Archive for Ottobre, 2022

Crosetto assicura: “Sarà un governo di centrodestra. Uniti al Quirinale”

domenica, Ottobre 16th, 2022

Luca Sablone

Nel centrodestra c’è la volontà di superare le prime sfumature e di proseguire compatti verso la formazione del nuovo governo. Un passaggio importante sarà quello di presentarsi uniti alle consultazioni con il presidente della Repubblica piuttosto che in singole delegazioni. Su questo fronte ha ostentato grande ottimismo Guido Crosetto, sicuro del fatto che la coalizione mostrerà unione di intenti la prossima settimana e darà vita a un esecutivo di assoluta qualità.

L’ottimismo di Crosetto

Il co-fondatore di Fratelli d’Italia ha assicurato che il centrodestra darà prova di coesione non solo davanti al capo dello Stato Sergio Mattarella, ma anche nelle ricette per risollevare le sorti del nostro Paese. L’imprenditore ha confermato che “nessuno vuol fare un governo senza Forza Italia o che non sia di centrodestra”. In effetti, dopo le elezioni di domenica 25 settembre, c’è la possibilità di ridare all’Italia un governo politico guidato da partiti nettamente premiati dagli elettori.

“Vuole che ora non ne nasca uno di centrodestra? Vorrebbe dire farsi molto male. Non succederà. E neppure che FI vada da sola alle consultazioni“, ha garantito Crosetto. Che nell’intervista a Quotidiano Nazionale ha fatto notare come la coalizione si sia subito rinsaldata in occasione dell’elezione di Lorenzo Fontana come presidente della Camera: “Dopo la lite, ci sarà la ricomposizione. Meloni non è una che porta rancore. È una donna forte e pragmatica. Il Paese ha tanti problemi. Non si può aspettare”.

Per il co-fondatore di FdI il primo intervento da partorire sarà un decreto sul caro-bollette e sul prezzo di gas ed energia per andare incontro alle esigenze di famiglie e imprese. Per farlo sarà indispensabile poter contare su una squadra di ministri di rilievo, e in tal senso Crosetto ha mostrato tranquillità: “La squadra sarà all’altezza? Non potrà che essere così. Meloni è una donna e una persona durissima, prima di tutto, con se stessa. Sceglierà i più bravi”.

Il centrodestra si muove unito

In queste ore proseguono i contatti tra le forze politiche del centrodestra, cercando di sistemare tutti i tasselli e di sbrogliare gli ultimi nodi. Non mancano pontieri all’opera per il disgelo, visto che la volontà comune è quella di muoversi uniti a partire dalle consultazioni con il presidente Mattarella. Anche perché, come scrive Anna Maria Greco su ilGiornale in edicola oggi, Forza Italia è determinata nel far nascere il governo di centrodestra. Pertanto nelle prossime ore si cercherà di ricucire.

Rating 3.00 out of 5

La sinistra non smaltisce il ko. Via al regolamento di conti

domenica, Ottobre 16th, 2022

Francesco Boezi

La minoranza, che prova a scaricare le sue tensioni interne sul centrodestra, è dilaniata. L’accordo per gli incarichi istituzionali non c’è. Le dichiarazioni del leader del Terzo Polo Carlo Calenda sono la fotografia del momento: «Con le altre opposizioni se sui singoli temi si trova un accordo benissimo. Per ora l’interlocuzione, da parte del Pd ma anche dei Cinque Stelle, è molto scarso», fa presente, mentre si reca all’Huffpost day, l’ex candidato a sindaco di Roma. Scarso per non dire nullo, considerata l’intesa che i dem e i grillini hanno trovato in principio di legislatura per tagliare fuori i terzopolisti dalla partita che si giocherà mercoledì. Quella che varrà per i vicepresidenti della Camera e del Senato, per i questori e per i segretari d’Aula. Lo stallo alla messicana, se mai è esistito, è già terminato. E ognuno pungola dove vuole.

Elly Schlein, l’astro nascente della sinistra dem, è ancora concentrata sulla ricerca dei franchi tiratori che hanno contribuito all’elezione d’Ignazio La Russa: «Una destra peraltro disunita che è stata aiutata da un soccorso vergognoso di una parte da un gruppo di senatori di minoranza che mi hanno ricordato i 101 franchi tiratori del 2013 contro Romano Prodi», tuona al Tg1.

