Archive for Settembre, 2022

Elezioni 2022, risultati in tempo reale: le ultime notizie in diretta

lunedì, Settembre 26th, 2022

I risultati delle elezioni politiche 2022, in diretta: lo spoglio dei voti per Camera e Senato, la vittoria di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, l’uscita dal parlamento di Di Maio, i dati definitivi sui partiti e tutte le ultime notizie, in tempo reale

desc img

• Lo spoglio è ancora in corso, ma il risultato delle elezioni è già chiaro: il centrodestra ha vinto e Fratelli d’Italia — intorno al 26 per cento — è nettamente il primo partito. Il centrosinistra non raggiunge il 30% (con il Pd che non supera la soglia del 20%); il M5S sfiora il 15% e raggiunge risultati importanti al Sud.
• Le parole di Giorgia Meloni nella notte: «L’Italia ha scelto noi e non la tradiremo come non l’abbiamo mai tradita».
Le pagelle ai leader, di Roberto Gressi.
• Da segnalare il dato dell’astensione, il più alto di sempre nella storia repubblicana: ha votato il 64% degli aventi diritto.
Qui il programma di Fratelli d’Italia. Qui il programma del centrodestra.

Ore 08:19 – Rossi batte Rossi in uninominale Camera in Toscana

In Toscana, nel collegio uninominale UO1 (Grosseto) per la Camera, il vicesindaco di Grosseto Fabrizio Rossi, candidato del centrodestra, è stato eletto con il 98.652 dei voti, pari al 40,73%. Sconfitto Enrico Rossi, l’ex governatore toscano che correva per il centrosinistra: ha avuto 82.096 voti, pari al 33,89. Terzo è risultato il candidato del M5s, Luca Giacomelli col 10,37% dei voti, quarto Stefano Scaramelli di Azione-Iv con il 9,13%. Questi i dati diffusi dal ministero dell’Interno.

Ore 08:15 – Gli ultimi dati alla Camera

In base ai dati del Viminale, quando sono state scrutinate 58.840 sezioni su 61.417, alla Camera è in testa la coalizione di centrodestra con il 44,10% mentre quella di centrosinistra è al 26,32%. Il Movimento 5 Stelle è al 15,10% e il terzo polo al 7,74%. Italexit è all’1,91%, Unione Popolare all’1,43%.

Anche al Senato vince nettamente la coalizione di centrodestra, ottenendo il 44,36% dei consensi, quando mancano i risultati di poche centinaia di sezioni sulle 60.399 allestite. Il centrosinistra ha segnato il 26,11%. Il Movimento 5 Stelle ha raggiunto il 15,31% mentre Azione-Italia viva ha raccolto il 7,7%.

Ore 08:02 – Molise, eletti Lotito e Cesa

Vanno al centrodestra tre dei quattro collegi in palio in Molise: bottino pieno al Senato, con il presidente della Lazio Claudio Lotito che si impone nel collegio uninominale con il 43%, davanti all’avvocato isernino Ottavio Balducci del M5S (23,9%) e alla dirigente scolastica Rossella Gianfagna (23,7%), candidata del centrosinistra, e l’esponente di Fratelli d’Italia Costanzo Della Porta, sindaco di San Giacomo degli Schiavoni, che ottiene il seggio disponibile nel proporzionale, prevalendo su Nicola Cavaliere di Fi, Alberto Tramontano della Lega e Mimmo Izzi di Noi Moderati.

Successo di Lorenzo Cesa nel collegio uninominale della Camera, al 43%, davanti ai rivali Riccardo Di Palma (23,68%), del Movimento 5 Stelle e Alessandra Salvatore (23,55%), consigliere comunale a Campobasso del Pd. Per l’assegnazione del seggio determinato dalla corsa nel proporzionale della Camera occorrerà attendere i conteggi imposti dal sistema elettorale.

Qui l’approfondimento sulle sfide nei collegi uninominali.

Ore 07:39 – Il compagno di Meloni, che potrebbe essere il «first gentleman» d’Italia

(Claudio Bozza) Volto Mediaset, cuore a sinistra, quasi sempre un passo indietro dai riflettori della politica. Andrea Giambruno, 41 anni, conduttore di Studio aperto, è il compagno di Giorgia Meloni (4 anni più grande) e potrebbe essere — visti i risultati di queste elezioni politiche — il primo «first gentleman» della Repubblica italiana.

Il giornalista e la leader di Fratelli d’Italia si sono appunto conosciuti dietro le quinte di una trasmissione condotta da Paolo Del Debbio, di cui Giambruno era autore.

Meloni arriva trafelata e fa alla sua portavoce Giovanna: «Non ho mangiato, ho una fame che svengo»…. In una pausa pubblicitaria mangia una banana al volo, ma quando si torna in onda, la leader di FdI è ancora lì con il frutto in mano: «Io mi precipito e gliela strappo di mano anche con una certa foga, ci manca la Meloni in diretta con una banana… — ricorda Giambruno dicendo che la leader lo scambiò per un assistente —. Non so dire, i nostri occhi si incrociano in modo strano, è stato un attimo».

