Archive for Ottobre, 2022

Draghi, Mef e partito in agitazione: il risiko istituzionale della Meloni

venerdì, Ottobre 7th, 2022

Adalberto Signore

All’esterno, la percezione è quella dell’accerchiamento. Su diversi fronti, dalla formazione del governo che verrà al delicato dossier economico (in primis quello energetico, che si porta dietro il rischio sempre più concreto di una recessione alle porte). Ma l’immagine di una Giorgia Meloni che prova a uscire dall’angolo la danno soprattutto le frizioni con Mario Draghi (e la sponda che si registra dall’Ue sul Pnrr), un Quirinale che fa filtrare di non voler essere tirato in mezzo alla trattativa per la formazione di un governo che «è politico» e, infine, un partito – Fratelli d’Italia – dove ormai si respira da giorni un clima da alta tensione. Non solo per l’ordine di scuderia di non parlare con i giornalisti (approccio che riporta ai tempi epici, fortunatamente andati, di quando sbarcò in Parlamento il M5s). E neanche per la caccia alle streghe che si è aperta mercoledì sera nel partito per sapere chi fosse il responsabile della soffiata ai media su Bruxelles e il Pnrr (fuga di notizie che tanto ha infastidito Mario Draghi). Ma sopratttuo perché il timore di molti dei big di Fdi è che dopo aver vinto le elezioni – riscattando una lunga storia di emarginazione politica – buona parte dei posti di governo saranno destinati a tecnici, magari d’area, considerati più adeguati di chi il lungo viaggio per uscire dall’ombra l’ha fatto davvero.

Un panorama complesso, di cui Meloni è perfettamente cosciente. All’ennesimo giorno chiusa nei suoi uffici di Montecitorio, infatti, al suo arrivo alla Camera decide di fermarsi all’ingresso a favore di telecamere per cercare di ricomporre la tensione con Draghi. «Con lui non c’è nessuno scontro», spiega. Circostanza che ha anche ribadito in un contatto diretto con Palazzo Chigi, mentre il premier era sulla via di Praga per il Consiglio informale dell’Ue. Il tentativo, insomma, è quello di chiudere l’incidente scaturito dalle sue valutazioni sul Pnrr e sul Consiglio europeo del prossimo 20 ottobre, parole pronunciate a porte chiuse con i suoi ma che sono poi filtrare sui media. E che hanno fatto infuriare la leader di Fdi. Forse un po’ troppo, considerando che quando parli a un esecutivo di partito davanti a una trentina di persone è piuttosto improbabile che il tutto resti riservato.

Ma è inevitabile che siano giornate tese. Fatalmente condizionate dalla formazione del governo che verrà, pratica che ha diverse criticità. La prima è il nodo del Mef, con Fabio Panetta che continua a dirsi indisponibile. Un «no» che forse potrebbe venir meno, se la squadra di governo fosse di livello e se il Colle in qualche modo si spendesse. Su questo punto Meloni ancora non dà la partita per persa, sa bene che portare Panetta al Mef sarebbe un segnale di grande credibilità verso i mercati e la comunità internazionale. La strada è in salita, ma qualche margine sembra esserci. Con la sponda del Quirinale, che però potrebbe eventualmente muoversi solo su richiesta della leader di Fdi e dopo aver visto quale squadra proporrà dove l’eventuale incarico. D’altra parte, il prossimo sarà un governo politico, le cui criticità vanno evidentemente (e preventivamente) risolte tra i partiti.

