Massimo Giannini e Renzo Piano
È diritto e dovere di tutti chiedere ai grandi della
terra di fermare il conflitto in Ucraina che non è solo la guerra di
Putin ma un nuovo scontro di civiltà le autocrazie russe e cinesi si
contrappongono alle democrazie euroatlantiche per distruggere
l’Occidente.
In nome di Dio, fermate la guerra». La preghiera di Francesco
squarcia questo buio dell’umanità, dove ci aggiriamo come i sonnambuli
di Block, credendo incubo notturno una realtà quotidiana fatta di civili
massacrati, di donne stuprate e di bambini torturati in Ucraina.
Qualche giorno fa mi ha telefonato Renzo Piano – “il Geometra”, come lo
chiamano gli amici, e non certo per dileggio – per non rimarcare troppo
il fatto che in realtà lui è il più grande architetto-progettista
italiano e uno dei più grandi del mondo. «Ho un peso immenso sul cuore –
mi ha detto – e ne voglio parlare con te. Tu ed io eravamo amici di
Gino Strada. Insieme a lui, ti ricordi, abbiamo fatto a Milano un
bellissimo dibattito, tre anni fa, intitolato Di guerra e di pace. Mi
piacerebbe riprendere il filo di quei ragionamenti». Sono partito subito
per Genova, ospite di Renzo per un’intera mattinata, nella meravigliosa
Punta Nave, un monumento alla grande bellezza dove ha sede la sua
Fondazione, il suo studio, il suo buen ritiro. Dal nostro incontro è
nato questo dialogo. Di guerra e di pace, appunto.
GIANNINI: «Caro Renzo, forse ha ragione il Papa, quando dice che la
Terza guerra mondiale è già cominciata da mesi, frammentata in cento
focolai “minori” ma figli di un unico incendio globale nel quale gli
Imperi sono impegnati a ridefinire le rispettive sfere di influenza
geostrategica, politica, economica. Ma certo la sporca guerra di Putin
in Ucraina ci ha fatto compiere un salto ulteriore, portando il Pianeta
sulla soglia dell’Armageddon nucleare, come si è lasciato sfuggire Joe
Biden. A me, da quel maledetto 24 febbraio quando l’invasione russa è
iniziata, colpisce una cosa: i Grandi della Terra parlano solo di
guerra, nessuno parla più di pace. È questo il peso che ti porti nel
cuore?».
PIANO: «Grande Papa Francesco. Io vivo una vita felice, come
edificatore, come costruttore, vivo in mezzo ai giovani e facciamo
progetti pubblici dappertutto in giro per il mondo. In questo momento
stiamo lavorando per la John Hopkins University, per i grandi ospedali
di Parigi. È una vita piena, una vita intensa. Ma mi devi credere: ogni
giorno io la sento oscurata da questa terribile angoscia per quello che
sta succedendo in Ucraina. E voglio raccontare questo mio tormento.
Perché credo che in questo momento il mio stesso tormento lo vivano
tante persone. E perché spero che se ti racconto in modo sincero di
questo mio tormento, tanti altri facciano la stessa cosa, raccontando il
loro».
GIANNINI: «E tu speri che la somma di questi tormenti, se resa pubblica, possa cambiare le cose? Ho paura che non basti».
PIANO: «Io non so se basta. Ma so che è la cosa più seria che posso
fare. E so che tutte le persone con cui parlo, in qualche modo, mi
spiegano che sentono dentro questo tormento. Nessuno lo esprime, perché
forse siamo tutti annichiliti di fronte all’orrore che vediamo. Ma ora
dico basta. Dobbiamo trovare la voglia e il coraggio di dire no a questa
guerra. E mi auguro che anche gli altri lo dicano, che la massaia lo
dica al marito, che il muratore lo dica al suo capocantiere, che tutti
tirino fuori questo tormento. Ora mi dirai che questo è un discorso
intimista. Ma ti chiedo: che altra forza abbiamo, noi cittadini normali,
se non la parola? Il nostro unico potere è la voce. Bene, adesso
tiriamola fuori, questa voce. Facciamola risuonare limpida, da persona a
persona, nelle piazze, nelle strade, nei villaggi, nei paesi, nelle
città di tutto il mondo».
