Archive for Settembre, 2022

Bollette gas, quanto aumenteranno a ottobre: rincari fino a 317 euro al mese a famiglia

giovedì, Settembre 29th, 2022

di Diana Cavalcoli

Bollette gas, quanto aumenteranno a ottobre: rincari fino a 317 euro al mese a famiglia

Forti rincari delle bollette in arrivo con l’inverno, con aumenti anche del 120% per le famiglie. Il combinato disposto dell’incidente che ha colpito le due linee del Nord Stream nel mar Baltico e il nuovo metodo di calcolo mensile scelto da Arera per l’aggiornamento delle tariffe (oltre alla mancanza di disponibilità di gas in Italia per la stagione invernale) rischiano di portare alle stelle le spese per luce e gas. A denunciare la situazione sono le associazioni dei consumatori come Assoutenti, che torna a criticare la decisione di Arera in tema di tariffe gas e annuncia la stangata che attende gli italiani.

Il calcolo mensile delle tariffe

A partire da ottobre infatti il costo della componente materia prima nelle bollette del gas sarà calcolato tenendo in considerazione la media mensile dei prezzi effettivi del mercato all’ingrosso italiano (PSV) e non più le quotazioni internazionali (Ttf di Amsterdam). Come risultato le bollette del gas per chi è in maggior tutela (7,3 milioni di clienti domestici) da ottobre potranno essere mensili e non più bimestrali.
Un’arma a doppio taglio per Assoutenti. «L’incidente al gasdotto ha fatto schizzare in alto il prezzo del gas proprio a ridosso degli aggiornamenti tariffari che saranno disposti da Arera con un nuovo metodo di calcolo che, essendo mensile e non più trimestrale e basandosi sul mercato Psv, espone gli utenti ad una maggiore volatilità dei prezzi e quindi al rischio di ulteriori rincari», spiega il presidente Furio Truzzi. «A tutto ciò si aggiunge l’incognita delle risorse, con le disponibilità di gas che in Italia potrebbero non essere sufficienti ad affrontare la stagione invernale, considerato che mancano all’appello ancora circa 15 miliardi di metri cubi indispensabili a garantire il fabbisogno nazionale», osserva il presidente. Il passaggio dalle bollette bimestrali del gas alle bollette mensili sarebbe poi un «inganno” per i consumatori italiani secondo il Codacons: «Non produrrà alcun effetto positivo sul fronte dei costi dell’energia e farà perdere alle famiglie la reale percezione della spesa sostenuta, andando solo a beneficio delle società fornitrici alle quali sarà garantita liquidità». Tanto che l’associazione sta preparando un ricorso al Tar della Lombardia per bloccare tutti gli atti di Arera che autorizzano le società ad inviare le fatture con cadenza mensile ai propri clienti.

Ma di quanto potrebbero aumentare le bollette? Nel prossimo trimestre le bollette potrebbero arrivare a +60%, con un nuovo massimo del prezzo dell’elettricità di 66,6 centesimi per kWh, 25 centesimi in più rispetto al trimestre precedente. Questa la stima di Nomisma energia secondo cui, senza interventi del governo, l’impennata sarebbe addirittura del 100%. In questo scenario ogni singola famiglia del mercato tutelato si ritroverebbe a pagare per la luce 190 euro in più solo nell’ultimo trimestre dell’anno.


Più preoccupanti i dati di Facile.it che lancia l’allarme bollette in vista dei nuovi dati Arera. Secondo le stime del portale, la bolletta del gas per i clienti del mercato tutelato potrebbe aumentare fino al 120% arrivando a sfiorare, per la famiglia tipo (ovvero una famiglia con 3 kW di potenza impegnata e 2.700 kWh di consumo annuo) i 317 euro al mese. Il dato emerge dalle simulazioni realizzate dal comparatore focalizzate sul nuovo metodo di calcolo introdotto dall’Arera. Conti pubblici

