Archive for Ottobre, 2022

Bossi si fa la sua corrente: nasce il “Comitato Nord”

domenica, Ottobre 2nd, 2022

Pier Francesco Borgia

Continua il «processo» ai risultati in casa Lega. Da Zaia a Maroni, nei giorni scorsi sono stati tanti i dirigenti del Carroccio che hanno sollevato perplessità sulla gestione salviniana del partito. Soprattutto negli ultimi due anni. Con risultati che hanno fatto crollare i consensi a vantaggio dell’alleata Meloni anche in «piazze» considerate da sempre fedeli alla politica leghista. Come il Nordest. Ed è proprio partendo da questi dati che da più parti si fa forte l’esigenza di tornare alle origini. E chi meglio di Umberto Bossi può indicarne la via. Il «senatur», ripescato dopo un affrettato conteggio da parte del Viminale, resta in campo e ora, dall’alto della sua esperienza maturata in oltre 35 anni di vita parlamentare, suggerisce un ritorno alle origini.

E a questo suggerimento Bossi intende dare una forma concreta. Ed ecco l’idea di una corrente. Non di un partito alternativo alla Lega, sia ben chiaro. Semmai una corrente all’interno del movimento che lui stesso ha contribuito a fondare. Una formazione «nordista» interna alla Lega Salvini premier. «È un passaggio vitale – ha spiegato Bossi – finalizzato esclusivamente a riconquistare gli elettori del Nord, visto il risultato elettorale del 25 settembre per rilanciare la spinta autonomista». Nel Comitato Nord sono invitati ad aderire tutti gli iscritti alla Lega «che vogliono impegnarsi con rinnovato entusiasmo alla conquista degli obiettivi che sono stati alla base della fondazione della Lega nel marzo 1984». Il progetto sarebbe già in fase avanzata, poiché «sono state poste le basi per la struttura organizzativa del Comitato». Con il Comitato Nord, di fatto, Umberto Bossi torna in campo energicamente per la Lega e per l’autonomia, fanno sapere fonti vicine al Senatur. «Bossi si sente molto frustrato perché avverte che tante persone per bene stanno pensando di lasciare la Lega», spiega un dirigente che ha parlato con lui in queste ore. «In tanti lo chiamano per dire che il segretario sta facendo troppo pasticci e si è sentito in dovere di fare qualcosa», conclude. La corrente dovrebbe chiamarsi «Comitato del Nord». Per il momento si tratta soltanto di un progetto. Si stanno, infatti, raccogliendo adesioni e sondando l’opinione degli attivisti di Lombardia e Veneto.

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Pressing su Panetta ministro. E il superbonus scende al 70%

domenica, Ottobre 2nd, 2022

Fabrizio De Feo

Un esecutivo di qualità, caratterizzata da coesione interna, unità di intenti e capacità di affrontare subito le emergenze non procrastinabili. Con un obiettivo temporale che inizia a maturare: presentare la squadra il 18 ottobre, pochi giorni dopo che Giorgia Meloni avrà ricevuto l’incarico dal Capo dello Stato.

I lavori in corso all’interno del centrodestra continuano senza sosta. «C’è sintonia sul percorso», si limitano a commentare fonti vicine ai leader. L’idea di fondo è di individuare un mix ben dosato di figure tecniche e politiche, coinvolgendo anche i leader. Nessun veto, insomma, su Matteo Salvini che dovrebbe essere nella squadra di governo, a meno che non prevalga quella scuola di pensiero interna alla Lega, finora minoritaria, che gli suggerisce un ruolo da regista esterno e da «controllore».

Berlusconi continua a ribadire che ogni partito dovrà indicare la propria rosa di nomi, in una sorta di patto di reciproca «non intromissione». I leader stanno cercando di individuare le figure migliori per Esteri, Interni e Difesa, i ministeri su cui sarà necessario un confronto con il Quirinale. Una volta sciolti questi nodi il resto, spiegano, verrà risolto con facilità. Antonio Tajani è un profilo che potrebbe essere speso su tutte e tre le caselle. Oltre a Tajani, nomi azzurri che circolano con insistenza sono quelli di Anna Maria Bernini e Licia Ronzulli. Un passo più indietro ci sono Andrea Mandelli e Alessandro Cattaneo. Un’altra indicazione arriva dalla Lega che con una nota «promette» che «dopo trent’anni di battaglie, questa sarà la legislatura che finalmente attuerà quell’Autonomia delle Regioni che la Costituzione prevede. È nel programma del centrodestra e il Ministero per le Riforme e gli Affari Regionali sarà protagonista di questa pacifica rivoluzione». Un riferimento che somiglia molto a una rivendicazione di quel dicastero.

