né la sua famiglia. Sui social in russo le sue pagine sono state cancellate, ma internet non cancella mai tutto del tutto. Scopriamo per esempio che è un giovane che ama tantissimo, da anni, Milano, che ha fotografie in Brera, che nel concerto di Marylin Manson a Milano era nel backstage abbracciato al cantante. Che adora le sorelle.

Curiosità e vita di un ragazzo normale, ma forse con un qualche accesso speciale alle cose.

Poi, all’improvviso, dal 2014 spariscono le sue tracce. Puf, come se fossero tutte buttate giù all’improvviso. Come se fosse entrato in una seconda vita. La sua, vita. Secondo una delle fonti de La Stampa, Kostyukov è «senza alcun dubbio il figlio del capo del Gru», i servizi segreti militari di Mosca. Il giornalista russo che lo scrisse per primo, Serghey Ezhov, ci ha confermato di essersi occupato tanto di lui e della sorella. Arrivando a queste conclusioni, sulla base di una serie di documenti catastali. «Il capo dell’intelligence militare (ammiraglio Igor Kostyukov) è stato nominato capo della direzione principale di Stato maggiore generale alla fine del 2018, e l’anno successivo i suoi figli adulti sono diventati proprietari di immobili costosi». Un terreno a Lipka e un altro di 12 ettari nella comunità residenziale esclusiva di Beliye Rosy 1. Un appartamento di Oleg in 2a Chernogryazskaya Street, Mosca, la sua Mercedes-Benz Gle 350 d 4Matic e la Mercedes-Benz C200 della sorella Alena. Una delle proprietà è stimata 200 milioni di rubli: del tutto incompatibili con lo stipendio ministeriale di un milione e mezzo di rubli annui (circa 24mila euro).

In definitiva: siamo del tutto sicuri che il giovane Oleg sia solo il vicario dell’ufficio politico dell’ambasciata russa?

La Stampa ha chiesto ripetutamente per iscritto all’ambasciata russa a Roma una conferma o smentita della notizia che Oleg sia il figlio del capo del Gru. Non abbiamo mai ricevuto alcuna risposta. Neanche in questi giorni. Igor Kostyukov è sotto sanzioni occidentali, e per accuse gravissime, non solo per l’interferenza elettorale russa nelle elezioni Usa del 2016 (quando era vice di Igor Korobov), ma per aver coordinato l’operazione di avvelenamento in Gran Bretagna di Sergey Skripal. Korobov muore all’improvviso nel 2018, dopo una serie di “epic fail” dello spionaggio russo che potrebbero aver irritato non poco Putin. Il quale a quel punto, per la prima volta, mette un ammiraglio a capo del Gru. Un fedelissimo è dire poco. Igor Kostyukov è un ufficiale dello spionaggio russo notissimo. In ambienti di intelligence occidentali vi sono pochi dubbi sul fatto che sia stato in per alcuni anni il capo del Gru in Italia.

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Partiti e contenuti, il senso politico del «centro»

domenica, Luglio 31st, 2022

di Angelo Panebianco

C’è qualcosa di paradossale nella questione del «centro» di cui tanto si parla in Italia, e da molto prima della caduta del governo Draghi. Il paradosso consiste nel fatto che si tratta di una questione importante da un certo punto di vista e irrilevante da un altro. È importante se ci si riferisce al funzionamento della democrazia. È irrilevante se si considerano invece le scelte che devono fare i politici nonché i singoli elettori.