«Per capire l’effettivo aumento del prezzo del gas bisognerà attendere gli inizi di novembre, quando Arera pubblicherà il dato ufficiale relativo al PSV di ottobre», spiega Mario Rasimelli, managing director utilities di Facile.it. «In ogni caso, questo aggiornamento tariffario riguarderà solo i circa 7 milioni di clienti che hanno un contratto di fornitura gas nel servizio di tutela; guardare alle offerte presenti sul mercato libero potrebbe, quindi, essere una soluzione per contrastare almeno in parte i rincari previsti per i prossimi mesi». Per arrivare al dato, Facile.it ha calcolato la spesa mensile di una famiglia tipo (consumi annui 1.400 smc) applicando i valori del mercato all’ingrosso italiano dello scorso mese (2,47 euro/smc); se le condizioni rimarranno su questi livelli anche ad ottobre, ipotizzando che le altre voci di spesa in bolletta restino uguali, il costo per un solo mese di fornitura gas arriverebbe a 317 euro, vale a dire 173 euro in più rispetto ad oggi.

CORRIERE.IT

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Un superministro per rassicurare l’Europa

giovedì, Settembre 29th, 2022

Gian Maria De Francesco

Un superministro per rassicurare l'Europa

Finora ha sempre opposto un cortese rifiuto, ma la premier in pectore Giorgia Meloni non ha perso le speranze di convincere Fabio Panetta, componente italiano dell’esecutivo Bce ed ex direttore generale di Bankitalia, ad accettare l’incarico di ministro dell’Economia dell’esecutivo di centrodestra. L’economista e banchiere, secondo quanto si apprende, preferirebbe mantenere la propria allure di civil servant anche per non restare escluso dalla successione a Via Nazionale del governatore Ignazio Visco il cui mandato scade l’anno prossimo. Meloni, però, non demorde e spera in un ripensamento, convinta che sia necessario insediare a Via XX Settembre una figura con una riconoscibilità internazionale in grado di confrontarsi con la Commissione europea, superando le tradizionali diffidenze di Bruxelles nei confronti dell’Italia.

Ecco perché un altro nome che è circolato nel ventaglio di possibilità è quello dell’ex ministro dell’Economia (2004-2005), Domenico Siniscalco, attualmente a capo della filiale italiana di Morgan Stanley. Illustre economista nonché ex direttore generale del Tesoro, l’economista è uno dei profili più autorevoli con il quale il nuovo governo di centrodestra potrebbe presentarsi per rassicurare i mercati sulle intenzioni serie dell’esecutivo. Anche Siniscalco, però, si sarebbe schermito. Il mantra ripetuto in questi giorni dal capogruppo alla Camera di Fdi, Francesco Lollobrigida, e dal responsabile economico, Maurizio Leo, è stato appunto «lo scostamento di bilancio è l’extrema ratio», temendo una recrudescenza della speculazione internazionale nei confronti dei Btp (ieri lo spread con il Bund è tornato sotto quota 250 a 243). Lo stesso Leo, esperto di diritto tributario e convinto assertore di una finanza pubblica prudentem è tra i candidati al ministero.

D’altronde, lo stesso ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha avvertito nella prefazione della Nadef che l’impennata del differenziale di rendimento con la Germania farà aumentare la spesa per interessi al 3,9% del Pil (circa 72 miliardi di euro). Di qui, secondo quanto trapelato da alcuni rumor di Palazzo, una velata proposta anche all’attuale inquilino del dicastero. Ma il rapporto di reciproca fiducia con Draghi ha determinato una risposta negativa.

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Mediaset, l’ultima preda di Pier Silvio Berlusconi: sul piatto 1 miliardo

giovedì, Settembre 29th, 2022

Attilio Barbieri

Lo shopping di Mediaset è appena all’inizio. L’offerta congiunta con il patron di Iliad, Xavier Niel, per l’emittente francese M6 potrebbe essere soltanto l’aperitivo di una campagna acquisti pronta a snodarsi in tutta Europa. A confermare le voci rimbalzate in queste ultime settimane è stato il direttore finanziario di Mfe, Marco Giordani, nel corso della conferenza telefonica sui risultati semestrali del Biscione.

«Valuteremo tutte le opportunità per portare avanti la nostra strategiadi crescita in Europa», ha spiegato rispondendo a una domanda, senza però aggiungere nulla, nello specifico, sulle notizie di stampa relative all’offerta presentata per il gruppo televisivo francese M6. «Siamo sempre più convinti della nostra strategia, saremo su tutti i dossier che ci consentono di crescere, non solo in Italia e in Spagna, ma anche al di fuori. È un nostro dovere».