Sullo sfondo si continua a lavorare sul ministero dell’Economia e sul profilo di Fabio Panetta. Il pressing per superare le resistenze dell’attuale membro del Comitato esecutivo della Bce è costante. Le riserve non sono ancora state sciolte e c’è chi dice che soltanto un intervento di Sergio Mattarella potrebbe fare scattare il via libera dell’economista, ma la partita non è chiusa. E’ chiaro che sulla distribuzione delle poltrone peserà l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Se venissero assegnate a Giancarlo Giorgetti alla Camera e a Ignazio La Russa al Senato – oppure a Riccardo Molinari e a Fabio Rampelli – è chiaro che questo rimescolerebbe le carte del totonomine.

Il centrodestra inizia anche a ragionare sulle misure strutturali da prendere, pensando anche a come rivedere un provvedimento come il Superbonus che pur essendo estremamente oneroso per le casse dello Stato ha sostenuto in maniera importante la ripresa post-Covid. Quello che sta maturando è un prolungamento con una revisione al ribasso del Superbonus. La maxideduzione al 110% potrebbe lasciare spazio a una più contenuta al 60-70%, garantita però a lungo termine, o potrebbe essere diversificata in base al reddito del beneficiario o al tipo di immobile oggetto dei lavori, più alta in caso di prima casa (non di lusso), più bassa per la seconda. Saranno comunque tutelate le situazioni aperte, in modo da non danneggiare famiglie e imprese.

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Luce già staccata a chi fa fatica a pagare. Le società dell’energia: “Non rischiamo”

domenica, Ottobre 2nd, 2022

Sandra Riccio

C’è Claudio Porlisi, gestore di un bar a Frosinone che qualche giorno fa ha ricevuto una lettera dalla sua società dell’energia che gli annunciava il distacco immediato di tutte le utenze: luce, gas e telefonia. La ragione? Il messaggio citava solo i rincari e nulla di più: «Alcune offerte sono diventate insostenibili per una eccessiva onerosità sopraggiunta e non prevedibile. Siamo spiacenti di comunicarle il recesso». C’è poi Patrizia, titolare di un bar alla periferia di Roma. Anche lei, qualche settimana fa, si è ritrovata con una comunicazione di sospensione del servizio di erogazione della luce. Non era riuscita a pagare l’ultima fattura che però era arrivata con un importo più che quintuplicato (da 800 a 4 mila euro). Per far fronte ai rincari Patrizia si era già vista costretta ad anticipare la chiusura del suo bar (alle 15 invece che alle 20) e poi a lasciare a casa due dei suoi tre dipendenti.

La crisi energetica non è fatta solo di tariffe rincarate che affossano i bilanci delle famiglie. Ora inizia anche a emergere il problema della chiusura delle forniture: di punto in bianco, senza molti preavvisi, gli operatori staccano dalla rete i clienti morosi. Basta anche una sola bolletta non pagata. Ma nella lista nera stanno finendo anche quelli che fin qui hanno versato regolarmente, ma potrebbero non pagare. Si tratta di procedure che, per ora, stanno applicando solo gli operatori più piccoli di luce e gas. «Sono ancora situazioni non troppo diffuse, ma stanno crescendo in fretta – spiega Furio Truzzi, presidente di Assoutenti –. È una pandemia energetica: da un focolaio isolato, ci troveremo di colpo con migliaia di casi in tutto il Paese. Ci aspettiamo un aumento vertiginoso già tra quindici giorni, quando inizieranno ad arrivare le nuove bollette».

Che cosa sta succedendo? «Alcuni tra gli operatori più piccoli del mercato dell’energia hanno capito che sono al limite del fallimento e quindi hanno iniziato a eliminare i clienti più a rischio, quelli che non pagano o che potrebbero non pagare – spiega Luigi Gabriele, presidente di Consumerismo –. L’impressione è che stiano facendo una specie di scrematura per tenersi solo la parte migliore della clientela, chi per esempio paga con la domiciliazione in banca, chi ha sempre saldato tutto senza mai fare storie o magari chi vive nei quartieri benestanti».

Per capire chi tenere e chi abbandonare al proprio destino, le compagnie hanno a disposizione grandi quantità di dati. Possono interrogare le banche dati dell’Acquirente unico e in un attimo ottenere i profili di chi in passato è stato moroso. Possono inoltre incrociare i dati con quelli del Crif, la banca dati che rivela chi non paga il mutuo o chi in passato ha avuto problemi con la carta di credito o con le rate. «Per finire nella lista nera in questa fase così difficile basta anche aver saltato anni fa una rata del prestito per l’auto» dice Gabriele.

Il fenomeno è esteso e riguarda commercianti e artigiani, ma arriva anche ai condomini che già sono in allarme per i rincari sul riscaldamento. Per fare qualche esempio, un condominio da 30 appartamenti della periferia di Palermo nelle scorse settimane si è sentito rifiutare la riattivazione della fornitura di gas, causa morosità pregresse mentre un palazzo di Genova (20 appartamenti) si è visto chiedere una integrazione delle garanzie fornite finora: invece delle poche migliaia di euro da lasciare sul conto corrente comune, come pegno per i futuri pagamenti i condomini dovranno parcheggiare 30mila euro.