E ancora: «C’è qualcuno che è dipendente dal tatticismo disperato, e che non ha nemmeno il coraggio di dichiararsi a fronte dei milioni di elettori ed elettrici che solo qualche settimana fa li hanno portati in Parlamento». Sembra l’inaugurazione dell’ennesima leadership targata giustizialismo. Un dettaglio passato in sordina: Matteo Richetti, candidato del Terzo Polo a presidente della Camera, ha potuto contare su tre voti in più. Saranno arrivati dagli scontenti della gestione odierna del Pd?

Matteo Renzi ha messo nel mirino politico il sindaco di Firenze Dario Nardella. Il primo cittadino ha ambizioni da segretario dem ma l’ex premier gli rammenta qualche elemento: «Per fare il sindaco di Firenze – dichiara l’ex premier a SkyTg24 – bisogna avere uno molto forte che ti spinge come è successo a Nardella: a lui è successo quando ho deciso di mandare la Saccardi in Regione, Giani in Regione e Nardella vicesindaco. Era un momento in cui me lo potevo permettere perchè avevo il 40% nel Paese e il 60% a Firenze e facevo il sindaco».

Rating 3.00 out of 5

I 10 anni di Xi Jinping alla guida della Cina

domenica, Ottobre 16th, 2022

Federico Giuliani

Ci sono buone probabilità che Xi Jinping rimanga al potere per molti altri anni come leader supremo della Cina. Il XX Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC) dovrebbe garantire all’attuale presidente cinese un inedito terzo mandato nelle vesti di segretario generale del partito, dal quale, nei prossimi mesi, estendere conseguentemente la carica presidenziale.

Abolito il limite dei due mandati nel 2018, e al netto di vari nodi non proprio trascurabili – dal rallentamento economico alle tensioni internazionali – per Xi, al potere dal 2012, la strada sembra dunque essere in discesa. In attesa di capire quale percorso seguirà il Dragone da qui ai prossimi anni, possiamo intanto tracciare il bilancio completo di come si è trasformata la Cina sotto la decennale guida di Xi Jinping.

Com’era la Cina prima della presidenza di Xi

Da quando ha ereditato la leadership della seconda economia più grande del mondo dal suo predecessore Hu Jintao, Xi ha rimodellato la Cina facendola emergere come potenza dominante sulla scena globale.

Nel 2012, più che a un serpentone con le fauci aperte pronto a inghiottirsi Paesi interi, la Repubblica Popolare Cinese era ancora paragonata ad un panda gigante. Un panda enigmatico, politicamente distante dall’Occidente, problematico per la sua capacità di inondare i mercati con paccottaglia a basso costo, dotato di una cultura diversa, ma tutto sommato innocuo. Anzi: c’era addirittura chi pensava che la Cina potesse gradualmente occidentalizzarsi, non solo nei brand e nei consumi, ma anche nella visione valoriale. L’avvento di Xi ha interrotto questi vani sogni di gloria. Il nuovo presidente ha fatto uscire allo scoperto le reali potenzialità del Paese nel tentativo di riportare Zhongguo, il “Paese di mezzo”, al centro del mondo.

Al termine di un lunghissimo percorso di riforme e aperture, inaugurato da Deng Xiaoping nel 1978, per la Cina era arrivato il momento di accelerare. Xi si è quindi ritrovato a guidare un Paese pronto a riscattare il secolo delle umiliazioni (‘900). È per questo che, a differenza dei precedenti presidenti cinesi, Xi Jinping può essere visto come un leader intenzionato a seguire una missione storica da compiere a qualunque costo.

In generale, prima di Xi l’economia cinese era fiorente, ma aveva anche molti seri problemi. Il prodotto interno lordo cinese, ha sottolineato il South China Morning Post, era cresciuto ad un tasso medio annuo del 10% annuo per oltre un decennio, salvo rallentare quasi ogni anno a partire dal 2008. All’inizio del Duemila, inoltre, in Cina la disuguaglianza aveva addirittura superato quella degli Stati Uniti, mentre l’inquinamento stava letteralmente uccidendo il Paese. Nel 2013 l’aria di Pechino contava una media di 102 microgrammi di particelle di PM2,5 per metro cubo. Il deflusso chimico di fabbriche, miniere e fattorie stava nel frattempo intossicando le acque, costringendo villaggi e comunità locali a spostarsi a causa della contaminazione dei rispettivi approvvigionamenti idrici.

Negli ultimi 10 anni, con Xi al potere, le letture di PM2,5 nelle principali città, come Shanghai e Pechino, si sono dimezzate. Il coefficiente di Gini è tornato al di sotto di quello Usa. Xi è però riuscito solo in parte a migliorare la situazione cinese. Sono rimasti nodi irrisolti: ad esempio il tasso di crescita annuale del pil, tra il 2012 e l’inizio della pandemia di Covid-19, è diminuito o rimasto costante. E ancora: il governo ha abolito la politica del figlio unico ma i tassi di fertilità sono rimasti bassi.