POTENZA DI FUOCO
Sempre rispondendo a un quesito posto da un analista finanziario su quale sia la «potenza di fuoco» della holding tv dei Berlusconi per le acquisizioni, Giordani è stato esplicito: «Siamo solidi in termini di debito e come scadenze delle nostre facility finanziarie: i nostri covenant ci permettono circa un miliardo di euro».

Sull’offerta non vincolante presentata in cordata con il magnate di Iliad, finalizzata a rilevare il 48% del canale francese M6 di proprietà della media company tedesca Bertelsmann, Giordani è stato avaro di particolari, limitandosi a puntualizzare che «al momento l’opzione in carta o azioni è esclusa». Dopo aver messo al riparo la holding da possibili scalate ostili e aver delistato la controllata spagnola, l’ultima cosa a cui pensano i Berlusconi è la diluizione della quota di controllo in Mediaset.

Le operazioni del risiko per costituire il polo europeo della tv commerciale in grado di competere con i big del digitale, passano obbligatoriamente per la Germania, dove Mfe è già il primo azionista di Prosiebensat con il 26% del capitale. Non a caso il Biscione ha aperto la scorsa settimana una propria sede a Monaco di Baviera, affidandone la guida alla tedesca Katharina Behrends, ex manager di vertice della Nbc Universal Network, con competenze esclusive sull’area europea di lingua tedesca, Germania, Austria, Svizzera.

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M5s, i voti grazie al reddito di cittadinanza: la mappa che lo dimostra

giovedì, Settembre 29th, 2022

Maria Pia Petraroli

“Non è vero che abbiamo avuto soltanto il voto dei percettori del reddito di cittadinanza”: Stefano Patuanelli, ministro delle Politiche agricole ed esponente del M5S, lo ha detto a margine del VII Congresso Uila. Se si confrontano i voti ottenuti dai grillini col numero dei percettori del reddito nelle diverse regioni d’Italia, però, è difficile non vedere una correlazione, se non proprio una sovrapposizione di dati. Basti pensare, per esempio, alla regione Campania, dove il Movimento di Giuseppe Conte ha ricevuto in totale più di 796mila voti alla Camera. Eclatante la vittoria nel collegio uninominale di Napoli Fuorigrotta, dove l’ex-ministro dell’Ambiente, il grillino Sergio Costa, ha inflitto una severa sconfitta a Luigi di Maio di Impegno civico. I numeri importanti conquistati rendono il M5s il primo partito della regione. Sta di fatto, però, che la Campania è anche la prima regione in Italia per percettori di reddito di cittadinanza. Nel solo mese di agosto 2022 lo hanno ricevuto più di 600mila persone, stando ai dati riportati dall’Inps. Nessun’altra regione ha un numero così elevato di percettori.

Al secondo posto tra le regioni con più beneficiari del reddito grillino c’è la Sicilia, dove ben 500mila persone hanno ricevuto il sussidio lo scorso agosto. Anche in questo caso è impossibile non notare l’exploit del M5s nel territorio: pur non essendo stato il primo partito, il Movimento ha comunque ottenuto una percentuale alta di voti sia alla Camera che al Senato, 28,1% nel primo caso e 27,2% nel secondo, posizionandosi dietro al centrodestra. In generale, dando un occhio ai dati, si nota che più ci si sposta verso Sud, dove il M5s ha avuto un successo non indifferente, e più aumentano i tassi di percezione del reddito di cittadinanza. Per chi pensa che un’associazione tra il reddito in sé e il voto rappresenti un’interpretazione affrettata, se non proprio sbagliata, dell’esito delle elezioni, non sarà difficile notare però l’associazione tra disagio economico e voto al M5s. Qualche mese fa l’Inps ha sottolineato che lo squilibrio tra i beneficiari del reddito tra Nord e Sud Italia “è anche spiegato da indicatori di disagio economico locale (come l’alto tasso di disoccupazione, il basso livello di istruzione, la mancanza di servizi adeguati)”.