Se osserviamo il funzionamento delle democrazie possiamo constatare che la presenza di un centro serve a dare loro stabilità, a tenere a freno i bollenti spiriti degli estremisti (di sinistra e di destra). Il centro può essere occupato da un partito. Oppure può essere l’area elettorale verso cui le coalizioni di partito devono convergere se vogliono vincere le elezioni. In entrambi i casi il centro è il luogo della moderazione e del pragmatismo. Più è forte (più ampia è la parte di elettorato che si trova lì) e meno capacità hanno le estreme di condizionare il gioco politico. Quando il centro si svuota, perché il grosso degli elettori fugge verso le estreme, la democrazia è a rischio. Dall’Italia prima del fascismo a Weimar, al Cile di Allende, è lungo l’elenco dei casi in cui lo svuotamento del centro ha decretato la morte della democrazia. La polarizzazione in atto da tempo nella democrazia americana è precisamente ciò che rende gli osservatori preoccupati per il suo futuro.

L’Italia è, da questo punto di vista, un altro caso a rischio. Si pensi al trionfo populista nelle elezioni del 2018. Fu un caso evidente di svuotamento del centro. Ed è un fatto che dopo il fallimento politico dei populisti, un «centro» si sia miracolosamente (ma provvisoriamente ) ricostituito con il governo Draghi. Non è un caso se la caduta di Draghi ha spinto molti a ipotizzare una incombente crisi di sistema.

Ma se ha senso discutere del centro quando si considera il funzionamento delle democrazie, non ne ha invece quando ci si occupa di offerte politiche e di scelte elettorali. Immaginate un candidato che vi venga a dire «io sono un politico di centro» e pretenda di essere votato da voi sulla base di questa dichiarazione. Costui, in realtà, vuole un mandato in bianco, vuole mettersi in una posizione che gli consenta di trattare con chiunque, a sinistra o a destra. Non vale la pena di starlo a sentire oltre.

Quando si ragiona sulle offerte politiche si deve cambiare registro. Bisogna allora occuparsi dei contenuti delle proposte. Il problema italiano,da questo punto di vista, consiste nel fatto che nel menù che fino ad ora è stato presentato agli elettori manca un piatto. La sua assenza non permette di soddisfare il palato di una quota di italiani (non sappiamo quanto grande ma probabilmente non piccola) che non apprezza, per l’una o l’altra ragione, né l’attuale destra né l’attuale sinistra.

Non apprezza la destra per vari motivi. Non ci sono solo, entro la destra, le divisioni sull’Ucraina (Meloni di qua, Salvini di là). C’è anche il rischio di uno scontro con le autorità di Bruxelles (indovinate chi ne sarebbe più danneggiato?). La pericolosa idea secondo cui dei vincoli europei possiamo sbarazzarci spiega le promesse elettorali della Lega ma anche quelle di Fratelli d’Italia: il Foglio ha meritoriamente mostrato quale impatto negativo sui conti pubblici avrebbero se venissero davvero mantenute. La variante del nazionalismo (il cosiddetto sovranismo) di cui la destra è fautrice propone l’ideale di una società chiusa, l’irrealizzabile speranza di spezzare le catene dell’interdipendenza che legano noi, come tutti, in Europa. C’è chi si attarda, come un disco rotto, a lanciare allarmi sul risorgente «fascismo». Ma il pericolo, se vince la destra, non è il Fascio. Il pericolo è lo Sfascio.

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“Da Russia e Cina una strategia precisa che mira a destabilizzare l’Occidente”

domenica, Luglio 31st, 2022

Massimo Malpica

Le accuse di filo-putinismo? Vanno dimostrate. Ma al netto della disinformazione russa, occhio a sposare temi cari alla propaganda del Cremlino. Anche perché si offre il fianco alla strumentalizzazione politica «nostrana».

A dire la sua sulle polemiche che infiammano la campagna elettorale è l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata. «Non so nulla di questa presunta fuoriuscita di documenti d’intelligence esordisce – ma sicuramente Russia e Cina sono protagonisti assoluti in una strategia che mira alla destabilizzazione delle società democratiche occidentali. Ricordiamo le sanzioni del congresso Usa contro una serie di agenti di Mosca durante l’amministrazione Trump, e nonostante i rapporti eccezionalmente buoni con Putin, le interferenze sulla Brexit e sulle elezioni francesi del 2017. Insomma, il rischio è rilevante, la minaccia effettiva, come ha certificato anche l’ultimo summit Nato».

