Archive for Settembre, 2022

Le barriere tra i partiti e le imprese

lunedì, Settembre 19th, 2022

di Dario Di Vico

In Italia è tradizione che la politica privilegi i consumi sugli investimenti, la domanda sull’offerta, il debito sulla crescita. Guardare al lungo termine è stato sempre considerato una bestemmia

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La crisi del gas oltre a mettere in ginocchio migliaia di aziende si è anche «mangiato» il dibattito elettorale sul futuro industriale del Paese. Buona parte dei leader, in qualche caso anche per incompetenza, ha preferito duellare sul tema dello scostamento di bilancio definendolo «indispensabile» per allargare gli aiuti alle Pmi e con questa mossa ha pensato di aver fatto i compiti e di poter chiudere i libri. È difficile dire se quella in corso è la peggiore campagna elettorale di sempre, come sostengono in molti, ma sicuramente una delle più contraddittorie: Adolfo Urso davanti all’ampia platea degli industriali di Vicenza ha scandito l’impegno del prossimo governo ad abolire il reddito di cittadinanza ma dentro la coalizione di centrodestra e tra i candidati meridionali il novero dei malpancisti cresce con l’avvicinarsi del giorno delle urne. E qualcosa del genere vale per il Pd che al Sud sventola come una bandiera la proposta delle 300 mila assunzioni nella pubblica amministrazione ma si è guardato bene dal raccontare a Vicenza, nell’intervento del segretario Enrico Letta, l’idea che ha maturato. È la stagione dell’ambiguità, dei programmi à la carte, degli impegni di governo diversi al Nord dal Sud, delle intemerate per lo scostamento di bilancio abbinate a un intransigente «No» al rigassificatore di Piombino.

È l’epoca della demagogia coordinata e continuativa che porta la classe politica a gridare alla colonizzazione se un’aziendina del made in Italy viene acquisita da capitali stranieri e a restare in assoluto silenzio quando, come nei giorni scorsi, il gruppo Ariston investe un miliardo per comprare un concorrente tedesco e fa della Germania addirittura il suo primo mercato di sbocco.

La verità è che tra politica e industria il dialogo continua ad essere a strappi. Siamo ancora il secondo Paese manifatturiero d’Europa, siamo rispettati in Francia e Germania per l’insostituibilità del contributo delle nostre imprese alle grandi catene del valore, abbiamo frantumato di volta in volta i precedenti record delle esportazioni (che oggi da soli valgono un terzo del prodotto e dei redditi del Paese) ma l’industria resta per la politica italiana un incidente di percorso. Non serve ad accumulare consenso e quindi può essere derubricata. Trasformazione digitale, transizione all’elettrico, reperimento e formazione del capitale umano, equa contrattazione salariale e welfare aziendale non sono considerati «temi» (parola-chiave dei sondaggisti) sui quali documentarsi e spendersi. Meglio una comparsata su TikTok. Del resto è tradizione in Italia che la politica privilegi i consumi sugli investimenti, la domanda sull’offerta, il debito sulla crescita. Guardare al lungo termine è stato sempre considerato una bestemmia.

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Lega, Pontida: sul pratone la «paura» per la crescita dell’alleata. E l’avviso dei governatori: «Bisogna portare risposte»

lunedì, Settembre 19th, 2022

di Marco Cremonesi

Zaia: sull’autonomia si mette in discussione un governo. E Fedriga: non basta vincere, rispondere agli impegni

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«Certo, dall’opposizione siamo bravi tutti…». Probabile che a Giorgia Meloni ieri mattina siano fischiate le orecchie. Sul pratone del raduno di Pontida, il convitato di pietra è lei, lei è al centro dei discorsi di molti, ed è il suo successo annunciato a gettare preoccupazione sulla convinzione da tutti condivisa che «si torna a governare».

Causa Covid, l’ultimo raduno si è svolto nel 2019 e il pratone è cambiato. Il verde dell’Insubria, delle Orobie e della Carnia è quasi scomparso, sostituito quasi totalmente dal più salvinianamente connotato azzurro. Tra le eccezioni, il presidente del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, con polo verdina e scarpe in tinta. Del resto, i governatori il loro segnale lo danno. Luca Zaia non rinuncia affatto all’identità veneta, i suoi consiglieri sono tutti con maglietta amaranto e Leone di San Marco e lui ricorda che «questo governo non ha scelte: chiunque va a governare, non avrà scelta». E indica la scritta «autonomia subito» esposta da alcuni dei suoi. Attenzione: «L’autonomia — dice il presidente veneto — vale anche la messa in discussione di un governo». Lo stesso Fedriga non suona il violino quando dice che la «Lega è una e unita» ma «deve rispondere agli impegni che prende con il suo popolo e con la sua gente». Con un’aggiunta: «Non basta vincere, ma bisogna portare risposte a questo Paese». Vincere, certo.