La correlazione, comunque, non riguarda solo il Sud. Al di là dell’area meridionale, infatti, sembra che laddove ci sia stata una maggiore richiesta di reddito di cittadinanza il voto al M5s sia stato più alto. Lo dimostra, per esempio, il dato del Lazio, dove i percettori del reddito nel mese di agosto sono stati più di 217mila mentre i voti al Movimento ammontano a oltre 400mila. Secondo Patuanelli, questo confermerebbe che i grillini non hanno ricevuto solo i voti di chi ha il reddito: “È una questione numerica: in Puglia abbiamo raddoppiato i voti rispetto ai percettori del reddito di cittadinanza e questo discorso può essere esteso a tutte le zone d’Italia”. Questo è assolutamente vero. Ma è vero anche che nelle zone in cui il tasso di percezione del sussidio è più alto, è più alto anche il numero di voti destinati al M5s, indipendentemente dal fatto che questo numero sia pari o maggiore rispetto a quello dei beneficiari del reddito. 

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La sinistra che dimentica le disuguaglianze

giovedì, Settembre 29th, 2022

FRANCESCA MANNOCCHI

Ormai siamo tutti così: personaggi drammatici che si manifestano solo comicamente [Mario a Giovanna – La Terrazza, Ettore Scola]

La politica, come le storie d’amore, è un equilibrio di fuochi e di tempi. Così è pure per il Pd, la metà della coppia che entra in casa e resta sbigottita sulla porta a guardare le stanze vuote, i bagagli portati via, il bigliettino lasciato appeso all’ingresso: scusami, non ti amo più. L’ha lasciato l’elettore prima di andare via. E come in tutte le storie d’amore finite male, il congedo non è mai improvviso. Avviene per sfinimento. L’elettore che se n’è andato non è stato tradito, o ferito. Se n’è andato consumato dagli sforzi di farsi vedere. Se n’è andato dopo essere stato condannato all’invisibilità da colui che tanto amava, di cui tanto si era fidato. Oggi il Pd è sulla porta a fare l’analisi dei flussi, a chiedersi dove ha sbagliato, a chiedersi di che pasta sia fatto l’elettore fuggito di cui ci si accorge sempre solo in assenza. Un elettore che fino a ieri si è manifestato sotto forma di allucinazione, categoria da appiccicare posticciamente a un presente che sfugge alla comprensione: “gli operai che votano a destra”, “le minoranze”, “gli ultimi da ascoltare”. Etichette che dicono poco e non spiegano niente.

Venerdì scorso Piazza del Popolo, sede del comizio di chiusura della campagna elettorale del Pd, era lo specchio dello scollamento tra il partito e la realtà. Sul palco una classe dirigente che già processava la sconfitta. Non un sorriso – non che ci fosse gran che da ridere, si intende – non la consapevole umiltà di chi sta andando incontro al peggiore degli scenari possibili, scivolare male sotto la soglia psicologica del 20%.

Un partito che sa di perdere può, come la metà della coppia sulla porta, far finta di non vedere. O avrebbe potuto, per esempio, invitare su quel palco l’elettore scettico, quello perso, quello andato via. Qualcuno che, di fronte al rappresentante che non ha rappresentato, potesse dire: mi riconquisteresti se. Ti voterei ancora, se.

Invece no. Sul palco di piazza del popolo c’erano esponenti del partito costretti dai tempi dello spettacolo, della politica twitterizzata, a parlare per 60, 90 secondi.

Ma cosa si può dire in 60 secondi se non uno slogan, dunque cosa si può dire se non una cosa inutile?

Sotto al palco i sostenitori spossati. Lo specchio del bacino elettorale del partito: ultrasessantenni molti, giovani pochi, a prima vista classe media o medio alta. Quando dal palco parte Bella Ciao cantano in pochi, non tutti volentieri.

Avevano metabolizzato quello che i dirigenti stentavano a capire, cioè che il contrario della timidezza non fosse cantare il fior del partigiano morto per la libertà. Avevano capito, persino loro che in un atto di fede sventolavano da seduti le bandiere del Pd, che la campagna di contrapposizione “o noi, o loro” non avrebbe portato da nessuna parte. Ma recitavano il copione, perché a 36 ore dal voto non c’era ormai più niente da fare se non assecondare l’ultimo atto del dramma borghese. Nella coppia – avrebbero detto amici e conoscenti – non andava né male e né bene. Condizione che di solito è preludio di disgrazia.

