Archive for Ottobre, 2022

Landini e “Repubblica” ci riprovano col fascismo

sabato, Ottobre 8th, 2022

Massimo Malpica

Torna lo spauracchio del fascismo, anche se il governo non si è ancora insediato, anche se non sarà fascista né nella forma né nella sostanza. L’occasione è la manifestazione di oggi della Cgil che, oltre a chiedere al prossimo esecutivo e alla politica attenzione ai temi del lavoro, ricorda l’assalto lanciato da estremisti di destra e no vax il 9 ottobre dello scorso anno alla sede del sindacato, che venne devastata. In 30 sono finiti a processo per quell’attacco, molti di loro, tra questi Roberto Fiore e Giuliano Castellino, leader storici di Fn, sono stati arrestati già nella notte tra 9 e 10 ottobre dello scorso anno e sono ora alla sbarra, e le prime condanne per chi aveva scelto il rito abbreviato sono arrivate lo scorso luglio, appena 9 mesi dopo i fatti.

La giustizia sta insomma facendo il suo corso, ma non sembrerebbe così a leggere l’intervista al leader della Cgil Maurizio Landini su Repubblica di giovedì. «Impunito l’assalto fascista, tornare in piazza oggi è un dovere», si strilla già nel titolo. L’assalto impunito, però, è esclusivamente farina del sacco di Repubblica e non ha niente a che fare con quanto sostiene l’intervistato, che risolleva sì la matrice «fascista e squadrista» quanto all’assalto dello scorso anno, chiedendo anche lo scioglimento delle organizzazioni che si richiamino espressamente al fascismo, ma «rispetta» il lavoro della magistratura. E soprattutto respinge con chiarezza anche la domanda che tenta di mettere in relazione l’anniversario di quel violento blitz con l’arrivo della destra al governo. «Faccio una distinzione molto netta. Chi ha assaltato la nostra sede è oggi sotto processo, rispettiamo quindi il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura. Altra cosa sono i partiti che si presentano alle elezioni e vengono eletti democraticamente». Insomma, più che Landini è il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari e diretto da Maurizio Molinari che torna a calcare sul pericolo di rigurgiti fascisti.

E che il «pericolo fascismo» che ha animato la campagna elettorale sia già tornato di moda è evidente da altri segnali.

Per esempio dalle parole di Nicola Fratoianni di Si che, annunciando la sua presenza al corteo Cgil, lamenta il mancato scioglimento di Fn&Co ma aggiunge: «E ora attendiamo il governo più a destra che il nostro Paese abbia mai conosciuto».

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Europa e crisi dell’energia: il fattore tempo è decisivo

sabato, Ottobre 8th, 2022

di Daniele Manca

Tre linee fondamentali. La prima: gli acquisti congiunti obbligatoriche dovrebbero partire dal prossimo anno, su quella piattaforma varata la scorsa primavera e che la Germania ha sempre visto con diffidenza. Andranno poi evitati i picchi di richiesta del gas. E infine il rafforzamento del RepowerEU, i sostegni agli investimenti

La consapevolezza non manca. L’Europa sa che «l’astronomico andamento dei prezzi dell’energia» (queste le parole usate ieri dalla presidente della commissione
Ursula von der Leyen), sta colpendo duramente famiglie e imprese dell’Unione. Una consapevolezza che si è tramutata nel tentativo di mettere a punto una politica comune sull’energia. Alla quale, ed è il paradosso che ne indica la necessità, vorrebbe associarsi secondo alcune indiscrezioni persino il governo britannico a sei anni dalla Brexit.

Ma va detto che l’azione di Bruxelles e della Commissione ancora non ha prodotto quegli effetti di mitigazione altrettanto necessari sulle bollette pagate dagli europei, non solo degli italiani. Siamo a molti mesi, quasi un anno, dalle prime embrionali proposte italiane su un tetto al gas avanzate dal governo Draghi e segnatamente del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Nell’autunno scorso non eravamo ancora del tutto usciti dalla pandemia e si profilava un’altra crisi sui costi dell’energia che si è mancato di vedere e oggi è purtroppo drammaticamente evidente.