Rating 3.00 out of 5

Pensioni, come cambiano a ottobre tra bonus, rivalutazione e anticipo del recupero inflazione

domenica, Settembre 25th, 2022

di Massimiliano Jattoni Dall’Asén

Gli adeguamenti in attesa del 2023

Il grande adeguamento delle pensioni, rivalutate in base ai dati definitivi sull’inflazione del 2022, si avrà a gennaio prossimo(con un allarme già lanciato dall’Ufficio parlamentare di bilancio che ha calcolato una ripercussione di questo adeguamento difficilmente inferiore ai 25 miliardi di euro). Ma prima di arrivare a quell’importante appuntamento, i circa 16 milioni di italiani titolari di prestazioni pensionistiche si avvantaggeranno di un conguaglio, di un anticipo e di un bonus. A partire da ottobre, dunque, le pensioni saranno più alte, grazie all’anticipo della rivalutazione degli assegni, un ulteriore innalzamento ci sarà dal primo novembre con il conguaglio per il calcolo della perequazione per l’anno 2021.Vediamo allora più nel dettaglio questi aumenti.

Il decreto Aiuti bis: rivalutazione e anticipo

Il decreto Aiuti bis nell’articolo 21 del dl ha previsto due binari per attuare l’anticipo delle rivalutazioni:
* Una rivalutazione dello 0,2%, a recupero dell’inflazione del 2021, rivolto a tutti i pensionati;
* Un anticipo rispetto al gennaio prossimo del 2% sulla base del calcolo dell’inflazione 2022. In questo secondo caso, la platea degli interessati è solo quella di coloro che percepiscono pensioni di importo fino a 2.692 euro (ovvero 35 mila euro all’anno). Per loro, l’aumento totale per quest’anno sarà del 2,2%.

Il decreto Aiuti ter: bonus 150 euro (non per tutti)

Sempre a novembre, grazie a quanto previsto dal decreto Aiuti ter, verrà erogato il nuovo bonus da 150 euro. Gli interessati sono i pensionati che nel 2021 abbiano avuto un reddito personale assoggettabile ad Irpef, al netto dei contributi, non superiore a 20mila euro.

Rating 3.00 out of 5

Il sogno di Conte: quel piano per arrivare al Quirinale

domenica, Settembre 25th, 2022

Luca Sablone

Non esausto dopo essersi seduto per ben due governi consecutivi sulla sedia di Palazzo Chigi, Giuseppe Conte aveva provato disperatamente la strada del ter prima dell’arrivo di Mario Draghi. Alla fine l’avvocato è stato mandato a casa, c’è stata un’altra crisi e domani gli elettori saranno chiamati al voto. Salvo clamorosi colpi di scena, il Movimento 5 Stelle non avrà il 50% dei consensi per poter portare di nuovo Conte alla guida di un nuovo esecutivo. Le sue mire politiche però potrebbero non essere finite qui.

Conte punta al Quirinale?

A dare un’indiscrezione in tal senso è l’edizione odierna di Libero, secondo cui l’ex presidente del Consiglio potrebbe puntare a un’altra e alta carica nel mondo della politica. Per farlo potrebbe cavalcare una riforma storica che il centrodestra, qualora dovesse vincere, ha promesso di attuare. Una modifica della Costituzione che avrebbe un impatto sugli ingranaggi a cui fino a ora siamo stati abituati.

Stiamo parlando del presidenzialismo, cavallo di battaglia di Fratelli d’Italia. La riforma prevede l’elezione diretta del capo dello Stato. Sarebbero gli italiani a eleggere il presidente della Repubblica. E proprio questa potrebbe essere l’ultima ambizione personale di Conte, che a quel punto potrebbe valutare seriamente la possibilità di candidarsi e di provare a ottenere i voti necessari per andare al Colle.

Il piano per il Colle

Si tratta ovviamente di una serie di interrogativi, di mere ipotesi. Sono diversi i fattori che devono prima verificarsi: il centrodestra deve vincere, il presidenzialismo deve essere approvato, il leader del M5S deve essere realmente disposto a intraprendere una corsa al Quirinale. Un passo alla volta, certo, ma non è detto che tutto ciò non accada. Anche perché, oggettivamente, Conte ha sempre goduto di una quota di fiducia non indifferente da parte degli elettori.

Libero riporta l’idea raccontata da chi in questi giorni è stato al fianco dell’avvocato, che potrebbe vedere un eventuale boom del Movimento al Sud come un’affermazione personale. Potrebbe, ad esempio, sedersi al tavolo con il centrodestra per lavorare alla riforma e poi provare a diventare il primo capo dello Stato eletto direttamente dal popolo. Senza dimenticare che anche Matteo Renzi si è detto pronto al dialogo con gli avversari.

Rating 3.00 out of 5

Rigassificatore di Piombino, c’è anche il colore della nave

domenica, Settembre 25th, 2022

di Federico Fubini

Rigassificatore di Piombino, c'è anche il colore della nave

Questa è la storia di un fallimento culturale che rischia di costare caro. È una storia di opportunismo, ideologia, pregiudizi, tanta burocrazia e una sostanziale dose di miopia. Mescolate, shakerate e ne viene fuori la prospettiva che l’Italia non solo non disponga di abbastanza gas naturale per arrivare alla fine del prossimo inverno, ma che non possa completare neanche gli stoccaggi dell’estate 2023: a quel punto una nube d’incertezza si stenderebbe fino all’inverno seguente. Pagherebbero milioni di famiglie costrette a ridurre le ore di riscaldamento per i figli piccoli o i genitori anziani e migliaia di imprese costrette a ridurre la produzione: l’Italia perderebbe benessere, crescita e lavoro in un tripudio di comitati, pareri, ricorsi e fughe dalle responsabilità.