Ma il vincere perdendo voti a vantaggio dell’alleato fa paura. Il pratone è pieno, ma per alcuni insofferenti vuol dire poco: «Pontida la riempivamo anche quando eravamo al 4%». Perché il voto è mobile, e lo si coglie anche sul prato che fu del giuramento. Lorenzo fa l’ultimo anno delle superiori e lo ammette: «Avevo pensato di passare a Fratelli d’Italia, ma da noi a Firenze le loro giovanili sono troppo di destra». Lui e la sua famiglia, fino al lockdown erano tutti renziani: «Ora stiamo con la Lega, ma attenzione: a Firenze il Terzo polo potrebbe prendere parecchi voti». E lo stesso pensa il veneto Alessandro, di pochi anni maggiore. Ma le sorprese non finiscono, anzi. Valeria, 72 anni, Pozzo d’Adda, ha votato Lega fin da quando esiste: «Ma ora non seguo più come prima. E ci sono cose nuove. Mi piace Italia sovrana e popolare, Marco Rizzo dice cose interessanti». La famiglia di Paola, da San Benedetto del Tronto, vive di pesca: «Ma da noi l’hanno distrutta, a San Benedetto son rimaste tre lampare. Tre… Si devono tutti dare una svegliata».

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Giorgia Meloni e i comizi vecchio stile con le piazze piene. E la battuta: «Sono un po’ stanchina»

lunedì, Settembre 19th, 2022

di Marco Imarisio

Nella borsa i fogli a quadretti con gli appunti. E a Matera incita i militanti: non dovete avere paura

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«Chiedo a tutti di stringersi al centro, anche a quelli che stanno ai lati, per creare l’effetto adeguato». Gli appelli dei presentatori cadono nel vuoto. Non ce n’è bisogno, e soprattutto non c’è più spazio. «Ancora cinque minuti» avvisano dai walkie talkie i responsabili del servizio d’ordine. Dai due maxischermi scorrono immagini di polizia ai posti di blocco, di anziani sorridenti, di giovani ottimisti, con gli slogan della campagna elettorale, tutelare per primi gli italiani, difendere la famiglia e il ceto medio. Ma sono soprattutto le dimensioni che contano e più di ogni cosa indicano la direzione del vento. Dai poster al palco, e per dovere di cronaca il discorso vale pure per il pubblico, è tutto più grande. A Matera come a Caserta, ultima domenica prima del voto, doppio comizio. Sembra di essere a un concerto da stadio, anche le regole di ingaggio sono le stesse. L’Alfa Romeo viene sempre fatta entrare dal retro e si ferma proprio sotto il palco. Giorgia Meloni dà un’ultima occhiata agli appunti, sempre su fogli di quaderno, rigorosamente a quadretti. Li ripone nella borsa e scende dall’auto. Percorre un tragitto lungo un paio di metri al massimo e sale. Come fosse una rockstar, da proteggere in una teca, pochi contatti con i sostenitori adoranti, selfie ridotti al minimo.

A Matera, piazza Matteotti è colma. Mezzogiorno di domenica. «Non dovete avere paura» è una delle prime frasi che pronuncia. L’esortazione è tutt’altro che generica, e riguarda quello che viene percepito come un suo possibile punto debole a queste latitudini. Poco più di un anno fa, durante un comizio a Napoli, definì il reddito di cittadinanza «come metadone per i tossicodipendenti». Adesso Meloni usa parole più caute, modifiche invece di abolizione, distingue tra chi può lavorare e chi invece non è in grado di farlo. Non cita mai Giuseppe Conte. Ma nell’affrontare come uno dei primi argomenti in scaletta la misura assistenziale tanto cara all’ex presidente del Consiglio è come se in modo implicito riconoscesse un avvenuto cambio di scenario, e forse anche di avversario, almeno qui al Sud. «Sento tanti esponenti del M5S che si vantano delle gratuità. Come se non sapessero che i soldi per quelle gratuità ce li metterà comunque lo Stato. A differenza loro, noi diciamo la verità. Noi non siamo venditori di pentole, noi non siamo le Wanna Marchi della politica».