Il fattore tempo nelle scelte economiche è fondamentale. Ieri i prezzi del gas, sul mercato olandese Ttf che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi, sono scesi a 155 euro a Megawattora. Lo scorso agosto, a fine mese, avevano raggiunto picchi pari a oltre il doppio di quella cifra. Un ribasso che gli analisti hanno legato alle parole di von der Leyen. L’impegno a proteggere il mercato unico, a evitare la frammentazione. Che significa evitare che ogni Paese vada per la propria strada, come poteva apparire dopo l’annuncio della Germania di pochi giorni fa di voler destinare 220 miliardi per gli aiuti alle famiglie e imprese tedesche.

Ma soprattutto è arrivato un messaggio finalmente chiaro: l’Europa si stava muovendo. Su tre linee fondamentali. La prima: gli acquisti congiunti obbligatori che dovrebbero partire dal prossimo anno, su quella piattaforma varata la scorsa primavera e che la Germania ha sempre visto con diffidenza. Andranno poi evitati i picchi di richiesta del gas per evitare l’eccessiva e deformante influenza di mercati come quello di Amsterdam. E infine il rafforzamento del RepowerEU, quei sostegni agli investimenti dei Paesi in campo energetico che significa «solidarietà», una parola che troppo spesso negli anni scorsi è stata dimenticata. E che solo il dramma del Covid ha fatto riemergere.

Sarebbe stato necessario arrivare a tutto ciò molto prima? L’andamento dei prezzi rende la risposta obbligata: sì. La manipolazione evidente che la Russia stava operando sul mercato dell’energia è andata man mano evidenziandosi come un’altra pesante arma usata da Mosca al pari dei carri armati e delle bombe che devastano ancora oggi l’Ucraina invasa.

Certo, Bruxelles deve seguire le regole dell’Europa. Di un organismo che agisce collegialmente, con gli strumenti della democrazia. Ma è altrettanto doverosa la non sottovalutazione della propria forza, economica e non solo. Una mancata comprensione che discende, di certo, dall’azione di singoli Paesi che credono ancora di poter giocare una partita in solitario. Di poter usare l’Europa come un taxi sul quale salire o scendere a proprio piacimento.

Spetta però alle istituzioni europee il compito di rendere evidente quanto sia importante l’agire comune, sapendo di essere il mercato più ricco e potente al mondo e al quale ogni attore economico globale vuole partecipare. Purché si agisca uniti. «Evitare la frammentazione» è stata forse la frase più forte usata ieri da von der Leyen. Evitare cioè che alcuni Paesi soffrano più di altri per colpe non proprie. O per scelte poco meditate del passato.

Se questo è l’impegno netto ed esplicito, altrettanto urgente però è tradurlo in atti concreti. La Presidenza di turno della Repubblica Ceca ha fatto sapere che è pronta a convocare tanti consigli dei ministri dell’energia quanti saranno necessari per arrivare al consiglio dei capi di stato del 20-21 ottobre con una proposta concreta sul tavolo. Conforta, ma al tempo stesso cittadini e imprese non possono non chiedersi perché non si sia avvertita prima questa urgenza.

Si comincerà già da martedì prossimo con il primo Consiglio dei ministri dell’Energia. Di proposte sul tavolo ce ne sono. In questo senso l’Italia è stata attiva nell’individuare e indicare possibili rimedi comunitari. Anche alle prime avvisaglie della pandemia l’Europa è sembrata sbandare. Con alcuni Paesi pronti ad accaparrarsi i vaccini.

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Quei tre Nobel di pace e libertà