Possiamo affermare che Xi ha ereditato la maggior parte dei problemi della Cina – problemi figli della rapida modernizzazione del Paese – ma che è riuscito a risolverli soltanto in parte, e non necessariamente sempre per suoi demeriti.

Hu Jintao (Sx) e l’ex presidente Jiang Zemin nel Congresso del 2012 (Foto EPA/DIEGO AZUBEL)

Cosa ha deciso Xi durante la presidenza

Uno dei più grandi successi di Xi Jinping è stato il modo con il quale è riuscito a risolvere le presunte contraddizioni tra il ritorno della Cina a politiche maoiste di sinistra e lo spostamento del Paese verso la destra dengista. Alla fine della presidenza di Hu Jintao, la disputa su quale direzione avrebbe dovuto prendere il Paese si stava facendo sempre più serrata. Xi è stato abile ad imbracciare l’arma del pragmatismo e silenziare ogni contraddizzione capace di minare l’armonia sociale della nazione.

Le sue teorie politiche, riunite sotto l’etichetta de “Il pensiero di Xi Jinping“, hanno trovato spazio nella costituzione del partito. A livello nazionale, Xi Jinping ha reso popolare lo slogan ispiratore del China Dream, ha celebrato il 100esimo anniversario del Partito Comunista Cinese, ha represso il dissenso a Hong Kong e promesso di perseguire la riunificazione con Taiwan (anche se non si capisce ancora in che modo).

I suoi “Two Centenary Goals” hanno offerto alcuni indizi quantitativi su cosa sia il suo Sogno Cinese. Intanto, la Cina avrebbe dovuto costruire una società moderatamente benestante entro il 2021 (il governo ha annunciato di esserci riuscito) e, successivamente, diventare un Paese socialista moderno a tutti gli effetti entro il 2049.

Rating 3.00 out of 5

Iran, incendio e scontri nel carcere di Evin. Nella prigione è detenuta Alessia Piperno

domenica, Ottobre 16th, 2022

Gli scontri e le fiamme avrebbero provocato 8 feriti. Centinaia di arrestati durante le proteste che hanno infiammato il Paese dopo la morte della giovane Mahsa Amin sono rinchiusi in questa prigione

Teheran (Iran), 15 ottobre 2022 – Scontri e un incendio sono scoppiati al famigerato carcere di Evin a Teheran, dove vengono rinchiusi i detenuti i prigionieri politici e dove, secondo quanto si era appreso dopo il suo fermo il 28 settembre, si troverebbe anche l’italiana Alessia Piperno. Centinaia di arrestati durante le proteste che hanno infiammato l’Iran dopo la morte della giovane Mahsa Amin sono rinchiusi in questo carcere, dove secondo le ong per i diritti umani viene anche usata la tortura. Secondo l’ong basata a Oslo Iran Human Rights, “il fuoco si sta espandendo nel carcere” e “è stata udita un’esplosione”. In un video diffuso dal canale social 1500tasvir si sentono persone che urlano “morte al dittatore”.

La colonna di fumo che si alza dal carcere di Evin (Dire)
La colonna di fumo che si alza dal carcere di Evin (Dire)

Secondo diverse fonti, l’incendio è scoppiato in seguito dopo una rivolta di detenuti che ha interessato la sezione 7 del carcere. Testimoni hanno detto che si sono uditi spari e gruppi di persone si sono radunate nei pressi della prigione urlando slogan. Secondo l’Irna, che cita un alto funzionario della sicurezza, l’incendio è partito dalla sezione 7, quella dove si scontravano detenuti e guardie carcerarie. I rivoltosi avrebbero dato fuoco ad un deposito di vestiti, causando un rogo che secondo le autorità è ora in fase di spegnimento da parte dei vigili del fuoco. Secondo questa fonte, i detenuti ammutinati sono stati separati dagli altri, che sono rientrati nelle loro celle.

Rating 3.00 out of 5

Le ferite non ancora chiuse

domenica, Ottobre 16th, 2022

Agnese Pini

Il tallone d’Achille di Giorgia Meloni si chiama Europa. È lì, è in Europa, che può sgretolarsi l’immagine del suo nascente governo e del nostro Paese. È inevitabilmente lì, in Europa, che le tensioni internazionali che ricadono su di noi – guerra, crisi energetica, crisi economica – possono essere risolte o al contrario esacerbate. Con tutte le conseguenze del caso. Meloni lo sa, e sotto questa spada di Damocle evidentemente si muove e sceglie le pedine della sua squadra. Mostrando coerenza politica e anche un certo coraggio, come nei numerosi “no” alle richieste per nomine e dicasteri avanzate dai suoi principali alleati: Salvini e soprattutto Berlusconi.