Una sola cosa avrebbe dovuto dare vita alla piazza, come alla campagna elettorale del Pd: la lotta alla disuguaglianza sociale. Non lo spauracchio del fascismo, non la dicotomia qui o lì, noi o loro, i giusti in lotta con i cattivi (ma come? Non era esattamente questo che fino a ieri criticavate, l’opposizione noi-loro?), al centro, senza sosta, a braccare il dibattito pubblico, a fare da filo rosso di questa breve, penosa campagna elettorale avrebbero dovuto essere poche semplici parole: faremo tutto quello che è in nostro potere per combattere la più pericolosa minaccia del nostro tempo: la disuguaglianza. La ferita che attraversa il Paese da Nord a Sud, un Paese in cui il quartiere dove nasci determina non solo chi sei, ma anche cosa puoi desiderare di essere, in cui la geografia vincola le aspirazioni, in cui la distanza dal centro era, resta e diventa sempre più una distanza sociale e se sei nato a 12, 15 chilometri dal centro città e vai a scuola con i mezzi pubblici, i tuoi compagni di classe dicono che invece dell’autobus ti muovi con “gli spostapoveri”’. Un Paese che sono sempre due, una capace di cogliere le opportunità della crescita e una esclusa dallo sviluppo. Un Paese in cui il gioco del capitalismo ha fatto sì che in una città che brilla di lustrini e influencer e che ha visto una forte concentrazione di ricchezza come Milano, a fare la coda per i pacchi alimentari non ci siano più solo quelli che al giornalismo e alla tv piace descrivere con un generico “poveri”, ma anche gli insegnanti, professoresse e professori destinati a dividere un appartamento con altri che come loro pur lavorando ce la fanno sempre meno o non ce la fanno più, messi all’angolo della società dei consumi, privati della reputazione che solo vent’anni il loro ruolo sociale conferiva. Laddove c’è più ricchezza c’è più disuguaglianza. In questo mondo rovesciato, il Pd ha pensato che fare politica significasse alimentare la paura del ritorno del fascismo e che dare voce ai vulnerabili significasse servire gli gnocchi e la pizza alla Festa de l’Unità di qualche territorio nocciolo duro, che duro poi si è rivelato non essere.

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Così il voto M5S si è travasato nel partito di Meloni: quei sei milioni in più a Fratelli d’Italia vengono al 30% da delusi 5 Stelle e al 33% da voto leghista

giovedì, Settembre 29th, 2022

Jacopo Iacoboni

Le analisi dei flussi elettorali delle ultime elezioni generali, che hanno proiettato la leader di Fratelli d’Italia indiscutibilmente verso Palazzo Chigi, dicono alcune cose interessanti sulla natura del voto che ha fatto volare il suo partito. Secondo i dati Demopolis sui flussi, degli oltre 7 milioni di voti a Meloni: il 33% nel 2018 votò Lega, il 30% votò M5S, il 12% Forza Italia. Non è dunque vero che tutti i voti di destra M5S erano già tornati a destra (e che quindi il M5S sia certamente un partito e un elettorato “di sinistra”, magari alla Melenchon): quei voti di destra stanno tuttora tornando a destra.

Il M5S era/è in larga parte contiguo alla destra, ogni volta che si analizzano i flussi la cosa emerge. «Degli oltre 7 milioni di elettori odierni – sta scritto nel report dell’istituto -, 18 su 100 avevano già votato Fratelli d’Italia alle ultime Politiche. I dati più significativi sono costituiti dai voti in ingresso, non solo dall’area di centrodestra: 30 elettori su 100 odierni di Fratelli d’Italia avevano scelto nel 2018 il Movimento 5 Stelle, 12 Forza Italia. Il flusso più significativo proviene dal partito di Salvini: 33 elettori attuali su 100 della Meloni avevano optato per la Lega nel 2018». Secondo il direttore dell’Istituto Pietro Vento, per un terzo di elettori, Giorgia Meloni è apparsa «una leader più convincente negli ultimi 30 giorni di campagna elettorale». Il 18% indica che Giuseppe Conte li ha impressionati nella sua strategia (che ha consentito una per lui lusinghiera rimonta, al netto dei sei milioni di voti assoluti persi dal M5S dal 2018 a oggi), determinato una rimonta elettorale, concentrata in particolar modo nelle regioni del Sud. Il 9% è stato colpito dalla performance di Carlo Calenda.