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Le due anime di Meloni

venerdì, Ottobre 7th, 2022

Ilario Lombardo, Francesco Olivo

Lei è Giorgia, la sovranista che avverte l’Europa: «La pacchia è finita». Ma lei è anche Giorgia, la futura presidente del Consiglio convertita all’europeismo che ringrazia la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen: «Un passo in avanti per far fronte alla crisi energetica». L’incognita di queste ore, e non solo in Italia, è capire quale sia la Giorgia che guiderà il Paese. Se la responsabile leader che, con l’occhio pragmatico e i polsi tremanti per l’enormità della sfida che l’attende, evita i caroselli che avrebbero portato in strada fiamme e nostalgia. O la premier in pectore che già liquida il predecessore, Mario Draghi, e il suo lavoro su Pnrr e sulle trattative europee su gas, dando eco al vittimismo di chi è preda di una sindrome da assedio perenne. Il fatto è che anche nel suo popolo, oltre al comprensibile entusiasmo del momento, c’è qualche sconcerto. Quando Meloni, mercoledì sera, ha postato sui social un messaggio di apprezzamento per la lettera di Von der Leyen ai partner europei sulla crisi, le risposte sono state centinaia e con toni durissimi, la maggior parte delle quali arrivano da utenti chiaramente schierati a destra. «Ursula è quella che ci ha minacciato nel caso ti avessimo votato. Ma non ce l’avete un po’ di autostima?», si legge sotto al post. Altri ironizzano sul fatto che Enrico Letta o Emma Bonino siano entrati in possesso dell’account della leader che fu sovranista. Mentre c’è chi utilizza gli argomenti che Meloni ha usato spesso per criticarla: «L’Italia deve prendere le sue decisioni come Stato sovrano».

Le rivolte social lasciano il tempo che trovano, ma è chiaro che c’è una parte del popolo di destra che non ha digerito le presunte svolte moderate della sua leader. Al di là dell’Europa, l’altro tema che una parte dell’elettorato rischia di rifiutare è l’appoggio incondizionato all’Ucraina. Un sondaggio di Quorum/YouTrend ha dimostrato che questa ondata sui social non è un fenomeno virtuale: Fratelli d’Italia, il partito che più di tutti, con il Pd, ha appoggiato le sanzioni alla Russia ha un elettorato che la pensa diversamente: il 55% è contrario e solo il 27% è favorevole. Meloni ne è perfettamente consapevole. «È la prova che la nostra posizione a favore della Nato non è una scelta di convenienza politica. Anzi. E quindi è sincera», spiegava subito prima delle elezioni Giovanbattista Fazzolari, consigliere fidatissimo della leader e probabile sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. La luna di miele, magari ridotta visti i tempi, fa sì che per il momento la contraddizione resti sotto controllo. Ma quanto durerà?

In realtà, come prova a interpretarla una fonte del partito che la conosce bene, nel doppio registro di Meloni c’è tanta tattica e un po’ di strategia. Ci ha messo poco, pochissimo, la presidente di FdI, a passare da leader dell’opposizione a essere ribattezzata «Draghina», per l’atteggiamento che, stando al suo stesso vocabolario, è parso aderire «all’establishment» e «al mainstream». Per un giorno, davanti ai suoi commilitoni di partito, Meloni ha ritrovato i toni del salotto tv dove colpiva duro contro il governo. E deve farlo a maggior ragione adesso che dovrà scontentare tanti di loro, come altri dentro coalizione di centrodestra, delegando a figure tecniche l’architettura del suo esecutivo. Nel partito sono tutti allineati con la leader. Ma non è un mistero che i messaggi rassicuranti verso l’Europa vengano accettati da un’ala di FdI solo se frutto di preciso disegno.

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Riscaldamento, arriva la stretta sui termosifoni: giù di un grado e accesi due settimane in meno

venerdì, Ottobre 7th, 2022

Luca Monticelli

Arriva il decreto che taglia i consumi del riscaldamento: un’ora in meno di caldo ogni giorno, temperature più basse di un grado nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro, e termosifoni che rimarranno accesi per quindici giorni in meno rispetto all’inverno scorso. L’austerity non si applica ad asili, ospedali e piscine.

Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha firmato il provvedimento che recepisce le misure messe in campo nel piano di riduzione dei consumi di gas naturale, presentato dal governo poco più di un mese fa.

Sul caro-bollette, che sta colpendo famiglie e imprese, continua il pressing dell’Anci che chiede al prossimo governo un miliardo di euro per non mandare in default i bilanci amministrativi: 200 milioni da inserire nel decreto aiuti quater e 800 in legge di bilancio che potranno valere per il 2023. Il delegato alla finanza locale dell’associazione dei primi cittadini, Alessandro Canelli, auspica «un pacchetto di misure tecnico-contabili per fermare il calo delle entrate dei comuni previsto l’anno prossimo e per far fronte al perdurare dell’incremento dei costi energetici».

Intanto, il numero uno di Eni, Claudio Descalzi, rassicura sulle scorte: il gas è sufficiente, salvo ci fossero incidenti tecnici, come ad esempio un guasto o una rottura a un impianto, che riguardano i Paesi fornitori o un freddo molto rigido. «Il gas russo sostanzialmente è stato sostituito – sottolinea Descalzi – quello che sta comunque continuando a fluire si attesta a 10-15 milioni di metri cubi al giorno, ed è costante. In più abbiamo gli stoccaggi pieni: queste condizioni possono darci tranquillità per l’inverno». Detto ciò, i rigassificatori restano «assolutamente necessari all’Italia».