Per questo le parole pronunciate ieri a Berlino dal segretario del Pd Enrico Letta sono state per lei un doppio schiaffo: non solo un attacco politico, ma soprattutto una minaccia reputazionale in un contesto, quello dell’Unione, in cui tanto i media quanto le istituzioni guardano al nostro Paese e alla nuova maggioranza con palpabile diffidenza.

Ha detto il leader Dem, invitato al congresso dei socialisti europei: “Chi ha vinto, invece di riappacificare il Paese, lo sta dividendo”. Il riferimento è alla scelta dei due neo eletti presidenti delle Camere: La Russa e Fontana. L’affondo tocca il tasto più dolente per Meloni: e cioè la difficoltà nel tenere insieme un profilo rassicurante per mercati e partner internazionali e le diverse anime con cui Fratelli d’Italia e alleati devono fare i conti all’interno dei loro stessi partiti. Dalla guerra all’Unione, dalle politiche economiche a quelle legate ai diritti civili.

Rating 3.00 out of 5

Lettera alla Sorella d’Italia

domenica, Ottobre 16th, 2022

MASSIMO GIANNINI

Cara Giorgia Meloni, ci rivolgiamo a Lei, in modo così diretto, perché stiamo maturando una convinzione. Lei non è Golda Meir. Lei deve ancora dimostrare tutto. Ma nelle tre destre che hanno vinto le elezioni, e che stanno occupando i gangli del potere, proprio Lei e solo Lei, lontana dall’identità di questo giornale per cultura e per formazione, rappresenta la residua e flebile speranza di non mandare il Paese in rovina. Abbiamo apprezzato la sobrietà con cui ha reagito al trionfo elettorale di Fratelli d’Italia, dal 25 settembre in poi: la Storia ci riserva troppi drammi, perché si possa brindare a champagne. Apprezziamo le parole con le quali giustamente condanna la stella a cinque punte riapparsa su una sede di FdI, minaccia inaccettabile nei confronti del nuovo presidente del Senato: è importante respingere ogni violenza, ribadire che la seconda carica dello Stato farà di tutto per incarnare “imparzialità e autorevolezza” e che il vostro impegno sarà quello di “unire la nazione”.

Sappiamo bene cosa ci divide. La “matrice”, innanzitutto, quella che a Lei stessa non fu “chiara” dopo l’assalto alla Cgil degli squadristi di Forza Nuova, mentre era chiarissima allora è lo è ancora oggi negli episodi di violenza minuta che ancora costellano la galassia dalla quale proviene il suo partito. La matrice post-fascista e post-missina è tuttora irrisolta. E non bastano un mazzo di fiori e uno scambio di baci tra Ignazio Benito e Liliana Segre a sanare la ferita che ancora sanguina dal Suo e dal nostro Novecento. Sappiamo altrettanto bene che, per i cittadini che Le hanno affidato l’onore e l’onere di governare l’Italia, quella piaga è evidentemente rimarginata.

Ne prendiamo atto: la maggioranza degli italiani vi ha scelto e liberamente votato, dunque siete legittimati a guidare il Paese. Ma per noi questo non basta. L’idea che il lavacro delle urne purifichi chiunque dai suoi peccati riflette una visione populista della democrazia. Aspettiamo segni di netta discontinuità, a partire dalle prossime ricorrenze che solo in Italia – come ha ricordato la stessa Segre a Palazzo Madama – risultano “divisive”: il 28 ottobre, centenario della Marcia su Roma, e il 25 aprile, Festa della Liberazione.

Da questa “matrice” discendono le divisioni conseguenti. L’idea dell’Europa come matrigna, dell’euro come camicia di forza, della nazione come luogo fisico e geopolitico della “non omologazione”, della patria come unico spazio ideale ed etico-morale della cittadinanza, della religione cristiana come fonte di supremazia spirituale e alla fine anche razziale, della famiglia tradizionale come unico monopolio dell’amore. Alcuni di questi valori della destra che Lei rappresenta sono in corso di rivisitazione. La sporca guerra di Putin l’ha spinta a correggere alcune posizioni non più sostenibili. L’antiamericanismo e la vena eurofobica sembrano lasciare il campo alla fedeltà iper-atlantista e a una sorta di “europeismo problematico”, con tutte le ambiguità che la formula si porta dietro. Per il resto, tutto è ancora da fare e molto c’è ancora da chiarire.