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Totoministri, per la Giustizia in lizza anche Nordio. Il no di Meloni all’ipotesi Moratti

domenica, Ottobre 2nd, 2022

di Marco Galluzzo

Tra i papabili per le Infrastrutture spunta il forzista Cattaneo. La Lega concentrata sull’Agricoltura, cresce Centinaio

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Giorgia Meloni ha sempre detto di non credere alle quote rosa. Nella storia dei governi repubblicani solo il primo governo Renzi è riuscito a centrare l’obiettivo della parità di genere, con otto donne su sedici ministri. Poi la rappresentanza femminile è ripresa a scendere: anche l’esecutivo di Mario Draghi è rimasto lontano dall’obiettivo, con otto dicasteri guidati da una ministra, otto su 23. La leader di Fratelli d’Italia, nonostante le riserve ideologiche, vorrebbe invece tornare ad alzare la media.

Le ultime notizie sulle elezioni in attesa del nuovo governo

Forse anche per questo al ministero degli Esteri tutte le indiscrezioni continuano a scommettere su un ritorno di Elisabetta Belloni alla Farnesina: l’attuale capo del Dis, il dipartimento che coordina l’attività dei nostri servizi segreti, è ormai da alcuni anni considerata una riserva della Repubblica, con un lunga e apprezzata carriera diplomatica alle spalle, culminata nella guida istituzionale, come Segretario generale, del ministero degli Esteri. Ma in un ministero chiave, almeno fra quelli che andranno condivisi con il capo dello Stato, secondo una prassi che ha fondamenti costituzionali consolidati, andranno anche esponenti di Forza Italia: Antonio Tajani potrebbe aspirare anche lui a guidare la politica estera, o in alternativa approdare alla prima poltrona del Viminale.

La Lega, con Giulia Bongiorno, potrebbe prendere la Giustizia, che ha al vertice dell’organo di controllo, il Csm, proprio il presidente della Repubblica. Come del resto la Difesa, essendo Mattarella anche capo delle forze armate, che al momento viene data in quota Fratelli d’Italia, forse con Adolfo Urso, attuale presidente del Copasir. Sono ipotesi di un gioco di incastri in cui le fonti, almeno quello prevalenti, cercano più che altro di intuire, o provare a influenzare, i passi di queste ore di Giorgia Meloni. Lei a tutti i suoi interlocutori ha chiesto il massimo della riservatezza. Fra i ministri di Forza Italia sono sempre in pole position, almeno nei desideri di Berlusconi, sia Anna Maria Bernini che Licia Ronzulli.

In pista ci sarebbero anche Alessandro Cattaneo, per le Infrastrutture e Gian Marco Centinaio, per l’Agricoltura: una curiosità, l’azzurro e il leghista sono stati sindaco e vicesindaco di Pavia dal 2009 al 2014. Ma sui nomi circola di tutto e molto dipende anche dalla scelta o meno di fare due vicepremier, e dall’equilibrio che verrà trovato per le due presidenze del Parlamento. Salvini, se fosse numero due del governo, potrebbe aggiungere le deleghe del ministero del Lavoro. Mentre per il posto più delicato, quello dell’Economia, continuano a essere accreditati sia Fabio Panetta, oggi nel board della Bce, sia Domenico Siniscalco, già ministro nei governi Berlusconi. Anche Carlo Nordio sarebbe in corsa con la Bongiorno per guidare la Giustizia.

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Quei democrat bipolari con l’identità perduta

domenica, Ottobre 2nd, 2022

Andrea Malaguti

Con gli occhi infossati, bui, il mento abbassato, il segretario democratico, Enrico Letta, annuncia amaro e solenne un nuovo Congresso Costituente, mettendo di fatto in liquidazione quel che resta del Pd, un partito che, a guardarci bene, non è mai esistito. Riformista o laburista? Cattolico o socialdemocratico? Macroniano o melenchoniano? Schiavo dei poteri forti o attento ai fragili, agli invisibili e persino (bestemmia) al lavoro e alle periferie? Dieci segretari, tre reggenti, quindici anni di vita e un unico ininterrotto psicodramma. Da Veltroni a Letta, passando per il bis di Renzi, solo due cose non sono cambiate: “Lo sfacelo della psiche” (copyright Massimo Cacciari) e una irrimediabile mancanza di identità, prologo ed esito di ogni prevedibile sconfitta.

Invocando il ritorno dell’ “Io collettivo”, spirito santo per comunità smarrite, per lo meno Letta evita al suo popolo la stucchevole farsa del reggente. Non ci saranno un Orfini o un Martina a cui passare temporaneamente lo scettro in attesa della rivelazione, ma si proverà a ricorrere al gigantesco lettino psichiatrico del confronto con i tesserati e con i simpatizzanti di ogni ordine e grado. Una ripartenza dal basso che alla sinistra manca dalla svolta della Bolognina, ispiratrice persino del film di Moretti. Anche la rivoluzione ulivista e la scelta di Romano Prodi furono operazioni di massa, certo, però gestite dall’alto.