IL CONFRONTO

Stavolta però sarebbe troppo facile dare tutta la colpa a Vladimir Putin, perché esiste anche un altro avversario: senza nome, senza contorni precisi, ma capace di imbrigliare qualunque iniziativa. Anche le più impellenti. I risultati sono nel confronto con altri Paesi europei investiti dal ricatto russo sull’energia. In Olanda due navi di rigassificazione hanno attraccato al porto Eemshaven il 5 settembre e quattro giorni dopo un tanker stava già pompando il gas per alimentare l’intero Paese. In Germania tutto procede perché una nave da otto miliardi di metri cubi di metano all’anno inizi a produrre entro dicembre a Brunsbüttel, accanto a una centrale nucleare. Entrambi i Paesi hanno deciso prima di assicurare la sostanza — il gas per riscaldare le persone e alimentare l’industria — poi le procedure.

E l’Italia? Qui la Snam è stata fra le prime imprese ad assicurarsi una nave di rigassificazione, entrando in trattativa esclusiva per la Golar Tundra in marzo. E il governo è stato fra i primi in Europa a muoversi, con un decreto del 17 maggio per «interventi urgenti di pubblica utilità, indifferibili e urgenti». Il testo del decreto, volto a mettere in funzione la nave che trasforma il gas liquefatto, recita: «Le amministrazioni interessate nelle procedure autorizzative (…) attribuiscono ad esse priorità e urgenza negli adempimenti». Per questo il governo nomina il 10 giugno un commissario, il governatore della Toscana Eugenio Giani (Pd). L’obiettivo del governo era arrivare entro fine luglio a un disco verde per l’attracco della Golar Tundra a Piombino. A quel punto Snam in sei mesi avrebbe potuto svolgere i lavori necessari sulla banchina del porto, montare otto chilometri di tubo per collegare la nave alla rete nazionale e avviare l’asta fra i fornitori di gas liquido. A fine gennaio o in febbraio l’Italia avrebbe avuto l’energia — cinque miliardi di metri cubi di gas all’anno — per sostituire parte di quella che dalla Russia non arriverà più. Quella nave era la garanzia di poter attraversare l’inverno senza traumi.

Invece — ormai è chiaro — non andrà così. Siamo partiti fra i primi in Europa e non solo stiamo arrivando fra gli ultimi: non sappiamo neppure quando arriveremo.Giani ha organizzato una «conferenza dei servizi» che include cinque imprese (Telecom Italia, Enel, Autorità Idrica Toscana, Terna, Enac) e 44 amministrazioni pubbliche; fra queste il Settore bonifiche siti orfani della Toscana, il Consorzio di Bonifica Toscana Costa, il Genio civile del Valdarno inferiore, il Settore logistica e cave della regione, la direzione generale Archeologia del ministero delle Belle Arti, la Soprintendenza delle Belle arti di Pisa e Livorno, l’Autorità di bacino dell’Appennino settentrionale, la Direzione Competitività della Toscana, l’Istituto regionale di programmazione economica, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale. Oltre naturalmente al contrarissimo Comune di Piombino, guidato dal sindaco Francesco Ferrari (Fratelli d’Italia).

A tutti gli enti si riconosce il diritto di chiedere nuove carte e dare autorizzazioni, pareri, atti d’assenso. Solo il Comune di Piombino deve farlo per «autorizzazione paesaggistica», «impatto acustico», «conformità urbanistica», «attraversamento e uso delle strade», «interventi edilizi» e «parere sanitario del sindaco» (ma, separatamente, si coinvolge anche l’Istituto superiore di Sanità). Di richiesta in richiesta, Snam ha già fornito oltre mezzo migliaio di documenti per decine di migliaia di pagine. Ora però la Soprintendenza ha sollevato anche il problema del colore della nave: inadeguato al paesaggio. Intanto il tempo passa, terribilmente.

I TEMPI

Se l’autorizzazione di Giani arrivasse il 27 ottobre (data ora prevista, sulla carta), il gas inizierebbe a fluire da fine aprile e non più in febbraio.Non è una differenza da poco: l’Italia ha bisogno di 41 miliardi di metri cubi di metano per l’inverno — secondo stime del ministero della Transizione energetica — ma anche stoccaggi pieni ne assicurano solo dieci. La nave di Piombino serviva a chiudere una parte essenziale delle differenza, ma non ci sarà. Dunque l’Italia non ha garanzie di avere l’energia necessaria, soprattutto se l’inverno sarà rigido e la Russia taglia ancora le forniture.

