Archive for Luglio, 2022

Conte: «Ci ho provato». Ma rischia di essere lui la vera vittima di Beppe

sabato, Luglio 30th, 2022

di Marco Imarisio

Il leader M5S giura ai big di aver fatto tutto il possibile e ora chiede aiuto per la campagna elettorale

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«Per favore, tu comunque dammi una mano in campagna elettorale». Ci sono tanti modi per mostrare la propria debolezza. Uno è senz’altro quello di chiedere aiuto alle persone che hai appena ucciso, politicamente parlando, si intende. E infatti i parlamentari in uscita che hanno sentito Giuseppe Conte chiudere in questo modo la sua telefonata piena di «ci ho provato a fargli cambiare idea», «non è colpa mia», «ti giuro che ce l’ho messa tutta», hanno pensato quello che ora pensano in molti, dentro e fuori il Movimento Cinque Stelle. È tutto finito.

La nascita di una simil lista Conte senza i contiani è tutto quel che resta di un mese cominciato con una scissione motivata con la politica estera ma in realtà generata dalla consapevolezza che non ci sarebbe stata alcuna deroga, proseguito facendo cadere un governo che almeno in via ufficiale non si aveva intenzione di far cadere, e terminata con questo nuovo capolavoro all’incontrario. «Tradire i propri uomini per salvare sé stesso» come dice in modo più colorito un ormai ex parlamentare di un certo peso.

Alla fine, si tratta sempre della cara vecchia questione umana, oltre che di incapacità politica, come sottolineano molti epurati che speravano nel celebre «mandato zero» inventato proprio dal reprobo Luigi Di Maio come ultima spiaggia. Lo hanno pregato in ginocchio, tutti. Non basta qualche sms, lo sai come è fatto Beppe, prendi l’aereo e vai in Sardegna. Devi coccolartelo, devi finalmente farlo sentire importante, e ti porti a casa questa ennesima deroga all’anima dei vecchi 5 Stelle. In fondo che ci vuole, dopo che Grillo ha già ingoiato anche la recente sconfessione del «mai soldi ai partiti» che fu la linea del Piave di Gianroberto Casaleggio con il tentativo di gennaio, per altro anch’esso fallito, di accedere al 2 per mille con le dichiarazioni dei redditi dei cittadini.



Ma lui, niente. Ogni ego è grande a mamma sua. Conte non si è mai mosso dal Gargano, dalla vacanza al mare per la quale è partito dopo aver fatto cadere un governo a sua insaputa, anche questa una scelta che ha destato perplessità nei gruppi parlamentari. La villeggiatura, non il siluro a Mario Draghi, si capisce. E qui si ritorna indietro di un anno esatto, a quella singolare fiera dell’incomunicabilità che sancì l’ingresso dell’ex presidente del Consiglio in casa d’altri, con il proprietario che prima aveva definito il nuovo affittuario «senza visione, autore di uno statuto secentesco», e poi aveva cambiato idea all’improvviso. A farlo tornare sui suoi passi era stata la ribellione dei tre membri del Comitato di garanzia, organismo che secondo le vecchie regole di fatto certificava le opinioni espresse da garante, altrimenti detto l’Elevato.

A Roberta Lombardi, Vito Crimi e Giancarlo Cancellieri l’aveva giurata da quel giorno. Si era sentito tradito, obbligato ad avallare una scelta che non ha mai smesso di sentire come un innesto innaturale.

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Da Conte a Dibba, tra i grillini ci sono i veri amici di Putin

venerdì, Luglio 29th, 2022

Domenico Di Sanzo

«Salvini chiarisca nelle sedi opportune», dice Giuseppe Conte a proposito delle rivelazioni de La Stampa sugli incontri tra un funzionario dell’ambasciata russa e il consigliere di Matteo Salvini Antonio Capuano. Ma se c’è un leader politico che quantomeno dovrebbe arrossire quando si parla di intrecci con la Russia di Vladimir Putin quello è proprio Conte. Non solo per l’endorsement ricevuto a giugno scorso dall’ambasciatore di Mosca Sergey Razov sul no alle armi a Kiev, ma soprattutto perché è a capo di un partito che è sempre stato in prima fila a flirtare con Putin. D’altronde è stato il M5s a portare in Parlamento una nutrita pattuglia di filo-russi, più o meno pentiti.

