Archive for Agosto, 2022

Il centrodestra vola nei sondaggi: avanti di 19 punti “Tanti gli indecisi la partita è aperta”

venerdì, Agosto 26th, 2022

Anna Maria Greco

Quasi 19 punti di vantaggio per il centrodestra: 48,2% contro 29,5% del centrosinistra. La Supermedia Agi/Youtrend sulle intenzioni di voto dal 10 al 24 agosto, cristallizza una previsione di netta vittoria della coalizione di Meloni-Salvini-Berlusconi, con Nci e Udc. Sarebbe a valanga nei collegi uninominali, con la certezza quasi matematica di una maggioranza assoluta dei seggi sia alla Camera che al Senato. L’ultima media ponderata dei sondaggi nazionali di Demopolis, EMG, Noto e Tecnè indica in FdI il primo partito, con il 24,3 % (+0,3 rispetto all’11 agosto) contro il 22,7 (-0,5) del Pd. Quanto agli altri, Lega 13,4 (=), M5S 10,9 (+0,5), Forza Italia 8,4 (-0,2), Terzo Polo 5,9 (+1,1), Verdi/Sinistra 3,4 (-0,2), Italexit 2,8 (=), +Europa 2,3 (-0,3), NCI-UDC 2,2 (+0,4), IPF-Impegno civico 1,1.

Poche novità nel mese centrale dell’estate ma, avverte Renato Mannheimer, meglio non dormire sugli allori perché è nell’ultima settimana prima del voto del 25 settembre, che i leader nei loro dibattiti potranno ancora spostare voti.

Il dato previsto dell’astensionismo è molto alto, attorno al 40% se solo il 58% degli italiani è convinto di andare alle urne e un 13% si dichiara «disgustato dalla politica». Voterà meno di un under-35 su due in questa che è la campagna più social di sempre. Il vantaggio del centrodestra appare quasi incolmabile, eppure i colpi di scena non si possono escludere.

«Il quadro è ragionevole – dice il sociologo e sondaggista Renato Mannheimer-, e non mostra grandi modifiche dalle ultime rilevazioni, perché in tanti sono in vacanza e c’è poco interesse per la politica. Noi vediamo un grande dibattito sui social, ma è riservato agli elettori già impegnati, rafforza la militanza ma non sposta voti. Nelle prossime settimane conteranno i confronti tv e quello che i leader sapranno dire alla gente. Ora tutto fa pensare che finirà con una grande vittoria del centrodestra, però le campagne elettorali in passato sono riuscite a cambiare molto (basta ricordare quel che riusciva a fare Berlusconi) e a fine estate qualcosa può spostarsi. È importante per il centrosinistra di Pd-Verdi/SI-+Eu-IPF, la lotta per il primo partito voluta da Enrico Letta. Non sembra dare i risultati voluti, ma 2 punti possono cambiare rapidamente. Non so quanto gioverà al leader Pd aver ingaggiato questa sfida a due con Giorgia Meloni come nemico. Berlusconi vinse la sua contro i comunisti, ma Letta ha più bisogno della Meloni, che ormai viaggia in salita, della campagna elettorale. Se riuscisse a riguadagnare arrivando al primo posto, potrebbe anche chiedere a Mattarella di essere convocato per cercare una maggioranza in Parlamento. Con il Terzo polo e il M5S ce ne sono molte possibili, bisognerà vedere dopo il voto che alleanze emergeranno».

Quanto al popolo degli indecisi, per Mannheimer del circa 40% i tre quarti rimarranno lontani dalle urne. «Ma il restante 10% può fare differenza. Conterà l’appeal dei leader. Alle ultime europee i più hanno deciso nell’ultima settimana, che anche stavolta sarà cruciale».

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Draghiani senza Draghi. Le mosse dei ministri che sognano il ritorno

venerdì, Agosto 26th, 2022

Francesco Boezi

Li chiamano «orfani di Draghi» ma forse sarebbe meglio «draghiani senza Draghi». Se non altro perché il presidente del Consiglio dimissionario, come dimostrato dall’acclamato intervento al Meeting di Rimini, non è scomparso affatto. Dopo il discorso dell’ex vertice della Bce alla manifestazione di Comunione e Liberazione, è rispuntata la suggestione di un futuro, ipotetico e imprevedibile ritorno in campo del banchiere centrale. Per ora l’argomento non è all’ordine del giorno. E va considerato che Draghi potrebbe anche decidere di restare nell’agone politico puntando però a qualcosa di diverso dai ruoli di governo. Per i più ottimisti tra i draghiani, ci vorrebbero i famosi «tempi supplementari» invocati da Giancarlo Giorgetti, che al momento è abbastanza silente, mentre la crisi di governo era nel pieno della sua fase clou. Certo, rispetto ai desiderata dei ministri che avrebbero voluto restare in sella, sarebbero tempi supplementari parecchio in ritardo. La realtà, per tutti questi esponenti, racconta di due scenari soltanto: le elezioni o il buen retiro, mascherato o reale che sia.