Forse non l’avrà neanche più tardi, perché il sindaco di Piombino ha concluso che la documentazione fornita da Snam è «totalmente inattendibile» e ha fatto capire che presenterà ricorso al Tar. Se i giudici amministrativi regionali bloccano tutto, la Golar Tundra non potrà lavorare neanche nell’estate 2023 e non potrà dunque sostituire i due miliardi (su dieci) di metri cubi di stoccaggi che quest’anno erano venuti dalla Russia. La preparazione per l’inverno 2023-2024 ne risulterà pericolosamente insufficiente. E i contribuenti che hanno già pagato quattro miliardi di euro per gas liquido a caro prezzo — comprato con fondi di una società controllata dal Tesoro — non lo potranno usare. Che vadano in Olanda a scaldarsi, se hanno freddo.

CORRIERE.IT

Rating 3.00 out of 5

I veri obiettivi (nascosti) di tutti i partiti in campo

domenica, Settembre 25th, 2022

Laura Cesaretti

È finita la campagna elettorale più brutta, insulsa e sgangherata degli ultimi decenni e oggi si tireranno le somme nelle urne. Con la variabile astensione, che nei sondaggi (secretati per i cittadini da una poco comprensibile legge, ma ampiamente circolanti) viene data come primo partito italiano.

Nelle prossime ore si assisterà alla consueta giostra di interpretazioni dei risultati e di analisi del voto e delle sue conseguenze per vincitori e vinti. Intanto, paradossalmente, l’apprezzamento per il premier uscente Mario Draghi e il suo operato cresce vertiginosamente, e viene calcolato al 70%: un’ipoteca pesantissima per chi, ora, dovrà prendere il suo posto e tentare di riempire il vuoto enorme che la sua autorevolezza e credibilità internazionale lasceranno.

Nei prossimi giorni si apriranno sanguinose rese dei conti nei partiti che usciranno indeboliti o sconfitti dal voto di oggi, e saremo spettatori rassegnati delle trionfali passerelle di chi si incoronerà, a vario titolo, vincitore. Si leggeranno infinite spiegazioni sui flussi elettorali, sugli spostamenti di voti da un partito all’altro all’interno delle coalizioni o fuori, e a proiezioni e previsioni sul governo che verrà.

Intanto, prima della apertura dei seggi elettorali, proviamo a fare il punto sulle aspettative, le speranze, i traguardi da raggiungere per i diversi partiti, e sulle asticelle più o meno mobili che devono superare e che faranno la differenza tra successo e débâcle. In attesa, dalle 23 di stanotte, di conoscere i numeri reali.

Fratelli D’Italia – Caccia al primo posto contro le trappole

Il difficile viene ora, e «Giorgia» lo sa. Il nervosismo a stento celato nell’ultimo tornante di campagna elettorale lo dimostra: quando si parte con l’aura del vincitore, i rischi si moltiplicano. Per i possibili incidenti di percorso e per la crescita vertiginosa delle aspettative, che porta poi a inevitabili delusioni. Ora la priorità assoluta, per la leader di Fratelli d’Italia, è assicurarsi che il suo esca dalle urne come il primo partito, e con un buon margine, per evitare trappole degli alleati e contestazioni degli avversari sul suo cammino verso Palazzo Chigi. Il secondo obiettivo, ovviamente, è di avere una solida maggioranza nei due rami del Parlamento, Senato in primis, vincendo la tombola dei collegi: se fosse men che solida, partirebbe subito il tormentone dell’instabilità, dell’emergenza, della manovra da varare entro Natale e si riaffaccerebbero i fantasmi dei «tecnici». Terzo obiettivo: governare. E lì inizierà la vera via crucis.

Partito Democratico – Soglia psicologica: Letta guarda al 20%

In una eterna coazione a ripetere, nel Pd è già partita la sindrome da congresso. Prima ancora della chiusura delle urne, segno che le aspettative sono assai meno ottimiste delle parole d’ordine: «La rimonta è possibile». Anche nella (potenziale) sconfitta ci sono diverse gradazioni: il segretario Enrico Letta aveva iniziato la campagna elettorale con l’obiettivo di fare del Pd il primo partito, scavalcando quello della Meloni nonostante la vittoria del centrodestra. Ora l’obiettivo è di riuscire a superare la soglia psicologica del 20%, sotto il quale la resa dei conti interna si farebbe sanguinosa e minaccerebbe la stessa tenuta del partito. Dopo aver passato gli ultimi anni ad accusare Matteo Renzi della «catastrofica sconfitta» del 2018, quando il Pd si fermò al 19%, ritrovarsi allo stesso punto sarebbe devastante. Poi c’è il terrore che nessuno osa confessare: il sorpasso di M5s sul Pd, ossia la Nemesi di un partito divorato dal mostro che lui stesso ha creato.

Movimento 5 Stelle – Consensi dimezzati ma in doppia cifra

Graduidamende, graduidamende!». La parola più ripetuta da Giuseppe Conte sui palchetti dei comizi dice tutto della sua campagna elettorale. Lui e Rocco Casalino hanno rilanciato lo stile Achille Lauro, ’O Comandante: la chiave del populismo sudista e delle promesse ossessive di mance e prebende (RdC, bollette gratis, Superbonus) ha funzionato, e grazie al recupero nel Mezzogiorno la soglia minima di sopravvivenza del 10% dovrebbe essere superata di slancio. Certo, i 5S dimezzeranno probabilmente i consensi rispetto al 2018, ma sopra le due cifre Conte si blinderà al proprio posto e proverà a manovrare tra Salvini e sinistra Pd per tornare a contare qualcosa, dopo la quaresima di questi mesi: «Le nostre attese non si fermeranno sulla sogliola di Montecitorio», come diceva Lauro. Con la differenza che quello regalava metà banconota da mille lire prima del voto e l’altra dopo, ma erano soldi suoi. Le mille lire di Conte sono a nostro carico.