In casa termostato a 19 gradi, nelle aziende a 17
La durata di accensione degli impianti di riscaldamento, spiega il Mite, è ridotta di un’ora al giorno e il periodo di funzionamento della stagione invernale 2022-2023 è accorciato di 15 giorni, posticipando di otto giorni la data di inizio e anticipando di sette la data di fine esercizio. Ai sindaci è assicurata la flessibilità in caso di esigenze improvvise: «In presenza di situazioni climatiche particolarmente severe – evidenzia il ministero della Transizione ecologica – le autorità comunali, con proprio provvedimento motivato, possono autorizzare l’accensione degli impianti termici alimentati a gas anche al di fuori dei periodi indicati dal decreto, purché per una durata giornaliera ridotta». Per quanto riguarda la temperatura, dai 18 gradi per le attività industriali e artigianali il termostato scende a 17, mentre per gli altri ambienti si passa dai canonici 20 gradi a 19. Spetterà poi agli italiani seguire comportamenti virtuosi per concorrere al risparmio energetico, ad esempio facendo la doccia tiepida, utilizzando lavatrice e lavastoviglie a pieno carico e spegnendo la tivù invece di lasciarla in standby.

Cambiano gli orari: l’Italia sarà divisa in sei fasce
Il decreto appena varato dal ministero della Transizione Ecologica rimodula i tempi di accensione degli impianti nelle città che rientrano nelle sei fasce climatiche in cui è suddivisa l’Italia, in base al clima medio del comune. La stretta a macchia di leopardo è più forte nelle aree più calde, come la costa della Sicilia, e meno incisiva in montagna. La Zona A (che include Lampedusa, Porto Empedocle) avrà i termosifoni caldi dall’8 dicembre al 7 marzo per 5 ore giornaliere. La Zona B (Agrigento, Reggio Calabria, Messina e Trapani) dall’8 dicembre al 23 marzo per 7 ore. La Zona C (Napoli, Imperia, Cagliari, gran parte della Puglia) dal 22 novembre al 23 marzo per 9 ore. La Zona D (Firenze, Foggia, Roma, Ancona, Oristano e comunque buona parte di Toscana, Umbria, Lazio, Campania) dall’8 novembre al 7 aprile per 11 ore. La Zona E (Aosta, Torino, Milano, Bologna, tutta la pianura padana, il nord, la dorsale appenninica, l’Aquila e la Basilicata) dal 22 ottobre al 7 aprile per 13 ore al giorno. La Zona F (Belluno, Cuneo e i comuni dell’arco alpino) nessuna limitazione.

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Covid, senza un piano inverno a rischio

venerdì, Ottobre 7th, 2022

Antonella Viola

Non è una sorpresa l’aumento dei contagi a cui stiamo assistendo in questi giorni e non deve gettarci nel panico; tuttavia, preoccupa non poco l’assenza di un piano di azione per il contrasto della pandemia nell’autunno/inverno. Già a partire dalla scorsa settimana, si era infatti osservato un aumento dei ricoveri ospedalieri e questa tendenza si è purtroppo consolidata durante le ultime rilevazioni, generando non poca apprensione per la tenuta dei reparti e per il rischio che a breve possano aumentare anche i ricoveri in terapia intensiva e i decessi. La campagna per la quarta dose di vaccino per gli anziani, infatti, ancora non decolla anche se, fortunatamente, si nota un aumento delle richieste nell’ultima settimana. È importante ricordare che, per le persone più a rischio per età o per patologie pregresse, ricorrere al nuovo richiamo è quanto mai essenziale e urgente, per poter affrontare con maggiore serenità i mesi a venire. Mesi che vedranno il virus circolare sempre di più, anche a causa dell’eliminazione delle mascherine da tutti i mezzi di trasporto. Questa novità, insieme alla ripresa della scuola e di tutte le normali attività che svolgiamo ogni giorno nei luoghi chiusi, non può che causare quell’impennata di contagi a cui stiamo assistendo.