I capi di Dicastero che si erano distinti per «draghismo» si sono dovuti riorganizzare: ognuno a modo suo, a seconda delle contingenze e degli spazi politici individuati. Renato Brunetta, per dire, ha scelto di farsi da parte. L’ex esponente azzurro potrebbe volersi tenere pronto per il prossimo giro: «Mi auguro che chiunque avrà il privilegio di farlo, di guidare il Paese, saprà preservare lo spirito repubblicano che ha animato dall’inizio il nostro esecutivo», ha osservato via social di recente. Mara Carfagna e Mariastella Gelmini hanno preferito l’avventura del Terzo Polo, con Carlo Calenda che in prima battuta era persino disposto all’alleanza con il Partito Democratico. Le due ex azzurre non subiranno lo smacco dell’appartenenza al centrosinistra ma ora fanno parte di un contesto del tutto differente, specie per piattaforma valoriale, da quello da cui provengono. E comunque la prospettiva può essere quella di dover fare da stampella liberal-democratica al ritrovato massimalismo dei dem.

Stefano Patuanelli, che qualcuno reputava decisivo per la tenuta dell’esecutivo d’unità nazionale, è tornato in fretta e furia da Giuseppe Conte e ha strappato la ricandidatura in Parlamento. «Anche i sassi sanno che gli oltre 200 miliardi di finanziamenti europei del PNRR sono arrivati in Italia grazie al lavoro in UE del Presidente Conte», ha scritto ieri via Facebook il contiano di ritorno. Peccato che Mario Draghi sia arrivato a Palazzo Chigi, in sostituzione del capo grillino, anche per via dello stallo dei giallorossi sul Pnrr.

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“La vera incognita sono i rigassificatori in balia di burocrazia e questioni locali”

venerdì, Agosto 26th, 2022

Gian Micalessin

"La vera incognita sono i rigassificatori in balia di burocrazia e questioni locali"

«La vera incognita del prossimo inverno non è il gas che resta caro ma abbondante sui mercati internazionali, bensì il funzionamento dei rigassificatori sempre a rischio per questioni amministrative o locali». Per Michele Marsiglia, presidente 56enne di Federpetroli la più grossa preoccupazione è l’imprevedibilità di una politica più sensibile alle volubilità dell’opinione pubblica che alle esigenze di approvvigionamento energetico. «Snam in questi mesi – spiega in questa intervista al Giornale – ha acquistato due navi per la rigassificazione investendo 320 milioni di Cassa depositi e prestiti per una, e più o meno lo stesso per l’altra. Ma se non si sbloccano i lavori a Piombino e Ravenna il gas di quelle navi resterà inutilizzato».

E quindi?

«E quindi, a differenza di quanto promette Mario Draghi, il Gnl non ci salverà, perché dovremo riempire un buco pari al 36 per cento della programmazione».

Invece i contratti stipulati in Africa per la sostituzione del gas russo sono una garanzia?

«Solo se non ci saranno intralci. Mosca ha intese cinquantennali con Algeria, Angola, Congo Nigeria, Egitto e Mozambico ovvero tutti i paesi a cui si è rivolta l’Italia. Non a caso il recente tour africano del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov è stato seguito con molta apprensione dall’Eni e dal nostro governo».

Gli accordi potrebbero non venir rispettati?

«Oggi solo l’Algeria ci sta già dando del gas. Tutti gli altri contratti partiranno nei prossimi anni. Quindi possono venir messi in discussione o compromessi da rivolte o crisi politiche che in Africa sono tanto imprevedibili quanto frequenti. Quindi nulla garantisce che il flusso effettivo corrisponda a quello previsto dai contratti. Firmarli era necessario, ma perché la stabilità ci vorrà almeno un decennio».

In Libia già paghiamo lo scontro con Mosca.

«Non da ora. L’assenza dell’Italia durante il governo Conte ha permesso a turchi e russi di scipparci molti contratti off shore. Oggi non siamo più il primo partner sul fronte energetico».

Un taglio totale del gas russo è tecnicamente possibile?

«Basta schiacciare un pulsante. A quel punto Gazprom dovrebbe solo trasferirlo nelle riserve in attesa di completare i gasdotti e portarlo su altri mercati».

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Verso le elezioni, viaggio a Mirafiori: la fabbrica vira a destra

venerdì, Agosto 26th, 2022

Paolo Griseri

A ridosso del muretto, nella parte all’ombra dove un tempo si rifugiavano gli attivisti di Lotta Comunista, anche oggi si parla di politica. Si chiacchiera aspettando che aprano il cancello per il secondo turno della linea della 500. «Sai perché voterò la Meloni? Perché ci manda tutti a casa con 41 anni di marchette». «Sei matto? Sei diventato fascista?». «Macché fascista. Io la volta scorsa ho votato 5 stelle».