Lega – Se il 10% diventa la linea del Piave

Da Capitano a capitone natalizio il passo è breve: se la Lega domani non raggiungerà un risultato a doppia cifra, la leadership di Matteo Salvini verrà apertamente messa in discussione. A ripeterlo da giorni, sia pur lontano da microfoni e taccuini, sono dirigenti di primo piano della Lega. Il 10% è dunque la quota salvezza per il capo del Carroccio: un arretramento spettacolare rispetto al 34% delle Europee del 2019, quando Salvini era sulla cresta dell’onda e spadroneggiava nel governo giallo-verde di Conte, e una retrocessione a junior partner di Fdi, ma ancora gestibile. Sotto quella cifra, invece, diventerebbe manifesto il tracollo negli storici baluardi del Nord, Veneto e Lombardia in testa, e questo non gli verrebbe perdonato. Il leader ha messo in lista solo i fedelissimi, penalizzando gli altri colonnelli, e ha gestito la campagna elettorale da uomo solo al comando: se perde, diventerà il capro espiatorio.

Forza Italia – La corsa per risultare decisivi al governo

L’ obiettivo di Forza Italia è stato indicato a chiare lettere dal suo leader Silvio Berlusconi, in chiusura di campagna elettorale: essere «determinanti due volte, numericamente e politicamente» per la futura, possibile maggioranza di centrodestra. Perchè «se non ci fossimo noi, ci sarebbe solo la destra-destra». Democratica, per carità, si affretta a precisare, ma «non in grado di governare» senza l’aggancio ai valori «liberali, centristi, europeisti e atlantisti» rappresentati dall’unico partito della coalizione che fa parte della grande famiglia del Ppe. Si tratta di avere abbastanza voti ed eletti da risultare non aggiuntivi ma indispensabili a sostenere il prossimo governo, in caso di vittoria della coalizione con Lega e Fratelli d’Italia, in modo da poter condizionare «tutte le decisioni che dovranno essere prese: e se gli altri due partiti non fossero i sintonia con quei valori, non staremmo un minuto di più al governo».

Rating 3.00 out of 5

Se l’elettorato pensa a se stesso

domenica, Settembre 25th, 2022

Giovanni Orsina

Un’altra campagna elettorale è giunta finalmente a conclusione, e anche questa, come molte di quelle che l’hanno preceduta, è stata proprio brutta. Vien da dire: per fortuna che almeno è stata breve, cominciata sotto gli ombrelloni e ridottasi, in definitiva, a tre settimane di settembre.

Un recentissimo studio demoscopico mette inflazione e crisi energetica in cima alle preoccupazioni degli italiani. Poi tasse, stipendi e povertà. Temi quali l’immigrazione, l’ambiente e i diritti, almeno in questo momento, restano un passo indietro. Ma la campagna elettorale, a ben vedere, non si è concentrata poi troppo sui cinque argomenti economici che gli elettori hanno dichiarato prioritari: su quei terreni i partiti non sono riusciti più di tanto a distinguersi l’uno dall’altro offrendo soluzioni robuste e convincenti. Con un’eccezione, soprattutto: il Movimento 5 Stelle ha puntato sulla povertà, incentrando la propria campagna elettorale esclusivamente sulla difesa del reddito di cittadinanza. Un’eccezione che, non per caso, sembra stia funzionando.

In mancanza d’altro, la campagna è stata occupata allora dai rapporti tra la politica italiana e il contesto europeo e internazionale. Qui non ci siamo fatti mancare proprio nulla: indiscrezioni-bomba ventilate ma non divulgate; uscite inopportune di leader politici di altri paesi europei o dell’Unione; polemiche per quelle uscite; scontri feroci sull’Ungheria di Orbán; distinguo e ambiguità, espresse in alcuni casi in maniera quanto mai scomposta, sul conflitto ucraino; accuse conseguenti. Vedremo naturalmente quali saranno i risultati del voto di domenica, ma, almeno per il momento, l’impressione è che queste polemiche abbiano inciso poco.

Ce la si può sempre prendere con gli elettori, naturalmente, insensibili alle grandi questioni internazionali e incapaci di comprendere che le sfide economiche possono essere affrontate solamente su scala globale. Ma si può pure pensare che gli elettori siano in realtà più saggi di quel che sembra, e abbiano capito che, in Italia, i conflitti sulla politica estera ed europea finiscono per essere più liturgici che sostanziali. Per la semplice ragione che, esattamente come non può affrontare da sola l’inflazione o la crisi energetica, e qualsiasi promessa i partiti facciano in materia suonerà vuota, allo stesso modo l’Italia non potrà che conservarsi solidale con l’Unione europea e la Comunità Atlantica. A tal punto non ha alternative, l’Italia, che i politici che in questa campagna elettorale sono apparsi meno ostili a Putin – Berlusconi, Conte e Salvini – hanno in realtà sostenuto in parlamento, in ogni sua parte, la politica estera antirussa del governo Draghi.