Nella categoria dei pentiti rientra Manlio Di Stefano, ora sottosegretario alla Farnesina di indubbia fede atlantista. Ebbene, solo qualche anno fa il braccio destro di Luigi Di Maio era il capofila del putinismo all’italiana. L’ex grillino, a giugno del 2015, alla Camera dei Deputati parlava così delle rivolte europeiste del 2014 a Kiev: «Un colpo di stato finanziato da Europa e Usa». Oggi risultano particolarmente sinistre le sue parole su un governo ucraino capeggiato da «convinti neonazisti». E ancora, sempre Di Stefano due anni dopo è stato il protagonista di una spedizione alla volta di Mosca per partecipare al congresso di Russia Unita, il partito di Putin. Con lui c’era un altro ex grillino, come Di Stefano all’epoca deputato del M5s. Parliamo di Alessandro Di Battista, in lizza per un posto in lista alle prossime elezioni, filo russo tutt’altro che pentito. Dibba, infatti, è appena tornato a casa da un viaggio nella «Russia profonda», con l’obiettivo di approfondire le ragioni degli aggressori dell’Ucraina e metterle su carta per il Fatto Quotidiano. In rete si trovano ancora le foto di Di Battista e Di Stefano sorridenti accanto ai due fedelissimi di Putin Robert Shlegel e Sergey Zheleznyak. E c’è da dire che erano passati solo due anni dall’annessione russa della Crimea e dalle conseguenti sanzioni ai danni del Cremlino. Ritorsioni a cui il M5s si è sempre detto contrario, anche per bocca dell’ex capo politico Di Maio. Nel M5s nessuno sfugge al flirt con Mosca. Nemmeno la «moderata» Chiara Appendino, che da sindaca di Torino era una frequentatrice abituale del Forum Economico di San Pietroburgo, vetrina internazionale del regime russo.

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Sequestri, rapine, risse: la faida dei trapper stranieri a Milano

venerdì, Luglio 29th, 2022

Ignazio Riccio

Nove trapper sono finiti in manette per gravi fatti di violenza in un contesto di rivalità tra gruppi di musicisti. Gli arresti sono stati eseguiti in varie città della Lombardia: Bergamo, Como e Lecco, con le pesanti accuse di sequestro di persona, rapina e lesioni aggravate. Risultano coinvolti nell’ordinanza di custodia in carcere emanata dal gip Guido Salvini, nell’ambito dell’inchiesta del pm Francesca Crupi, Mohamed Lamine Saida, detto “Simba la Rue”, accusato, tra l’altro, di sequestro di persona e lesioni su Mohamed Amine Amagour, il rapper Baby Touché, che il 9 giugno fu picchiato e tenuto dentro un’auto per due ore con i video postati sui social. Simba, poi, a sua volta, a metà giugno subì un agguato e fu ferito a coltellate a Treviolo.Quei trapper tra gli stupratori “Uno è figlio di una poliziotta”

Secondo gli inquirenti, le due bande di trapper in contrasto tra loro sarebbero “governate da regole di fedeltà reciproca e di omertà” e si sarebbero rese “protagoniste di reiterati episodi di violenza” seguiti “all’aspra conflittualità determinata dalle rivalità nella diffusione delle rispettive produzioni musicali”. Le conclusioni dei magistrati che indagano sugli episodi violenti giungono al termine delle certosine verifiche effettuate dai carabinieri della compagnia Milano Duomo. Tra i nove imputati ci sarebbe anche una ragazza di 20 anni, della banda di Simba La Rue, anche lui ventenne. In particolare, a Simba e altri cinque viene contestato un episodio di rapina ai danni due giovani del gruppo di Baby Touché, che sarebbero stati pestati e colpiti anche con un coltello il primo marzo scorso per rubargli un portafoglio e un cellulare.