Benvenuti alla porta 2 di Mirafiori, già santuario della sinistra italiana, ma anche la Mecca per generazioni di cronisti che durante tutto il Novecento sono venuti qui davanti a tastare il polso e sondare gli umori della classe operaia italiana. Molto, moltissimo è cambiato. Le tute degli operai non sono più blu dagli anni 80 ma ora è sparita anche la scritta Fiat sul petto. La tuta grigia porta il simbolo di un tridente e il logo Maserati. Alle Carrozzerie lavorano oggi 2.900 persone, un quarto dei 12 mila che ancora oggi affollano la grande fabbrica. Alle Carrozzerie l’età media è di 55 anni. Ecco perché quello delle pensioni è un tasto dolente. Luigi ha 57 anni, è un esempio vivente del problema: «Ho cominciato a lavorare a vent’anni. Oggi sarei in pensione già da due. Sai di chi è la colpa? Della Fornero. Che ci costringe ad andare in pensione con 42 anni di contributi e 67 di età. La Fornero mi ha tolto sette anni di pensione e mi ha regalato altri sette anni di lavoro in linea. Perché io dovrei votare quelli lì?». Elena, che di anni ne ha 58, tenta la strada moderata: «Bravo, vota quelli che promettono quota 41. Come Salvini l’altra volta». «Infatti Salvini non è credibile. Meglio la Meloni. Lei promette quota 41, il Pd dice che non cambierà la legge Fornero. Secondo te chi dovrei scegliere?».

IMAGOECONOMICA 

Sembra venuta meno una vecchia regola della sinistra europea: partire dalle condizioni materiali per fare politica. Qui, davanti all’ex santuario di Mirafiori, le condizioni materiali gonfiano le vele della Fiamma Tricolore. Tutti con i post-fascisti nella fabbrica che 80 anni fa ebbe il coraggio di scioperare contro Mussolini? Il segno dell’egemonia dell’estrema destra è nell’atteggiamento timoroso di chi vota evidentemente a sinistra. Mario, 52 anni, addetto alla logistica, arriva di corsa alla bollatura della porta due. Per chi voterà il 25 settembre? «Non lo so e non glielo dico». Per chi ha votato nel 2018? «Per il Pd». E non lo rivoterebbe oggi? «Non so. Ho dei dubbi». L’hanno delusa? «Deluso proprio deluso no. Ma ci sono dei dubbi nel programma». Qual è il punto del programma che la delude di più? «Le pensioni».

È difficile scappare dalla discussione sul pensionamento. Avete un chiodo fisso. Gabriele, addetto al montaggio della 500 elettrica, fulmina tutti con lo sguardo: «Prova tu a lavorare in linea per trent’anni fino a 67 e poi mi spieghi se non hai il chiodo fisso». Qualcuno ci prova a uscire dall’agenda. È Michele, 56 anni, carrellista: «Non avete capito. Dobbiamo votare i partiti che impediscono alla Fiat di andare via di qui». Quali partiti? «La Meloni ha detto che metterà una fidejussione obbligatoria per impedire che le aziende vadano via dall’Italia». Veramente la proposta riguarda gli imprenditori extracomunitari che aprono e chiudono le aziende senza pagare tasse. Che cosa c’entra Stellantis che ha portato in Olanda la sede fiscale, un Paese comunitario? «Non importa. Meloni ha promesso che tutelerà gli imprenditori che investono in Italia e pagano qui tutte le tasse».

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Femminicidi, Alessandra era sola: dov’erano i giudici?

venerdì, Agosto 26th, 2022

Anna Maria Bernardini De Pace

Siamo veramente stufi delle indagini del ministero della giustizia, perché si fanno solo a tragedie avvenute. Perché il ministro non controlla il lavoro dei suoi (o nostri) magistrati mentre lo stanno facendo o non facendo? Io aspetto da quasi un anno lo scioglimento di una riserva sulla competenza: anche un praticante avvocato senza esperienza, avrebbe saputo rispondere in 20 minuti. Da due mesi, poi, altro, inesistente, scioglimento di riserva, in una vicenda che riguarda due bambini e una mamma cattiva.

