Archive for Settembre, 2022

Verso le elezioni: FdI punta al 30% “per fare le riforme”, ma per la grande crisi apre a sponde

sabato, Settembre 10th, 2022

FRANCESCO OLIVO

ROMA. Con il vento in poppa, Fratelli d’Italia chiede un voto utile: «Se superiamo il 30% ci saranno riforme e stabilità». I sondaggi da oggi sono vietati, ma nei partiti di tabelle e numeri ne girano parecchi. Fratelli d’Italia ufficialmente non dichiara un obiettivo (non lo fa quasi nessuno), ma l’asticella viene messa molto in alto. La percentuale a cui si mira, ormai non è un segreto, è il 30% e anche oltre. Stravincere le elezioni serve almeno per due motivi: mettersi al riparo da eventuali sorprese sull’incarico assegnato dal Quirinale e soprattutto garantire la stabilità del futuro esecutivo.

Allo stesso tempo però da FdI arrivano messaggi rassicuranti verso la futura opposizione: «Giorgia non arriverà alla guida del Paese per fare la donna sola al comando – dice ad Avvenire Guido Crosetto, fondatore del partito e oggi ascoltato consigliere –. Per il bene dell’Italia, Giorgia Meloni chiamerebbe Letta senza nessuna esitazione, così come Conte o Calenda». Una frase che ha alimentato speculazioni e sospetti: «Non sentite già aria di nuove larghe intese? – ha osservato il presidente del M5s Giuseppe Conte – Lo diciamo chiaramente: no ad accozzaglie e larghe intese. Lo abbiamo fatto una volta perché il Paese era in braghe di tela, per senso di responsabilità noi non ci saremo». Uno scenario che dalle parti di via della Scrofa viene ritenuto assurdo: «Un conto è dire che cercheremo di dialogare sui temi strategici, energia, riforme istituzionali, Pnrr e politica estera – dice un alto dirigente di FdI –, un altro è governare insieme, questo non succederà mai». Siamo, del resto, nel momento forse più teso tra Pd e Fratelli d’Italia, che si rinfacciano accuse gravissime, che coinvolgono indirettamente anche il ruolo del capo dello Stato.

La questione preoccupa non soltanto il centrosinistra, ma anche gli alleati, perché gli analisti stanno notando che il principio dei vasi comunicanti, mai come adesso, sta funzionando. Detto in altro modo: i voti a Fratelli d’Italia arriveranno da Lega e Forza Italia. Se FdI sale quindi qualcun altro scende. Il ragionamento che si fa in via della Scrofa è questo: se il divario con gli alleati fosse grande nessuno avrebbe la forza di mettere in discussione la leadership di Meloni. Il senatore Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma di FdI e fedelissimo della presidente, la mette così: «Se superassimo il 30 per cento sarebbe un segnale importante, vorrebbe dire che gli italiani vogliono davvero il cambiamento, a cominciare dal presidenzialismo». Se FdI riuscisse a ottenere più dei due terzi dei voti della coalizione, i rapporti di forza tornerebbero quelli di Silvio Berlusconi con Umberto Bossi. Tra i dirigenti di FdI ci sono due scuole di pensiero, la prima crede che un crollo degli altri partiti della coalizione possa rappresentare un problema. L’altra, oggi prevalente, vede la prospettiva della “cannibalizzazione” degli alleati come un’opportunità. Dentro Forza Italia si vive con un certo fastidio la campagna molto polarizzata che sta portando avanti Meloni («Giorgia sta un po’ sulle sue», ha detto Berlusconi in uno dei suoi imperdibili video su TikTok).

La fiducia reciproca è solo di facciata e quindi in FdI si fa questo ragionamento: «Se gli alleati saranno impegnati in problemi interni, non ne vorranno creare a noi». Il riferimento è più a Matteo Salvini che a Berlusconi. Il leader della Lega ha aspettative molto alte, che diventeranno pretese dal 26 settembre: diventare ministro dell’Interno o vicepremier. Due ruoli che potrebbero creare problemi seri a Meloni.

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Dalla riforma dell’Irpef alla dote per i diciottenni, quelle promesse elettorali senza coperture

sabato, Settembre 10th, 2022

a cura di Niccolò Carratelli

Tutto bello, ma dove prendete i soldi per fare quello che dite? Domanda classica in campagna elettorale, quando si tende a promettere tanto, senza indicare quasi mai le relative coperture economiche. Secondo un’analisi di “Pagella politica”, più di 9 misure su 10 (il 96%) tra quelle portate avanti dai principali partiti sono prive di qualsivoglia indicazione sul reperimento delle necessarie risorse. Sono state isolate 328 proposte nei programmi dei quattro schieramenti (centrodestra, centrosinistra, Terzo polo e Movimento 5 stelle) e solo in 13 casi sono specificate, anche solo in linea generale, le possibili coperture. Ad esempio, sia nel programma del centrodestra che in quello del Partito democratico sono 88 le promesse che implicano una spesa per le casse dello Stato. Ma, se escludiamo le entrate attese dall’immancabile proposito della lotta all’evasione fiscale, comune a tutti i partiti, i soldi per far quadrare i conti non si sa bene da dove verranno recuperati. 