sabato, Ottobre 8th, 2022

Vladimiro Zagrebelsky

Meritevoli del premio Nobel per la Pace si potrebbe pensare che siano coloro che hanno operato per porre fine ad una guerra o per prevenirla, facendo tacere le armi: chi, ad esempio, riuscirà ad interrompere la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. L’Accademia reale svedese ci ha detto che non è così, premiando militanti per i diritti e le libertà fondamentali: Ales Bialiatski insieme a Memorial e al Centre for Civil Liberties. Il primo è fondatore dell’organizzazione bielorussa per i diritti civili Viasna ed è ora detenuto, la seconda è una organizzazione russa, messa fuori legge da quel governo, dedita alla documentazione dei crimini staliniani e delle violazioni dei diritti civili, il terzo è una organizzazione ucraina di difesa dei diritti civili e di documentazione dei crimini di guerra. Il nesso stretto tra pace e rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali è costantemente affermato nei documenti internazionali riguardanti i diritti umani. In tal senso si esprimono, fin dal loro Preambolo, la Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’ONU nel 1948 e, nell’area europea, la Convenzione per la protezione dei diritti umani e le libertà fondamentali (1950) e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000). Si tratta d’altra parte di un legame di tutta evidenza, considerando la pace sia all’interno delle società statali, che tra gli Stati. E non è la prima volta che lo ricorda l’Accademia svedese, che già l’anno scorso aveva insignito del Nobel per la Pace due giornalisti che a caro prezzo personale si sono battuti per la libertà di stampa e di critica del potere: la filippina Maria Ressa e il russo Dmitry Muratov. Assegnando il premio per la pace quest’anno l’Accademia insiste nella valorizzazione della protezione non solo in generale dei diritti civili, ma anche a specificamente della libertà di espressione nella sua forma di libera critica delle politiche dei governi e di denunzia dei crimini e delle violazioni dei diritti individuali. La nazionalità dei tre premiati, bielorussa, russa e ucraina è un evidente riferimento all’area europea colpita dalla guerra. Ma l’importanza della difesa dei diritti civili e in particolare della libertà di espressione, condizione della democrazia e dello Stato di diritto, non è limitata all’attuale vicenda in Ucraina. Sempre, nel mondo, le guerre combattute o minacciate si accompagnano alla repressione del dissenso interno. Tra i paesi membri della Convenzione europea non è solo la Turchia che ne offre esempio. E la Russia ha dovuto esserne espulsa.

L’importanza della scelta che ha portato alla assegnazione del Nobel della Pace, quest’anno come nel precedente, deriva anche dal fatto che i premiati sono esponenti della società civile e non governanti o rappresentanti dei poteri pubblici. Certo nel riconoscimento dei diritti civili come nella loro violazione i governi sono in prima fila, ma la resistenza alla oppressione e l’opposizione ai governi antidemocratici, irrispettosi dei diritti civili e delle libertà individuali è prima di tutto affare della società civile. La resistenza può essere efficace solo se è viva sul terreno interno, fuori delle istituzioni pubbliche: nelle dittature persino fuori dai Parlamenti e dall’opera dei giudici. È la Dichiarazione universale che riconosce che la protezione dei diritti umani è indispensabile, “se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione”.

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Amazzonia: scienziati raggiungono l’albero più alto del mondo, è grande come un palazzo di 25 piani

sabato, Ottobre 8th, 2022

Dopo tre anni di progetti, cinque spedizioni e due settimane di cammino attraverso la fitta giungla, gli scienziati hanno raggiunto l’albero più alto mai trovato nella foresta amazzonica, un esemplare imponente grande come un palazzo di 25 piani. L’albero gigante, la cui cima sporge sopra la chioma nella Riserva Naturale del Fiume Iratapuru, nel nord del Brasile, è un angelim vermelho (nome scientifico: Dinizia excelsa) che misura 88,5 metri di altezza e 9,9 metri di circonferenza – il più grande mai identificato in Amazzonia, dicono gli scienziati.

I ricercatori hanno individuato per la prima volta l’enorme albero in immagini satellitari nel 2019, nell’ambito di un progetto di mappatura 3D. Un team di accademici, ambientalisti e guide locali ha organizzato una spedizione per cercare di raggiungerlo nel corso dello stesso anno. Ma dopo 10 giorni di cammino attraverso un terreno difficile, esausti, a corto di provviste e con un membro del team che si è ammalato, hanno dovuto fare marcia indietro.

Altre tre spedizioni hanno raggiunto diversi altri alberi giganteschi, tra cui l’albero di noce del Brasile più alto mai registrato in Amazzonia (66 metri). Ma l’enorme angelim vermelho è rimasto inafferrabile fino alla spedizione del 12-25 settembre, quando i ricercatori hanno percorso 250 chilometri in barca risalendo fiumi con rapide insidiose e altri 20 chilometri a piedi attraverso un terreno montuoso nella giungla per raggiungerlo. Ne è valsa la pena, dice Diego Armando Silva dell’Università Federale di Amapa, che ha contribuito all’organizzazione del viaggio. “E’ stata una delle cose più belle che abbia mai visto. Semplicemente divina”, ha detto Silva.