Per non parlare di un Pm che ha accolto la denuncia del rapimento di una figlia più di un anno fa, e ha fissato udienza, per il padre disperato, nel 2023. Potrei raccontare almeno altri 10 vergognosi e inaccettabili comportamenti della magistratura, nella quale, però, vorrei continuare a credere, perché mio padre è stato un validissimo magistrato. Non li racconto, perché c’è il fatto molto più grave, ma figlio del medesimo comportamento, spensierato e indolente, delle istituzioni: la morte di una donna, presa a martellate dal suo stalker, per di più prontamente segnalato alla magistratura. Alessandra aveva denunciato il proprio persecutore a fine luglio, ma, dice il procuratore di Bologna, «le indagini non potevano concludersi prima del 29 agosto, perché alcune persone da sentire erano in ferie». Quindi? Tutti ricchi e in ferie per un mese i testimoni? E allora non si protegge la vittima? Non si possono convocare i testi d’urgenza? Non si può, soprattutto, convocare subito lo stalker? Non si deve cercare di capire con chi si ha a che fare, prima di lasciar passare tre settimane inutilmente? Poi, aggiunge il procuratore, «non emergevano situazioni di rischio concreto… era una tipica condotta di stalkeraggio». Appunto! Non sa il magistrato che lo stalker, in genere, è nutrito dal bisogno di dominio e dalla volontà ossessiva di controllo? E che questo modo di fare è una grave malattia psichiatrica? Che genera violenza e la violenza può portare a uccidere? Se il procuratore non lo sapeva, ora lo sa. Perché Alessandra è stata massacrata, e ora la denuncia con richiesta di protezione non le serve più.

I magistrati sono incapaci? Indolenti? In numero esiguo? Menefreghisti? Ignoranti? Inadeguati? Noi non lo sappiamo, non possiamo saperlo e tanto meno accusarli di tutto questo. Tuttavia, il ministro deve capire che l’indagine deve essere fatta prima dell’ennesimo femminicidio o omicidio in genere. Gli “indagatori”, sempre che non siano altri magistrati, giacchè cane non mangia cane, devono poter controllare lo stato dell’arte (per dire arte) quotidiano del lavoro della magistratura. Devono, dunque, saper separare il grano dal loglio: verificare quali siano i giudici onesti, competenti, veloci e presenti sul luogo di lavoro, e separarli da quelli che costituiscono esattamente il contrario dei primi. In questo modo, già si sarà reso un minimo di onore all’istituzione della magistratura, che è la più importante nel nostro Stato, perché dovrebbe garantire libertà, giustizia e rispetto della vita. Dopodiché, essendo a quel punto veramente pochi i magistrati sui quali poter contare, bisognerebbe indire un concorso straordinario per selezionarne altri e aumentare significativamente il numero dell’organico. In effetti, siamo 60 milioni di cittadini e non possono bastare 10 mila magistrati, considerate la violenza e la litigiosità che caratterizzano troppi di noi. Non è ridicolo che ci siano 250 mila avvocati, che lavorano ogni giorno per fornire materiale a soli 10 mila giudici? Dunque, secondo me il problema più grave è certamente il fatto che non ci si può affidare alla magistratura e neppure ci si può affidare alla polizia o ai carabinieri per evitare qualsiasi genere di reato. Perché, anche qui, i numeri sono imbarazzanti, rispetto alle esigenze della collettività. Tuttavia, non posso non segnalare che, almeno la prevenzione, deve essere rimessa integralmente nelle mani di noi cittadini; in particolare, per noi donne, e per evitare i femminicidi, è nostra la responsabilità di cercare di conoscere prima le persone con le quali intrecciamo una relazione.

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Lega, i governisti isolati: in Parlamento solo fedelissimi di Salvini

venerdì, Agosto 26th, 2022

ALESSANDRO BARBERA – FRANCESCO OLIVO

Le sanzioni? «È stata una dichiarazione di guerra alla Russia, ma non potevamo non valutare le conseguenze sul nostro sistema economico di alcune regole che ci siamo dati. Sono alleate della guerra commerciale sul gas da parte di Putin». Il tetto al prezzo del gas? «Se le regole non possono cambiare perché qualche grande Paese si oppone (la Germania, ndr), allora non possiamo non porre un tema di scostamento di bilancio». Dimenticate le voci di chi immaginava Giancarlo Giorgetti con un piede fuori della Lega, magari per avvicinarsi a Carlo Calenda e Matteo Renzi. L’uomo apparso ieri all’ultimo giorno del Meeting di Rimini, il più governista dei ministri del Carroccio, l’ufficiale di collegamento fra Mario Draghi e il suo segretario, è tornato compiutamente fra le mura di via Bellerio. Lo conferma una battuta di puro colore rubata poco prima di salire in auto per tornare a Varese. «Mariastella Gelmini dice di volermi nel Terzo polo? Ma lo sanno tutti che è innamorata di me…». La storia ha un esito chiaro: Giancarlo Giorgetti tornerà in Parlamento come parlamentare di Sondrio, e c’è chi scommette verrà confermato come ministro dello Sviluppo economico.