Meloni ironizza spesso sui suoi decibel e sulla sua propensione al grido che stanno ormai venendo meno. «Sono un po’ stanchina» dice. La presidente di Fratelli d’Italia è l’unica ad aver scommesso sui comizi vecchio stile, prima le piazze piene, che non fanno mai male, poi nell’urna chissà. Uno almeno per ogni regione, con l’obiettivo di tornare a Roma ogni 48 ore. «Fatemi andare a casa» dice a fine giornata. «Se non sono in grado di prendermi cura di mia figlia, come posso farlo con voi?». La scelta di affidarsi a grandi eventi, con le decine di pullman che arrivano anche dalle regioni limitrofe per fare massa, oltre a dimostrare una capacità di mobilitazione sul territorio da partito di una volta, richiede anche un certo sforzo fisico.

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I funerali della regina Elisabetta, il summit del secolo: un rebus diplomatico e di protocollo

lunedì, Settembre 19th, 2022

di Luigi Ippolito

Biden: mondo migliore grazie a lei. Mosca lamenta l’esclusione, il principe bin Salman rinuncia

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Joe Biden davanti al feretro di Elisabetta II (Lapresse)

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA — Il summit internazionale del secolo: con 500 dignitari di 200 Paesi, fra i quali circa 100 capi di Stato e di governo, i funerali di Elisabetta sono anche un grande evento diplomatico. Bisogna andare indietro alle esequie di Nelson Mandela, nel 2013, o a quelle di papa Giovanni Paolo II, nel 2005, per trovare qualcosa di simile: e sicuramente in Gran Bretagna l’unico precedente sono i funerali di Giorgio VI, il padre di Elisabetta, nel 1952.

Non ci si aspetta un grande gesto, come la stretta di mano fra Barack Obama e Fidel Castro ai funerali di Mandela, che avviò il disgelo tra gli Stati Uniti e Cuba: ma ieri, al ricevimento offerto a Buckingham Palace da re Carlo e dalla regina consorte Camilla, ci saranno stati approcci e conciliaboli che serviranno a far avanzare i rapporti futuri.

Gallery: Le foto dei leader arrivati a Londra per il funerale della regina Elisabetta II

È stato un momento più informale, quello di ieri a Palazzo, rispetto ai funerali di oggi: agli ospiti sono stati serviti drink e canapé nella Picture gallery, la pinacoteca reale che ospita inestimabili capolavori della pittura europea, prima di spostarsi nelle State Room. Il presidente americano Joe Biden, accompagnato dalla moglie Jill, è arrivato a bordo della sua auto ufficiale, mentre gli altri dignitari sono stati trasportati in autobus. Biden ha firmato il libro di condoglianze e ha reso omaggio alla regina che, ha detto, in qualche modo gli rammentava sua madre: «Il mondo è migliore» a motivo di Elisabetta, ha commentato il presidente.

Un raduno simile non poteva essere esente da problemi. Forti critiche aveva suscitato l’invito al principe saudita Mohammed bin Salman, implicato nell’assassinio del dissidente Jamal Khashoggi: e alla fine lui ha rinunciato a venire. Mentre Mosca ha avuto l’ardire di definire «profondamente immorale» la decisione del governo britannico di non invitare il despota russo Vladimir Putin: «Un tentativo — ha detto la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova — di utilizzare la tragedia nazionale che ha toccato il cuore di milioni di persone in tutto il mondo, per scopi geopolitici per regolare i conti con il nostro Paese». Nemmeno i leader di Bielorussia, Birmania, Siria, Afghanistan e Iran sono stati invitati: la presenza della Cina pure ha suscitato malumori e alla fine Pechino ha inviato il vice-presidente.

Un altro rompicapo è stato il protocollo. Innanzitutto la diplomazia britannica ha dovuto convincere i dignitari stranieri ad arrivare in autobus, stamattina, all’abbazia di Westminster: ma si è dovuto fare un’eccezione per Biden, così come per il presidente francese Macron, che non vuole mai sentirsi secondo a nessuno, e per ragioni di sicurezza anche per il presidente israeliano. Incredibilmente, non si è lamentato l’imperatore del Giappone. «Non capisco tutta questa agitazione per il bus», ha commentato pragmatica la premier neozelandese, Jacinda Ardern.