Un evento che, stando agli accertamenti degli inquirenti, sarebbe stato una risposta a un’altra aggressione subita da un ragazzo del gruppo di Simba. Sempre Simba con altri tre, tra cui il suo manager 24enne, avrebbe preso parte al sequestro ai danni del trapper padovano Touché. L’avrebbero accerchiato in via Boifava a Milano, preso a calci e pugni per poi caricarlo su una vettura. Sarebbe stato tenuto lì dentro per due ore, mentre sul suo account Instagram, ma anche su quello dei suoi aggressori, venivano pubblicati i video di quanto stava succedendo, con tanto di viso sanguinante e tumefatto del giovane, insulti e parole di derisione. Era stato, poi, liberato a Calolziocorte, nel Lecchese.Sfregio del trapper agli agenti: li irride e urina sui loro verbali

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Esami di Madurità

venerdì, Luglio 29th, 2022

LUCA BOTTURA

Di seguito, alcune rivelazioni incredibili: i neri hanno il ritmo nel sangue, quando hai sete non c’è niente come l’acqua, Venezia è bella ma non ci vivrei, il nuoto è lo sport più completo, Salvini è eterodiretto da Mosca.

Ieri in auto ero sovrappensiero e ho centrato un tizio in una rotonda. Avevo torto. Allora gli ho detto: «Guardi che destra e sinistra sono concetti superati, l’ha scritto anche Calenda su Twitter». M’ha menato. Ma forte, eh?

Calenda ieri ha detto che con la Destra rischiamo la fine del Venezuela. Il solito ottimista.

Letta apre a Renzi: sparito mezzo partito.

Letta ha aperto a Renzi dopo che Emiliano lo aveva esortato al dialogo con le liste civiche. Deve aver capito «liste ciniche».

Conte ieri ha smentito recisamente ogni ipotesi di un’alleanza elettorale col Pd, che dunque torna di stringente attualità.

Interrogato dai ragazzi del Giffoni Film Festival, Alessandro Orsini ha detto che il suo curriculum è «segreto per motivi di sicurezza». Le famose prese per il curriculum.

Inspiegabili polemiche alla notizia che il direttore del Tg2 Sangiuliano sarebbe disposto a occuparsi del programma elettorale fratellista: già ne conduce uno tutte le sere.

Ronzulli (Forza Italia) ribadisce che il centro-destra ha una collocazione atlantica. Per la precisione, a Panama.

LA STAMPA

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Elezioni, Iacoboni: “Ecco come i russi hanno interferito sul governo tramite la Lega”

venerdì, Luglio 29th, 2022

Jacopo Iacoboni, giornalista de La Stampa, interviene a Metropolis sulle interferenze russe avvenute attraverso la Lega: “Noi siamo certi dei documenti in nostro possesso. Il biglietto di Salvini per Mosca? Un emissario leghista ha ricevuto anche il link per scaricare questi biglietti. E durante questi contatti i russi hanno anche chiesto informazioni al Carroccio sulla possibilità di far dimettere i propri ministri dal governo Draghi”. Metropolis è in streaming alle 18 dal lunedì al venerdì sulle piattaforme Gedi e on demand in video e in podcast sul sito di La Stampa

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Elezioni politiche 2022, ultime notizie | Renzi: «Con Letta non ci sentiamo da tempo. Se il Pd vuole un’alleanza seria, parliamone»

venerdì, Luglio 29th, 2022

Le notizie di venerdì 29 luglio sugli schieramenti, i candidati e i partiti in diretta