Il rischio che corriamo, se non si interverrà immediatamente con una attenta pianificazione della lotta al Covid19, aggiornata per il periodo autunnale e invernale, è di ritrovarci nuovamente a inseguire il virus, senza possibilità di anticiparlo e arginare i danni. Certamente, grazie ai vaccini, le conseguenze del rialzo dei contagi non saranno catastrofiche come nel passato, ma potrebbero comunque gravare pesantemente su una sanità affaticata e su una situazione economica già disastrosa per i problemi legati alla guerra e al costo dell’energia. Cosa chiedere dunque al piano d’azione? Prima di tutto di fare in modo di aumentare le coperture vaccinali, con tre dosi standard nella popolazione generale e con il richiamo per le categorie più a rischio, grazie a una comunicazione chiara e convincente sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini.

Questa azione, se incisiva, dovrebbe già da sola evitare che i ricoveri crescano troppo. Anche senza ricorrere all’obbligo, bisognerebbe poi promuovere l’utilizzo delle mascherine nei luoghi chiusi e affollati, così come nei mezzi di trasporto, se non altro tra le persone più fragili. E, infine, attraverso mirati percorsi di formazione, assicurarsi che vengano applicati i migliori protocolli terapeutici disponibili, che, per le persone a rischio di malattia severa, includono l’uso dei farmaci antivirali nei primi giorni dell’infezione.

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Sanità, perquisizioni e arresti in Basilicata: in manette il capogruppo Fi in Regione Piro, la Dda a casa del presidente della giunta regionale Bardi

venerdì, Ottobre 7th, 2022

Trema la politica lucana. Perquisizioni e arresti, questa mattina, nell’ambito di un’operazione condotta dalla Dda di Potenza. Coinvolti uomini politici e amministratori regionali della Regione Basilicata. Nell’operazione – a quanto apprende l’AGI – sarebbero state eseguite una decina di misure cautelari. Sono in corso perquisizioni in alcuni uffici della Regione Basilicata e all’ospedale San Carlo di Potenza. In manette il capogruppo di Forza Italia in Regione Francesco Piro. E una perquisizione è stata fatta anche a Filiano (Potenza) nell’abitazione del presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, nell’ambito dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Potenza sulla sanità lucana. Poco fa il governatore è entrato negli uffici della Regione, nel capoluogo lucano. Altre perquisizioni sono in corso da parte di Carabinieri e Polizia nella stessa sede della Regione, in viale Verrastro, e nell’ospedale San Carlo, il più importante della Basilicata.
Nell’ambito dell’operazione della Dda è stato arrestato il capogruppo di Forza Italia alla Regione Basilicata, Francesco Piro. Divieto di dimora per l’attuale assessore regionale all’agricoltura, Francesco Cupparo (Forza Italia). Coinvolto anche ex assessore regionale alla sanità, il consigliere regionale Rocco Leone (Fratelli d’Italia).

LA STAMPA

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La formazione del governo non sarà un pranzo di gala

venerdì, Ottobre 7th, 2022

di Massimo Franco

Lessico cauto e rinuncia al trionfalismo hanno suscitato l’impressione di un tentativo serio di provare a governare. Ma sarà il risultato finale a definire la caratura dell’esecutivo

L’aspirazione di Giorgia Meloni a guidare un governo di alto profilo è non solo legittima ma doverosa. È legittima perché nel momento in cui una leader con la sua storia si prepara ad approdare a Palazzo Chigi per la prima volta, non può non avere l’ambizione di lasciare un segno positivo. Ed è doverosa per l’investitura popolare che ha ricevuto, per quanto depotenziata dall’astensionismo massiccio. Al contrario di Mario Draghi, che nel comporre la sua squadra ministeriale ha dovuto tenere conto delle richieste di partiti agli antipodi, Meloni non ha vincoli di unità nazionale: in teoria è libera di plasmare il governo a propria immagine. Se vuole, può promuovere uno spirito di concordia.

Il suo vantaggio è di non essere costretta a farlo, avendo alle spalle una maggioranza politica chiara e un primato nel centrodestra indiscusso, per quanto sofferto dai suoi alleati, in particolare Lega e Forza Italia. I toni bassi che ha scelto in questi primi giorni dopo il voto del 25 settembre sembrano avere ridotto la soglia della diffidenza nei suoi confronti, almeno in Italia. E il lessico cauto e perfino parsimonioso, con la rinuncia alla tentazione del trionfalismo, sono stati notati. Hanno dato l’impressione di un tentativo serio di provare a governare; e di mettere da parte i proclami demagogici e palingenetici della maggioranza populista che si saldò dopo le elezioni del 2018 tra M5S e Lega.