FRATELLI D’ITALIA – Riforma dell’Irpef con tre aliquote
32 miliardi il costo complessivo del taglio delle aliquote Irpef

Una riforma dell’Irpef con tre aliquote (contro le quattro attuali), flat tax «incrementale» al 15%, pensioni minime a mille euro, deduzioni per lo smart working e il lavoro femminile, assegno unico per i figli più robusto, quoziente familiare, deroghe strutturali alla legge Fornero e pace fiscale. Questa è la “Melonomics”, il programma economico della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che secondo i sondaggi è la candidata premier più accreditata a guidare il prossimo governo. I soldi per finanziare queste misure vengono presi dal reddito di cittadinanza e dal disboscamento delle “tax expenditure”. La riforma fiscale è il capitolo sicuramente più oneroso, visto che il ministero dell’Economia ha sempre stimato in 4 miliardi di euro il taglio di ogni punto delle aliquote. Meloni immagina la prima aliquota Irpef al 23%, la seconda al 27 e la terza al 43%: il che significa un taglio di 6-8 punti rispetto al sistema in vigore e quindi un costo di 32 miliardi. La flat tax «incrementale», invece, funziona così: l’aliquota del 15% si applica solo sulla quota di reddito imponibile che supera il livello dell’anno precedente.
Luca Monticelli

LEGA – Flat tax e quota 41, i cavalli di battaglia
23 miliardi la spesa annuale a regime per fisco e pensioni

Il primo banco di prova per il prossimo governo sarà la riforma della previdenza perché a dicembre scade Quota 102, che consente l’uscita anticipata dal lavoro con 64 anni di età e 38 di contributi. La proposta della Lega per superare la legge Fornero è Quota 41, ovvero consentire il pensionamento una volta raggiunti i 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età. Il Carroccio prevede 800 mila beneficiari nel triennio e sostiene di coprire la norma con la revisione del reddito di cittadinanza. La misura è vista con favore dai sindacati, ma ha un costo elevato per le casse dello Stato. Secondo l’Inps le coperture necessarie ammontano a 4 miliardi nel primo anno, e arrivano a superare i 9 in un orizzonte decennale. Più pessimista l’economista Tito Boeri, che a questo giornale ha parlato di una spesa per Quota 41 pari a 10 miliardi. L’altro pilastro del programma economico di Matteo Salvini è la Flat tax al 15%. La Lega stima un costo di 13 miliardi e prevede di attuarla in due step: prima l’estensione delle tassa piatta alle partite Iva fino a 100 mila euro di reddito (oggi si ferma a 65 mila); poi a dipendenti e pensionati fino a 70 mila.
Luca Monticelli

FORZA ITALIA – Pensioni minime, obiettivo 1000 euro
31 miliardi, costo totale per pensioni, flat tax e casalinghe

Forza Italia condivide l’idea della flat tax leghista ma immagina un’aliquota più alta, al 23%. Il progetto più ambizioso di Silvio Berlusconi, però, è rivolto alle pensioni minime e di invalidità che ritiene debbano essere portate a mille euro per tredici mensilità. Inoltre, Forza Italia pensa anche a riconoscere un assegno per le casalinghe che non hanno versato contributi. Idee che appaiono insostenibili per i conti dell’Inps. Per l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica queste misure supererebbero i 31 miliardi di euro. Forza Italia non individua coperture certe per la riforma delle pensioni, e come la Lega vede nella revisione del reddito di cittadinanza la possibilità di recuperare un tesoretto da investire.

Berlusconi suggerisce poi una sanatoria sulle multe stradali con il pagamento del 10-20% della sanzione. Inoltre, per il futuro, suggerisce un tetto alle contravvenzioni che non possono superare i 200 euro per chi ha un reddito inferiore ai 1.200 euro al mese. Capitolo inflazione. L’ex premier sostiene che un governo di centrodestra debba farsi carico di una quota importante degli aumenti del gas.
Luca Monticelli

PARTITO DEMOCRATICO – Una mensilità in più e dote ai diciottenni
28 miliardi, le risorse per cuneo fiscale, 18enni e docenti

Tra le promesse che Enrico Letta non manca mai di citare c’è la famosa «mensilità in più». Cioè l’aumento degli stipendi netti, con il taglio del cuneo fiscale, da finanziare attraverso il presunto «recupero dell’evasione». A regime, serve una copertura per circa 19-20 milioni di lavoratori dipendenti moltiplicato per mille euro annui. Sono circa 19 miliardi, oltre un punto di Pil, se a beneficio di tutti i dipendenti. Si prospetta costoso anche il progressivo «superamento dell’Irap», che gli altri partiti vorrebbero proprio cancellare. Poi c’è l’introduzione del salario minimo, fissato in 9 euro all’ora, o la conferma della formula zero contributi per le assunzioni a tempo indeterminato degli under 36. Fino all’introduzione della dote da 10 mila euro per i diciottenni, che è stata ipotizzata per 280 mila ragazzi all’anno (circa la metà di quelli che diventano maggiorenni), per un costo complessivo di 2 miliardi e 800 milioni. Qui la copertura c’è: aumento delle tasse di successione, per i patrimoni «superiori ai 5 milioni di euro». Ulteriore promessa pesante, quella di portare in cinque anni gli stipendi dei docenti italiani al livello dei colleghi europei, con un impegno per l’erario tra i 6 e gli 8 miliardi.