Ma non c’è il rischio che questo tema venga strumentalizzato in campagna elettorale, con la messa all’indice di presunti fiancheggiatori di Mosca?

«Assolutamente. Direi che è inevitabile. Se certe accuse sono false vanno condannate con chiarezza. Sta a chi le sostiene, a quel punto, dimostrare che sono vere. Ma le voci nel quadro politico che contestano gli aiuti militari all’Ucraina e l’opportunità delle scelte della Nato fanno molto piacere a Putin. Dire che la Nato è guerrafondaia se dà armi a Kiev è oggettivamente propaganda. E la constatazione oggettiva riguarda la coincidenza tra le narrative che escono dal Cremlino e da alcune voci del nostro Paese. Che non sono certo quelle del governo Draghi. E nemmeno quelle di Fdi»..

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Santoro chiama Conte. Il partito anti-Nato pronto per le elezioni. L’America e Draghi i nemici ideologici

domenica, Luglio 31st, 2022

Vittorio Macioce

Conte più Santoro, ecco il polo che mancava. È la novità del giorno e va a occupare lo spazio elettorale che per brevità si può definire non atlantico, in controtendenza rispetto alle scelte politiche di Draghi, poco sensibile ai valori occidentali e pronto a sventolare la bandiera della pace per dare voce alle ragioni di Putin e magari più in là mostrarsi sensibile alle rivendicazioni di Pechino su Taiwan. Sono quelli che considerano la Nato un’alleanza che semina discordia e rende più incerto l’equilibrio del mondo. Il punto di partenza ideologico è la netta avversione al capitalismo. L’alternativa, anche in questo caso, resta nebulosa. L’obiettivo è calamitare il voto di protesta, di rabbia, rancore, insofferenza, delusione, paura che la sinistra, e la destra, non possono e non riescono a intercettare. È dare alle piazze più scontente un manifesto elettorale, evocando il più possibile lo spettro dell’autunno caldo. La crisi economica e sociale è il loro alleato più forte. Il loro punto debole è la credibilità, la tecnica narrativa mischia l’immaginario da «grande fratello» con l’oratoria di Santoro e di un Di Battista. È una sfida senza dubbio difficile ma ha più senso del «campo largo» sognato fino a poco tempo fa del Pd. L’offerta politica perlomeno è più chiara.

Michele Santoro lo chiama «il partito che non c’è». Fa sapere che è pronto a allearsi con Conte, lo vede come l’uomo che ha avuto il coraggio di scrivere la parola fine al governo Draghi. Spera che Enrico Letta ci ripensi e apra ai Cinque stelle, ma se non lo fa si prepara a radunare tutti quelli che si sentono ancora di sinistra. Si partirebbe da chi ha partecipato alla serata «Pace proibita» al teatro Ghione. I nomi li fa Guido Ruotolo. «Abbiamo raccolto attorno a questa iniziativa gli amici storici di Santoro: Sabrina Guzzanti, Fiorella Mannoia, o amici ritrovati come Paolo Cento e Daniele Ognibene, ma anche pilastri del mondo cattolico come il direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio. Per noi è stata una scommessa ma abbiamo rotto un tabù»

Sostiene Santoro. «Il Partito democratico è scoperto a sinistra. Di Calenda ne ha già tanti al suo interno. Il Pd è un partito moderato specializzato nella gestione del potere e partner ideale dei tecnici. Oltre al fatto che è diventato il più atlantista di tutti. Se Letta insiste nell’ammucchiata di centrodestra dentro la sinistra, resta lo spazio per un campo alternativo. Se in questo campo ci fosse spazio per una lista per la pace, perché no?».