Questa volta la diafana Araba Fenice dell’ “Io Collettivo” sarà chiamata a scolpire un profilo finalmente umano allo sgraziato mostriciattolo nato dalla fusione a freddo tra Ds e Margherita. È quello il legno storto da cui quotidianamente germoglia un equivoco senza eguali in Occidente. Uno sdoppiamento di personalità che ha portato a lungo i Dem a interrogarsi sulla collocazione europea (al centro o a sinistra?) è da lì, con l’effetto domino delle contraddizioni, sui valori, sulle idee e sulla visione da consegnare al Paese, con l’unico risultato di non averne trovata nessuna.

Difficile dimenticare il paradosso pre-elettorale di un ministro della Difesa, Guerini, che chiede di aumentare le spese militari al 2% del Pil mentre alla festa dell’Unità di Bologna sventolano in ogni stand le bandiere della pace.

Partito di nessun luogo e di tutte le posizioni, il Pd pirandelliano di questi ultimi anni, è diventato una banale macchina di potere per il potere. Quando non sai più chi è il tuo elettorato e, peggio, che cosa dire, ti avviti nella ricerca affannosa di rendite di posizione, finendo per candidare il torinese Fassino in Veneto e il ferrarese Franceschini in Campania, ma portandoti sempre in tasca una spiegazione comoda, estetica, mai quella vera.

Facile allora per Calenda farsi testimonial del riformismo, sbertucciando la favoletta del campo largo, e per Conte diventare il Masaniello delle battaglie sociali. Ma la differenza tra l’assistenzialismo di utile quanto opinabile prospettiva e l’idea di un welfare largo, moderno ed efficace, è la stessa che passa tra il populismo nazionalista e una socialdemocrazia compiuta e contemporanea, concentrata su scuola, sanità, lavoro giustamente retribuito e diritti, grammatica di base dei progressisti nel mondo.

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Niente reddito di cittadinanza a chi rifiuta la prima offerta di lavoro: le ipotesi del nuovo governo

domenica, Ottobre 2nd, 2022

Paolo Russo

Appena al governo, Meloni & C. dovranno affrontare due nodi legati alle politiche del lavoro: come salvaguardare i salari dall’erosione dell’inflazione e fino a che punto mantenere fede alla promessa elettorale di cancellare il reddito di cittadinanza dopo il successo pentastellato al Sud. Perché la futura premier non vuole partire con la sollevazione di quei circa 2 milioni e mezzo di percettori del reddito, lasciando il meridione a Conte e ai suoi. Però c’è anche da venire incontro alle imprese e agli esercenti, che soprattutto nel settore della ristorazione e in quello turistico hanno sempre più difficoltà a trovare personale da contrattualizzare, perché una massa indefinita di beneficiari del sussidio preferisce lavorare in nero per non perderlo.

Non accetti l’offerta di lavoro? Niente reddito di cittadinanza

Così l’idea che sta prendendo piede è quella di partire con il cancellare la possibilità per chi percepisce il reddito di rifiutare due “offerte di lavoro congrue” prima di perdere il sussidio. Magari rivedendo anche il concetto stesso di “congruo”, che oggi prevede un’offerta in linea con curriculum e raggio kilometrico non superiore a 100km tra abitazione e luogo di lavoro. Semplificando: se non accetti quel che ti viene offerto perdi il reddito. Misura che vedrebbe però lo Stato risparmiare su pochi sussidi, visto che circa due terzi dei percettori del reddito sono inabili al lavoro.

Salario minimo: resta quello fissato dai contratti

Il salario minimo per il popolo dei sottopagati non rientra nel lessico del centro destra. “Se non tagli le tasse alle imprese il salario, non solo quello minimo, non c’è per nessuno”, ha affermato in più occasioni il leader leghista Matteo Salvini. E la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, lo ha liquidato come “uno specchietto per le allodole”, proponendo invece corposi tagli fiscali per le imprese che assumono, con attenzione particolare alle donne e ai giovani. E gli incentivi all’imprenditoria sono anche al centro del programma di Forza Italia, la cui responsabile Lavoro, Roberta Toffanin, chiede “la reintroduzione dei voucher per combattere il lavoro nero, l’aumento della soglia dei benefit aziendali e la detassazione degli aumenti retributivi per la contrattazione di secondo livello”.

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Sorella d’Italia, sarai Evita Melòn o la Thatcher de noantri?

domenica, Ottobre 2nd, 2022

MASSIMO GIANNINI

Viviamo un difficile interregno. Come l’inferno, per Giorgia Meloni la via per Palazzo Chigi è lastricata di buone intenzioni. Alla sua prima uscita ufficiale, dal palco milanese della Coldiretti, la Sorella d’Italia dispensa piccole cose di non pessimo gusto. “Abbiamo in mente di dare risposte efficaci e immediate ai principali problemi”. E questo è (quasi) tutto. Manca infatti un solo dettaglio, non trascurabile: “La priorità sarà il costo dell’energia, come sapete siamo in costante contatto con il governo, impegnato in una trattativa molto complessa a livello europeo”.