I primi atti sono stati sconfortanti. L’elezione dei presidenti delle due Camere, se da un lato esalta la Sua collaudata capacità di mediare con gli alleati, dall’altra mortifica la Sua dichiarata volontà di unire il Paese. Che la maggioranza abbia voluto spartirsi l’intero bottino nelle istituzioni dispiace, ma non indigna: va così dal 1994, quando il primo governo Berlusconi inaugurò la dittatura della maggioranza in Parlamento, e tutti i governi successivi, compresi quelli di centrosinistra, si adeguarono. Quello che inquieta, però, è che le due figure scelte sono l’antitesi di uno spirito repubblicano condiviso. Più di La Russa – che pure da goliardico “fascistone” impenitente non ha mai brillato per moderazione istituzionale – soprattutto Lorenzo Fontana. Sarà pure servito a riunire intorno al suo Capitano Rancoroso una Lega spappolata, ma il neo-eletto a Montecitorio è persona in ogni senso “divisiva”. Per tutto quello che ha detto e che ha fatto in questi anni (compreso il discorso di investitura, di pochezza disarmante). Il sostegno ai nazisti greci di Alba Dorata. La fede ultra-cattolica e pre-conciliare brandita come una clava purificatrice. Le campagne pro-Putin e le magliette contro le sanzioni. L’odio oscurantista per la comunità Lgbtq e per i diritti civili, a partire dall’aborto. La difesa proto-leghista del Grande Nord, contro tutte le compromissioni con Roma Ladrona e il “Meridione”. Ci rendiamo conto che il sì a Fontana è stato il prezzo che Lei ha dovuto pagare, per curare Salvini dalle recidive di sindrome da Papeete e chiudere con lui la partita dei ministri. Ma non si può meravigliare se l’opposizione grida allo “sfregio”: lo è, a tutti gli effetti e a prescindere dal colore politico di chi usa questo termine. E c’è poco da sperare in quella che i cultori del diritto costituzionale chiamano “la grazia di Stato”, cioè la metamorfosi di chi, dopo aver militato per una parte, eletto nelle istituzioni inizia a prodigarsi per il tutto. Onestamente, fatichiamo a immaginare La Russa e Fontana che, dopo aver indossato per decenni le divise della curva ultrà di appartenenza, ora vestono “panni regali e curiali” in nome del bene comune (come scriveva Machiavelli nella famosa lettera a Pierfrancesco Vettori). Siete certamente maggioranza, ma grazie al 44% del 63% dei cittadini che si sono recati al seggio. Serve rispetto per chi non vi ha votato o è rimasta a casa.

Rating 3.00 out of 5

Papa Francesco: “In nome di Dio, fermate la guerra”

domenica, Ottobre 16th, 2022

Anticipiamo un brano del libro che Papa Francesco pubblica alla soglia del decimo anno di pontificato. Nel volume «Vi chiedo in nome di Dio. Dieci preghiere per un futuro di speranza», a cura di Hernán Reyes Alcaide (Piemme, in uscita martedì), il Pontefice lancia un appello universale a costruire insieme un orizzonte di pace, un mondo migliore

FRANCESCO

Più di duemila anni fa il poeta Virgilio ha plasmato questo verso: «Non dà salvezza la guerra!». Si fa fatica a credere che da allora il mondo non abbia tratto insegnamenti dalla barbarie che abita i conflitti tra fratelli, compatrioti e paesi. La guerra è il segno più chiaro della disumanità.

Quel grido accorato risuona ancora. Per anni non abbiamo prestato orecchio alle voci di uomini e donne che si prodigavano per fermare ogni tipo di conflitti armati. Il magistero della Chiesa non ha risparmiato parole nel condannare la crudeltà della guerra e, nel corso del XIX e del XX secolo, i miei predecessori l’hanno definita «un flagello», che «mai» può risolvere i problemi tra le nazioni; hanno affermato che la sua esplosione è una «inutile strage» con cui «tutto può essere perduto» e che, in definitiva, «è sempre una sconfitta dell’umanità». Oggi, mentre chiedo in nome di Dio che si metta fine alla follia crudele della guerra, considero inoltre la sua persistenza tra noi come il vero fallimento della politica.

La guerra in Ucraina, che ha messo le coscienze di milioni di persone del centro dell’Occidente davanti alla cruda realtà di una tragedia umanitaria che già esisteva da tempo e simultaneamente in vari paesi, ci ha mostrato la malvagità dell’orrore bellico. Nel secolo scorso, in appena un trentennio, l’umanità si è scontrata per due volte con la tragedia di una guerra mondiale. Sono ancora tra noi persone che portano incisi nei loro corpi gli orrori di quella follia fratricida. Molti popoli hanno impiegato decenni a riprendersi dalle rovine economiche e sociali provocate dai conflitti. Oggi assistiamo a una terza guerra mondiale a pezzi, che tuttavia minacciano di diventare sempre più grandi, fino ad assumere la forma di un conflitto globale.