R imane da capire e da vedere se questo approccio iniziale sarà confortato dalla scelta dei ministri. Bisogna ricordare che i candidati espressi dal centrodestra nelle elezioni del 2021 nelle grandi città non sono stati all’altezza delle sfide.

Sotto questo aspetto, Meloni e la sua maggioranza dovranno dare prova di avere capito gli errori passati; e soprattutto di essere in grado di esprimere una classe dirigente, attirando nella loro orbita persone competenti e esperte, anche al di là delle appartenenze politiche. La discrezione con la quale finora la premier in pectore si è raccordata con Draghi e il Quirinale per garantire una transizione non traumatica va registrata positivamente. Come è opportuna la precisazione con la quale ieri Meloni ha negato qualunque scontro con il presidente del Consiglio uscente sull’attuazione del Piano per la ripresa.

Ma sarà il risultato finale a definire la caratura del governo, non la sua semplice evocazione. Né ci si debbono aspettare sconti o tregue da rodaggio, dopo avere alzato l’asticella della credibilità in maniera così esplicita. Se il profilo alto additato non riceverà conferma, il governo allo stato nascente si ritroverà a gestire non solo grossi problemi ma una grande delusione. Le questioni da affrontare sono troppo gravi per alimentare illusioni su un’uscita rapida e facile da questa fase. Il Paese e l’intero Occidente stanno per essere immersi in mesi di tensioni sociali e di incertezza economica.

Già si indovina il tentativo di un populismo ridimensionato ma pervicace di soffiare sul malcontento per riprendere spinta. Il suo dna lo porta a scommettere sempre su un collasso del sistema, ne ha bisogno come l’ossigeno: anche dopo avere dimostrato che la sua vera coerenza è stare al potere con chiunque glielo consenta, salvo tornare alle pulsioni più estremistiche una volta sconfitto. Di fronte a queste sfide, sarebbe miope sciupare l’occasione non solo di un governo ma di una visione che sappia miscelare continuità e novità.

Non è detto che l’operazione abbia successo. La cosa peggiore, tuttavia, sarebbe scaricare sulle maggioranze del passato o perfino sulla Costituzione la colpa di non riuscire nell’impresa. Meglio, dunque, non tradire le premesse abbozzate in queste due settimane scarse; e non rinunciare troppo a cuor leggero al tentativo di coinvolgere le minoranze nelle istituzioni. Non ci saranno più un governo di unità nazionale né un premier che, per quante critiche possa ricevere adesso, gode di un raro prestigio anche internazionale. Ma l’unità nazionale, comunque declinata, appare più necessaria che mai.

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Cosa c’è dietro lo schiaffo dell’Arabia Saudita a Biden, sul petrolio?

venerdì, Ottobre 7th, 2022

di Federico Rampini

Gli americani gridano altradimento saudita.

La portavoce del National Security Council – cabina di regìa della politica estera della Casa Bianca – ha usato toni insolitamente duri: «È chiaro che con questa decisione l’Opec si allinea con la Russia».

Sotto accusa c’è l’annuncio che il cartello Opec+ taglierà complessivamente due milioni di barili al giorno nella sua produzione di petrolio, pari al 2% del totale, con l’obiettivo di far salire i prezzi. Opec+ è la sigla che dal 2016 include il vecchio cartello oligopolistico del petrolio più la Russia. Sullo sfondo di questa decisione c’è l’imminente embargo europeo sul petrolio russo, che dovrebbe entrare in vigore fra due mesi. E ci sono le discussioni tecniche sulla modalità di applicazione di quella sanzione contro Putin: di fatto funzionerà come un divieto imposto alle compagnie assicurative — per lo più europee — di stipulare polizze per navi petroliere se il greggio che trasportano viene venduto a un prezzo oltre il tetto stabilito.

Il contesto delle sanzioni, con cui l’Occidente vuole ridurre gli introiti energetici grazie ai quali la Russia finanzia la guerra, spiega l’accusa che la Casa Bianca lancia all’Opec di allinearsi con Mosca.


Altri due fattori spiegano i toni della portavoce di Biden. Uno è l’approssimarsi delle elezioni legislative di mid-term negli Stati Uniti: un rincaro della benzina può danneggiare il presidente in carica e il suo partito.