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L’ultimo viaggio di Lilibet

sabato, Settembre 10th, 2022

Alessandra Rizzo

LONDRA. Il Regno Unito si prepara a dare l’estremo saluto alla sua Regina con un cerimoniale meticolosamente pianificato dalla casa reale e dalla stessa Elisabetta: 10 giorni di eventi intrisi di tradizione che vedranno i resti mortali della monarca intraprendere l’ultimo viaggio, dall’amata Balmoral in Scozia a Londra, tra processioni, salve di cannone e campane suonate a morto. Fino al funerale di Stato, che porterà nella capitale capi di Stato da tutto il mondo. Tra loro, il presidente Mattarella e Joe Biden.

Il lungo addio a Elisabetta darà tempo ad un Paese sotto choc di commemorare la regina alla fine di un periodo storico, e di abituarsi alla nuova era post-elisabettiana, mentre Carlo viene ufficialmente proclamato Re e intraprende brevi viaggi nei quattro angoli di quello che è diventato il suo Regno.

Intanto Elisabetta è stata ricordata in una cerimonia solenne ai Comuni, preceduta da un minuto di silenzio, con un’aula gremita di deputati vestiti a lutto, il capo chino in segno di rispetto. In un clima di commozione, hanno ricordato Elisabetta come una figura storica, quasi credendola «eterna», per usare le parole di Boris Johnson, ma anche come una donna pragmatica e senza fronzoli, nonostante il lusso e il privilegio nei quali è vissuta. L’ex premier, in un bel discorso, ha ricordato come Elisabetta amasse guidare da sola nelle campagne scozzesi «a velocità allarmante» tra lo stupore dei sudditi, lei che nemmeno aveva avuto bisogno di prendere la patente di guida (erano rilasciate in suo nome); o di quanto si fosse divertita all’idea che all’epoca delle Olimpiadi del 2012, quando Johnson era sindaco di Londra, alcuni governanti mediorientali si rivolsero a lui convinti che Sua Maestà si fosse davvero lanciata dall’elicottero con il suo tailleur rosa, nel famoso spot girato assieme a 007, al secolo Daniel Craig, per la cerimonia inaugurale. Ma Johnson ha anche espresso ammirazione per la «statista e diplomatica», sottolineando come nell’ultima udienza di martedì scorso, quando lui ha rassegnato le dimissioni da primo ministro, Elisabetta fosse lucida e come sempre interessata agli sviluppi politici.

Theresa May, altra ex-premier, ha messo l’accento sulla pragmaticità di Elisabetta: ha raccontato il suo imbarazzo quando, nel corso di un picnic a Balmoral, May fece cadere del formaggio da un piatto di portata, per poi rimetterlo subito furtivamente al suo posto. «Mi voltai e mi resi conto che la Regina aveva visto ogni mia mossa. Mi sorrise, e quel formaggio rimase lì», ha raccontato. Nel ricordare le udienze settimanali da premier con Elisabetta, ha sottolineato come non fossero «incontri con una potente monarca ma conversazioni con una donna con esperienza e straordinaria saggezza».

Per ora la salma di Elisabetta resta a Balmoral, la tenuta scozzese dove è morta govedi’ pomeriggio circondata dalla famiglia. In Scozia la Regina era molto amata nonostante le istanze indipendentiste: a detta di molti osservatori, le sue parole prima del referendum sull’indipendenza nel 2014 («pensate attentamente al vostro futuro», aveva detto ai sudditi) hanno contribuito a salvare l’Unione. Gli scozzesi hanno continuato a lasciare fiori e tributi ai cancelli del castello, così come al Palazzo di Holyroodhouse, la sua residenza ufficiale a Edimburgo: famiglie con bambini, tante persone per condividere un ricordo di una monarca che li ha accompagnati da lontano in ogni momento della vita. «È stata una donna straordinaria per 70 anni di regno, volevamo solo renderle omaggio», racconta un uomo venuto con la figlia di due anni, Elizabeth. «L’abbiamo chiamata così dal nome di sua nonna e della nostra Regina», dice. Mentre a Edimburgo suonano 96 salve di cannone, una per ciascuno degli anni di vita di Sua Maestà.