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• Come funziona il Rosatellum, la legge elettorale in vigore con cui voteremo il 25 settembre.
• A infiammare il dibattito politico ora c’è il caso Salvini-Russia: secondo alcuni documenti visionati da La Stampa, a fine maggio il funzionario dell’ambasciata russa Oleg Kostyukov avrebbe chiesto a un emissario di Matteo Salvini se i ministri della Lega fossero intenzionati a lasciare il governo Draghi.
• Duro l’attacco dei partiti contro il leader della Lega, uno su tutti il Pd di Enrico Letta: «Vogliamo sapere se è stato Putin a far cadere il governo Draghi».
• Dopo l’addio a Forza Italia Mara Carfagna ha scelto Azione, il partito di Carlo Calenda: «Berlusconi? Stima intatta».

Ore 09:56 – Mulè: «Chi lascia Forza Italia ne risponde agli elettori»

«I ministri che hanno deciso di lasciare Forza Italia hanno portato avanti importanti battaglie su questioni rispetto alle quali la sinistra che oggi li accoglie la pensa in modo opposto. Cito su tutti la posizione ferma di Mariastella Gelmini contro la liberalizzazione della droga e quella di Mara Carfagna sull’utero in affitto. Sull’addio c’è poco da dire, ognuno prende la sua strada e ne risponde alla sua coscienza e agli italiani. Storicamente chi molla Forza Italia è stato punito dagli elettori che ne riconoscono l’incoerenza. I valori di Forza Italia sono quelli che decliniamo ogni giorno nella nostra attività e sono quelli dell’atlantismo, dell’europeismo e del liberalismo», così il sottosegretario alla Difesa e deputato di Forza Italia, Giorgio Mulè, questa mattina ad Agorà su Rai3. «Il centrodestra scende in campo con regole chiare dalla premiership al dopo 25 settembre. La nostra è un’alleanza fondata su un programma comune, riconosciuto e sottoscritto da tutti. Ciò vuol dire: chi il 25 settembre voterà il centrodestra avrà un programma firmato dai componenti del centrodestra con idee concordate e certificate in maniera granitica. Dall’altra parte c’è un cartello elettorale fondato solo sul tentativo di mettere insieme più voti e dichiaratamente diviso sul programma», dichiara Mulè.

Ore 09:40 – M5S, Conte: «Oggi la decisione sul tetto dei due mandati»

«Oggi arriverà la decisione sulla regola del doppio mandato», e su questo «dimostreremo la coerenza del M5S». Lo annuncia il leader del M5S Giuseppe Conte, ai microfoni di Rtl 102.5. Il presidente Cinque Stelle parla anche del rapporto con i dem. «Io non apro e chiudo spiragli, fessure. Ieri ho detto che per il futuro non escludo un dialogo con il Pd, ma non parlavo di alleanza, vedo che il Pd ha cambiato posizione anche sul salario minimo». Nessuna alleanza dunque in vista? «Assolutamente no. Per queste elezioni assolutamente non se ne parla di avere rapporti col Pd. Che rapporto può avere il Movimento 5 stelle con una forza politica che sta chiudendo accordi da Calenda a Di Maio a Renzi a Brunetta a Carfagna? Questa è , è un’ammucchiata in cui non ci potremo mai ritrovare», perché regge su «personalità divisive, la politica fatta così è tutto e il contrario di tutto».

Ore 09:10 – Conte: «Non se ne parla di avere rapporti col Pd, ammucchiata»

«Col Pd per il futuro non escludo un dialogo, non un’alleanza. Per queste elezioni assolutamente non se ne parla di avere rapporti col Pd. Che rapporto può avere il Movimento 5 stelle con una forza politica che sta chiudendo accordi da Calenda a Di Maio a Renzi a Brunetta a Carfagna? Questa è un’ammucchiata dove noi non ci potremmo mai ritrovare, perché sono personalità divisive e litigiose. La politica fatta così significa tutto e il contrario di tutto». Lo ha detto Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 stelle, in diretta a Rtl. Il leader del M5s è poi tornato a commentare il ruolo del suo partito nella caduta del governo Draghi: «Non abbiamo voluto la crisi di governo, Draghi voleva andarsene».