GIANNINI: «Condivido la tua angoscia. Ma se mi guardo intorno, in
verità, io almeno in Italia vedo un Paese frammentato. Da una parte c’è
un’élite, politica, culturale e anche giornalistica, che si divide in un
derby grottesco dove non c’è più spazio per ragionare e discutere,
perché qualunque cosa dici viene risucchiata dal penoso tifo da stadio
tra filo-ucraini e filo-russi. Dall’altra parte c’è un popolo che,
comprensibilmente, è preoccupato soprattutto per il caro-bollette, per
il costo del gas alle stelle che si porta dietro l’intera filiera dei
prezzi delle materie prime e dei beni essenziali, dal pane al latte. La
tua angoscia per la guerra, come la tua ansia di pace, sono così forti
in te perché sei cittadino del mondo e perché costruisci le cose, e sai
quanta passione, quanta fatica e quanto lavoro costino all’uomo».
PIANO: «Questo è sicuro, come ti ho detto io sono un
architetto-costruttore, costruisco ponti dappertutto, non solo qui a
Genova: l’ultimo l’abbiamo fatto a Los Angeles, unisce due edifici.
Costruisco luoghi di pace, costruisco luoghi per la gente, università,
biblioteche, scuole, ospedali, tribunali».
GIANNINI: «I luoghi del vivere civile. Tu costruisci luoghi di pace, laguerra li distrugge».
PIANO: «Esattamente. Vedi, per me costruire la pace è un po’ come
costruire una città pietra per pietra, una città meravigliosa che non
esiste, una città immaginaria, la città che descrive la Sacra Scrittura.
Ci vuole tempo a edificare, e non è solo un atto fisico ma anche etico:
non a caso da edificare viene l’aggettivo “edificante”, che vuol dire
buono, bello, positivo, istruttivo. Perché poi quelli che costruisci
diventano luoghi dove la gente condivide valori e impara l’arte dello
stare assieme, del nutrirsi delle diversità. La guerra nega e distrugge
tutto questo. L’altro giorno hanno bombardato il ponte di Kerch, in
Crimea. Ci credi che mi è venuto un colpo al cuore? Subito dopo sì, ma
lì per lì non mi sono neanche chiesto chi aveva colpito chi. Ho solo
provato sofferenza. Una sensazione di lutto, che mi accompagna
costantemente».
GIANNINI: «Mi torna in mente il Ponte di Mostar, ai tempi della guerra nella ex Jugoslavia».
PIANO: «Ci ho pensato anch’io, sai? Ma poi c’è un’altra cosa che ti
voglio spiegare sul valore del costruire. Non c’è nulla di più solidale
e, di fatto, anche pacifico di un cantiere. Io di cantieri di
costruzione ne ho avuti di difficilissimi. Ricordo quello di Potsdamer
Platz, a Berlino, quello lungo la Miljacka a Sarajevo, quello di
Manhattan dove ho ricostruito il palazzo del New York Times subito dopo
la caduta delle Torri Gemelle. Quando sei in un cantiere, sei in un
luogo miracoloso dove la solidarietà e l’orgoglio del costruire qualcosa
vincono su tutto. A Londra, nel cantiere della Torre Shard, avevo 1.500
operai di 70 nazionalità diverse. A Berlino avevamo 5.000 operai, solo
500 erano tedeschi, gli altri venivano da tutto il mondo, Turchia,
Russia, ovunque. Un giorno venne a trovarmi Mario Varga Llosa, che
abitava in Germania, proprio nella capitale, e mi disse: “Questa piazza,
dove c’era il bunker di Hitler, è stata teatro della più grande ferocia
della Storia moderna, e ora con questi 5.000 operai di tutte le
nazionalità è diventata un luogo di tolleranza, di comprensione, di
condivisione”».
GIANNINI: «La stessa cosa potremmo dirla della musica. Non a caso a
Kherson i russi compiono il più insopportabile dei crimini: uccidono un
direttore d’orchestra ucraino perché si rifiuta di suonare dopo
l’annessione dei territori del Donbass».