Rating 3.00 out of 5

Andrea Margelletti: “Il Cremlino ci sta dicendo che è pronto alla Terza guerra mondiale. L’Occidente smetta di nascondere la testa sotto la sabbia”

domenica, Settembre 25th, 2022

Emanuela Minucci

Professore, ha visto che cosa ha detto Suslov, il politologo vicino al Cremlino? Che l’Occidente continuerà a fornire armi all’Ucraina, dopo i referendum sarà guerra mondiale…
«I russi continuano a mandarci messaggi chiari. Naturalmente da fonti indirette, facilmente smentibili al momento opportuno. Ma intanto ce li mandano, netti e forti: “La Russia è pronta a combattere la terza guerra mondiale”».
Per quale ragione lo fa?  Soltanto per impaurirci o perché è sul serio convinto di farlo?
«Per entrambe le ragioni. Intanto Putin sa bene che l’arma più potente a sua disposizione è proprio quella di terrorizzarci, e poi perché arrivato a questo punto non si fermerà, non può fermarsi, altrimenti è finito».
Quindi abbiamo due alternative: mandare meno armi oppure tentare con altri negoziati…
«Sono entrambi opzioni spuntate. Intanto perché ci hanno provato tutti a tentare di farlo ragionare e tentare appunto la via del negoziato. E poi perché se noi cominciamo a cedere su qualcosa  lui alzerà di nuovo la posta, e così via all’infinito».
Quindi da geopolitico esperto non ci può anticipare come andrà a finire questo film dell’orrore?
«Semplice: o lui si ferma da solo, e la vedo molto improbabile, oppure qualcuno lo dovrà fermare».

LA STAMPA

Rating 3.00 out of 5

Una giornata particolare

domenica, Settembre 25th, 2022

MASSIMO GIANNINI

Ci siamo. È il giorno del voto. E questa domenica elettorale chiude in ogni senso l’estate del nostro scontento. L’estate dell’Apocalisse bellica, economica, climatica. La guerra ucraina e la minaccia nucleare russa. L’inflazione e il caro-bollette. La grande siccità e le alluvioni assassine. La tragedia della Marmolada e il disastro delle Marche. L’addio agli ultimi giganti del Novecento, la Regina Elisabetta e Gorbaciov. Agli ultimi miti della cultura, Angela e Scalfari. Agli uomini buoni come Alika, uccisi dalla ferocia degli uomini spaventati. Ai bambini morti di sete o inghiottiti dal Mediterraneo, a poche centinaia di metri dalle nostre spiagge assolate.

È stata una campagna elettorale penosa. Cieca e sorda di fronte all’enormità dei fatti accaduti e alla gravità di quelli che stanno per accadere. Parole al vento e fango nel ventilatore. Baruffe chiozzotte e insulti da stadio. Putinisti in maschera e pietisti in pantofole. Europeisti in orbace e terzisti in transito. Da ieri tutto tace, in attesa che si concluda l’ordalia. Lo chiamano silenzio elettorale. Ma non è il “silenzio degli innocenti”. Chi è innocente, in questo rito cannibale in cui la Politica ha divorato se stessa, fino a spingere milioni di cittadini nauseati a disertare il banchetto?

Eppure. Per tante ragioni, questa non è un’elezione qualunque. Per l’Italia questa è davvero “Una giornata particolare”. Come nel capolavoro di Ettore Scola, il Paese è in bilico. In primo piano, agguerriti, si agitano i nuovi “patrioti”. Sullo sfondo, sbiaditi, si agitano i vecchi fantasmi del Ventennio. In questo presente sospeso un destino sembra compiersi, quasi ineluttabile, mentre in pochi attimi si aprono e si chiudono finestre su un’altra Storia possibile. I partiti non sono stati capaci di intercettare i bisogni dei cittadini. Delusi e disillusi, le hanno sperimentate tutte, passando dal tecnico Monti alle grandi e alle piccole coalizioni, incrociando le maggioranze gialloverdi e giallorosse per poi tornare al tecnico Draghi.

Adesso, anche solo per disperazione, sembrano pronti a provare anche l’ultima “novità”, cioè la fase finale del ciclo populista iniziato col berlusconismo degli anni 1994-2011 e poi “evoluto” nel grillo-leghismo degli anni 2013-2019.

Nonostante le speranze del segretario del Pd, convinto che “la rimonta” sia ancora possibile, la vittoria delle destre pare più che probabile. Secondo i sondaggi “segreti”, la Triplice Intesa Meloni-Salvini-Berlusconi avrebbe un vantaggio non più colmabile, anche perché sul fronte opposto non c’è a inseguirla nessuna “macchina da guerra”, gioiosa o rissosa che sia. Dunque l’unica cosa che conta, a questo punto, sarebbero i rapporti di forza interni alla coalizione vincente. Quanti voti avrà preso Fratelli d’Italia, quanti la Lega, quanti Forza Italia. Da qui discenderebbero il profilo politico del nascente governo, la sua vera natura, la sua maggiore o minore stabilità.