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Il Pd corteggia Fico

domenica, Luglio 31st, 2022

Ilario Lombardo

Visto che ha fatto suo il metodo bersaniano delle metafore – «occhi di tigre», «le tinte forti di Van Gogh» – si potrebbe dire che per il segretario del Pd Enrico Letta Roberto Fico è il pesce grosso, il marlin che il vecchio di Ernest Hemingway insegue nel mare aperto. Letta-Santiago sta lavorando per convincere il presidente della Camera, tagliato fuori dalla scure di Beppe Grillo sul terzo mandato, a candidarsi nelle file del Pd o esserne comunque affiliato. Il corteggiamento è partito. Se ne stanno occupando gli uomini del leader dem che lavorano a imbarcare fuoriusciti e ad allargare la galassia del centrosinistra. L’operazione adesso punta ai volti mediaticamente più appetibili tra i dannati grillini al secondo mandato, i più spendibili a sinistra, tra coloro che sono a fine corsa nel M5S. Il senso è chiaro e Letta lo ha condiviso con più persone: la cooptazione di ex 5 Stelle, soprattutto chi è stato un fedelissimo di Giuseppe Conte, serve «a dimostrare che il campo progressista rimane il nostro». Il M5S, nelle intenzioni di Letta, resterebbe una ridotta di Conte, «con Michele Santoro e chiunque voglia seguirlo». In fondo, è il secondo tempo dell’operazione svuota-M5S, che dopo la scissione il ministro Luigi Di Maio con la complicità di dirigenti del Pd, ha portato avanti per evitare che si consumasse la rottura della maggioranza che sosteneva Mario Draghi.

La crisi alla fine non è stata scongiurata, il fronte Letta-Conte si è frantumato un minuto dopo la non-fiducia al governo, e adesso il leader Pd naviga in cerca degli alleati più utili a fermare la destra. Il voto anticipato avevano compattato ed eccitato i 5 Stelle, convinti della ricandidatura: Paola Taverna, Vito Crimi e gli altri si erano persuasi che il poco tempo a disposizione per riorganizzare il partito prima delle elezioni li avrebbe favoriti, aiutandoli a far saltare il tetto ai mandati. Poi è arrivato Grillo a spegnere l’illusione. E ora il Pd potrebbe approfittarne.

Nel Movimento la delusione è tanta. Al momento, Fico ha confermato a Conte che sarà al suo fianco in campagna elettorale. Nel Pd comunque intravedono una breccia. Convinti che l’abbia aperta Federico D’Incà, ministro dei Rapporti con il Parlamento, tra i grillini più vicini al presidente della Camera, che ieri, assieme a Davide Crippa, capogruppo a Montecitorio, ha detto addio al M5S dopo quindici anni. Il tempismo non è stato dei migliori, visto che se ne sono andati 24 ore dopo la certificazione del no di Grillo alle deroghe sul terzo mandato. Ma lo strappo era meditato da giorni, dall’astensione ordinata da Conte durante il voto di fiducia in Senato. I due ex grillini hanno entrambi un accordo con il Pd. Saranno in lista nel centrosinistra. E tra i dem c’è chi crede che la scelta di D’Incà possa spingere ad altre uscite eccellenti. Per Fico c’è una questione di quale ruolo avere ora, e, in qualche modo, di status. Anche vicino a Conte si respira l’imbarazzo quando si parla del suo futuro, del fatto che resterà presidente del comitato di garanzia del M5S e si accenna a un suo possibile incarico nella scuola di formazione del Movimento. Poco, pochissimo per un presidente della Camera uscente, che non verrà rieletto e si troverà esiliato dalla politica. C’è un precedente, che i tessitori del Pd ricordano: Laura Boldrini, ex numero uno di Montecitorio, eletta con Leu e poi passata ai dem. Fico avrebbe il profilo e la storia per essere accolto in quota Verdi e Sinistra, altra punta della coalizione.