Secondo questo studio, «sulle scelte di voto di oltre l’80% degli italiani, hanno inciso il partito o il leader; appena una minoranza del 16%, il 25 settembre, ha espresso una preferenza tenendo conto dei candidati presenti nel proprio collegio che, del resto, risultavano sconosciuti ai più anche nello stesso giorno delle elezioni». Ovviamente non possono essere dimenticati gli oltre 16 milioni di italiani che hanno scelto di astenersi domenica scorsa. L’affluenza del 64% è stata la più bassa mai rilevata dal dopoguerra. Con due motivazioni prevalenti: «delusione e sfiducia verso i partiti, al primo posto». E incapacità di incidere: «Per il 53% la politica non è più in grado da tempo di incidere sulla vita reale delle famiglie. Per il 44% queste elezioni erano scontate nel risultato, in considerazione del sistema elettorale e del netto vantaggio del Centro Destra, trainato da Giorgia Meloni».

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Salvini a Meloni: “Senza Viminale io vicepremier e all’Agricoltura”

giovedì, Settembre 29th, 2022

Ilario Lombardo, Francesco Olivo

ROMA. Il governo blu-verde-azzurro del futuro non è partito nel migliore dei modi. Non per Matteo Salvini che l’altro ieri ha appreso dalle agenzie dell’incontro tra il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani e Giorgia Meloni, mentre lui era a Milano, a processare i governatori leghisti in Consiglio federale.

Un’incomprensione e già tanti, troppi sospetti reciproci non sono la migliore delle premesse per organizzare il primo faccia a faccia tra il leader del Carroccio e la premier in pectore di Fratelli d’Italia. Salvini è irritato dalle ricostruzioni giornalistiche sulla volontà di Meloni di escluderlo dal governo o di marginalizzarlo in un ministero minore. Voci, gli ha spiegato la leader, che sono frutto di arbitrarie interpretazioni dei suoi fedelissimi. Quel che è vero è che dentro Fdi c’è una fronda preoccupata dall’inchiesta di Milano, non ancora conclusa, sugli incontri del 2018 al Metropol di Mosca del consigliere di Salvini, Giacomo Savoini, e dei presunti fondi russi dirottati in Italia.

Il capo della Lega arriva all’incontro a Montecitorio con l’idea di chiarire subito come stanno le cose. «Evitiamo di farci del male» dice. Meloni concorda. Tra i due c’è un più che un filo di imbarazzo. La leader di FdI lo sente. Il leghista è più bravo a dissimulare. Vuole farsi dire in faccia quello che tutti pensano e tutti dicono: il Viminale è sbarrato al leghista. E in effetti lei glielo dice: «Come sai, il presidente Mattarella non ce lo permetterebbe. Ci vuole un tecnico». Lo sa benissimo, Salvini. Ma gioca lo stesso sull’aspettativa. I rapporti di forza del futuro governo sembrano scritti dalle distanze enormi tra i voti presi da FdI e quelli degli alleati di Lega e Fi. Ma l’ex ministro dell’Interno del governo gialloverde vuole far pesare i 95 parlamentari, più due ripescati (due di peso: Umberto Bossi e il segretario amministrativo Giulio Centemero), eletti in quota Carroccio.

La Lega smentisce che sia arrivato a minacciare l’appoggio esterno, come qualcuno dentro Fi teme. Certo è che non smobiliterà da due-tre richieste precise. La prima: i vicepremier, sul modello del governo gialloverde. Stessa proposta che il giorno prima aveva avanzato Tajani. Entrambi vogliono avere un piede a Palazzo Chigi. Ma Meloni ha più di qualche dubbio. Avere Salvini come uno dei due vice non sarebbe il migliore biglietto da visita con gli alleati, soprattutto chi da Washington sperava di vedere il leghista fuori dalla squadra.