Altro rebus è stata la disposizione dei posti a sedere nell’Abbazia. L’ordine di precedenza delle famiglie reali era semplice, basato sulla «anzianità» di regno, ma per i capi di Stato si è dovuto tenere conto delle sensibilità individuali e politiche: diversi leader arabi, per esempio, non avrebbero gradito di ritrovarsi a fianco agli israeliani.

Parallelamente a tutto questo, anche la neo-premier britannica Liz Truss ha avuto modo di tessere la sua tela diplomatica: significativamente, ha incontrato solo i leader della Anglosfera, cioè Canada, Australia e Nuova Zelanda (Biden lo vedrà mercoledì a New York, alle Nazioni Unite), oltre al premier irlandese . Una visione del mondo conseguente al fatto che Liz Truss, all’ultimo congresso conservatore, nel suo discorso non menzionò mai una volta l’Europa.

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Il Pnrr spacca il fronte della destra

domenica, Settembre 18th, 2022

Francesco Olivo

Le ultime fatiche di una campagna elettorale anomala sono cariche di ombre. Giorgia Meloni è ottimista, «guardate quanti siete», dice ai militanti pugliesi radunati davanti alla chiesa di San Ferdinando, dove Pinuccio Tatarella arringava le folle della destra barese. Meloni, però, fa politica da troppi anni per non sapere che le piazze piene sono solo una parte del lavoro, poi c’è il resto. Se da Bari il vento, fortissimo, è positivo, da Roma e Milano arrivano segnali che nascondono qualche insidia. Il problema è sempre il solito: gli alleati. Se Matteo Salvini ricorda ogni giorno che lui vuole lo scostamento di bilancio, scandalizzato perché «Giorgia tentenna», ora ci si è messo anche Silvio Berlusconi, che giovedì si è distinto sulla politica estera e ieri è tornato a smarcarsi, stavolta sul tema del Pnrr, che FdI vorrebbe rinegoziare. In linea con quanto detto da Mario Draghi due giorni fa Berlusconi ha spiegato: «Sarebbe gravissimo se per ridiscutere il Pnrr si mettessero a rischio risorse preziose che con tanta fatica abbiamo procurato per far ripartire l’Italia». E poi, ancora: «Aggiustamenti marginali naturalmente è del tutto ragionevole farli, in accordo con l’Europa – ha spiegato il leader di Forza Italia a Il Settimanale – alla luce di mutate condizioni, ma nulla più di questo. Ridiscutere il Pnrr sarebbe illogico e pericoloso, mentre non c’è nessun motivo vero per chiederlo».

Prima di salire sul palco di via Sparano, Meloni evita di entrare in collisione con il Cavaliere «non credo sia pericoloso», si limita a ribattere, spiegando poi che «non si tratta di una questione ideologica. Facciamo un’altra domanda: noi abbiamo i prezzi delle materie prime che sono aumentati sensibilmente. I bandi, secondo lei, avranno qualcuno o andranno deserti? I soldi devono arrivare a terra, è questo l’obiettivo mio». Qualche ora prima era stato Salvini a insistere sul tema dello scostamento. L’altra questione resta la politica estera, con Antonio Tajani che rimarca «noi di Forza Italia abbiamo sempre difeso lo Stato di diritto, la democrazia e la libertà». Un riferimento al voto sull’Ungheria del Parlamento europeo, dove FdI e Lega hanno difeso Orban. Interrogata sul tema, Meloni si spazientisce: «Io la campagna elettorale la sto facendo in Italia, mi fate parlare tutto il giorno dell’Ungheria. Ma secondo voi mi devo candidare in Ungheria?».

Ce n’è abbastanza perché qualcuno tra i dirigenti di FdI scorga l’ombra di una tenaglia. «Stanno facendo girare sondaggi farlocchi per mettere in discussione le ambizioni di Giorgia», dice uno dei fedelissimi della presidente prima che cominci il comizio. Meloni con i suoi non drammatizza, ritiene fisiologico che negli ultimi giorni di campagna elettorale ogni partito, specie quelli in difficoltà nei sondaggi come Lega e Forza Italia, cerchino di marcare il territorio. Fra quattro giorni i leader del centrodestra saranno a Roma sullo stesso palco per la manifestazione centrale della campagna elettorale. Lo sforzo più grande in piazza del Popolo sarà coordinare i comizi, operazione che non è così scontata a sentire le ultime uscite.