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Bill Browder e l’ultima sfida al Cremlino: “Putin è disperato. Ma la sua fine non sarà breve e ora diventerà ancora più aggressivo e pericoloso”

sabato, Ottobre 8th, 2022

Jacopo Iacoboni

«Putin è disperato, e quando è disperato diventa ancora più aggressivo e pericoloso». Capace di tutto. Chi parla così è Bill Browder, finanziere britannico che fece fortuna in Russia nella tumultuosa stagione degli anni novanta, prima di finire sulla lista nera del regime. Browder da allora è diventato un attivista instancabile. Uno dei più temuti da Putin. Ha visto assassinare il suo collaboratore Sergey Magnitsky in una prigione putiniana, reo di aver scoperto un’enorme truffa di apparati di stato di Putin. Magnitsky fu picchiato e fatto morire in galera. Da allora Browder ha iniziato una battaglia per imporre in più paesi possibili una legislazione che punisca con sanzioni i funzionari rei di violazioni dei diritti umani nel mondo. Parliamo con lui mentre esce la traduzione italiana del suo libro, in cui racconta questa storia, un thriller agghiacciante, ma su una storia tutta vera (Sfida allo Zar. Come ho smascherato Putin e colpito gli affari sporchi dei suoi oligarchi, in libreria l’11 ottobre da Chiarelettere).

Innanzitutto, Brodwer, perché l’Italia è così permeabile ai soldi di Putin, e chi lo è?
«Non ho smoking gun riferite a politici italiani. Ho provato a portare un Magnitsky act in Itala. Ho avuto contatti con i radicali. Ma a parte loro c’era pochissimo interesse in Italia. La mia impressione è che, prima della guerra, a convinzione prevalente del mondo del business in Italia era: dobbiamo essere gentili e carini con la Russia. L’Italia prende un sacco di gas russo… Credo sia il primo paese in Europa per importazione di gas russo».

Il secondo, in ogni caso poco cambia.
«Ci sono queste storie incredibili di Berlusconi con Putin, e di Salvini. L’Italia è sempre stata una delle parti deboli dell’Ue, per quello che riguarda l’atteggiamento verso la Russia».

Quello che Putin vuole: l’Italia anello debole d’Europa?
«Putin ha degli impiegati full time, come Orban. Non penso che abbia lo stesso tipo di controllo in Italia, per il semplice fatto che c’è un sistema che cambia continuamente. Ogni anno c’è un nuovo premier, il paesaggio politico cambia continuamente. Da questo punto di vista è più difficile corrompere. Ma da voi c’è sempre stata questa corrente sotterranea di profonda simpatia per la Russia, e l’Italia non è mai stata particolarmente entusiasta delle sanzioni alla Russia. Questo mio libro racconta una storia che Putin non vuole sentirsi raccontare: che Putin non è solo un leader brutale e duro, ma è un criminale, un criminale finanziario. Che uccide le persone per i soldi. E in questo senso è differente dalla mafia italiana. Chiunque può dire questo, ma il libro fornisce le prove. Il Magnitsky Act danneggia così tanto Putin perché danneggia il mito che Putin ha costruito di se stesso. Lui vuole che le persone pensino che lui è un nazionalista e un patriota, ma Sergey Magnitsky era il patriota, era ossessionato dal fatto che il governo russo rubasse ai suoi cittadini, si è ribellato ai ladri, Putin ha permesso che venisse ucciso, e coperto i responsabili dell’omicidio, e alla fine è venuto fuori che una parte dei soldi di quella truffa sono finiti a Putin».

Ieri un altro eroe russo, Vladimir Kara-Murza, è stato formalmente incriminato per tradimento. Il primo incriminato per tradimento senza aver passato nessun segreto a nessuno stato estero.
«Incriminato per aver dato uno speech, a Helsinki e Strasburgo! È una cosa del tutto sconvolgente. Ma questo dimostra quanto Putin sia disperato, se si riduce a incriminare Kara Murza per tradimento».