Se Giorgetti, con la disciplina che nella Lega è costume, si è riallineato, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, i due governatori che hanno portato avanti, apertamente, una linea più moderata rispetto a quella di Matteo Salvini, si defilano. «Si sa che decide tutto Salvini – dice un ex ministro di area leghista -. Il Carroccio è l’ultimo partito leninista rimasto in Italia». Per queste elezioni si ripete lo schema già visto altre volte, per esempio nei giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica, quando i governatori, sempre presenti a Montecitorio, esibivano la loro estraneità alle decisioni del segretario. Il fatto è che la Lega che vedremo nel prossimo parlamento sarà a quasi totale trazione salviniana e la prospettiva di una svolta moderata e atlantica, come l’approdo nel Ppe auspicato in passato da Giorgetti, è rimandata ancora una volta. Solo un risultato molto pesante il 5 settembre potrà mettere in discussione il segretario federale, ma anche in quel caso gli avversari interni avranno molti argomenti per continuare a non scendere in campo in prima persona.

La linea ufficiale di Via Bellerio è: «Le esclusioni sono dovute soltanto al taglio dei parlamentari». Salvini, però, compilando le liste ha blindato praticamente solo i fedelissimi e ora deve gestire le conseguenze sui territori. Nessuno si aspettava cose diverse, la legge elettorale favorisce questo meccanismo e anche altri leader si sono comportati così. L’ala governista, però, crede che si sia andata oltre, «le esclusioni sono state mirate» si sfoga uno di quelli rimasti fuori.

Salvini ha chiesto più volte ai governatori di «metterci la faccia». Zaia ce l’ha messa, almeno fisicamente, visto che compare con il segretario nei cartelloni 6×3 che hanno riempito le strade del Veneto, ma per il resto la gestione resta poco condivisa. Il governatore ha tenuto a farlo sapere a tutti che lui, con queste scelte, non c’entra nulla: «Io rispondo di quello che faccio e le liste non le ho fatte», il direttorio veneto di cui Zaia fa parte non è stato consultato. Risultato: dei fedelissimi del presidente entrerà in Parlamento solo Gianangelo Bof, sindaco di Tarzo (eletto a giugno con l’88%). Per gli altri niente.

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Come i cinesi vedono gli italiani: «Sempre in ritardo e un po’ infantili. Noi sogniamo la Bellucci di Malena»

venerdì, Agosto 26th, 2022

di Guido Santevecchi

Il presidente Xi ama citare Dante e Petrarca. «Gli uomini fanno troppi elogi, a volte poco sinceri». «Il senso della famiglia e l’amore per la cultura ci accomunano»

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Dal nostro corrispondente
Sono «zuqiù», cultura, gondola, genio e lentezza, bella vita e caos
, superpotenza artistica e anche le scarpe le parole che vengono in mente ai cinesi quando parlano di Italia. Andiamo con ordine, a volte anche di importanza nella percezione mandarina dell’italianità: «zuqiù» significa piede-palla, il football che è anche espressione di prestigio politico-culturale. Non per niente Xi Jinping ha ordinato di costruire ventimila scuole di calcio per inseguire il sogno di vedere la Cina campione del mondo. Si dice che il segretario generale abbia una passione per l’Inter, sbocciata nel 1978, ben prima della nascita del giovane presidente Steven Zhang, quando i nerazzurri sbarcarono avventurosamente a Pechino (volo di 29 ore) per una serie di esibizioni nello Stadio dei Lavoratori e Sandro Mazzola, che si era ritirato da un anno, giocò un tempo rischiando l’infarto. In tribuna c’era l’universitario Xi. Sta di fatto che l’Italia è sempre considerata dai cinesi maestra del calcio, tanto che Marcello Lippi, ribattezzato Yin Hu (Volpe d’argento) è stato chiamato a guidare la nazionale rossa per anni, rispettatissimo nonostante i risultati non proprio brillanti. Il Mister ha bellissimi ricordi cinesi: «Il presidente Xi mi mandava complimenti e saluti attraverso i ministri dello sport». Oltre ai saluti, Volpe argentata ottenne un ingaggio favoloso. «Yidalì»: si dice così Italia in cinese. Sembra semplice, ma non lo è. Perché i tre ideogrammi che compongono il suono Yi-da-lì hanno creato ai sinologi qualche incertezza.

Lo segnalava in un saggio del 1961 Giuliano Bertaccioli, diplomatico e accademico: nessun dubbio sul suono «da», fornito dal carattere che identifica «grande»; e su «lì», reso da quello che si usa per «interesse» o anche «guadagno». Il dilemma viene con «Yì»: ci sono diversi omofoni e quindi può dare l’idea di «pensiero» o «giustizia». Ecco che Yidalì può suonare come «Paese che pensa al grande guadagno»; oppure «Paese che dall’essere giusto trae un grande guadagno». Un’Italia di mercanti, oppure di grandi ideali etici. I commerci comunque sono nel Dna dei cinesi, che sanno meglio di noi chi sia stato Marco Polo, lo considerano un «collega» e lo citano spesso.