La premier entrante ci tiene a farci sapere che insieme a quello uscente si sta adoperando per garantire la famosa “transizione ordinata” tra le due legislature, senza la quale l’Italia si gioca l’osso del collo: un posto a sedere tra i grandi di un mondo minacciato dalla guerra nucleare, un ruolo dignitoso in un’Europa travolta dalla crisi energetica, la stabilità economica e la pace sociale del Paese. È un messaggio confortante. Per l’oggi, indica senso della misura e della responsabilità. Ma per il domani, chissà. È questo l’interregno, questa la terra di mezzo nella quale vaghiamo, sapendo molto di ciò che lasciamo, niente di ciò che troveremo.

La Vecchia Epoca tramonta: la Politica fallita che cede lo scettro alla Tecnica, specchio di una crisi di sistema che costringe due civil servant a fare i presidenti del Consiglio e due presidenti della Repubblica a prolungare il mandato al Quirinale. Il 2011 e il 2022: undici anni racchiusi tra due Mario. Monti che prova a tamponare i disastri del berlusconismo, Draghi che cerca di ricostruire tra le macerie del contismo.

In mezzo, il lungo kamasutra del demo-grillo-leghismo, dove populisti capaci di niente si contendono e si scambiamo il potere con governisti pronti a tutto.

Tutto cambia, dopo le elezioni di domenica scorsa. Quattro italiani su dieci disertano le urne, e questo è un virus micidiale per tutte le democrazie d’Occidente. Ma la Politica si prende lo stesso la sua rivincita. C’è una maggioranza chiara, trainata da un “ex-partitino” sopravvissuto all’eclissi finiana che in dieci anni decuplica i consensi ed espugna il Palazzo d’Inverno. Le tre destre riunite conquistano Camera e Senato, anche se incassano più o meno gli stessi voti del 2018, circa 12 milioni. Ma hanno 18 punti di vantaggio sulla coalizione avversaria: un distacco che non ha precedenti nella Storia repubblicana. Aspettiamo dunque la Nuova Era che sorge. E ci facciamo domande. Chi sono, questi Fratelli d’Italia? A che razza di destra si ispirano e si ispireranno? Soprattutto, chi è Giorgia Meloni? Sarà una Thatcher de noantri, più corriva ma non meno cattiva della Lady di Ferro inglese? O sarà Evita Melòn, più “sfascista” ma non meno sovranista della First Lady argentina?

Nulla è chiaro, al momento. Se non l’ennesimo paradosso italiano. In Patria (e mai come oggi parola fu più esatta) siamo diventati immediatamente e sospettamente “patriottici”. Come osserva Domenico Starnone, le preoccupazioni che trapelano da Washington, Parigi o Bruxelles ci innervosiscono di più delle congratulazioni che piovono da Mosca, Budapest o Varsavia. I timori delle democrazie più amiche ci infastidiscono più dei clamori delle peggiori democrature. Come si permettono, Lorsignori, di intromettersi nei nostri affari interni? Con che faccia di palta si permettono di ricordare il passato “post-fascista” di questa destra nata dalle costole del Msi? Ammettiamolo: ancora una volta, funziona il solito riflesso condizionato da Strapaese, in continuo andirivieni tra servo encomio e codardo oltraggio. Ma non è un bello spettacolo. Anzi, è una vergogna. E se nel caso della premier in pectore come di chiunque altro è sicuramente inaccettabile far ricadere sui figli le colpe dei padri (tanto più se i secondi sono malamente scomparsi dalle vite dei primi), è altrettanto insopportabile la violenza verbale con cui si manganella chiunque si azzardi a sollevare un dubbio etico, un distinguo politico o anche solo un giudizio storico. Fa orrore il pestaggio mediatico di un intellettuale come Antonio Scurati, colpevole di aver scritto una trilogia su Mussolini, e per questo bollato come “uomo di M…” da palafrenieri del giornalismo che in passato, per ossequiare il Cavaliere, ci hanno regalato qualunque dolosa nefandezza: dai dossier-patacca su Telekom Serbia e i soldi a “Ranocchio, Cicogna e Mortadella”, alle false veline sull’allora direttore di Avvenire Dino Boffo. Meloni non ha alcun bisogno di “soccorso ai vincitori”, né di mediocri apparatciki da servizio pubblico a caccia di poltrone, né di “volonterosi carnefici” da Minculpop privato in cerca di medaglie. Al contrario: certi “favori”, che immaginiamo non richiesti, le arrecano solo danno.