Perché Putin sarebbe  disperato? Pensa che gli esiti della guerra, in Donbass ma anche nel sud, possano spingerlo a atti disperati?
«Gli ucraini l’hanno messo in un angolo molto difficile. Perché hanno letteralmente fatto fuori, ammazzato o messo fuori gioco, quasi metà delle forze combattenti russe. Quindi lui ha due scelte: può ritirarsi e cedere, ma se lo fa perde ogni autorità. Non può farlo, perché se un dittatore perde, perde ogni posizione. Non può arrendersi. La seconda scelta è reclutare altri soldati, ma questi nuovi soldati non sanno come combattere, non hanno training, e non vogliono combattere. E questo è il motivo per cui ha creato questo situazione così divisiva in Russia, e contrastata, nel popolo russo. È un uomo capace di tutto. Io ho contatti con molti tipi differenti di russi. Quelli come Kara-Murza, ma anche quelli a cui non frega niente della democrazia e dei diritti, a cui va benissimo operare in un ambiente come la Russia di Putin. Li trovo disgustosi, ma adesso, all’improvviso, si trovano con le decisioni di Putin che li vengono a toccare direttamente, loro e i loro soldi. C’è quella storia famosa sui nazisti, prima di tutto vennero a prendere gli ebrei…».

… E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.
«Esatto. Settecentomila uomini russi hanno lasciato la Russia, da quando è stata dichiarata la coscrizione. Dunque, 700mila uomini sentivano che non avrebbero potuto sopravvivere a una protesta».

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Draghi attacca Von der Leyen e i nordici: “La recessione sarà colpa vostra”

sabato, Ottobre 8th, 2022

ALESSANDRO BARBERA

INVIATO A PRAGA. «Stiamo discutendo di gas da sette mesi. Abbiamo speso decine di miliardi dei contribuenti europei, serviti a foraggiare la guerra di Mosca e non abbiamo ancora risolto nulla. Se non avessimo perso così tanto tempo ora non ci troveremmo sull’orlo della recessione». Praga, ieri. L’enorme sala affrescata di bianco del castello è piena di sole. I ventisette leader dell’Unione sono riuniti attorno a un enorme tavolo quadrato. Mario Draghi è al penultimo vertice internazionale da premier. Prende la parola e lascia di stucco più di un presente. «Non l’abbiamo mai visto così duro», racconterà uno di loro. L’ex banchiere centrale mette da parte i toni compassati e volge lo sguardo verso Ursula von der Leyen, Olaf Scholz, Mark Rutte. Con la prima aveva già discusso riservatamente la sera prima, invitandola a rompere gli indugi e a smettere di farsi condizionare dai colleghi tedesco e olandese. Con i due c’è invece vera e propria freddezza. Draghi è irritato soprattutto con Scholz, e la decisione comunicata la scorsa settimana di destinare duecento miliardi di euro del bilancio nazionale alla crisi del gas.

Nonostante si discuta da sette mesi, i leader attorno al tavolo restano divisi in due partiti. Da un lato i nordici, quelli più preoccupati e dipendenti dalle forniture di gas russo, dall’altro i mediterranei, che possono contare su altre fonti di approvvigionamento (l’Italia e la Spagna anzitutto) o sul nucleare, come la Francia. Prima e dopo le riunioni Draghi si apparta più volte con Emmanuel Macron. All’inizio discutono della grana scoppiata dopo le parole della ministra delle Politiche comunitarie a Repubblica, e la promessa di «vigilare» su Giorgia Meloni. Macron si impegna con Draghi a una dichiarazione riparatrice, che arriverà. Il resto della conversazione è sulla questione che sta a cuore all’italiano, ovvero trovare un accordo sul prezzo del gas entro il 20 ottobre.