Amici di Pechino mi ricordano che circola anche un soprannome, per noi, un gioco di parole basato sull’assonanza tra Yidalì e yidaì (senza la elle) che significa «naif, simpatico e spontaneo». Prendiamolo come complimento. Ogni discorso tra politici mandarini e ospiti venuti da Roma parte immancabilmente dall’affermazione che «Cina e Italia sono simili, due superpotenze della cultura accomunate da migliaia di anni di Storia». Seguono ricordi di Marco Polo e Matteo Ricci e un richiamo alla Via della Seta verso Venezia. A Xi piace citare Dante e Petrarca, che ha letto da ragazzo. Ma che cosa pensa in cuor suo del nostro Paese un funzionario governativo di Pechino? «Ho vissuto in Italia e ho avuto problemi con la burocrazia», comincia un amico di cui non possiamo fare il nome («sai, non vorrei mettere in imbarazzo il mio dipartimento»).

Anche io ho conosciuto la burocrazia cinese ed è dappertutto, ribatto. «Sì, ma da noi a Pechino funziona bene e tutto è online». Uno a zero per la burocrazia cinese. Il funzionario però subisce davvero «il fascino per la vostra arte e la cultura, fattori che proiettate benissimo all’estero, anche da noi». Nella classe media cinese (più di 350 milioni di anime) «lo stile di vita italiano è popolare, apprezziamo anche la vostra cucina e non è scontato per noi». Il dirigente ministeriale è un politico navigato: «Vi consideriamo amici, vi abbiamo offerto aiuti all’inizio della pandemia mandando alcuni dei nostri medici che avevano fatto esperienza nei giorni tragici di Wuhan e poi non possiamo dimenticare il vostro sostegno quando ci fu il terremoto terribile nel Sichuan». Ma la gente comune? «Beh, vi pensa passionali, rilassati, creativi, artisti del design ma anche abituati al ritardo: sai, c’è una barzelletta: “In Italia, a parte la Ferrari tutto è lento”».

L’ultima considerazione è una frecciata: «Il problema, visto dal nostro governo, è che non sapete mai bene dove stare, scherzosamente, con ironia, ci ricordiamo il vostro ruolo nella Seconda guerra mondiale, partiti con un’alleanza e arrivati con un’altra». Il riferimento è al grande entusiasmo del nostro governo per l’adesione alla Nuova Via della Seta , proclamato nel 2018 con il Memorandum d’intesa presto abbandonato in archivio: «Sì, in questo non ci sentiamo proprio soddisfatti».

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Cosa sono gli edge fund, come funzionano le vendite allo scoperto e perché pesano sui Btp

venerdì, Agosto 26th, 2022

di Giuliana Ferraino

Gli hedge fund scommettono di nuovo contro

Ritorna l’allarme speculazione contro i Btp. Secondo i dati di S&P Global Market Intelligence, un gruppo di hedge fund ha preso a prestito obbligazioni italiane per un valore totale di oltre 39 miliardi, il livello più alto da gennaio, puntando su un ribasso dei prezzi. gli investitori speculativi, preoccupati per le crescenti turbolenze politiche a Roma e per la dipendenza italiana dalle importazioni di gas russo, si preparerebbero a «shortare» il Paese, come si dice nel gergo della finanza. Cioè a vendere titoli di Stato italiani che non possiedono ancora ma hanno in prestito, prevedendo che i prezzi scenderanno, per incassare la differenza.

Che cosa sono gli hedge fund?

Gli hedge fund sono comunemente considerati fondi speculativi, ma nel tempo hanno conquistato una presenza significativa nell’asset management. Il primo hedge fund è stato creato nel 1949 da Alfred Winslow Jones, giornalista di Fortune e sociologo. In Itali i fondi hedge sono stati introdotti nel 1999.

L’obiettivo di questi fondi è di realizzare rendimenti elevati, attraverso l’uso di strumenti derivati (future, swap, opzioni) . Alcuni fondi sono specializzati nei long/short su titoli azionari: individuano cioè titoli sottovalutati e titoli sopravvalutati, acquistano i primi e contemporaneamente vendono i secondi allo scoperto.

Altri fondi puntano sugli arbitraggi, cioè sullo sfruttamento di disallineamenti tra titoli (e strumenti finanziari in generale) legati da correlazioni statistico/quantitative: anche in questo caso il gestore acquista titoli o strumenti e ne vende allo scoperto altri, in vista del riallineamento dei prezzi.

Che cosa sono le vendite allo scoperto?

La vendita allo scoperto (o short selling) è un’operazione finanziaria che consiste nel vendere un bene o uno strumento finanziario (come azioni o titoli di Stato) che non si possiedono realmente, nella speranza che il prezzo scenda, così da riacquistarlo in futuro a un prezzo più basso e ottenere un profitto. Il guadagno è dato dalla differenza tra il prezzo a cui si vende il bene e il prezzo più basso pagato per riacquistarlo.