Fatevene una ragione: il futuro dell’Italia non sta a cuore solo agli italiani. Siamo un Paese fondatore della Madre Europa. Siamo economia “sistemica” per l’Eurozona. Siamo cerniera tra Ovest e Est. Siamo gancio della Nato nel Mediterraneo, al quale si possono appendere o impiccare il Medioriente e il Corno d’Africa. Nulla è indifferente, all’estero, di ciò che accadrà a Roma nei prossimi mesi. Dobbiamo saperlo. E dobbiamo sapere che al momento la paura prevale sulla speranza. In pubblico lo dice Joe Biden, che ragionando sul destino delle democrazie liberali e sulla minaccia trumpiana in vista del voto di Midterm avverte i suoi governatori “guardate cosa è appena successo in Italia”. In privato lo dicono i banchieri centrali, che da Francoforte ci esortano a “preparare i sacchi di sabbia davanti alle finestre”. Non hanno torto. Nonostante i prudenti silenzi della leader, tra i “patrioti” fibrilla l’anima autarchica e isolazionista incarnata dalla dottrina Fazzolari-Pera. Ribadire anche dopo il voto che “il diritto italiano deve prevalere su quello comunitario” è un altro modo per tenere sempre accesa la fiamma tricolore, che arde nel cuore dei nostalgici post-missini e tiene in continua ebollizione la pentola della destra eurofobica.

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I paletti di Berlusconi sugli Esteri: “Cara Giorgia, serve un politico”

domenica, Ottobre 2nd, 2022

Ilario Lombardo

ROMA. Come solo lui sa fare, miscelando l’avvertimento con il massimo del garbo, Silvio Berlusconi ha ricordato a Giorgia Meloni che Forza Italia è «decisiva» per la maggioranza «sia alla Camera che al Senato». Per una regola della politica che in Italia è sempre valida, i partiti minori di una coalizione sono quelli che possono avere potere di vita e di morte su un governo. Vale per gli azzurri del patriarca di Arcore, come per Matteo Salvini. Ed è chiaro che in un’alleanza a tre, il primo passo di chi guida non deve essere imprudente verso nessuno degli altri due soci.

Meloni ha capito il messaggio ben prima di mettere piedi nella villa brianzola. Si era preparata all’incontro leggendo l’intervista de La Stampa in cui Berlusconi ieri ha precisato quali siano gli elementi utili per una buona convivenza. Due paletti, su tutti. Il fondatore di Fi è furioso per come sono stati spartiti i collegi uninominali prima del voto. L’effetto indubbiamente distorsivo ha premiato la Lega, che con quasi gli stessi voti dei forzisti ha incassato più parlamentari. Un’ingiustizia agli occhi dell’ex premier che va sanata concedendo a Fi lo stesso numero di ministri del Carroccio, e almeno uno di prima fascia. Come Salvini, poi, Berlusconi non vuole un governo sbilanciato sulla parte tecnica. Va bene avere un tecnico all’Economia, perché l’ombra di un disastro sociale sconsiglia di azzardare profili che non siano rassicuranti per Bruxelles; va bene, al limite, farlo per l’Interno, perché il caso Salvini, dopo un anno e mezzo al Viminale al tempo del governo gialloverde, non tranquillizza nessuno, dal Quirinale in giù. Ma sul resto, sostiene il leader, «servono figure politiche».

Lo schema dei due vicepremier politici – in teoria: Salvini e Antonio Tajani per Fi – regge, ma non basta. Per esempio, Berlusconi pensa che agli Esteri non debba andare un esperto esterno ai partiti, un ambasciatore, o Elisabetta Belloni, ex segretario generale della Farnesina, e attuale capo del Dis, il Dipartimento che coordina i servizi segreti. Non è questione di stima, perché Belloni è stimatissima tra gli azzurri. Ma di forma. I berlusconiani credono che se in un governo come quello di Draghi ci sia stato spazio per un leader politico come Luigi Di Maio, a maggior ragione con Meloni premier quella poltrona potrà andare ai rappresentanti di vertice di uno dei tre principali partiti della maggioranza. Per Berlusconi il più adatto sarebbe Tajani. L’argomento è stato toccato durante il confronto di ieri. L’ex presidente dell’Europarlamento, è la tesi del Cavaliere, «darebbe una garanzia in Europa» alla futura presidente del Consiglio, perché la coprirebbe con i popolari, ma anche grazie alle sue ottime relazioni trasversali. In generale, leghisti e forzisti pensano che, dopo aver raccolto consensi contro Draghi, rivendicando il primato della politica, Meloni cadrebbe in contraddizione se dovesse forzare sui tecnici, anche di altissimo livello.

L’alternativa – di partito – per la Farnesina potrebbe essere Adolfo Urso, presidente uscente del Copasir, tornato da due viaggi, negli Usa e in Ucraina, che sono serviti per dimostrare la fede atlantica del nuovo corso in Italia. Tra lui e Tajani è sfida a due per chi andrà alla Difesa e chi agli Esteri. Il prescelto potrebbe accompagnare la futura premier a Kiev. Ieri Meloni ha ricevuto l’invito del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e dentro FdI non escludono che potrebbe essere uno dei primi viaggi che farà dopo l’ingresso a Palazzo Chigi. Sarà interessante, anche per il rapporto non semplice dei sovranisti italiani con l’asse franco-tedesco, quali tappe iniziali sceglierà per il suo tour nelle cancellerie europee e tra i Paesi alleati.