La bozza di ripartizione delle poltrone di governo prevede uno schema che riflette il numero dei seggi ottenuti nella coalizione. Salvini è stato favorito dagli uninominali e pretende che almeno uno dei cinque ministeri di prima fascia vada alla Lega. Tajani ha chiesto lo stesso e punta agli Esteri (o, come seconda scelta, alla Difesa). Salvini invece manderebbe Giulia Bongiorno alla Giustizia. Meloni dovrà avere comunque il via libera da Matterella. Nelle interlocuzioni di questi giorni con il Quirinale, ha già dato ampie rassicurazioni. «A partire dall’Economia avremo il massimo delle figure autorevoli».

In questo schema Salvini non avrebbe altra scelta che puntare a una delega minore, potenziata politicamente dal ruolo di vice. Ma non andrebbe a Trasporti e Infrastrutture come qualcuno, anche dei suoi uomini, ipotizzava. Preferisce l’Agricoltura, un ministero che riceverà una buona fetta dei fondi del Pnrr, molto radicato nei territori, che ti permette di viaggiare, come faceva quando era al Viminale, di interfacciarsi con le federazioni e le associazioni. Un posto dove si può continuare a fare politica, in veste di ministro.

Al Mit invece vorrebbe piazzare il ligure Edoardo Rixi, già sottosegretario nel primo governo Conte. Se la dovrà vedere con Fabio Rampelli, di Fdi, antico mentore di Meloni, tra i deputati più attenti alla questione della ex Alitalia.

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Draghi, piena collaborazione per il passaggio di consegne. «Ma non faccio da garante»

giovedì, Settembre 29th, 2022

di Monica Guerzoni

Nelle stanze di Palazzo Chigi si susseguono incontri per mettere a fuoco lo stato di avanzamento dei dossier, destinati ad approdare sui tavoli di Giorgia Meloni

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Fino al rito fulmineo e solenne della campanella, che segna il passaggio dal vecchio al nuovo governo, Mario Draghi farà il presidente del Consiglio. E continuerà a lavorare per il futuro del Paese, «non per il suo destino personale». Quando i suoi interlocutori internazionali gli chiedono «Mario, cosa farai dopo?», magari azzardando domande su possibili ruoli al vertice dell’Europa o della Nato, il premier italiano si cava d’impaccio con un «not interested in the job». Una formula secca per smentire ambizioni e «presunte candidature», visto che per tre o quattro settimane un lavoro ancora ce l’ha ed è nel suo ufficio di Palazzo Chigi.

In quelle stanze si susseguono incontri tecnici per mettere a fuoco lo stato di avanzamento dei dossier, destinati ad approdare sui tavoli di Giorgia Meloni e dei suoi ministri. Non si tratta di un vero e proprio team che faccia da raccordo tra il governo del prima e quello del dopo 25 settembre, ma di riunioni che vedono a capotavola il sottosegretario Roberto Garofoli e il capo di Gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello. L’obiettivo è garantire quell’«avvicendamento ordinato» che molto sta a cuore a Draghi, per l’interesse generale e anche per non vanificare il lavoro fatto in un anno e mezzo su temi decisivi. Dalla tenuta dei conti pubblici all’attuazione del Pnrr, dal sostegno (anche militare) all’Ucraina ai provvedimenti per contenere la crisi energetica. Sulla battaglia per il tetto al prezzo del gas russo, ad esempio, il premier ha giocato di sponda per mesi con i leader dei Paesi alleati e negli ultimi due vertici Ue in agenda, Praga e Bruxelles, cercherà di intestarsi il risultato.

La transizione che Draghi sta preparando, in sintonia con gli auspici del Quirinale, sarà «ordinata, nell’ambito dei corretti rapporti istituzionali». Ma guai a pensare che il premier abbia siglato accordi con i partiti di centrodestra che hanno vinto le elezioni. Letti i giornali, ieri mattina l’ufficio stampa di Palazzo Chigi ha diffuso una nota molto politica per chiarire la linea: «Il presidente del Consiglio non ha stretto alcun patto, né ha preso alcun impegno a garantire alcunché». Parole nette, messe nero su bianco per spezzare l’idea di un legame che vada oltre i corretti rapporti istituzionali. E per spazzar via le voci di un possibile do ut des, che si vanno rafforzando nel mondo politico tra Roma e Bruxelles. È vero che Draghi si sta spendendo con leader del calibro di Macron e Scholz per accreditare e garantire il nuovo governo? E che Meloni gli avrebbe promesso il suo futuro appoggio per un incarico di peso all’estero?