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Riccardi: “Con Salvini e Meloni al governo il clima d’odio può peggiorare”

domenica, Luglio 31st, 2022

Antonio Bravetti

ROMA. In Italia esiste «un clima d’odio» sempre più diffuso, «legittimato» da «tanti piccoli attori, frutto della predicazione della cultura del disprezzo fatta da leader e forze politiche». Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, è stato ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione del governo Monti. «Fui io a coniare il termine “ius culturae”», ricorda. Oggi prova «vergogna» per l’incapacità del centrosinistra di approvare una legge sullo ius scholae: «Sarebbe un bene che questi ragazzi diventassero italiani». Davanti alla «violenza inaudita» di Civitanova Marche si dice «preoccupato» per una campagna elettorale che si farà anche sui migranti e sulla sicurezza: «Un sintomo del degrado della politica. È sbagliato far credere agli italiani che i migranti gli hanno rubato il futuro». Con Meloni e Salvini al governo il clima d’odio «potrebbe peggiorare».

Cosa ha provato davanti alla morte di Alika Ogorchukwu?
«Un uomo disabile, con le stampelle, stimato, conosciuto e gentile viene aggredito e ammazzato. Un fatto doloroso, che mi strugge: non deve passare sotto silenzio e non ci deve abituare a considerare normale questo tasso di violenza».

Qualcuno poteva intervenire?
«Una violenza inaudita sotto gli occhi di un pubblico che filma col telefono, come fosse uno spettacolo di gladiatori, mi lascia perplesso. Mi chiedo se si tratta di un fatto drammatico casuale o se dietro c’è una cultura preoccupante».

E cosa si risponde?
«Il problema non è la minaccia dei migranti al nostro Paese, la vera minaccia è dentro di noi: una carica di violenza capace di scatenarsi contro un disabile indifeso. La violenza contro gli africani, “i negri”, viene considerata un male minore. Come fossero intrusi, persone senza dignità, su cui sfogare la rabbia. Forse i cittadini avrebbero dovuto scendere in piazza per dire che questa rabbia non gli appartiene».

Da dove viene questa violenza?
«Non è certo frutto della cosiddetta “invasione” dei migranti, ma della predicazione della cultura del disprezzo fatta da leader e forze politiche, anche sui social, che non dico legittimano la violenza ma l’odio sì, lo legittimano. Ma non è solo questo».

Cos’altro?
«Lo spegnimento della solidarietà per l’altro che appartiene a un’etnia diversa, non alla mia famiglia, è frutto di un’epoca di egocentrismo. Domani toccherà a un altro debole, a una donna: quante ne vengono uccise senza che la società si mobiliti? Il mix di predicazione d’odio e scomparsa della solidarietà produce una società che brucia il suo futuro. Io non voglio una società così per i nostri ragazzi. Sarebbe bello vedere genitori e figli a manifestare in piazza a Civitanova Marche».

Sant’Egidio cosa fa?
«Grazie a tanti cittadini abbiamo accolto migliaia di ucraini, gli italiani sono molto più sensibili di quanto la politica voglia far credere. Sant’Egidio sarà presente in forma significativa ai funerali di Ogorchukwu».

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Il crepuscolo della civiltà

domenica, Luglio 31st, 2022

MASSIMO GIANNINI

Puntuale come il destino, l’uomo bianco che uccide il nero torna a sconvolgere le nostre vite e le nostre coscienze. Ancora una volta un piccolo centro delle Marche. Ancora una volta un assassinio brutale alla luce del giorno, sotto gli occhi di chi passa e non muove un dito se non per accendere il telefonino. Ancora una volta l’indifferenza del “forgotten man” occidentale. Ancora una volta la rabbia della comunità di colore, colpita e inferocita. Ancora una volta le reazioni ottuse della politica. Ancora una volta la polemica elettorale, che infiamma l’estate e brucia la ragione.