La decisione della presidenza ceca di convocare in seduta permanente i ministri dell’Energia fa credere a Draghi che un risultato si raggiungerà. Durante la riunione il premier ripete quel che aveva detto il giorno prima a Von der Leyen durante un bilaterale: ciò che conta non è introdurre un tetto rigido, ma un meccanismo in grado di contenere i prezzi. Secondo Draghi la volontà politica può essere da sola sufficiente a risolvere il problema, esattamente come accadde dieci anni fa con il discorso del «whatever it takes»: quell’impegno bastò da solo a salvare dal peggio la moneta unica. Per dare credito alla sua tesi Draghi osserva giorno per giorno l’andamento del mercato del gas di Amsterdam, dove si scambiano contratti futures e dunque i prezzi sono fatti sulle aspettative e non su quantità fisiche: ieri è stato scambiato a 155 euro a megawatt ora, il 12 per cento in meno del giorno precedente. Come a dire: basta ventilare l’ipotesi di un accordo e il prezzo cala.

È dal 9 marzo che Draghi insiste su questo punto ai tavoli europei. La prima volta fu proprio con Von der Leyen: «Dobbiamo liberarci del ricatto russo il prima possibile», disse alla presidente della Commissione. La lunga transizione fra Angela Merkel e Scholz non ha aiutato. In sette mesi la distanza fra Palazzo Chigi e la cancelleria di Berlino non si è mai colmata: il primo convinto della necessità di intervenire, contando sul fatto che l’Unione è un cliente irrinunciabile per Mosca, il secondo preoccupato del contrario, ovvero delle ritorsioni russe e del taglio delle forniture. «I fatti stanno dando ragione ai miei argomenti», ripeteva ieri Draghi nei conciliaboli. La decisione tedesca di stanziare 200 miliardi di fondi nazionali per affrontare le conseguenze della crisi per lui è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. In questi sette mesi il governo italiano ha stanziato più di sessanta miliardi di euro e ora, con l’aumento dei tassi di interesse, non ha spazio per altro deficit.

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Draghi: «Preoccupazione per il prossimo governo dai leader Ue? No, curiosità»

sabato, Ottobre 8th, 2022

Lo ha detto a Praga

Agenzia VISTA / Alexander Jakhnagiev / CorriereTv

Praga, 07 ottobre 2022 «Nessuna preoccupazione dai leader Ue, c’è molta curiosità da parte degli altri leader. C’è rispetto per le scelte degli italiani, sulla politica estera, poi, la linea politica estera dovrebbe essere invariata”, le parole di Draghi a Praga. / Ebs

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Totoministri: salute, spunta la carta Bertolaso. Braccio di ferro su Palazzo Madama

sabato, Ottobre 8th, 2022

di Virginia Piccolillo

La Lega, con Calderoli, rivendica il vertice del Senato. Ma FdI non arretra su La Russa

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Mentre continua il toto-nomi per il governo, la Corte di Cassazione ha terminato i controlli e oggi consegnerà al Parlamento la lista definitiva degli eletti. La prima seduta è convocata per giovedì. Entro lunedì dovrebbero dunque essere indicati i nomi dei presidenti delle due Camere. Ma nel gioco delle richieste, dei veti e delle compensazioni, è ancora impasse. Ieri negli alleati era circolato il sospetto che Giorgia Meloni volesse applicare la «regola del tre»: tre ministeri politici per Lega e FI e il resto tecnici. Ipotesi smentita e il chiarimento è rimandato a un incontro a breve tra i leader.

Certo, la richiesta di Meloni di candidati al governo con curriculum e spessore istituzionale al di sopra delle polemiche resta. I più recalcitranti ad accettare compromessi sono tutt’oggi Matteo Salvini e Licia Ronzulli. Il leader della Lega ieri ha ripetuto che non ci sono veti per lui al Viminale ma riottenere quell’incarico che gli valse l’accusa di sequestro di persona nei confronti dei migranti che non voleva far sbarcare appare comunque escluso. La corsa a due rimane tra il suo ex capo di gabinetto Matteo Piantedosi e Giulia Bongiorno; per Salvini da FdI si parla del ministero dell’Agricoltura e delle Infrastrutture.