Se stasera, a urne chiuse, questo fosse davvero l’esito del voto, il Paese si troverebbe di fronte a una svolta storica. Non a caso, oltre all’interesse delle cancellerie internazionali e all’interferenza delle istituzioni comunitarie, tutti i grandi organi di informazione stranieri dedicano prime pagine e copertine al voto tricolore. Dall’Economist che si chiede “Quanto dovrebbe aver paura l’Europa di Giorgia Meloni”, a Le Monde che titola “In Italia la tentazione dell’estrema destra”.

Di queste altrui apprensioni ci stupiamo solo noi, spesso troppo deboli di memoria. Se davvero FdI risultasse il partito più votato e quindi Giorgia Meloni già a un passo da Palazzo Chigi, le incognite che avremmo di fronte sarebbero tante. C’è un’incognita che ha a che fare proprio con la Storia. L’Italia diventerebbe il primo Stato membro e fondatore dell’Unione governato da una formazione politica nel cui simbolo arde la fiamma del fascismo. So bene che questa “pregiudiziale” non fa più alcun effetto a una vasta schiera di elettori, che come la Sorella d’Italia non erano nati ai tempi di Mussolini e adesso credono di averlo rinchiuso per sempre negli armadi del passato. Resta il fatto che un “evento” del genere non si è mai verificato in nessun altro angolo d’Europa (compresi quelli che il nazifascismo non lo hanno conosciuto). E adesso si verifica per la prima volta proprio qui da noi (che invece quella dittatura l’abbiamo patita). Questo cosa significa? Ha qualcosa a che vedere con il “fascismo eterno” di cui scriveva Eco, o con il fascismo come “autobiografia della nazione” su cui ragionava Gobetti? Il fascismo come postura e come attitudine socio-culturale, come suggestione dell’uomo forte e del comando, come populismo dall’alto e intolleranza illiberale verso il basso? Nessuno immagina le camicie nere alle porte, o l’aula di Montecitorio trasformata in un bivacco di manipoli. Ma non sappiamo quasi nulla di cosa sia oggi questa “destra nazionale”, se non per le formule evasive della sua leader e per le intemperanze quotidiane dei suoi Fratelli, da Romano Larussa che fa il saluto del Duce a Federico Mollicone che bolla come “illegali” le coppie gay. Sappiamo però che oltre frontiera questa destra viene definita apertamente “post-fascista”, mentre noi abbiamo pudore o paura a farlo. E se anche per molti questo non è più un interdetto ideologico, per me resta un interrogativo politico: che direbbe Meloni premier il 28 ottobre, quando ricorrerà il centenario della Marcia su Roma? Come celebrerebbe il 25 aprile, quando festeggeremo la Liberazione dal regime dal quale lei stessa discende, volente o nolente? Da questa incognita discendono tutte le altre.

Rating 3.00 out of 5

Le quattro strade di Draghi: ecco il futuro del premier dopo il voto

domenica, Settembre 25th, 2022

Ilario Lombardo

Che farà Mario Draghi? È la domanda conseguente a quella che tormenta tutti gli italiani: chi vincerà oggi riuscirà a diventare il prossimo presidente del Consiglio? Magari declinando questo ruolo per la prima volta al femminile? Qualche giorno fa una fonte molto vicina a Giorgia Meloni ha ricordato l’ottimo rapporto tra la presidente di Fratelli d’Italia e il premier uscente, aggiungendo che questa relazione, nel futuro a breve, potrebbe evitare a Draghi quegli ostacoli politici che complicherebbe al banchiere l’obiettivo – qualora lo volesse – di ottenere un incarico di livello internazionale. Quattro sono le ipotesi, discusse in casa FdI. Tre sono note: segretario della Nato, presidente della Commissione europea, presidente del Consiglio europeo. La quarta è una novità: mediatore tra Ucraina e Russia. La figura dell’inviato speciale sulla crisi ucraina è quella che qualche mese fa l’ex premier Matteo Renzi avrebbe volentieri affidato all’ex cancelliera Angela Merkel.

Meloni potrebbe rispolverare l’idea e proporre il ruolo a colui che sull’asse atlantico si è rivelato essere una delle più solide sponde della strategia americana. Nato, Commissione e Consiglio Ue sono invece nomine che si giocheranno alla scadenza dei mandati attuali tra 2023 e 2024. In tanti dentro FdI lo considerano quasi una sorta di un patto implicito tra i due. Sono certi che se Meloni andrà a Palazzo Chigi, Draghi le faciliterà il passaggio di consegne. Prova ne è, secondo loro, come in queste settimane di campagna elettorale non abbia alimentato i messaggi di preoccupazione arrivati dai partner europei. Ma anche il credito che le ha concesso sul comportamento assunto in aula al momento di discutere l’invio delle armi in Ucraina. Un confronto e una opposizione che agli occhi di Draghi è stata «leale e rispettosa» fino alla fine. Un riconoscimento che è reciproco. Meloni vive Draghi come una sorta di garante per il governo che verrà, e in questo senso è la prima a considerare cruciale la scelta del ministro dell’Economia: un nome come Fabio Panetta, membro attuale del comitato direttivo della Bce, metterebbe in sicurezza l’avvio dell’esecutivo in nome della continuità sulla gestione dei conti pubblici.