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Samantha Cristoforetti è la prima comandante della Iss: «Grazie all’Italia se sono qui»

giovedì, Settembre 29th, 2022

In diretta dalla Stazione Spaziale Internazionale ringrazia gli italiani per il supporto

Agtw / CorriereTv

L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti ha ricevuto le ‘chiavi’ della Stazione Spaziale Internazionale (Iss) dal cosmonauta russo dell’Expedition 67, Oleg Artemyev. Un gesto che dà inizio al suo ruolo di comandante della Iss come prima donna europea. Tra gli applausi e gli abbracci, le parole di Cristoforetti: «Grazie davvero a tutti gli italiani che mi hanno sempre supportata in questa missione, per me è un privilegio rappresentare il nostro paese nello spazio».

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Conteggi sbagliati, Bossi (ri)eletto Ma è caos ripescaggi in tutta Italia

giovedì, Settembre 29th, 2022

di Cesare Zapperi, inviato a Gemonio

Calderoli telefona al Senatùr: granchio del Viminale. Il ribaltone coinvolge diverse assegnazioni di seggi, tra gli esclusi anche la deputata uscente di Iv Annibali

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«Umberto, te lo confermo: sei stato eletto. Il Viminale ha rivisto il risultato dandomi ragione». Sono da poco passate le 17.30 quando nel silenzio della palazzina liberty dimora di Umberto Bossi e famiglia irrompe via cellulare la voce di Roberto Calderoli. «Te l’avevo detto, ma tu non volevi credermi…» spiega il vicepresidente del Senato al fondatore della Lega che, forse tradito dalla girandola di emozioni (prima la delusione per la bocciatura, poi la gioia per il «ripescaggio»), riesce a sussurrare solo poche parole: «Ma come? Io poi non volevo essere eletto…».

Invece è tutto vero quello che lo stesso Calderoli aveva anticipato un paio d’ore prima chiamando la casa di Gemonio: «Il Viminale ha preso un grosso granchio. Ha dato una interpretazione sbagliata della legge elettorale, attribuendo in modo errato i resti. Ho chiesto che provvedessero direttamente a correggere gli errori in autotutela». Sarà un caso oppure no, una manciata di minuti dopo la diffusione della nota del senatore leghista dal ministero dell’Interno è arrivato il clamoroso dietrofront (e Matteo Salvini commenta: «Quante parole al vento…», pare indirizzato agli oppositori interni).

Una correzione di rotta relativa agli eletti alla Camera che riguarda, come caso più clamoroso, Umberto Bossi (insieme al tesoriere della Lega Giulio Centemero, a sua volta ripescato) che così potrà continuare alla Camera i suoi 35 anni ininterrotti da parlamentare. Ma il ribaltone coinvolge parecchi altri candidati, fra esclusi eccellenti che ora rientrano e eletti che invece perdono lo scranno. Tra chi ha visto sfumare in extremis l’elezione, per esempio, c’è Lucia Annibali , deputata uscente di Italia viva.

Il Viminale assicura che entrate e uscite sono a saldo zero per i partiti (per la Lega i due seggi guadagnati in Lombardia corrispondono a perdite in Emilia-Romagna e Sicilia). La revisione, secondo il ministero, è stata una conseguenza delle indicazioni ricevute dall’Ufficio elettorale presso la Corte di Cassazione (a cui spetta la proclamazione degli eletti). Quel che è certo è che si è scatenato un polverone con nomi legati a loro volta a ad altre variabili (candidature plurime), con il risultato di lasciare ancora alcune elezioni in sospeso. Per quel che si è potuto accertare, le modifiche riguardano uno-due casi in quasi tutte le Regioni. In Emilia-Romagna è stato «ripescato» il deputato uscente del Pd Andrea Rossi e nel Lazio il compagno di partito Andrea Casu; in Umbria Pier Luigi Spiranelli (Pd) deve lasciare il posto a Emma Pavanelli (M5S) mentre Catia Polidori (FI) subentra a Chiara La Porta (FdI); in Abruzzo Giulio Sottanelli (Azione) soffia il posto a Stefania Di Padova (Pd).

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