Un altro fattore è interno allo stesso partito democratico: l’ala sinistra non ha mai perdonato a Biden il suo viaggio in Arabia saudita a luglio, ed ora è felice di potergli rinfacciare di non aver ottenuto nessuna concessione dal principe Mohammed bin Salman detto MbS.

Le notizie sulla guerra tra Russia e Ucraina, in diretta

È vero che a luglio Biden chiese a MbS di aumentare l’estrazione di petrolio per far scendere i prezzi. Mentre ora l’Arabia, che ha un peso dominante nell’Opec, ha usato la sua influenza per convincere il cartello a fare l’esatto contrario.

Ma è proprio un tradimento, deciso per aiutare Putin contro l’Ucraina e contro l’Occidente?

In realtà nell’ottica dei sauditi e di molti altri paesi membri dell’Opec la motivazione dominante di questo taglio di produzione è un’altra: è la recessione in arrivo. Il mondo è cambiato molto da luglio. Tra l’estate e oggi i prezzi del greggio sono scesi molto – da 120 a 87 dollari il barile – perché è scesa la domanda mondiale, in parallelo con il rallentamento dell’economia mondiale. Il futuro non promette nulla di buono: il Wto, l’organizzazione mondiale del commercio, ha appena ridotto le sue previsioni sull’andamento dell’import-export nel 2023, da una crescita del 3,4% ad un modesto 1%.

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Bonus bollette 600 euro (esentasse) in busta paga: così le aziende possono aiutare i dipendenti

venerdì, Ottobre 7th, 2022

Un aiuto per pagare le bollette

Il bonus 600 euro esentasse (detto anche bonus bollette) è a disposizione di quei datori di lavoro che vogliono contribuire al supporto del reddito dei loro dipendenti in questo periodo di difficoltà. Introdotto con il decreto Aiuti bis, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 21 settembre scorso, il contributo è stato pensato per contrastare gli effetti del caro bollette sui bilanci familiari degli italiani. Per questo, il decreto ha modificato la soglia di non concorrenza reddituale del fringe benefit assegnati ai dipendenti, portandola appunto a 600 euro (dai 258,23 euro originari) ed estendendo i rimborsi anche alle bollette delle utenze di luce, gas e servizio idrico.

Quali somme possono rientrare nel bonus?

Come scrive la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nella pubblicazione «Il bonus bollette e la nuova soglia per i fringe benefit del 2022», l’art. 12, c. 1 del D.Lgs. n. 115/2022 stabilisce che «limitatamente al periodo d’imposta 2022, in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non concorrono a formare reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale entro il limite complessivo di euro 600». In pratica, il datore di lavoro può rimborsare direttamente in busta paga le bollette di acqua, luce e gas dei dipendenti.

Cosa sono i fringe benefit?

Si tratta di quei “compensi in natura” (non vengono cioè erogati sotto forma di denaro) costituiti da beni e servizi che appaiono “visibili” all’interno della busta paga. Con il decreto Aiuti bis a questi beni e servizi sono state aggiunte in via del tutto eccezionale anche le bollette. Secondo l’Osservatorio Welfare 2022 di Edenred, l’anno scorso i fringe benefti hanno costituito il 34% dei consumi di welfare.

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Biden: «Putin non scherza, si rischia davvero l’Armageddon nucleare»

venerdì, Ottobre 7th, 2022

di

WASHINGTON — Joe Biden dice di «conoscere bene Putin». Il leader russo «non sta bluffando, c’è davvero il rischio dell’Armageddon nucleare».

Ieri sera, giovedì 6 ottobre, il presidente americano parlava in evento per la raccolta fondi ospitato a New York da James Murdoch, il figlio, evidentemente dissidente, del conservatore Rupert Murdoch.

Le notizie in diretta sulla guerra tra Russia e Ucraina

Finora la Casa Bianca e il Pentagono avevano mantenuto una linea di prudenza: non si può escludere che Putin possa ricorrere alle armi tattiche nucleari, ma finora non ci sono segnali concreti di allarme.