Chi vende allo scoperto scommette quindi su un ribasso dei prezzi di mercato. Se però il prezzo contro cui si scommette aumenta invece di diminuire, si otterrà una perdita.

Come funzionano le vendite allo scoperto per speculare contro i Btp?

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Gas, un nuovo decreto con aiuti a imprese e famiglie per abbassare le bollette

venerdì, Agosto 26th, 2022

di Enrico Marro

Non si ferma la corsa dei prezzi dell’elettricità. In Italia, Francia e Germania si sono superati i 700 euro al megavattora. Nel nostro Paese il prezzo ha raggiunto il nuovo record di 718,71 euro. In salita anche i prezzi del gas, che sulla piattaforma Ttf di Amsterdam, hanno superato ieri 321 euro al megawattora. Livelli insostenibili per le imprese e rispetto ai quali il governo deciderà la prossima settimana quali misure prendere. Secondo la viceministra dell’Economia, Laura Castelli, «ci sono margini per un nuovo decreto per calmierare gli effetti del prezzo del gas: ritengo che si debba intervenire nei prossimi giorni». I tecnici sono al lavoro, ma ci sono vari ostacoli da superare. La stessa Castelli dice che bisogna «agire su due piani». Sul primo, «va velocemente fissato un tetto al prezzo del gas», punto sul quale però è in corso «una battaglia in sede Ue». L’altro piano è nazionale e riguarda il costo di nuovi aiuti a imprese e famiglie e la loro copertura, visto che un governo per gli «affari correnti» non potrebbe ricorrere a nuove tasse né a «scostamenti di bilancio», cioè ad aumenti del deficit. Ma ieri il ministro dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti, dopo aver detto che «con le sanzioni abbiamo dichiarato guerra economica alla Russia», ha ammonito Bruxelles che, senza un tetto al prezzo del gas, non resterebbe che lo «scostamento».

Si parte da due miliardi

Del resto, al Tesoro si stanno facendo i conti e le indiscrezioni che filtrano sono all’insegna della prudenza. È vero, spiegano, le entrate tributarie stanno andando meglio del previsto anche nel secondo semestre e quindi si potrebbe attingere qui per nuovi sostegni all’economia, come si è fatto per gli ultimi provvedimenti, finanziati con le maggiori entrate della prima parte dell’anno, ma al momento si potrebbe contare solo su un paio di miliardi. Certo, anche nel caso del dl Aiuti bis, il governo è partito basso e poi ha stanziato ingenti risorse. Stavolta, però, la distanza rispetto alle necessità è molto ampia. Ma sono in corso anche riflessioni sullo strumento più idoneo da usare: si dovrebbe varare un nuovo decreto legge, in modo che entri subito in vigore, e poi «travasarlo» come emendamento al decreto legge Aiuti bis, atteso in aula al Senato il 6 settembre e poi alla Camera il 13 per l’approvazione definitiva.

Proroga del taglio delle accise

Quanto ai contenuti delle nuove misure contro il caro bollette, le decisioni verranno prese la prossima settimana. Sul fronte dei carburanti sì dà invece per scontata la proroga del taglio delle accise, visto che quello vigente scadrà il 20 settembre. Per questo provvedimento, tra l’altro, non serve un decreto legge, ma basta un semplice decreto interministeriale. Il costo è di circa un miliardo di euro per ogni mese di proroga. Ma più urgente e allo stesso tempo complicato si presenta il fronte bollette. L’azzeramento degli oneri di sistema e il credito d’imposta prorogati nel decreto Aiuti bis appaiono a questo punto insufficienti a calmierare l’impennata dei prezzi. Il governo Draghi chiede da tempo che il problema venga affrontato a livello europeo fissando appunto un tetto al prezzo del gas, ma finora senza successo. Su questo è intervenuto il leader della Lega, Matteo Salvini, dicendo che l’Italia non può aspettare Bruxelles e chiedendo al presidente del Consiglio, Mario Draghi, di convocare Eni, Enel, A2a, le aziende produttrici di petrolio e le raffinerie per concordare con loro a livello interno un tetto all’aumento del gas. Il capo di Azione, Carlo Calenda, rilancia invece un’altra ipotesi: che il Gse (Gestore dei servizi energetici) acquisti a un prezzo calmierato solo l’energia prodotta da fonti rinnovabili, il cui prezzo è stato finora agganciato a quello del gas (nonostante quella derivata dalle rinnovabili costi molto meno) e la giri alle imprese energivore, così da aiutarle a superare questo difficile momento. Infine, Confimi Industria chiede al governo «prestiti garantiti dallo Stato per pagare le bollette» e la Fiom-Cgil l’apertura di un tavolo per evitare che le aziende si fermino e i lavoratori finiscano in cassa integrazione.