A tenere sotto scacco la composizione del governo c’è poi il caso Ronzulli. Per lei, fedelissima di Silvio Berlusconi, il Cavaliere ha chiesto il ministero della Salute. Ruolo per il quale, secondo FdI, non avrebbe lo standing. E così, dopo il nome di Alberto Zangrillo, che ha rifiutato, spunta all’interno di FI, che le correnti interne rendono un mare in tempesta, un evergreen azzurro: Guido Bertolaso. Medico, non solo tecnico, dovrebbe però far dimenticare a Giorgia Meloni gli screzi avuti ai tempi della battaglia per il Campidoglio. L’alternativa potrebbe essere il presidente della Croce Rossa Francesco Rocca. Per Ronzulli, che aspira ad essere anche capodelegazione FI al governo, si potrebbe prospettare l’incarico di ministra della Famiglia, che la Lega però vorrebbe mantenere e che in FdI reclama Lavinia Mennuni. Oppure un ruolo di rilievo in Parlamento. Capo delegazione dovrebbe essere Anna Maria Bernini, se oltre al ruolo di ministra dell’Istruzione avrà quello, ipotizzato, di vicepremier. Alla Farnesina dovrebbe arrivare l’ex presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, mentre per la Difesa rimangono in corsa Guido Crosetto e Adolfo Urso.

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Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi | Esplosione sul ponte di Kerch che collega Russia e Crimea: «Sono i vandali di Kiev»

sabato, Ottobre 8th, 2022

di Lorenzo Cremonesi e Marta Serafini

Le notizie di sabato 8 ottobre, in diretta. L’esercito russo rivendica successi nell’Ucraina orientale dopo una serie di battute d’arresto su diversi fronti. Ma Kiev sembra mantenere i suoi territori ed esorta le forze di invasione ad arrendersi

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Esplosione sul ponte di Kerch (Twitter)

• La guerra in Ucraina è arrivata al 227esimo giorno.
• Dopo le parole di Biden sull’«Armageddon atomico», la Casa Bianca precisa: nessuna minaccia nucleare imminente.
• Zelensky sulla centrale di Zaporizhzhia controllata dai russi: «Siamo sull’orlo del disastro nucleare».
• Nuovi aiuti a Kiev. Metsola: «Ha bisogno di armi pesanti, dobbiamo fornirle».
• L’esercito di Kiev avanza nella zona di Kherson. Qui il video reportage dalla linea del fronte.
• I russi colpiscono le infrastrutture in Ucraina con i droni-kamikaze iraniani.

Ore 08:28 – Mosca: incendio ponte Kerch provocato da esplosione camion

L’incendio che ha colpito oggi il ponte Kerch che collega la Russia alla Crimea sarebbe stato provocato dall’esplosione di un camion: lo ha reso noto il Comitato nazionale antiterrorismo della Russia, citato dalle agenzie locali.

Ore 08:27 – Capo Crimea accusa: ponte danneggiato da vandali Kiev

Il capo del parlamento locale Vladimir Konstantinov ha detto che l’incendio che ha danneggiato il ponte di Crimea è stato provocato da «vandali ucraini». Lo riporta Ria Novosti. «Ora hanno qualcosa di cui essere orgogliosi – ha scritto – per 23 anni della loro gestione non sono riusciti a costruire nulla degno di attenzione in Crimea, ma sono riusciti a danneggiare la tela del ponte russo. Questa è l’intera essenza del regime di Kiev e dello stato ucraino. Morte e distruzione sono l’unica cosa che sanno fare».

Ore 08:03 – Che cosa è successo sul ponte di Kerch, in Crimea

Il ponte di Kerch che collega la Russia alla Crimea è stato colpito da una massiccia esplosione sulla corsia del traffico ferroviario. Alcune immagini dal ponte mostrano un grande incendio in almeno due carrozze di un treno sul ponte e una vasta colonna di fumo nero.

L’esplosione è avvenuta intorno alle 6 del mattino di oggi mentre un treno stava attraversando il ponte, anche se non è immediatamente chiaro cosa l’avesse causata. Secondo alcune fonti di stampa russe l’incendio sarebbe partito da un serbatoio di carburante. Alcune immagini sembrano mostrare un secondo incendio a una certa distanza da quello principale e il crollo di una parte del ponte stradale che corre parallela ai binari del treno.