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“Solo quello galleggiante”. Ennesima figuraccia per Conte

domenica, Settembre 18th, 2022

Francesca Galici

Ennesima figuraccia di Giuseppe Conte, che fa emergere una volta di più (se mai ce ne fosse bisogno) l’ipocrisia e l’ignoranza del Movimento 5 Stelle e del suo leader. Tutto nasce da un’intervista a domanda multipla che Torcha ha fatto al capo del partito pentastellato. Sui rigassificatori, però, Giuseppe Conte dimostra di avere poche idee e anche confuse, visto che è riuscito a contraddire se stesso rispondendo a una domanda che prevedeva la risposta secca “sì” o “no”. Tra gli altri, il quesito posto a Giuseppe Conte è stato: “Rigassificatori a Piombino: sì o no?”.

A questa semplice domanda, alla quale l’ex premier avrebbe potuto rispondere semplicemente dicendo se fosse d’accordo o meno, Giuseppe Conte ha preferito addentrarsi in una spiegazione non richiesta che, per altro, aveva al suo interno una intrinseca contraddizione: “No, preferiamo quelli temporanei galleggianti“. Dov’è la contraddizione in questa risposta di Giuseppe Conte? Nel fatto che il rigassificatore che ha previsto il governo Draghi a Piombino è proprio uno di tipo temporaneo e galleggiante. Un po’ di coerenza, o di informazione riguardo uno dei temi fondamentali per il nostro Paese, non guasterebbe dalle parti del Movimento 5 stelle.

I grillini sbagliano anche a votare: sì “per errore” al rigassificatore

Il rigassificatore che è stato previsto a Piombino è tecnicamente una unità galleggiante di trasporto, stoccaggio e rigassificazione (Fsru). In parole povere, non è altro che un particolare tipo di nave, o in alternativa un sistema flottante ancorato, che riceve gas naturale liquefatto (gnl) a una temperatura costante di -160 gradi da parte delle navi di stoccaggio. Le unità Fsru lo riportano allo stato gassoso in modo tale da renderlo fruibile per l’immissione nella rete nazionale di trasporto. Si tratta dell’elemento terminale di un sistema che, proprio grazie alla possibilità di liquefazione del gas, permette l’esportazione dai Paesi in cui avviene l’estrazione. Il gas liquefatto è molto più semplice ed economico da trasportare e solo in sede di distribuzione viene riportato alla sua forma gassosa per l’utilizzo.

Il gas liquido viene facilmente stoccato all’interno dei serbatoi delle unità galleggianti e, in funzione del fabbisogno, viene deciso quanta parte di quello stock portare allo stato gassoso, immettendolo in uno scambiatore di calore che, solitamente, funziona con l’acqua di mare, la cui temperatura allo stato ambientale è sufficiente per riscaldare il gas portandolo allo stato gassoso. Scambiandosi calore, il Gnl e l’acqua di mare portano a termine il processo senza mai venire a contatto.

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Il circo di oggi e i pupazzi di ieri

domenica, Settembre 18th, 2022

Nicola Porro

La campagna elettorale è iniziata, ve lo ricorderete, con i nuvoloni di una nuova Marcia su Roma. Poi è stato il momento di una destra che avrebbe cancellato i diritti. Mai che si discuta di doveri, per carità. Il cambio della Costituzione, che gli stessi padri costituenti hanno previsto con procedure rigide e severe, è diventato un nuovo fantasma. Come se le riforme costituzionali precedenti (si pensi solo al pasticcio delle competenze concorrenti tra Regioni e Stato) siano passate in cavalleria, nonostante i danni che continuano a fare. Poi è stata la volta del rischio internazionale e della presunta incapacità dei prossimi temuti vincitori di avere buoni rapporti in Europa. La vittoria nella socialista Svezia di forze conservatrici, che hanno un piglio deciso nei confronti dell’immigrazione irregolare, ha poi smorzato gli animi e forse segnato un cambio di passo. Infine, l’arma totale: Putin. E i quattrini con cui avrebbe finanziato una ventina di Paesi in giro per il mondo.

È stata costruita una bolla fenomenale: simile a quella che in genere si forma quando la magistratura monta maxi retate a ridosso delle elezioni. Il premier Draghi ha persino parlato, non è il suo gergo, di «pupazzi prezzolati». E il venticello soffia. Un discorso, evidentemente, è porre una questione sull’efficacia delle sanzioni (l’Economist ci ha fatto la copertina), una cosa è insinuare il dubbio del mercimonio, per posizioni anche opinabili, ma non a gettone. Anche perché dalla calunnia fatta di insinuazioni è piuttosto complicato difendersi.