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La strada difficile per convincere gli astenuti

sabato, Settembre 10th, 2022

di Paolo Mieli

Letta forse teme che Calenda e Conte gli portino via voti. Ma sarebbe una preoccupazione infondata

Si deve dar atto a Enrico Letta d’esser stato di parola. Giurò, all’inizio del suo mandato, che mai avrebbe additato i nemici politici come potenziali eredi di Benito Mussolini. E ha mantenuto la promessa. Anche in questi giorni, malgrado le apparenze: il suo allarme per la Costituzione è cosa ben diversa da quelli fatti risuonare da leader della sinistra nei quindici anni iniziali della cosiddetta Seconda Repubblica. Dal 1994 al 2008, a ogni tornata elettorale, molti predecessori di Letta hanno sostenuto che, qualora avesse vinto il centrodestra, l’Italia sarebbe stata risucchiata da quel «fascismo eterno» o «Ur-fascismo» di cui parlò Umberto Eco in una celebre conferenza nel ’95 alla Columbia University. Talché dalle sue parti, per più di un decennio, si ritenne necessario, anzi doveroso, metter su una coalizione qualsiasi, anche la più eterogenea, pur di far barriera contro le aspirazioni del «cavaliere nero». E, ogni volta, quando si avvicinava il momento di deporre la scheda nell’urna, alcuni intellettuali annunciavano l’intenzione — avesse vinto il «caimano» — di seguire l’esempio di don Sturzo e Salvemini: tutti avrebbero imboccato la via dell’emigrazione (ma poi quasi nessuno lo fece davvero). Trascorsi due o tre quinquenni, i più compresero che tali apprensioni erano probabilmente eccessive. E che rispolverarle in occasione di ogni campagna elettorale poteva rivelarsi controproducente. Così, da una quindicina d’anni, il rito dell’evocazione della dittatura fascista è stato tenuto in vita solo da un’esigua minoranza.

Letta non ha voluto far parte di questa minoranza. Esplicitamente. Ha resistito alla tentazione di approfittare dell’occasione d’oro che si è presentata con la ricorrenza dei cent’anni dalla marcia su Roma. E non ha ritenuto di insistere sulla formazione di Giorgia Meloni nel Fronte della gioventù. Quando, negli ultimi giorni, ha lanciato l’allarme sulla deriva autoritaria, voleva attirare l’attenzione su qualcosa di assai diverso. Voleva attirare l’attenzione sul rischio che, alle elezioni del 25 settembre, il centrodestra conquisti un numero di parlamentari che gli consenta di cambiare la Costituzione senza che la modifica debba poi essere sottoposta a un referendum. Pur sempre un allarme, ma differente da quelli del ’94 e del successivo decennio.

C’è una cosa però che risulta poco chiara. Come mai Letta s’è accorto di questa eventualità solo adesso, a poco più di due settimane dal voto? Sarà stato pure negli anni scorsi affaccendato a Parigi, ma davvero non aveva notato che molti degli attuali dirigenti, parlamentari e candidati del partito di cui è stato richiamato alla guida avevano voluto e votato l’attuale sistema elettorale? E che avevano poi approvato a scatola chiusa la drastica riduzione del numero di senatori e deputati? Davvero tutto ciò è riconducibile al solo Matteo Renzi? La verità è che, quando nel 2019 si formò il governo Conte II, il M5S pose ai piddini delle condizioni e le fece rispettare. Al Pd fu sufficiente prender posto nei ministeri. Si fece promettere, è vero, il varo di un nuovo sistema elettorale, ma poi il partito all’epoca guidato da Nicola Zingaretti fu tutt’altro che testardo nell’esigere il mantenimento di quell’impegno.

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Covid, come si può prenotare per i vaccini bivalenti e a chi sono consigliati

sabato, Settembre 10th, 2022

di Margherita De Bac

Lunedì via agli appuntamenti ai vaccini che contengono due ceppi del virus sars CoV-2. In arrivo 18,9 milioni di dosi

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Cosa sono i nuovi vaccini?
Si chiamano bivalenti (adeguati o aggiornati) perché contengono due ceppi del virus Sars CoV-2, quello originale isolato all’inizio del 2020, e Omicron BA.1, comparso come variante a novembre del 2021 e diventato prevalente con le sottovarianti BA.4 e 5, molto simili per caratteristiche, che oggi sono responsabili del 90% delle infezioni. Ambedue i vaccini sono sviluppati con la tecnologia dell’Rna messaggero, prodotti dalle aziende Moderna e Pfizer/Biontech. Approvati il primo settembre dall’agenzia europea del farmaco Ema e ratificati lunedì 5 settembre dalla nostra Aifa.

Quando saranno disponibili in Italia?
Da lunedì 12 settembre le Regioni apriranno le prenotazioni. Basterà fissare l’ appuntamento attraverso i siti regionali scegliendo tra centri vaccinali e farmacia. Entro questo mese arriveranno 18,9 milioni di dosi, cui seguiranno altre consegne. Le Regioni hanno già ricevuto le prime scorte.

Chi può vaccinarsi?
I nuovi vaccini sono offerti gratuitamente a tutti i soggetti oltre i 12 anni, senza preclusioni. In teoria dunque tutti potrebbero richiederli per fare i richiami, ma su questo punto il ministero darà indicazioni più dettagliate.