Biden, invece, è stato netto: «Per la prima volta dalla crisi dei missili Cubani (1962 ndr), dobbiamo fronteggiare la minaccia di un’atomica, specie se le cose proseguiranno nella direzione in cui stiamo andando». E ancora: «Stiamo cercando di capire che cosa ha in serbo Putin? Se troverà una via d’uscita? Come reagirà quando capirà di aver perso non solo la faccia, ma anche il potere? Abbiamo a che fare con un tizio che conosco decisamente bene. Non scherza quando parla di un potenziale uso delle armi tattiche nucleari o di armi chimiche o biologiche, perché il suo esercito si sta comportando molto male. E non che penso che ci sia la capacità di usare un’arma tattica atomica, senza finire nell’Armageddon».

Il presidente evoca il duello finale tra il «bene e il male» il giorno prima del Giudizio, descritto nel Nuovo Testamento. Il suo discorso viene diffuso a tarda sera a Washington. Oggi vedremo se i portavoce della Casa Bianca proveranno, come è accaduto spesso dall’inizio della guerra, a stemperare, a «contestualizzare» le frasi del presidente.

Di sicuro, dopo Biden a parlare è stato il segretario di Stato Usa, Blinken. Evocando la necessità di una «soluzione diplomatica», cui gli Usa sarebbero «pronti».

CORRIERE.IT


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Schiaffo di Draghi tra le proteste del centrodestra. “Pagheremo noi i ritardi sul Pnrr”

giovedì, Ottobre 6th, 2022

Massimiliano Scafi

E la chiamano transizione morbida. Giorgia Meloni, che sta ancora all’opposizione, già mette le mani avanti. «Ci sono ritardi evidenti». Forza Italia, che invece fa parte della maggioranza, attacca Palazzo Chigi. «Siamo stati esclusi dalla cabina di regia – si lamenta il capogruppo a Montecitorio Paolo Barelli – gli ex ministri azzurri Brunetta, Carfagna e Gelmini non rappresentano noi ma la futura minoranza, o forse solo se stessi». Una bufera, Mario Draghi però non si scompone. Anzi. Tutto fatto, dice, missione compiuta. «Gli obbiettivi del Pnrr sono stati raggiunti e non ci sono ritardi», altrimenti spiega «se ce ne fossero la Commissione Europea non ci verserebbe i soldi», 21 miliardi dopo i 48,9 erogati nei mesi scorsi. Ora spetta «al prossimo governo continuare il lavoro di attuazione del piano, che sono certo sarà svolto con la stessa efficacia». Insomma, sostiene il premier, «il Pnrr è di tutti, i partiti collaborino». Eppure succede che uno degli ultimi atti significativi dell’esecutivo uscente provochi un incidente politico non di poco conto con Fi e apra le prime crepe nel rapporto con la Meloni. Forza Italia, per quasi due anni alleato fedelissimo e super draghiamo, si trova improvvisamente fuori dalla cabina di regia. Barelli si infuria. «Riteniamo surreale non essere coinvolti. Ricordiamo infatti che le linee di applicazione del Pnrr riguarderanno anche, se non soprattutto, il governo politico di cui Fi farà parte».

Da Palazzo Chigi minimizzano, parlano di procedure. Ma dopo la crisi i tre ministri azzurri sono usciti dal partito, Carfagna e Gelmini sono addirittura passate ad Azione, così adesso Forza Italia non ha rappresentanti nella stanza dei bottoni. Quanto la Meloni: le davano della draghiana, si diceva che si era riparata sotto l’ombrello di Super Mario, che sperava che restasse il più a lungo possibile a risolvere i dossier più spinosi, a spianarle la strada con i mercati e l’Europa, invece è proprio sull’asse portante del governo uscente che decide di marcare le differenze. Non si sa mai. «Ereditiamo una situazione complicata, i ritardi sul piano sono evidenti e difficili da recuperare. Siamo consapevoli che sarà una mancanza che non dipenderà da noi e che però a noi verrà attribuita». Meglio dissociarsi subito, pensano a Fdi.

Per Draghi il problema non esiste. «C’è un modo semplicissimo e trasparente per valutare a che punto siamo, basta vedere gli obbiettivi raggiunti. Nel secondo trimestre la realizzazione procede più velocemente del previsto». Certo, ammette il presidente del Consiglio, la crisi, le elezioni e il prossimo cambio della guardia hanno complicato le cose, «hanno richiesto uno sforzo supplementare». Però siamo di nuovo in discesa. «Ad oggi sono stati già conseguiti 21 dei 55 obbiettivi previsti per la fine dell’anno e ci aspettiamo di raggiungerne altri 29 entro la fine del mese».

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