Purtroppo, o per fortuna, dopo il 25 settembre, chiunque vinca non si occuperà un solo istante di questi temi. Dovrà affrontare il grande inverno, come diceva quella serie tv. La gelata sulla produzione industriale e i prezzi fuori controllo. Tutto il resto segue. Ieri la Confindustria ha stimato tre punti percentuali di minor Pil, nel solo biennio 2022-2023. La situazione è più grave del previsto. Le imprese non sanno cosa succederà domani, ma sanno che oggi non riescono a produrre con questi costi dell’energia elettrica e del gas. In America e in Asia nulla di tutto ciò sta avvenendo. Tanto che i cassetti dei nostri imprenditori sono pieni di ordini a cui non possono rispondere, poiché produrre da noi talvolta è diventato impossibile per mancanza di materia prima, e talaltra è semplicemente troppo caro.

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Il raduno a Monza con 500 sindaci pd. Letta sfida la destra nella partita del Nord

domenica, Settembre 18th, 2022

di Maria Teresa Meli

Nel capoluogo della Brianza va in scena il «pride» dei primi cittadini dem. Prevista la partecipazione di Sala, Gualtieri, Nardella, Ricci, Gori e Lepore

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Data e luogo sono simbolici. Il 18 settembre, ossia il giorno della grande adunata leghista di Pontida. Monza, ovvero, come la definisce Enrico Letta, la «piazza della riscossa», perché in quella città, alle recenti amministrative, il centrosinistra ha conquistato la guida della città strappandola al centrodestra «contro tutti i pronostici».

Oggi a Monza andrà in scena il «pride» dei sindaci dem che hanno deciso di dare il loro sostegno al segretario in questo ultimo scorcio di campagna elettorale. Spiega Matteo Ricci, primo cittadino di Pesaro: «Sarà la piazza del buon governo e dei sindaci progressisti e riformisti che in questo momento rappresentano il 70 per cento dei sindaci italiani. Oltre 5 mila comuni sono governati da giunte di centrosinistra e quindi metteremo la nostra forza e la nostra energia in questo rush finale».

Saranno 500 i sindaci presenti. Letta li ringrazia e dice: «Questi sindaci di tutta Italia sono la migliore risposta alle sceneggiate populiste di Salvini con la salamella. La Lega nazionale è morta e il Capitano si è fermato proprio a Monza, simbolo del tracollo suo e della FI targata Ronzulli». E ancora: «Conte ha deciso di staccare la spina a Draghi con l’amico ritrovato Salvini. Oggi anche il Nord è contendibile. E non basta la litania sul terzetto dei presunti moderati della Lega — Giorgetti, Zaia, Fedriga — a far dimenticare ai ceti produttivi del Nord chi ha buttato giù Draghi. Peraltro se sono così moderati perché non hanno detto una sillaba sull’accordo col partito di Putin mai stracciato? Si sentono assolti ma sono coinvolti».

I sindaci del Pd saranno presenti in massa (arriveranno in 500), ma parteciperanno anche altri amministratori locali, come Stefano Bonaccini. All’Arengario di Monza interverranno un ventina di primi cittadini. Oltre a Ricci e Nardella, al responsabile Enti Locali Francesco Boccia, e, naturalmente, al segretario che chiuderà l’evento, prenderanno la parola, tra gli altri, Matteo Lepore, Antonio De Caro, Giorgio Gori, il neo sindaco di Monza Paolo Pilotto, Stefano Lo Russo, Roberto Gualtieri e Beppe Sala.

Sì, interverrà anche il sindaco di Milano che di recente ha fatto dichiarazione di voto a favore del Pd: «Buona parte del risultato si giocherà al Nord. E io voglio dare una mano». «Dovremo essere in tanti», si è raccomandato Letta, il quale sa che per i media il paragone tra Monza e Pontida sarà inevitabile, anche se la manifestazione dem non vuole essere una grande adunata: è tarata sugli amministratori. «Ribaltare i pronostici è ancora possibile», aggiunge il leader del Partito democratico per incoraggiare i suoi. Anche Ricci ne è convinto: «A Monza come a Verona, a Latina, e come in molti altri comuni, sembrava impossibile vincere e invece abbiamo vinto solo pochi mesi fa. Ovviamente la concomitanza con Pontida non è casuale perché al folklore della Lega contrapponiamo la serietà, il pragmatismo e i valori dei sindaci di centrosinistra».