Al rifiuto esplicito dei miei predecessori, gli eventi dei primi due decenni di questo secolo mi obbligano ad aggiungere, senza ambiguità, che non esiste occasione in cui una guerra si possa considerare giusta. Non c’è mai posto per la barbarie bellica. Tantomeno quando la contesa acquisisce uno dei suoi volti più iniqui: quello delle cosiddette “guerre preventive”. La storia recente ci ha dato esempi, perfino, di “guerre manipolate”, nelle quali per giustificare attacchi ad altri paesi sono stati creati falsi pretesti e sono state contraffatte le prove. Per questo chiedo alle autorità politiche di porre freno alle guerre in corso, di non manipolare le informazioni e di non ingannare i loro popoli per raggiungere obiettivi bellici.

La guerra non è mai giustificata. Infatti non sarà mai una soluzione: basti pensare al potere distruttivo degli armamenti moderni per immaginare quanto siano alti i rischi che una simile contesa scateni scontri mille volte superiori alla supposta utilità che alcuni vi scorgono.

La guerra è anche una risposta inefficace: non risolve mai i problemi che intende superare. Forse lo Yemen, la Libia o la Siria, per citare alcuni esempi contemporanei, stanno meglio rispetto a prima dei conflitti?

«Vi chiedo in nome di Dio. Dieci preghiere per un futuro di speranza», di Papa Francesco, a cura di Hernán Reyes Alcaide, Edizioni Piemme, 160 pagine, 16,90 euro, in uscita il 18 ottobre  

Se qualcuno pensa che la guerra possa essere la risposta, sarà perché sbaglia le domande. Il fatto che noi a tutt’oggi ci troviamo ad assistere a conflitti armati, a invasioni o a offensive lampo tra paesi, manifesta la mancanza di memoria collettiva. Forse il XX secolo non ci ha insegnato il rischio che corre tutta la famiglia umana davanti alla spirale bellica?

Se davvero siamo tutti impegnati a porre fine ai conflitti armati, manteniamo viva la memoria in modo da agire in tempo e fermarli quando sono in gestazione, prima che divampino con l’uso della forza militare. E per riuscirci servono dialogo, negoziati, ascolto, abilità e creatività diplomatica, e una politica lungimirante capace di costruire un sistema di convivenza che non sia basato sul potere delle armi o sulla dissuasione.

E poiché la guerra «non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante» (lettera enciclica “Fratelli tutti”, 256), torno a ricordare lo scrittore Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, il quale diceva che oggi è imprescindibile compiere una «trasfusione di memoria» e invitava a prendere qualche distanza dal presente per udire la voce dei nostri antenati.

Ascoltiamo quella voce per non vedere mai più le facce della guerra. Infatti la follia bellica resta impressa nella vita di chi la subisce in prima persona: pensiamo ai volti di ogni madre e di ogni figlio costretti a fuggire disperatamente; a ogni famiglia violata; a ogni persona catalogata come “danno collaterale” degli attacchi, senza alcun rispetto per la sua vita.

Vedo contraddizione tra quanti rivendicano le loro radici cristiane ma poi fomentano conflitti bellici come modi per risolvere gli interessi di parte. No! Un buon politico deve sempre puntare sulla pace; un buon cristiano deve sempre scegliere la via del dialogo. Se arriviamo alla guerra è perché la politica ha fallito. E ogni guerra che scoppia è anche un fallimento dell’umanità.

Rating 3.00 out of 5

Gli anziani sono una risorsa del Paese

domenica, Ottobre 16th, 2022

di Ferruccio de Bortoli

Il grado di civiltà è tutto nella capacità di preservare la dignità di un anziano fragile o di un malato inguaribile. S arebbe un grave errore se il nuovo esecutivo e il nuovo Parlamento gettassero nel cestino la proposta di legge delega

Le grandi questioni che riguardano il futuro, non immediato, della nostra società suscitano scarso interesse pubblico. Sembrano così lontane nella loro dinamica — in questo caso demografica — da indurre un senso di impotenza o persino di rassegnazione. C’è altro di più urgente. Anche se le sofferenze, le solitudini della popolazione anziana più fragile e debole — quella che ha pagato il conto maggiore, insieme ai giovani, alla pandemia — sono quotidiane. Lenite solo in parte dalla grande e insostituibile opera di molte istituzioni pubbliche e private e dei loro operatori. Un solo raffronto: in Italia abbiamo 1,9 posti letto ogni cento persone sopra i 65 anni, come la Grecia; la Francia è a 5; la media europea è superiore a 3,5. C’è molto da fare. La popolazione invecchia. Le malattie croniche e invalidanti crescono in misura allarmante, specie quelle legate alla demenza senile. Molte famiglie, soprattutto indigenti, non ce la fanno. In proiezione, sarà un autentico dramma sociale.