Nessuno, tra i leader, crede che il destino di Draghi sia di tornare alla tranquillità bucolica di Città della Pieve. Però tra tante dichiarazioni ci sono diversi sottintesi, qualcuno più esplicito, altri meno. L’altro ieri, a chiusura della campagna elettorale, Enrico Letta si è detto convinto che «Draghi ha ancora molto da dare alla politica», senza spingersi a dire in quali vesti. Un timore che non hanno Carlo Calenda e Matteo Renzi, che quasi quotidianamente hanno sventolato il nome dell’ex banchiere come alternativa a Meloni se il centrodestra non dovesse raggiungere una maggioranza autosufficiente. Il non detto, invece, è il Quirinale. Un sogno che il premier ha visto infrangersi qualche mese fa ma che la leader di FdI, a detta dei suoi, sarebbe prontissima a realizzare per lui nel nuovo Parlamento dimezzato se Sergio Mattarella, di sua iniziativa, dovesse scegliere di lasciare il Colle in anticipo, come fece il suo predecessore Giorgio Napolitano.

Rating 3.00 out of 5

Il giorno della verità: ecco le pagelle dei sondaggisti ai leader. Da Meloni a Salvini, da Calenda a Letta, Berlusconi e Conte: i promossi e i bocciati

domenica, Settembre 25th, 2022

Niccolò Carratelli

Quattro esperti danno i voti ai leader sulla campagna elettorale appena conclusa. Abbiamo interpellato Renato Mannheimer, sondaggista, autore di libri, milanese, già docente di Analisi dell’opinione pubblica alla Bicocca; Antonio Noto, direttore di “Noto sondaggi”, napoletano, esperto di ricerche e analisi di mercato per imprese; Lorenzo Pregliasco, socio di Quorum e Youtrend, docente a contratto a Bologna, autore per Add di Benedetti sondaggi; e Roberto Weber, presidente dell’Istituto Ixè dopo aver fondato Swg, triestino, ha scritto per Einaudi “Perché corriamo?”. Ecco i voti assegnati a Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi, Matteo Salvini, Carlo Calenda, Giuseppe Conte ed Enrico Letta

Renato Mannheimer – “Meloni è risultata rassicurante da Berlusconi uscite inopportune”

6 ½ Meloni

Ha fatto una buona campagna, volta a rassicurare e a cancellare certe ombre del passato. Nella fase finale c’è stato qualche scivolone, più che altro nel tentativo di mobilitare i suoi elettori più tradizionali, toccando temi classici della destra.

5 Salvini

Troppo contraddittorio, i messaggi mandati all’elettorato non sempre chiari. Si è percepito a volte un appoggio poco convinto e sentito da parte della base leghista. E ha pesato la consapevolezza di essere in difficoltà e costretto a recuperare.

5 Berlusconi

Data l’età ha impostato la campagna più in video che sul territorio, presenza mediatica e non fisica. I suoi interventi hanno ricalcato schemi sperimentati con successo in passato, ma non più attuali. I tentativi di modernizzare, come lo sbarco su Tiktok, non sembrano aver inciso. Senza dimenticare qualche esternazione inopportuna.

5 Letta

È stato protagonista di molti errori tattici, soprattutto all’inizio, e di una negativa gestione delle alleanze. Da apprezzare il tentativo di rinsaldare gli animi nel Pd e ridare speranza a un elettorato che si sente sconfitto. La strategia di polarizzazione è stata una scelta poco efficace e senza riscontri dal punto di vista dei consensi.

6 ½ Conte

Senza dubbio premiante la scelta netta di agire nel Meridione, l’ambito elettorale più consono ai 5 stelle. Ha usato argomenti non sempre condivisibili, ma efficaci per mobilitare l’elettorato. Ha colto nel segno insistendo sui temi sociali, perché i problemi economici individuali spostano più voti della politica estera. Il refrain del “tutto gratis” ha funzionato.

6 Calenda

Campagna coraggiosa, malgrado evidenti difficoltà di posizionamento al centro. Alcune sue uscite hanno destato perplessità, come pure i repentini mutamenti nelle alleanze. È stato un bene che Renzi sia rimasto defilato, evitando, o comunque tenendo sopito, il conflitto interno al terzo polo.

Antonio Noto – “Letta è sembrato troppo divisivo, Conte ha puntato sul target Sud”
6 Meloni

Nella prima parte ha fatto bene a impostare una campagna di assestamento, considerando che i voti a Fdi non arrivano solo da destra. Seconda parte peggio, perché ha fatto una virata a destra, non sulla politica estera ma su quella interna, ad esempio sull’aborto, perdendo smalto.

5+ Salvini

Ha rifatto la stessa campagna del 2018 e del 2019, ricalcandone temi e slogan. Stavolta ha aggiunto la carica religiosa del “credo”, che non ha avuto appeal. Insomma, nessuna novità, nonostante l’esperienza del Covid e della guerra, e gli anni passati al governo. Ripetitivo.

Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.