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I sei leader sotto la lente: punti di forza e di debolezza per la corsa a premier

domenica, Settembre 18th, 2022

di Roberto Gressi (illustrazioni di Emilio Giannelli)

Il rush finale (in attesa di un ultimo coniglio dal cilindro)

Che fatica, ancora sette giorni di questa campagna elettorale sotto il sole che si trascina fino al verdetto di domenica 25 settembre, quando, dalle sette alle ventitré, si deciderà il destino della prossima legislatura. I leader le hanno provate un po’ tutte: dalla linea politica ai manifesti, dai comizi alle comparsate su TikTok, dalle camicette bianche alle cravatte rosse, dagli agguati ai sorrisi. Ora è il momento di sparare le ultime cartucce, cercando di correggere quello che è andato storto, e spostando le truppe dove si può spiazzare l’avversario. I punti di forza e le debolezze di partiti e schieramenti si sono ormai rivelati, ma c’è ancora tempo per le sorprese, perché un ultimo coniglio dal cilindro proveranno tutti a tirarlo fuori.

Da in altro a sinistra, in senso orario: Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi, Carlo Calenda, Giuseppe Conte ed Enrico Letta
Da in altro a sinistra, in senso orario: Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi, Carlo Calenda, Giuseppe Conte ed Enrico Letta

Meloni – Le parole rassicuranti, la zavorra di Orbán

I PUNTI DI FORZA
La avvantaggia il motto evangelico: il vostro parlare sia sì, sì, no, no, il di più viene dal maligno. Parole nette, anche se un po’ edulcorate, ma siamo pur sempre in campagna elettorale. Mai messe le mani nel fango, politica internazionale che rassicura gli Usa, eredità post fascista addomesticata, prima donna in grado di diventare premier non per concessione, vele sempre sopravento, anche nelle strambate, che in politica sono un obbligo.

Meloni - Le parole rassicuranti, la zavorra di Orbán

I PUNTI DI DEBOLEZZA
Rapporto a brutto muso con l’Europa di Germania e Francia, la zavorra del premier ungherese Orbán e un dubbio sul futuro dei diritti civili, un approccio con l’ambiente di tipo produttivista. Tutti elementi non necessariamente negativi, ma a doppio taglio. Alleati sgambettatori che si accinge a seminare con distacco abissale. Un po’ come il ciclista di una canzone di Paolo Conte, che stracciava tutti: «Ma la solitudine aumentava».

Salvini – I cavalli di battaglia e il fattore Russia

I PUNTI DI FORZA
Finalmente basta con la palla al piede del governo di Mario Draghi, governatori e Giancarlo Giorgetti a fare i portatori d’acqua che le liste sono tutte sue, via libera ai cavalli di battaglia di una vita, piatto, si dice a poker, sugli interessi del Nord, scudiero di balneari e tassisti, anche se c’è quella accidenti di Giorgia che fa concorrenza. Fa debito per scommettere tutto sul partito delle bollette, contando che gli dia un po’ di ossigeno.

Salvini - I cavalli di battaglia e il fattore Russia

I PUNTI DI DEBOLEZZA
Non ha trovato il paletto di frassino per fermare il vampiro che gli prosciuga perfino le valli bergamasche, la campagna del Sud gli è costata più soldati della battaglia di Borodino, gli Usa di lui non si fidano e l’Europa nemmeno. La vicinanza a singhiozzo alla Russia lo indebolisce e in casa non mancano gli accoltellatori per ora silenziosi. Si allena a stare sott’acqua, perché, insegna Califano, «nella palude si salva solo il coccodrillo».

Berlusconi – L’arma a doppio taglio dell’«usato sicuro»

I PUNTI DI FORZA
Punta tutto sull’usato sicuro: taglio delle tasse, pensioni minime a mille euro, un milione di alberi in più. Ma soprattutto investe sul suo prestigio internazionale. Amico degli americani, con il Ppe in Europa, contro l’autocrazia elettorale di Orbán, alla faccia degli alleati che vorrebbero fare un solo boccone di quasi trent’anni della sua creatura, Forza Italia. Attento al Sud, dove prova a saccheggiare la Lega in affanno.