Ore 09:02 – Salvini e la Russia, polemiche sull’ambasciata di Mosca a Roma

(Virginia Piccolillo) Due mesi dopo le polemiche infuocate per il viaggio a Mosca di Matteo Salvini, organizzato in pieno conflitto tra Russia e Ucraina, l’ambasciata a Roma torna al centro di polemiche e sospetti. Perché proprio mentre si preparava la «missione di pace» tanto contestata del leader della Lega, il vicario dell’ufficio politico dell’ambasciata russa Oleg Kostyukov (figlio del capo del servizio segreto russo Gru) avrebbe chiesto ad Antonio Capuano — l’organizzatore del tour che vanta o millanta, relazioni col Cremlino — se il Carroccio avrebbe voluto ritirare i ministri per far cadere il governo Draghi.

Ore 09:00 – Meloni e Letta come «Sandra e Raimondo»: la strategia dei due leader

(Tommaso Labate) Ogni volta che uno dei due può, e succederà sempre più spesso, tira in ballo l’altro. «Gli italiani devono avere chiaro che la scelta è tra noi e Meloni», ha scandito l’altro giorno Enrico Letta. «Letta ha detto che l’Italia dovrà scegliere tra lui e noi. È vero», ha sottolineato Giorgia Meloni ieri. Come se tutti gli altri non esistessero. La leader di Fratelli d’Italia e il leader del Pd, rispettivamente primo e secondo partito nella media dei sondaggi nazionali, cancellano dalla cartina geografica il resto dei contendenti. Letta riduce al lumicino le dichiarazioni in cui attacca la Lega e Forza Italia, derubricati al rango di «ostaggi che si sono consegnati» a Fratelli d’Italia; Meloni centellina le volte in cui le capita di citare i M5S o Carlo Calenda, di fatto cancellandoli dalla mappa dei suoi avversari.

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Alleanze e fatti

venerdì, Luglio 29th, 2022

di Francesco Verderami

Gli schieramenti sono poco coesi e sarà difficile che riescano a mettere a punto programmi comuni. Il pericolo è che il Paese vada incontro a un’altra crisi di sistema

Cosa devono attendersi gli italiani dopo aver assistito all’improvvida crisi del governo Draghi? Quale soluzione offriranno i partiti, che all’ombra del premier attendevano con ansia un ritorno al «primato della politica»? Il modo in cui si è messa in moto la macchina elettorale, a destra come a sinistra, testimonia un’approssimazione che è figlia di un’impreparazione collettiva. D’altronde il Parlamento ha saputo solo protestare per aver visto umiliate le proprie prerogative. È vero che le Camere sono state piegate sotto l’incalzare di decreti legge e di fiducie, però i partiti non hanno sfruttato il tempo a disposizione per mettersi d’accordo sulle necessarie riforme di sistema. E oggi nessuno appare pronto al primo scatto, cioè alla prova delle urne, che è il test con cui di solito si saggiano le capacità di affrontare la successiva prova di governo.

Il centrodestra formalmente si presenta compatto ai blocchi di partenza, rivelandosi infrangibile a ogni contraddizione, a ogni cambio di stagione, a ogni scissione, a ogni scontro per i seggi e per la premiership. Ma l’immutabile unità non riesce a nascondere un radicale rivolgimento dei rapporti di forza, che evidenza un’innumerevole serie di problemi e pone altrettanti interrogativi. Per dimostrare che non è una coalizione apparente, e dunque proporsi come un’alleanza capace di guidare il Paese, deve sciogliere nodi che non si limitano alle regole d’ingaggio tra partiti ma riguardano il futuro dell’Italia: la sua collocazione internazionale, la sua postura europea, la sua linea di politica economica.