A chi sono raccomandati?
Il ministero della Salute raccomanda la vaccinazione in via prioritaria alle persone a rischio di sviluppare la malattia grave da Covid e potenzialmente fatale: fragili (con patologie croniche) over 60, ospiti e operatori delle residenze sanitarie per anziani, oltre a loro personale sanitario e donne incinte, come indicato anche da Ema e dall’agenzia europea per il controllo delle malattie infettive. Ulteriori indicazioni strategiche nell’ambito della campagna vaccinale potrebbero essere decise nelle prossime settimane sulla base dell’andamento dell’epidemia.

Quando fare il richiamo con i nuovi vaccini?
Bisogna aspettare almeno quattro mesi dall’ultima dose ricevuta, anche se il ciclo primario è stato completato utilizzando composti di altre aziende, quindi AstraZeneca e Janssen.

E se ho avuto l’infezione naturale?
Aspettare almeno 4 mesi prima del richiamo. L’ulteriore dose serve a rafforzare la protezione contro le forme gravi di malattia.

Cosa devo fare se ho già ricevuto la quarta dose utilizzando i vaccini tradizionali oppure se ho fatto tre dosi e ho avuto successivamente l’infezione?
Su questo il ministero deve ancora esprimersi.

I vaccini tradizionali, monovalenti, contenenti il ceppo di virus originale, continueranno ad essere somministrati?
Si, ma limitatamente a prima e seconda dose. Restano sempre efficaci nel proteggere da sintomi gravi. Le scorte rimanenti, circa due milioni in Italia, potrebbero essere donate ai governi africani. Il quantitativo destinato all’Italia è stato stabilito dall’Ue.

I nuovi vaccini prevengono il contagio?
No, proprio come quelli tradizionali non evitano il contagio. Si può contrarre il virus e trasmetterlo ad altri contatti. Ecco perché il direttore della Prevenzione del ministero della Salute Giovanni Rezza parla di cambio di paradigma. Si pensava di poter bloccare la circolazione del virus immunizzando larga parte della popolazione. Invece il Sars-CoV-2 ha acquisito nel tempo la capacità di aggirare le difese del sistema immunitario. Quindi ora l’obiettivo è la difesa dalle forme gravi attraverso il rilancio della campagna vaccinale. È imminente l’arrivo di vaccini contenenti la sottovariante di Omicron, la BA.1.

CORRIERE.IT

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Il discorso di Carlo III: «Vi servirò come mia madre»

sabato, Settembre 10th, 2022

di Luigi Ippolito

L’incontro con la folla a Londra (e il bacio di una donna), poi il colloquio con la premier Truss e le prime parole da sovrano

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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA – Una giornata carica di parole, gesti e significati, quella affrontata ieri dal nuovo re Carlo III: che si è presentato ai sudditi e al mondo per dare un assaggio iniziale di quale potrà essere il suo regno, dopo i 70 anni della seconda era elisabettiana.

Il primo bagno di folla c’è stato ieri mattina, davanti a Buckingham Palace, dove Carlo e la consorte Camilla sono arrivati a bordo di una Rolls-Royce d’epoca, appena sbarcati dal volo che li aveva riportati a Londra da Balmoral. Il nuovo re è sceso dalla macchina e si è avviato verso una folla di migliaia di persone che premeva contro le barriere e scandiva «God save the King», Dio preservi il Re: Carlo non si è sottratto all’abbraccio e per 15 minuti ha sfilato a salutare i sudditi, stringendo le mani quasi ad una ad una. E, segno in qualche modo di un nuovo stile, non ha fatto una piega quando una donna lo ha abbracciato e gli ha stampato un bacio sulla guancia. Poi dalla folla si è levato, spontaneamente, il canto dell’inno nazionale: un simbolico momento di passaggio dal cordoglio per la scomparsa di Elisabetta, che aveva aleggiato per tutta la mattinata, al saluto per il nuovo re e per il futuro del Regno.

Carlo, accompagnato da Camilla, che fino a quel momento si era tenuta in disparte, col volto commosso, è dunque entrato a Buckingham Palace dove ha ricevuto per la prima udienza Liz Truss, la nuova premier anche lei in carica solo da qualche giorno: «Un momento che tanto avevo temuto», lo si è sentito dire riferendosi alla morte della madre.

Fuori, sessantadue salve di cannone davano l’ultimo saluto alla regina scomparsa, cui prima era andato il tributo del Parlamento: l’ex premier Boris Johnson l’ha chiamata «Elisabetta la Grande», che «ha lavorato così duramente per il bene del suo Paese non solo adesso ma per le generazioni a venire».

Il momento più importate della giornata è stato però il discorso di Carlo, che era stato registrato qualche ora prima ed è stato trasmesso alle 6 di sera, all’inizio di un servizio religioso che si è svolto nella cattedrale di St Paul.