Ore 08:01 – Il video dopo l’esplosione sul ponte di Kerch, tra Russia e Crimea

Ore 07:50 – Kiev, black out centrale Zaporizhzhia, in funzione generatori

La centrale nucleare di Zaporizhzhia è scollegata dalla rete di alimentazione elettrica in seguito a un bombardamento russo: la denuncia è della società ucraina per l’energia atomica, Energoatom. «A causa di un nuovo bombardamento da parte delle truppe russe, l’ultima linea di comunicazione con il sistema di alimentazione a 750 kV della centrale nucleare di Dniprovska è stata danneggiata e disconnessa.

Di conseguenza, la centrale nucleare di Zaporizhzhya è completamente scollegata. I generatori diesel si sono accesi automaticamente ma le riserve di carburante diesel disponibili per il lavoro in questa modalità saranno sufficienti per 10 giorni», si legge nel messaggio postato su Telegram e riferito dall’agenzia ucraina Unian.

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Ecco lo schema: i ministeri top guidati dai tecnici. Polemica di Fi sull'”alto profilo”

venerdì, Ottobre 7th, 2022

Pasquale Napolitano

Profili tecnici nelle caselle di prima fascia: è lo schema su cui si ragiona per trovare il punto di caduta nella futura squadra dei ministri del governo Meloni. L’idea sarebbe quella di sbarrare la strada ai leader e ai colonnelli della coalizione nei ministeri pesanti di Economia, Difesa, Esteri e Interno. Le quattro poltrone saranno affidate a personalità estranee al recinto dei partiti. Messaggio che Meloni avrebbe consegnato ai big di Fratelli d’Italia e agli alleati: una mossa che sminerebbe il terreno delle trattative dall’estenuante logica del manuale Cencelli. Sarebbe questo il punto di caduta. Scelta su cui Forza Italia avanza dubbi: «Quella sul profilo dei candidati a ministro è una polemica inventata, stucchevole. Il presidente Berlusconi ha formato e presieduto 4 governi che hanno prodotto risultati senza precedenti e dato lustro all’Italia nel mondo. Ha scoperto e valorizzato talenti e costruito una classe politica che ha fatto crescere e prosperare il centrodestra, che ancora oggi ne costituisce l’asse portante e alla quale anche i partiti alleati hanno attinto e continuano ad attingere per rafforzare i loro gruppi dirigenti», fanno notare fonti azzurre. La prossima settimana sarà quella decisiva, per trovare la quadra con la scelta anche dei presidenti di Camera e Senato. Nel nuovo schema rischierebbero di rimanere fuori due big: Giancarlo Giorgetti, che non figurerebbe nella rosa dei ministri in quota Lega, e Guido Crosetto. Scorporata la quota dei ministri tecnici (Economia, Esteri, Difesa e Interno) lo schema prevede 4 ministeri per Fi, 4 per il Carroccio e 6 per Fdi. Per il Mef in cima alla lista di Meloni ci sarebbe Fabio Panetta, che però rifiuterebbe perché l’Italia perderebbe il posto (occupato da Panetta) nel comitato esecutivo della Bce. Risalgono le quotazioni di Dario Scannapieco, numero uno di Cassa Depositi e Prestiti, e Domenico Siniscalco. Per il ministero della Difesa si punterebbe un tecnico di assoluta fiducia negli ambienti Nato: Luciano Portolano, segretario generale della Difesa. Esteri e Interno sono le due caselle che si incrociano nella partita. Al Viminale la leader Fdi vorrebbe un ex Prefetto, Matteo Piantedosi, già capo di gabinetto del ministero ai tempi di Matteo Salvini. Il segretario del Carroccio spinge per Giulia Buongiorno. Alla Farnesina potrebbe andare Elisabetta Belloni, oggi al vertice del Dis. Chiusa la partita sui ministeri di primo livello, restano le altre caselle: Sviluppo economico, Giustizia, Infrastrutture, Lavoro, Beni Culturali, Sud, Politiche Ue, Agricoltura, Mezzogiorno. Per queste poltrone sarà applicato il manuale Cencelli. E dunque spazio ai politici. Per Antonio Tajani ci sarebbero due opzioni: Sviluppo economico o Politiche comunitarie con delega al Pnrr. Alessandro Cattaneo è sicuro: «Licia Ronzulli farà parte del prossimo governo» dice a Tagadà. Per la senatrice azzurra si profila la delega agli Affari regionali o Pubblica amministrazione.

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