Il 3 febbraio 2018, festa di San Biagio, ventinove giorni prima delle elezioni del 4 marzo, a Macerata Luca Traini mise in tasca la sua Glock calibro 9, salì sulla sua Alfa 147, fece il pieno di metano e al benzinaio disse: “Vado a sparare ai negri”. Voleva vendicare il martirio della povera Pamela Mastropietro, stuprata e massacrata pochi giorni prima da Innocent Oshegale, uno sbandato nigeriano di 29 anni. E lo fece, il “Lupo” italiano. Lo fece. Andò davvero a “sparare ai negri”. Girò in macchina, per le vie della sua cittadina, facendo fuoco su chiunque avesse la pelle di un colore diverso dalla sua. Un evento tragico. Ma a suo modo anche epifanico: l’inizio della fine di una civiltà. Oggi ci risiamo. In un rovente 29 luglio, festa di Santa Marta, cinquantotto giorni prima delle elezioni del 25 settembre, a Civitanova tocca a un altro italiano, Filippo Forlazzo, consumare la sua folle vendetta contro i “negri di merda”. Stavolta non l’ha premeditata. Non ha preso una pistola. Non ha sparato a casaccio, contro il nero anonimo che li rappresenta tutti e che per questo lo spaventa. Stavolta la vendetta gliel’ha regalata il fato. Ha usato una stampella.

Ha ucciso il “nero giusto”, proprio quello che “se l’è meritato”, perché aveva importunato la sua ragazza, o aveva insistito troppo per venderle una delle misere cianfrusaglie con le quali si guadagna un pezzo di pane per far campare sua moglie e il suo bambino. Per questo Forlazzo, operaio originario di Salerno, ha pestato di botte e infine “giustiziato” Alika Ogorchukwu. Nigeriano pure lui per una maledetta legge del contrappasso, visto che oggi Alika è la vittima di Filippo mentre quattro anni fa Oshegale fu il carnefice di Pamela.

È diverso il fatto. È diverso il movente. Ma è uguale l’orrore. E forse è uguale anche il contesto. Che in Italia, in fondo, non è mai cambiato. C’è un razzismo strisciante, spicciolo e diffuso, pronto a riesplodere per un niente all’improvviso. Come un’altra faccia del nostro “scontro di civiltà”. Come un “Crash” all’italiana, il magnifico film di Paul Haggis dove il conflitto bianchi-neri è latente ma permanente. Come un ciclico ritorno al di qua dell’Oceano del fantasma di George Floyd, dove l’ossigeno non lo tolgono i poliziotti ma i cittadini comuni. Dai tumulti di Rosarno, il 7 gennaio 2010, fino a Macerata. Da San Ferdinando, dove il 2 giugno 2018 fu freddato a fucilate il maliano Sumaila Sako, sindacalista dei migranti che per dieci euro al giorno raccolgono pomodori per le nostre tavole, fino ad Alassio, dove un anno dopo un ragazzo di colore che vendeva i libri in spiaggia fu inseguito tra gli applausi festosi dei bagnanti dal cane Speed che, spiegava fiera la padrona, “ringhia solo quando passano i negri, perché li riconosce dall’odore”. Da Civitanova, adesso, fino a Recanati, dove l’altra notte un altro italiano, in circostanze ancora da accertare, ha preso a coltellate un giovane marocchino di 22 anni davanti a un cinema.

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L’aiuto turco per aggirare le sanzioni a Putin. I sospetti di triangolazioni dall’Italia

domenica, Luglio 31st, 2022

di Federico Fubini

Un esame incrociato dei dati degli scambi verso la Russia suggerisce che su questa rotta hanno luogo triangolazioni massicce volte ad aggirare le sanzioni

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Sono venti i Paesi attraverso i quali la Russia riesce ad aggirare le sanzioni imposte dai governi democratici dall’inizio della guerra. Fra questi la Turchia, la Cina e gli Emirati Arabi Uniti, oltre a varie repubbliche ex sovietiche che dall’inizio sono state al centro dei sospetti: la lista include Kazakistan, Kirghizistan, Armenia e persino la Georgia, dove la Russia ha sferrato un’aggressione militare nel 2008 e, all’inizio del conflitto in febbraio, decine di migliaia di persone sono scese in piazza a sostegno dell’Ucraina.