Un discorso tenuto nel solco di Elisabetta: il nuovo re Carlo, rivolgendosi per la prima volta ai sudditi, ha fermamente indicato che condurrà la monarchia nella direzione tracciata da sua madre, che ha saputo coniugare «amore costante per la tradizione e accoglienza senza paura del progresso». E ha richiamato e fatta propria la promessa di Elisabetta 21enne, che giurò di dedicare la sua vita al servizio dei suoi popoli: «Dovunque voi possiate vivere nel Regno Unito, o nei regni e territori nel mondo, e qualunque siano il vostro retroterra e il vostro credo, prometto di servirvi con lealtà, rispetto e amore», ha proclamato il nuovo sovrano.

Buona parte del suo discorso è stato un tributo alla regina defunta e alla madre scomparsa: quella di Elisabetta, ha detto, è stata «una vita ben vissuta, una promessa col destino mantenuta». «La sua dedizione e devozione come sovrana -— ha aggiunto — non ha mai vacillato, attraverso momenti di cambiamento e progresso, di gioia e celebrazione, di tristezza e perdita».

Ma Carlo ha dato anche indicazioni importanti per il futuro. Ha ricordato che quando Elisabetta salì al trono, la Gran Bretagna viveva ancora «in base alle convenzioni dei tempi passati», mentre nei successivi 70 anni è diventata «una società di molte culture e molte fedi». E tuttavia «i nostri valori sono rimasti, e devono rimanere, costanti».

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Carlo III, la nuova missione del re «romantico» che ama verde e arte

sabato, Settembre 10th, 2022

di Enrica Roddolo

Carlo, primo sovrano laureato, è stato tra i precursori dell’ambientalismo: «Dicevano che ero matto». Ora avrà meno tempo per le sue battaglie

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«Quando ho iniziato a occuparmi di sostenibilità dicevano che ero matto». Così Carlo III ha ricordato le sue prime battaglie sostenibili. Nel 2020 a Davos ha incontrato l’attivista Greta Thunberg: lui più che settantenne, lei appena sedicenne. Quando Carlo iniziò la sua battaglia per salvare il pianeta, lei non era neppure nata. Adesso che Carlo è re e ha parlato per la prima volta al Paese — gli occhi lucidi e la voce rotta quando ha affidato la madre all’abbraccio degli angeli — ammette che in futuro non riuscirà più a dedicare tanto tempo a molte delle sue charity, delle sue battaglie.

Ma la sostenibilità per il nuovo re è la visione proiettata verso il futuro: quello sguardo lungo che ogni buon leader deve avere. Ed è al tempo stesso amore della natura, dei fiori, degli orti, degli allevamenti sostenibili. Passioni condivise con Camilla, la compagna ora regina consorte, che gli ha regalato serenità, fiducia. Dopo l’amore iniziato come una favola controversa e finito in tragedia, con Diana, giusto 25 anni fa. Non a caso è Highgrove, il suo buen retiro, il suo luogo dell’anima. Parlando della tenuta dove coltiva in modo biologico e alleva anche gli animali dai quali ricava il prosciutto di cui è ghiotto e il suo amato culatello, il nuovo re che il Corriere incontrò durante un paio delle sue visite italiane, disse essere quello il suo orgoglio, la sua soddisfazione.

Pur ammettendo che il suo angolo del cuore, nel Regno Unito, è la Scozia, come per la madre Elisabetta. E proprio a Highgrove ha lanciato nel 1990 la sua linea di prodotti organici, Duchy Originals. Antesignana delle linee di alimentazione bio. Estimatore anche di un buon vino, in «servizio», nei royal engagements, si concede solo acqua con una fetta di limone, Camilla accetta invece un calice. Inevitabile così che per Carlo III, l’Italia sia un’altra grande passione. Le nostre colline catturate dai suoi acquarelli. «Anche Sua Altezza dipinge, paesaggi ad acquarello, vero?», domandammo incontrandolo fra gli stucchi del teatro La Fenice a Venezia. «Oh, veramente sono soltanto un amateur, un dilettante» si schermì lui, e forse era un understatement, dato che pare abbia anche esposto alla Summer Exhibition della Royal Academy of Arts di Londra, sotto pseudonimo. Nei circoli dell’aristocrazia si dice che il nuovo re firmi le sue opere Arthur George Carrick, nom de plume ispirato da uno dei suoi mille titoli e da uno dei tanti nomi con il quale è stato battezzato con l’acqua del fiume Giordano nella Music Room a Buckingham Palace. Primo bebè reale a frequentare la scuola (e non i precettori). Anche l’odiata Gordonstoun scelta da papà Filippo. E primo sovrano laureato.