È passato pressoché inosservato lo schema di legge delega approvato, il 10 ottobre, dall’ultimo Consiglio dei ministri del governo Draghi, in materia di assistenza alle persone fragili e non autosufficienti. Anche se sappiamo che non manca, sull’argomento, una particolare attenzione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Giorgia Meloni e il premier uscente ne hanno già parlato.

L’auspicio è che quella proposta di legge delega non sia solo un nobile messaggio in bottiglia destinato a disperdersi nei flutti del passaggio di legislatura. Non faccia, per esempio, la fine di quella fiscale (sciaguratamente non approvata dal Senato) che avrebbe aiutato, non poco, il nuovo esecutivo ad alleggerire alcuni carichi tributari e amministrativi. Qui non si tratta di aliquote fiscali ma di vite reali. L’allargarsi delle disuguaglianze si misura drammaticamente dal livello di assistenza offerto agli anziani non autosufficienti. Quando è carente o addirittura non c’è, anche le vite dei familiari più giovani sono ipotecate, se non compromesse. Il grado di civiltà di un Paese è tutto nella capacità di preservare la dignità di un anziano fragile o di un malato inguaribile. Si è cittadini sempre, altrimenti si è scarti.

Nelle prossime settimane si discuterà molto di pensioni e di come scongiurare il ritorno, dal primo gennaio del 2023, alla legge Fornero. Ogni aumento del debito pensionistico ricade sulle prossime generazioni. Affrontare invece, con ragionevole celerità, il tema più complessivo dei concittadini più anziani e fragili, libera in prospettiva tempo e risorse a beneficio dei più giovani. È un atto di responsabilità generazionale. Non mette, a differenza di quota 100 o 102 per le pensioni, anziani e giovani (che pagheranno in futuro) in conflitto. E dunque sarebbe un grave errore se il nuovo esecutivo e il nuovo Parlamento gettassero nel cestino la proposta di legge delega. A livello istituzionale è il frutto dell’indagine degli esperti riuniti dal ministero della Salute e dalla presidenza del Consiglio, guidati dal vescovo Vincenzo Paglia, e dalla commissione del ministero del Lavoro con a capo l’ex ministra Livia Turco. Raccoglie inoltre gran parte dei suggerimenti di 52 organizzazioni assistenziali di varia natura, coordinate da Cristiano Gori, e del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza. Mai vi era stato, in precedenza, il coinvolgimento di una rete associativa così vasta. La legge delega può e deve essere migliorata ma consegnarla agli archivi della legislatura appena terminata vorrebbe dire dimenticarsi di molti anziani e del destino dei loro familiari.

Rating 3.00 out of 5

Marina e Pier Silvio Berlusconi al Cavaliere: «Fermati»

domenica, Ottobre 16th, 2022

di Francesco Verderami

Ad Arcore hanno inteso che FdI non vuole prove di forza. E così il «partito» dei pontieri azzurri ha ripreso quota

desc img

Ieri in Forza Italia si respirava un clima da Venerdì santo, «in attesa della Pasqua di resurrezione con cui — diceva un dirigente azzurro — il centrodestra celebrerà il rito della pacificazione».

L’evento non cadrà di domenica, visto che l’incontro conciliatorio tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni si dovrebbe tenere domani. Più dei pontieri e degli amici di una vita del Cavaliere, sono stati i figli maggiori dell’ex premier a premere sul padre ed esortarlo a chiudere il conflitto con l’alleata, in modo da raggiungere un’intesa. Anche perché Meloni nei giorni scorsi si era direttamente appellata proprio ai familiari di Berlusconi, spiegando loro che c’era piena disponibilità a comporre la vertenza, dietro la quale — garantiva — non c’erano motivi personali.