Berlusconi - L’arma a doppio taglio dell’«usato sicuro»

I PUNTI DI DEBOLEZZA
Troppo usato, fosse anche sicuro. Qualche correzione di rotta, però tardiva, sull’invasione dell’Ucraina. L’abbandono da parte di compagne di una vita, come Gelmini e Carfagna, che con Carlo Calenda mettono la freccia e puntano a sorpassarlo. Un partito che magari prova a mettercela tutta ma soffre l’appannamento del vecchio leone. E lui che forse non se ne cura più tanto, perché è ovvio, «dopo di me il diluvio».

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L’equilibrio (perduto) dei poteri

domenica, Settembre 18th, 2022

di Sabino Cassese

Il governo che legifera, invece di indirizzare. Il Parlamento-legislatore interstiziale. L’amministrazione sempre più vincolata da troppe norme. I guardiani dello Stato distolti dalla loro autentica funzione. E la collettività che paga un costo complessivo altissimo

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L’aula della Camera (Milanesi)

Ultimi giorni di lavoro per il Parlamento eletto nel 2018. Si chiude la diciottesima legislatura dell’Italia repubblicana. Con quale bilancio? I parlamentari uscenti furono eletti con la legge Rosato del 2017, la stessa con la quale si voterà il 25 settembre prossimo. Una legge che ha introdotto una formula elettorale sbagliata, che costringe le forze politiche sia a competere, sia a cooperare, con i risultati schizofrenici che sono sotto gli occhi di tutti. Una legge che ha prodotto una legislatura con tre governi diversi, maggioranze diverse, orientamenti politici diversi.

Ma c’è di peggio. Il Parlamento-legislatore, in questo quinquennio, è stato pressoché assente: solo un quinto della legislazione è stato di iniziativa parlamentare e la metà degli atti con forza di legge è stata costituita da decreti-legge, cioè da provvedimenti governativi, che il Parlamento deve esaminare in tempi ristretti, perché dettati da necessità e urgenza. I numeri dell’attività legislativa del Parlamento diminuiscono ulteriormente se si considera che una buona parte delle altre leggi è costituita da atti «dovuti», quali le leggi di bilancio e quelle di ratifica di trattati internazionali. Inoltre, i governi hanno posto la questione di fiducia su decreti-legge 107 volte. A un governo la fiducia basterebbe, secondo la Costituzione, una volta sola, subito dopo la nomina.

Quindi, sei volte nei cinque anni passati, nei due rami del Parlamento, per i tre governi che si sono succeduti. Ma se il governo pone la questione di fiducia su una norma e ottiene un voto favorevole, il testo è approvato e tutti gli emendamenti parlamentari respinti. La questione di fiducia viene usata per compattare la maggioranza di governo, evitare l’ostruzionismo e i «franchi tiratori», e quindi accelerare l’approvazione delle proposte del governo. Un numero così alto di questioni di fiducia è il sintomo di una disfunzione del sistema parlamentare: il governo funziona sempre meno come comitato direttivo della maggioranza parlamentare o non sa «negoziare» con la sua maggioranza, e deve quindi ricorrere alla questione di fiducia per far cessare le voci dissenzienti.

Dunque, il governo è diventato legislatore e strozza sempre più la discussione parlamentare, nel corso della conversione in legge dei decreti-legge, con il ricorso alla questione di fiducia. Questo non vuol dire, però, che il Parlamento resti afono. Bisogna pagare un costo di questo vistoso spostamento dei poteri dalle assemblee all’esecutivo: i decreti-legge crescono di due terzi durante il tragitto parlamentare. Se le leggi le fa il governo, bisogna pur dare un contentino al Parlamento, lasciando che i parlamentari, ridotti a fare un mestiere diverso, gonfino i decreti-legge con disposizioni settoriali o microsettoriali, che rispondono alle richieste delle loro «constituencies» e preservano il loro potere negoziale.

Il quadro delle disfunzioni non termina qui. Si aggiungono altri protagonisti, i gabinetti ministeriali e le amministrazioni pubbliche. Questi si muovono in due diverse direzioni. Da un lato, cercano di spostare alla sede parlamentare decisioni che dovrebbero essere prese dalle burocrazie. Queste sono intimorite dalle originali e spesso eccessive iniziative di procure, penali e contabili, e mirano a trovare uno scudo nella legge (di conversione di decreti-legge). Dall’altro, anche le amministrazioni pubbliche sono composte da donne e uomini con le loro debolezze, aspirazioni, esigenze, e non è difficile per esse trovare una voce in uno o più parlamentari ben disposti.

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