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Elezioni 2022, cos’è l’«effetto flipper» della legge elettorale: l’incubo che turba candidati

venerdì, Agosto 26th, 2022

di Renato Benedetto

È un «effetto collaterale» del Rosatellum che può far saltare candidati che si credevano eletti e farne subentrare altri, anche da altre regioni, scatenando reazioni a catena. Così aumenta l’imprevedibilità per chi corre

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Tutto è meno che un gioco, anzi, il «flipper» è l’incubo di ogni candidato che, in queste elezioni, non corra in un collegio blindato. È un effetto che si nasconde tra le pieghe del Rosatellum, che può scatenare effetti a catena: un minimo scarto in Piemonte può far saltare un candidato in Calabria o premiarne uno nel Lazio. Come, appunto, una pallina dalla direzione imprevedibile che corre tra i collegi del Paese e sbatte sui listini dei candidati: tu dentro, tu fuori. Rendendo decisamente incerta la sorte dei candidati. Ma come è possibile?

Riguarda solo il proporzionale

Per capirlo bisogna soffermarsi un attimo sulla legge elettorale. Il Rosatellum prevede che una parte degli eletti, circa un terzo, sia scelta in collegi uninominali: qui è facile, chi prende più voti, anche uno più degli altri, vince ed è eletto. Il resto è scelto su base proporzionale: alla Camera sono 252 i deputati eletti con questo metodo su un totale di 400. Concentriamoci qui, perché è solo nella parte proporzionale e soprattutto alla Camera che agisce il «flipper». Il Paese è diviso in circoscrizioni (28, estero escluso) a loro volta suddivise in collegi plurinominali (49) che eleggono da uno a otto deputati: è qui che i partiti presentano i loro candidati, in listini bloccati da quattro nomi ciascuno. Ad esempio, la Campania è divisa in due circoscrizioni, a loro volta suddivise in due collegi plurinominali ciascuno.

Dal dato nazionale a quello locale

La ripartizione dei seggi — per le liste che abbiano superato il 3%, soglia di sbarramento — avviene su base nazionale. È qui è ancora semplice: alla lista che in tutta Italia ottiene il 20% dei voti va circa il 20% dei seggi (circa, perché il meccanismo, in realtà, con il calcolo dei quozienti e dei resti, è un po’ più complesso: è spiegato in fondo, per chi vuole approfondire). Il problema si ha quando a questi seggi, conquistati dalle liste a livello nazionale, bisogna assegnare un nome. Perché le liste dei candidati sono a livello locale, si è visto, nei collegi plurinominali. E quindi i voti nazionali sono «proiettati» a livello di circoscrizione e, poi, ancora più nel dettaglio, a livello di collegio, dove si vede chi ce l’ha fatta e chi no nelle liste. Il problema è che dal dato nazionale a quello locale le cose possono non coincidere. Cosa succede se a livello di circoscrizione (locale, quindi) il risultato non coincide con il numero di seggi che spetterebbero a quel partito su base nazionale? Succede che si toglie un seggio a quel partito che ne ha uno di troppo e si dà a quell’altro che ne ha uno di meno rispetto al dato nazionale. Dove? Nella circoscrizione dove quel partito ha «conquistato» un seggio con il numero minore dei voti (tecnicamente, con la frazione di quoziente più bassa) e dove l’altro partito ci è andato più vicino e non ha «spuntato» un seggio con il numero più alto dei voti (il «resto» più alto). Se questo scambio non è possibile nella stessa circoscrizione, si può andare a cercare in altre regioni (dove il risultato locale, ovviamente, sarà per forza alterato). E siccome di questi aggiustamenti possono essercene di diversi, in diverse regioni, il risultato è che inizia il balletto da un territorio a un altro. E si ha un alto livello di imprevedibilità: è molto difficile per chi corre capire subito se l’avrà spuntata o meno.

Un esempio

Lo spiega bene Emanuele Bracco, professore di Economia politica: «Guardiamo alle elezioni del 2018 utilizzando i nuovi collegi elettorali, e proviamo a capire cosa succederebbe se, gli elettori milanesi della Lega iniziassero a virare verso Fratelli d’Italia – è la sua analisi su La Voce –. Sarebbe ragionevole aspettarsi che Fratelli d’Italia veda aumentare i propri eletti a Milano a discapito della Lega». E invece no, proprio perché parte il flipper: «Se 15.000 leghisti milanesi cambiassero idea e votassero Fratelli d’Italia, Fratelli d’Italia otterrebbe un seggio in più a Cagliari togliendolo a Forza Italia (i cui voti sono rimasti invariati). Forza Italia guadagnerebbe però un seggio in Basilicata, togliendolo alla Lega». Insomma, un flusso elettorale tutto lombardo arriverebbe a travolgere seggi tra Cagliari e Potenza «colpendo per sbaglio anche un povero forzista sardo, che ha dovuto lasciare il suo posto a un collega lucano senza che i voti del suo partito siano cambiati né in Sardegna, né in Basilicata».

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