Quando Giorgia Meloni avverte in ogni occasione la necessità di sottolineare l’ancoraggio all’Occidente, è perché si rende conto di dover dissipare dei dubbi. Per quanto la sua posizione in Parlamento sul conflitto scatenato dalla Russia in Ucraina sia stata di convinto sostegno alla linea di Mario Draghi, è chiamata ad illuminare evidenti zone d’ombra nella coalizione, dove la fedeltà atlantica risente di vecchie e nuove infatuazioni verso il regime di Putin: ne va della credibilità di chi legittimamente si candida a palazzo Chigi. È un passaggio dirimente ma non è l’unico. L’altro è il rapporto con l’Europa. Non è chiaro se la difesa degli «interessi nazionali» sarà declinata in modo conflittuale con l’Unione, dove lo scetticismo dei partner è conseguenza dell’euroscetticismo che attraversa il centrodestra. Che dovrà spiegare se in economia riproporrà l’antica ricetta della rivoluzione liberale o rinculerà verso una moderna forma di statalismo.

Se a due mesi dalle urne il centrodestra è una coalizione con «lavori in corso», dall’altra parte una coalizione non c’è e non ci sarà. Nel senso che il Pd — come ha spiegato il suo segretario — propone ad altre forze un mero accordo elettorale e solo perché «costretto» dall’attuale sistema di voto. Questo rassemblement di contrapposizione, che dovrebbe riunire partiti con visioni diverse, è l’uscita di emergenza a cui Enrico Letta è costretto dopo il fallimento del «campo largo». Il progetto di unire i democratici e i grillini era nato ai tempi del governo giallorosso, che copriva con la gestione di Palazzo Chigi la sua gracilità politica. Una volta venuto meno quel mastice, il rapporto si è rotto sul giudizio dell’azione di Draghi.

I democratici avevano due strade: costruire un’alleanza coerente di forze riformiste come forma di investimento per il futuro; oppure organizzare un cartello di partiti che si contrapponesse al «blocco sovranista e populista». Letta ha scelto una sorta di terza via. Immaginando in prospettiva che il suo Pd possa coprire in esclusiva l’area riformista, magari come prima forza nazionale, ha deciso di mettere insieme partiti, liste civiche e singole personalità con esperienze a volte contrapposte: dal capo di Sinistra italiana Nicola Fratoianni (che non ha mai votato la fiducia al governo Draghi) al leader di Azione Carlo Calenda (che punta ad un altro governo Draghi). Il risultato è che ancora oggi non c’è un accordo e non c’è nemmeno l’idea di varare un programma comune. Così non sarà facile convincere gli elettori.

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Alla corte di Meloni

venerdì, Luglio 29th, 2022

Antonio Bravetti

ROMA. «Sì, la sfida è tra noi e il Pd. Quindi in campagna elettorale invito tutti a evitare polemiche con i nostri alleati di centrodestra. Le polemiche aiutano gli avversari, e noi non vogliamo concedere neanche un millimetro».

Giorgia Meloni spiega alla direzione di FdI qual è la strada che vuole percorrere da qui al 25 settembre e i dirigenti del partito, che insieme a lei sono cresciuti dal 3% di nove anni fa al quasi 23% di oggi, applaudono e si alzano in piedi per ringraziarla. Incoronata mercoledì da Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, ai quali ha strappato una promessa sulla leadership e un accordo sui collegi uninominali, Meloni ieri ha acceso i motori di FdI in vista di una campagna elettorale estiva, inedita. A parlamentari e coordinatori regionali del partito ha dettato la linea da qui alle urne. Partendo dalla politica estera. Mentre infuriavano le polemiche sui contatti tra leghisti e diplomatici russi, lei ha ribadito: «Saremo garanti, senza ambiguità, della collocazione italiana e dell’assoluto sostegno all’eroica battaglia del popolo ucraino. L’Italia guidata da FdI e dal centrodestra sarà un’Italia affidabile sui tavoli internazionali».