Per due volte, infatti, la premier in pectore si era sentita con Pier Silvio Berlusconi. E per due volte l’amministratore delegato di Mediaset aveva trasmesso il messaggio al padre, accompagnandolo con una sollecitazione: «Non puoi non trovare un accordo», per ragioni politiche e imprenditoriali. Ma per due volte il Cavaliere aveva opposto resistenza. Finché si è arrivati allo «strappo di Palazzo Madama», alla diserzione azzurra dal voto sulla presidenza del Senato, al filmato in cui il leader forzista pronunciava un «vaffa» in presenza di Ignazio La Russa, all’immagine che fissava i duri commenti su Meloni vergati dallo stesso Berlusconi.

Davanti alla disfatta di Forza Italia e alla reazione veemente dell’alleata, la figlia è corsa ad Arcore, dove ieri ha incontrato a lungo il padre. «Fermati», gli ha detto. Raccontano di una Marina furibonda. Per le questioni che già aveva posto il fratello, certo, ma soprattutto perché per lei era stato «doloroso» vedere com’era stato gettato nella polvere il nome del genitore, descritto come un anziano subornato dalla corte, trasformato nell’ombra di sé stesso e della sua storia. Una storia che l’ex premier ha rivendicato e che ha ispirato le mosse contro «la signora», compreso quel foglietto, scritto intenzionalmente, e dal quale c’era stato chi lo aveva implorato almeno di togliere l’aggettivo «ridicola».

«Fermati». Che poi è quanto hanno suggerito a Berlusconi sia Fedele Confalonieri sia Gianni Letta, impegnato nel ruolo di raccordo con i pontieri di FdI. Così va maturando quel clima di ricomposizione, che passa anche attraverso i messaggi inoltrati da Meloni per via interposta al Cavaliere. Così i figli hanno appreso che la sua reazione era stata «un atto di difesa politica» e null’altro. Che, chiarito il suo ruolo, Forza Italia sarà adeguatamente rappresentata. Che sulla delegazione azzurra attende da Berlusconi indicazioni all’altezza della stagione, «perché il mio compito a Palazzo Chigi sarà molto difficile e non intendo svolgerlo con dei Toninelli al fianco».

Rating 3.00 out of 5

Meloni manda messaggi distensivi a Berlusconi ( ma da adesso niente diktat)

domenica, Ottobre 16th, 2022

di Paola Di Caro

Meloni manda messaggi distensivi all’alleato e chiede che le liti interne non ricadano sul governo

desc img

ROMA – Serena e assolutamente «determinata» a formare un governo di alto profilo, senza «rancore, vendette o voglia di rivincita». Il giorno dopo il grande scontro con Berlusconi — il voto mancante di FI a La Russa e il foglietto con le critiche del Cavaliere a lei rivolte, che hanno provocato il suo «non sono ricattabile» — Giorgia Meloni manda messaggi distensivi all’alleato. Ufficiosi, ma chiari, recapitati attraverso i tanti pontieri che stanno ricucendo un rapporto molto deteriorato.

Ma la leader di FdI non vuole esattamente questo: che le relazioni personali — simpatie o antipatie reciproche, o peggio ancora giochi interni ai partiti sempre legati a dinamiche di rapporti fra i singoli — pesino su quella che è una questione tutta politica: come comporre il miglior esecutivo possibile, che sia «in grado di affrontare le tempeste economiche, finanziarie, geopolitiche si prospettano». Se Berlusconi è disponibile a ragionare su questo piano, quello «delle cose da fare e anche delle persone giuste al posto giusto per farlo», lei è «disponibile» a sedersi di nuovo al tavolo con lui per ragionare. Anche concedendo molto all’alleato, come — dicono i suoi — ha fatto «fin dal primo momento». Il problema c’è invece se prevarranno «logiche diverse»: il non riconoscimento sostanziale della sua leadership, l’imposizione di nomi per lei inaccettabili in ruoli ritenuti non consoni (Ronzulli come capo delegazione di FI con ministero pesante), la scelta dei ministri sulla base dei «fedelissimi» dell’ex premier e non delle competenze.

Se i patti sono chiari, Meloni è pronta a incontrare l’alleato a inizio settimana in modo da farsi trovare pronta per quando presumibilmente potrà ricevere l’incarico: forse già il 21 sera, per chiudere con il giuramento già il 23. È quello che, assicurano da FdI, chiedono «un po’ tutti quelli che ci stanno contattando in queste ore» da FI, dove la volontà di far partire il governo è forte e di rompere o fare le barricate pochissima.

Contatti diretti con Berlusconi ieri non ce ne sono stati, ma indiretti sì. E Meloni ha fatto sapere quale può essere il punto di caduta di una trattativa finora faticosissima, a differenza di quella della Lega dove il pragmatismo di Salvini, spiegano, ha fatto la differenza e ha permesso di chiudere un’intesa soddisfacente.

Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.