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Bollette luce e gas, come interverrà il governo Meloni? Aiuti e sconti, le prime mosse

domenica, Ottobre 2nd, 2022

di Enrico Marro

Bollette, la prima proposta anti rincari: utilizzo dei fondi europei

Sulle bollette di luce e gas l’emergenza continua. Ieri l’Arera ha comunicato le nuove tariffe della luce per il quarto trimestre dell’anno, che prevedono aumenti del 59%. E anche per il gas (il cui aggiornamento di tariffe è in calendario a fine ottobre) le cose non vanno meglio: le previsioni parlano, anche in questo caso, di un ulteriore aumento del 60%. Per questo gli aiuti messi in campo dal governo Draghi potrebbero rivelarsi insufficienti. Maurizio Lupi, leader della quarta forza della coalizione di centrodestra (Noi moderati) dice che «sono oltre 100 mila le imprese che rischiano la chiusura» e rilancia la proposta della coalizione di «utilizzare i fondi strutturali europei» (si tratta di una ventina di miliardi della programmazione 2014-20 ancora non spesi dall’Italia) per rafforzare gli aiuti. Proposta che si va ad aggiungere alle altre del programma elettorale del centrodestra.

Il disaccoppiamento dell’energia da fonti rinnovabili dal prezzo del gas

I 20 miliardi circa non ancora spesi dei fondi strutturali europei potrebbero essere utilizzati per coprire anche il costo dell’altra misura sulla quale sta lavorando lo schieramento che ha vinto le elezioni: il disaccoppiamento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili dal prezzo del gas. Un provvedimento che, secondo Meloni, «si può fare con una norma nazionale», senza il via libera della Ue. Ma in vista della manovra di Bilancio per il 2023, primo banco di prova del prossimo governo, va innanzitutto tenuto presente che rifinanziare per il primo trimestre del prossimo anno i sostegni a imprese e famiglie con il decreto legge Aiuti ter per l’ultimo trimestre del 2022 richiederebbe 10-15 miliardi.

Bollette, la tregua fiscale per finanziare gli aiuti

Per finanziare spese una tantum, come quelle del caro bollette, c’è anche un’altra proposta sul tavolo. A lanciarla è stato Maurizio Leo, responsabile del Dipartimento Economia di Fratelli d’Italia, in un’intervista al Corriere della Sera: la proposta è di mettere subito mano a una tregua fiscale per le cartelle da mille a 3.500 euro, con una creazione di gettito immediato» che potrebbe essere utilizzato, per l’appunto, per finanziare spese una tantum, come quelle del caro bollette.

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Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi | Zelensky ai russi: «Lasciate Putin o sarete uccisi uno a uno»

domenica, Ottobre 2nd, 2022

di Francesco Battistini, Lorenzo Cremonesi, Marta Serafini e Redazione Online

Le notizie di domenica 2 ottobre, in diretta. Il monito ai soldati di Mosca nel video-intervento serale. La Russia chiude il trasporto stradale ai «Paesi ostili»

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Due soldati ucraini su un ponte sul fiume Oskol a Kupiansk (Afp)

• La guerra in Ucraina è arrivata al 221esimo giorno.
• Le truppe di Kiev hanno riconquistato la città di Lyman nel Donetsk. Si tratta di una vittoria clamorosa, per l’importanza strategica della città, ma anche simbolica, poiché avviene il giorno dopo l’annuncio dell’annessione di 4 regioni — tra cui proprio quella di Donetsk — da parte di Putin.
• Il leader ceceno Kadyrov dopo la disfatta a Lyman ha violentemente criticato i comandi militari russi, e ha aizzato Putin: «Mosca valuti l’uso dell’arma nucleare tattica».
• Paolo Valentino ha intervistato il miliardario russo Melnichenko, industriale russo sotto sanzioni: sulle annessioni spiega che «l’Occidente non ha ancora capito cosa significhi realmente questo passaggio: sarà impossibile da cambiare. Il caos in Russia può portare catastrofi», ed è «ingenuo e pericoloso» pensare che «tutti i problemi, in primis quelli di sicurezza, saranno risolti non appena ci sarà un cambio di regime».
• Il gestore di Nord Stream 2 ha annunciato che non c’è più fuoriuscita di gas: qui Giudo Olimpio e Andrea Marinelli fanno il punto su quello che si sa del sabotaggio.
• Stop alle forniture di gas russo in Italia: ieri flussi azzerati.