L’accordo raggiunto con Forza Italia e Lega permette a Meloni di parlare da leader in pectore: «Agli alleati abbiamo ribadito che, per avere un governo forte e duraturo, è necessaria un’alleanza solida. Si vince e si perde insieme». Qualche crepa, però, c’è. La quota di collegi uninominali assegnati ai “centristi” ha provocato malumori in casa Udc. In sostanza se il partito di Lorenzo Cesa deciderà di correre col proprio simbolo sarà conteggiato tra gli 11 posti da dividere con Coraggio Italia, Noi con l’Italia e Vittorio Sgarbi. Se invece rinuncerà allo scudo crociato i candidati saranno assorbiti dentro Forza Italia o suddivisi tra gli azzurri e la Lega. In entrambi i casi l’Udc lamenta di essere stato sottostimato. Cesa chiede quindi di ricalibrare i collegi per «rispecchiare i reali pesi politici». Se ne riparlerà la prossima settimana, probabilmente martedì, quando i leader torneranno a incontrarsi. Se il vertice di mercoledì ha segnato un successo per Meloni, in FdI resta qualche perplessità, nel comunicato finale si dice che il premier verrà indicato «da chi avrà preso più voti» e non dal «partito» che ha preso più voti come chiesto da Meloni, una formula che lascia margine a interpretazioni arbitrarie.

La composizione delle liste è un classico della letteratura politica. Liti, offerte, promesse, anticamere. Sondaggi alla mano, Fratelli d’Italia è l’unico partito che nonostante il taglio dei parlamentari aumenterà il numero dei propri eletti. Quindi, oltre alla conferma degli uscenti, in via della Scrofa si ragiona su nomi e cognomi da coinvolgere. E la corte di Meloni si affolla ogni giorno di più. Si parla di Marcello Pera e Giulio Tremonti, già scongelati da FdI per la corsa al Quirinale. Dell’imprenditore veneto Matteo Zoppas, che per ora smentisce. E poi la giovane direttrice d’orchestra Beatrice Venezi, che però vuol essere chiamata «direttore d’orchestra»: lei potrebbe finire candidata in Toscana. Per la Campania, invece, è dato praticamente per certo Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2, già ospite della kermesse milanese di FdI. Ieri è di nuovo finito al centro delle polemiche, dopo che La Russa (che poi si è smentito) aveva rivelato una sua partecipazione alla stesura del programma elettorale del partito.

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Giannini: “Sul Russia-gate la Lega ha molto da chiarire e noi nulla da spiegare: produciamo giornalismo, non fake news”

venerdì, Luglio 29th, 2022

Il direttore de La Stampa Massimo Giannini dopo la pubblicazione da parte del quotidiano di colloqui segreti tra membri vicini alla Lega e Mosca sulle sorti del governo Draghi risponde alla accuse di fake news da parte di Salvini

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Lega, da Mosca a Pechino: i contatti dell’emissario di Salvini con l’ambasciata a Roma, progettava una missione per incontrare anche il ministro degli esteri cinese

venerdì, Luglio 29th, 2022

Jacopo Iacoboni

Le rivelazioni, pubblicate da La Stampa ieri, sulla sequenza e alcuni dei contenuti riservati dei contatti avvenuti a maggio scorso tra un emissario di Matteo Salvini e i russi dell’ambasciata a Roma, hanno innescato una polemica politica assai aspra, specialmente su uno degli elementi di fatto che abbiamo raccontato, e non sono stati smentiti nel merito da nessuno dei diretti interessati: la domanda, rivolta dai russi al consulente di Salvini, se i ministri leghisti fossero orientati a dimettersi. Siamo a fine maggio, la caduta di Draghi non è minimamente all’ordine del giorno di nessuna agenda e nessun osservatore, eppure i russi s’informano e domandano sul punto. Oggi La Stampa è in grado di rivelare diversi altri dettagli interessanti.