Si tratta di una realtà che molte imprese italiane probabilmente conoscono già: un’occhiata ai flussi commerciali rivela indizi evidenti che, nel giro di pochi mesi, soprattutto la Turchia è progressivamente diventata una piattaforma attraverso la quale numerosi esportatori del «made in Italy» continuano a rifornire la Russia su larghissima scala, anche quando la pratica sarebbe illegale.

Ma andiamo con ordine. I casi internazionali di aggiramento delle sanzioni attraverso quei venti Paesi sarebbero centinaia. Saranno al centro di un rapporto in uscita tra non molto da parte del gruppo di esperti guidato dall’ex ambasciatore americano a Mosca Michael McFaul e da Andriy Yermak, il capo dell’ufficio politico del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Osservatori informati prevedono che il gruppo Yermak-McFaul suggerirà ai governi occidentali di chiudere le falle, minacciando sanzioni «secondarie» sui Paesi che aiutano la Russia attraverso una rete di triangolazioni commerciali.

Non sarà semplice, viste le dimensioni sistemiche di alcune delle nazioni coinvolte. Di certo un esame incrociato dei dati degli scambi dall’Italia alla Turchia e dalla Turchia verso la Russia suggerisce che su questa rotta hanno luogo triangolazioni massicce volte ad aggirare le sanzioni. Difficile spiegare altrimenti le vistose stranezze degli ultimi mesi. In primo luogo, la Turchia è il Paese verso il quale a giugno scorso l’Italia registra di gran lunga il maggiore aumento dell’export: più 87% su base annuale, fino a 1,4 miliardi di euro di vendite in un solo mese; si tratta di un aumento di 500 milioni al mese rispetto a febbraio e di un caso unico in oltre dieci anni di vendite alla Turchia rimaste sempre nettamente sotto al miliardo al mese (secondo l’ufficio statistico Istat). Tanto più sorprendente è questo boom perché nell’ultimo anno la lira turca ha quasi dimezzato il proprio valore sull’euro, rendendo l’import dall’Italia molto più costoso per le imprese locali.

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Grillo regola i conti nei Cinque Stelle: candidati del territorio e simbolo intoccabile

domenica, Luglio 31st, 2022

di Marco Imarisio

Il comico insiste per le parlamentarie e per i candidati «territoriali». E forse si farà vedere solo alla chiusura della campagna elettorale

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La tentazione sarebbe quella di rispolverare la vecchia immagine del Beppe Grillo in versione Amleto, alle prese con il dilemma del suo eterno ritorno. Faccio il vecchio saggio oppure il guastatore, mi riprendo il Movimento oppure lo lascio in mani di cui non mi fido.

Ma la realtà è molto più crepuscolare, come quella della sua creatura. Oggi l’Elevato cofondatore è una persona che si sente bruciata dai compromessi che ha dovuto accettare e che ha avallato, consapevole del fatto che gli hanno nuociuto, sia come credibilità che a livello personale. Prima il governo con la Lega imposto da Luigi Di Maio, poi l’alleanza con il Partito democratico , voluta da lui e da Roberto Fico, infine il sì al governo Draghi , frutto di un suo «volli fortissimamente volli».

Adesso che ogni ponte è stato bruciato, che ogni strada è sbarrata, è solo una questione di sopravvivenza, mascherata dall’illusione del ritorno alle origini. Fonti a lui molto vicine lo dicono convinto del fatto che il futuro M5S sarà una scialuppa capace di contenere al massimo 20-30 parlamentari. Grillo, che è stato capo assoluto, trascinatore, e garante del Movimento, si trova a convivere con Giuseppe Conte, del quale continua a non avere stima e ancora meno vera interlocuzione. La sua visione è rimasta quella di un anno fa, quella di un aspirante leader «che non ha capacità », e i fatti di questi giorni hanno rinforzato le sue certezze in tal senso.

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