Un re che ama l’arte. «Quante volte, bambino, mi sono fermato davanti ai quadri del Canaletto appesi nelle stanze di Windsor…», disse in visita a Venezia anni fa. E odia le opere delle archistar: famoso il suo discorso in cui ne parlò come di un «monstrous carbuncle», di grande foruncolo sul viso dell’amata Londra. Ama invece i borghi antichi e si vanta di indossare ancora oggi i completi di quand’era ragazzo, cura le scarpe con maniacale attenzione. Il suo abbigliamento è insomma sostenibile per definizione ed è una delle personalità più eleganti al mondo. «Indossa molto bene la dinner jacket a doppiopetto. Apparentemente tradizionale in fatto di stile, in realtà è un amante delle sperimentazioni: certi tweed che osa il nuovo re sono davvero audaci. Come Edoardo VII, che pure lui attese a lungo il trono, anche Carlo è un vero dandy», spiega al Corriere Simon Cundey di Henry Poole, in Savile Row dove è nato lo smoking. Ma poiché l’eleganza per Carlo fa il paio con la sostenibilità, a titolo dimostrativo, ha persino sepolto un suo maglione di pura lana merino nel giardino di Clarence House: per dimostrarne la biodegradabilità. Dopo aver provato a incendiarlo: per illustrare le qualità ignifughe della lana. Così per sensibilizzare il mondo, la Campaign for Wool sostenuta da Carlo ha portato le pecore in Savile Row a Londra e a Milano.

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Cosa perde l’Italia se cambia il Pnrr

venerdì, Settembre 9th, 2022

Veronica De Romanis

È possibile modificare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) come proposto dal centrodestra? Certamente, lo prevede il regolamento (articolo 21). La strada da percorrere, tuttavia, non è semplice. Devono sussistere delle “circostanze oggettive” che ne rendano la realizzazione “in tutto o in parte” impossibile. Successivamente, la Commissione valuta il Piano modificato e presenta “una proposta per una nuova decisione di esecuzione del Consiglio entro due mesi”.

Nel caso specifico dell’Italia, una revisione mirerebbe a ottenere ulteriori finanziamenti. Il motivo è spiegato nel programma congiunto di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia: i costi dell’energia sono lievitati, gli investimenti pattuiti sono difficilmente attuabili. Convincere i partner europei non sarà facile. Il nostro Paese ha già ottenuto 191 miliardi. La fetta più grande. Per fare un esempio, alla Spagna sono stati assegnati 70 miliardi, alla Francia 41 e alla Germania 28.

Il governo ha deciso di utilizzare la totalità delle risorse a disposizione. A cominciare dai prestiti, circa 121 miliardi: solo la Grecia e la Romania hanno seguito il nostro esempio. Si potevano – certamente – fare altre scelte. Più prudenti. La Polonia, il Portogallo, la Slovenia e Cipro hanno deciso di impiegare solo una parte della loro quota di prestiti europei. Altri Stati come la Francia, la Germania e la Spagna hanno, invece, preferito non indebitarsi affatto. Hanno, quindi, scelto di spendere solo i sussidi, ossia i finanziamenti che non devono essere restituiti.

È bene ricordare che i prestiti europei vanno a incrementare lo stock di indebitamento nazionale. In particolare, quello italiano cresce – in rapporto al Prodotto interno lordo – di circa sette punti percentuali. Data questa situazione, quale potrebbe essere la reazione degli altri leader a fronte di una richiesta di cambiamento del Piano? È difficile immaginare che possano essere disposti a erogare nuovi sussidi o nuovi prestiti: un debito in continua crescita rappresenta un fattore di vulnerabilità per noi e per l’intera Unione. La risposta più probabile che potremmo ricevere da Bruxelles è quella di una riduzione del numero dei progetti.

A questo stadio, scegliere quali investimenti eliminare non sarebbe facile, soprattutto dal punto di vista politico. L’alternativa sarebbe quella di utilizzare risorse proprie. Lo abbiamo già fatto predisponendo un fondo di trenta miliardi. Sempre a debito. Ricorrere a un nuovo scostamento, tuttavia, non è una strada percorribile. La stessa Meloni la esclude. I nuovi finanziamenti andrebbero, pertanto, trovati all’interno del bilancio dello Stato attraverso una ricomposizione della spesa. Ossia, una spending review.

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Verso il voto, Calenda: “Con terzo Polo al 12% il governo di destra non si formerà”. Calderoli: “E’ la volta buona per il presidenzialismo”

venerdì, Settembre 9th, 2022

La campagna elettorale si intreccia sempre più con l’emergenza energetica, riassunta questa mattina dal commissario Gentiloni: «Ci aspetta un autunno di incertezza senza precedenti». I leader dei partiti girano l’Italia a caccia di consensi tra promesse e polemiche mentre il governo Draghi continua a lavorare per assicurare agli italiani nuovi aiuti. All’extragettito che l’esecutivo ha definito ieri (6,2 miliardi) si aggiungeranno altre risorse per un «tesoretto» complessivo che dovrebbe aggirarsi attorno ai 12/13 miliardi: ma il tutto dovrà passare al vaglio del Parlamento, all’inizio della prossima settimana. 