Antonio Capuano, colui che viene indicato come «consulente per i rapporti internazionali del leader della Lega», nei contatti avuti la sera del 27 maggio con l’ambasciata russa non viene solo informato del piano d’incontri fissato dai russi per Salvini a Mosca (un pranzo con Serghey Lavrov e un incontro con Dmitry Medvedev), entrambi per il 31 maggio, ma chiede qualcosa di più. Stando a quanto risulta a La Stampa, il consulente tenta il colpo grosso, e ci va vicino, o almeno gli viene fatto balenare: «In aggiunta, Capuano auspicherebbe anche un possibile incontro di Salvini con il presidente Putin, sempre nella giornata del 31 maggio».

Il leader della Lega ha minimizzato l’entità del suo rapporto con l’ex deputato campano di Forza Italia, oggi cittadino comune sprovvisto delle tutele parlamentari, sostenendo che non si tratta neanche di un leghista. Ma che non agisse di testa sua è testimoniato da diverse circostanze convergenti, compresa la sua presenza all’incontro in Vaticano con Pietro Parolin, il 27 maggio. E fu anche abbastanza candidamente dichiarato da Capuano stesso quando – emersa la vicenda dei biglietti aerei (nello scorso giugno) – spiegò alcune cose in alcune interviste. Uno, disse che «i russi hanno capito che Salvini voleva spendersi davvero. E lo hanno invitato a fare altri passi». Due, che l’interlocutore era «l’ambasciatore. Il segretario ha spiegato il suo progetto in quattro punti. Dall’altra parte è arrivata un’apertura di credito» (il piano comprendeva quattro tappe: trovare un luogo per intavolare le trattative di pace; dare compiti di garanzia a tre Paesi, Italia, Francia e Germania; il cessate il fuoco; il viaggio di una altissima personalità nelle zone interessate). Non è chiaro se l’altissima personalità nella quale speravano potesse essere addirittura il Papa, come sembra dal contenuto dei colloqui nell’incontro con Parolin.

Di fronte a chi lo ha sospettato di possibili millanterie, Capuano rispose «la verità è che io sono apprezzato dalle ambasciate di mezzo mondo e questo a qualcuno dà fastidio». Un’affermazione che, per quanto spettacolare, sembra trovare qualche indizio fattuale. Perché usava il plurale? A La Stampa risulta per esempio che l’emissario di Salvini non si sarebbe limitato ai contatti con i russi, avrebbe cercato di fare da sponda in qualche modo, almeno in una occasione, anche con i cinesi. Un mese prima degli eventi di maggio raccontati ieri, cioè nell’aprile 2022, Capuano si sarebbe confrontato con il capo della sezione politica dell’ambasciata cinese in Italia, Zhang Yanyu, proprio «per riferirgli di una missione programmata dal leader della Lega a Mosca dal 3 al 7 maggio, finalizzata a incontrare Istituzioni, Ministro degli esteri e Presidente russi». I cinesi insomma vengono a sapere della possibile missione russa (inizialmente prevista a inizio, non a fine maggio) di un membro decisivo della maggioranza Draghi, quando ancora lo stesso premier italiano non ne è informato. Russia e Cina, separatamente, sanno, Italia no. Capuano si muove «chiedendo al diplomatico cinese la possibilità di organizzare, prima di rientrare dalla Russia, un incontro a Pechino con il Ministro degli esteri cinese, Wang Yi». Il consulente spiega ai cinesi che l’intento di Salvini è promuovere la pace, e si mostra anche a conoscenza di presunte dinamiche interne del governo italiano, quando dice che «anche il governo italiano avrebbe poi sostenuto» questa «posizione».

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