Ore 09:57 – Il direttore dell’Aiea Grossi in visita a Kiev e Mosca

L’argentino Raphael Grossi, direttore generale dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) , sarà in visita a Kiev e a Mosca la prossima settimana. «La visita fa parte degli sforzi in corso per istituire una zona di sicurezza nucleare intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia il prima possibile», si legge in una nota dell’Agenzia

Ore 09:38 – Zaporizhzhia di nuovo bombardata

La città di Zaporizhzhia e alcune aree circostanti sono state colpite nella notte da nuovi bombardamenti russi. Lo ha dichiarato via Telegram il governatore dell’oblast Oleksandr Starukh

Ore 08:40 – Ma la Russia è in grado di combattere una guerra atomica?

La Russia è in grado di lanciare armi atomiche tattiche? Sicuramente sì: e, secondo Ramzan Kadyrov, Putin dovrebbe farlo, al più presto.

Ma Mosca è in grado di combattere una guerra su un campo di battaglia dove ha lanciato armi nucleari? Qui la risposta si fa più complicata. E, secondo il think tank statunitense Institute for the Study of War (Isw) — uno dei più autorevoli e documentati sul conflitto in corso — sarebbe negativa.

Al momento, «il caotico agglomerato di soldati a contratto, riservisti mobilitati in fretta e furia, soldati di leva e mercenari, che al momento compone le forze di terra di Mosca», spiega un analista di ISW all’agenzia Reuters, «non sarebbe in grado di combattere in un contesto nucleare».

In sostanza: le aree distrutte sarebbero «insuperabili» per le truppe russe.

Ore 08:09 – Atomica «tattica», perché usarla sarebbe comunque una catastrofe

(Sergio Romano) Dopo lo scambio di battute con Vladimir Putin sul ricorso al nucleare nell’ultima crisi, il tema è diventato nuovamente attuale. Per molto tempo era sembrato impossibile che un uomo politico autorevole e responsabile prendesse in considerazione l’uso dell’arma atomica. Quasi tutti sembravano sapere che avrebbe provocato una rappresaglia non meno disastrosa e una sequenza di eventi incontrollabili. Oggi la situazione sembra essere cambiata per almeno due motivi.

Il primo motivo è lo stesso Putin: troppo ambizioso, egotista e spregiudicato per credere nelle regole dell’alternanza; ed è personalmente convinto che qualsiasi cedimento renderebbe le sue pretese e la sua persona meno credibili.

Il secondo fattore è la parte del discorso in cui Putin ha parlato di armi nucleari tattiche. Sono armi che non si propongono l’intera distruzione di una città o di un Paese. Vengono costruite per colpire un obiettivo specifico: una diga, un aeroporto, un nodo ferroviario, una particolare zona con importanza strategica o una nave carica di armi e viveri di prima necessità per un corpo combattente. Non vengono usate per infliggere al nemico un colpo definitivo e mortale. Vengono usate per azzopparlo, per intimidirlo, per privarlo di ciò che in quel momento gli è maggiormente necessario.

Il Paese che decida di farne uso spera soprattutto di costringere la potenza nemica a cercare una intesa o chiedere un armistizio. Ma questa potrebbe anche essere la fase iniziale di un processo destinato a concludersi soltanto quando chi dispone di un’arma nucleare strategica finirà probabilmente per usarla. Una vera distinzione fra armi tattiche e strategiche, quindi, non esiste. Siamo ormai in un mondo in cui qualsiasi guerra, se combattuta fra Paesi che dispongono di cognizione ed esperienze atomiche, potrebbe diventare totalmente nucleare.

(Qui l’articolo completo)

Ore 07:56 – Melnichenko: «Putin era rimasto senza scelta. E non tornerà indietro»

(Paolo Valentino, inviato a Dubai) Quando senti parlare Andrey Melnichenko e pensi al suo patrimonio da 19 miliardi di euro (Forbes, 2021) viene in mente la pipa di Magritte. «Io non sono un oligarca», non si è stancato di ripetere il plurimiliardario russo nelle due ore che ho trascorso con lui nella hall dell’albergo di Dubai, che dallo scorso marzo è diventato la sua casa. […]

Vladimir Putin è ancora in pieno controllo della situazione?
«La Russia è un Paese enorme. Putin ha il sostegno della maggioranza della popolazione e del più grande partito politico. Quindi sì, da un lato è in controllo: se prende una decisione questa viene eseguita. Ma dall’altro lato, non c’è vera competizione politica e l’esecutivo non deve rispondere alla società. Questo significa che il metro di valutazione per il successo di un amministratore sono la qualità dell’esecuzione delle istruzioni che vengono dall’alto e la dimostrazione di lealtà incondizionata a ogni iniziativa associata al nome del presidente. Ma l’attuale classe amministrativa non è particolarmente capace e nel tempo sono emersi vari centri che si sono arrogati il diritto di agire in nome del Presidente. Putin è un essere umano e non ha il controllo su questo caos, semplicemente non è possibile. Il risultato è che, durante periodi di instabilità, c’è il pericolo che questo tipo di gestione possa produrre eventi catastrofici».

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