Intanto gli ultimi sondaggi (da oggi non sarà più possibile pubblicarne altri fino al 25 settembre) certificano l’ascesa di FdI, al 24,7, +0,1 (con Giorgia Meloni sempre più convinta di poter diventare premier) , il Pd al 21,8 (-1,3), il M5S al 13 (+0,7), la Lega all’11,8 (-0,7), Azione-Italia Viva-Calenda al 7,8 (+0,4), Forza Italia-Berlusconi 7,2 (+0,2)

Il Podcast del direttore – Nel mondo si piange per Elisabetta in Italia Giorgia “pronta a governare”

Il Punto – Il Pd, il “campo vago” delle alleanze e la ricerca di un’identità di sinistra

L’analisi – Verso il voto, le spine di Mattarella

Gli aggiornamenti

10.10 – Carfagna, Renzi e i sauditi? Scelta personale, in Italia ha fatto tanto

«È una scelta che ha fatto Matteo Renzi, può essere condivisibile o meno. Io non l’avrei fatta ma è una scelta personale». Lo ha detto su Radio Capital il ministro per il Sud ed esponente del Terzo polo, Mara Carfagna, rispondendo a una domanda sulle critiche all’ex premier per i suoi rapporti con l’Arabia Saudita. «Io vedo anche quello che Renzi ha fatto in Italia per i diritti: senza dubbio molti dei provvedimenti che hanno rappresentato un punto di avanzamento per i diritti civili e per le donne sono stati approvati nel corso del governo Renzi», ha aggiunto Carfagna citando le unioni civili, «che – ha ricordato – sono passate anche con il mio voto favorevole».

09.24 – Calenda, Terzo Polo oltre 12% e no governo destra
«Penso che, come Terzo Polo, supereremo di parecchio il 12 per cento e quello che succede in questo caso è che non si formerà il governo di destra». Sara’ Draghi a deciderlo ma «sarebbe quasi naturale andare avanti con Draghi». “Di fronte allo tsunami in cui ci troviamo ci vogliono qualità starodinarie per andare avanti». Lo ha detto il leader di azione, Carlo Calenda, al Tg1

09.02 – Berlusconi, sinistra spudorata accusa FI crisi Draghi
«Draghi e’ stato fatto cadere dai Cinque Stelle che sono usciti dalla maggioranza del Governo di unita’ nazionale con la complicità del partito Democratico». Lo sottolinea il presidente di Forza italia, Silvio Berlusconi, alla ‘Gazzetta di Parma’. «Noi avevamo proposto a Draghi, con un atto parlamentare, di andare avanti senza i grillini fino a fine legislatura. Chi ha deciso di dare le dimissioni è stato lo stesso Draghi. Ma le sinistre sono cosi’ spudorate da accusare noi. Davvero incredibile», aggiunge

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Ha onorato la sua promessa

venerdì, Settembre 9th, 2022

di Beppe Severgnini

Elisabetta è stata in qualche modo la sovrana di tutti noi ed è sempre stata fedele a se stessa, al punto di sembrare, talvolta, anacronistica

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(LaPresse)

Elisabetta II non è stata soltanto la monarca del Regno Unito: è stata la regina di tutti noi, la sovrana per antonomasia. È in arrivo, inevitabilmente, un diluvio di dispiacere, nostalgia e retorica: quella piccola, grande donna ha accompagnato la vita di quattro generazioni, e ognuno elabora il lutto a modo suo. Occorre essere cauti, tuttavia. Un regno lungo settant’anni è talmente portentoso da sconsigliare riassunti frettolosi. La storia non si legge con gli occhi lucidi. Ma anche con gli occhi lucidi, e il cuore pesante, è possibile cercare di capire cosa ci lascia in eredità.

Per prima cosa, una lezione di coerenza. Elisabetta II è sempre rimasta fedele a se stessa, al punto da sembrare, talvolta, anacronistica. Ma l’affetto che si percepisce in queste ore dimostra che non è necessario essere sempre di moda per guadagnarsi stima e simpatia. Governanti e politici — non solo in Gran Bretagna — dovrebbero tenerlo bene a mente.

La seconda lezione riguarda la fatica legata al mestiere e al senso dell’istituzione. Elisabetta ha sempre mostrato un incredibile senso del dovere. Era convinta che i privilegi della monarchia dovessero essere ripagati con il lavoro quotidiano. Certo, anche il taglio di un nastro. Incontrare la sovrana, per i sudditi, era un evento memorabile. Ha cercato di farlo capire agli altri membri della famiglia reale: non sempre con successo, bisogna dire.

La terza lezione è politica. La regina era un capo di Stato e aveva anche questo ruolo, come sappiamo. Da molto tempo, Elisabetta conosceva il mondo più e meglio dei dignitari che riceveva. E aveva le idee chiare anche sul Regno Unito. Ma ha sempre tenuto per sé le proprie opinioni. Una neutralità che, da Brexit in poi, deve esserle costata qualche sforzo.

La quarta lezione è di stile e di eleganza. «Nessuno è per sempre», ha detto la sovrana, sempre efficace nelle sintesi. La sua uscita di scena è stata impeccabile. Aveva promesso di servire per tutta la vita: e così ha fatto, sebbene molti, periodicamente, cianciassero di dimissioni. Due giorni fa è perfino riuscita — con strazio, come dimostrano le immagini — a ricevere Liz Truss per conferirle l’incarico. Una grande, silenziosa prova di stoicismo. La virtù che i britannici apprezzano di più.

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