Archive for Ottobre, 2022

Dai “puri” a quelli di area fino agli schierati. Il gruppo misto dei non politici da totopoltrone

lunedì, Ottobre 3rd, 2022

Stefano Zurlo

Tecnici puri. Tecnici d’area. Tecnici battezzati nel fonte battesimale delle urne. Gradazioni. Sfumature.

Visioni diverse e scintille sulla composizione del nuovo governo. Il partito dei tecnici assomiglia per certi aspetti al gruppo misto: dentro c’è di tutto e ci potrebbe anche essere qualche ministro dell’imminente governo Meloni. Chi andrà all’economia? Insomma, chi occuperà una delle caselle più pesanti?

Ecco che il tam tam accredita soluzioni di alto profilo che rispondono a nomi di tecnici, naturalmente non ostili al centrodestra. Rimbalzano le foto di Fabio Panetta, in cima ai desiderata di Giorgia Meloni, e di Domenico Siniscalco, che fu già ministro indipendente con Berlusconi e, non a caso, se ne andò in polemica per le mancate dimissioni del governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio.

«Io non credo nei tecnici puri – ha detto sabato Berlusconi in un’intervista alla Stampa – se esistessero la politica diventerebbe inutile».

E però un personaggio come Panetta, oggi nel board della Bce, sarebbe un aiuto straordinario per l’esecutivo che deve accreditarsi nelle istituzioni europee e dunque avrebbe via libera da tutti i partiti della coalizione. Peccato che l’interessato abbia già detto e ridetto che lui non ne vuol sapere. Senza contare il fatto che il Paese perderebbe una voce autorevole in un consesso strategico e nessuno può garantire che sarebbe sostituito da un altro esperto italiano. Toccherà allora a Siniscalco? Ma forse l’incarico potrebbe essere dato a Giulio Tremonti, che occupava quella poltrona così pesante proprio prima di lui e che sarebbe il più tecnico dei ministri politici.

Agli Esteri si riparla di Elisabetta Belloni, la prima donna al vertice dei Servizi, un tecnico fra i più stimati nel Paese, già a un passo dal Quirinale quando era stata proposta dal duo Salvini Conte. Poi quella nomina fu bocciata davanti alle telecamere da Matteo Renzi, ma lei rimane in pole position per qualunque ruolo apicale. Alla Farnesina aspira anche Giulio Terzi di Sant’ Agata, già ministro degli Esteri con Monti, pure lui uscito di scena salutando la compagnia in disaccordo sulla gestione del caso dei marò. Terzi di Sant’ Agata è un ambasciatore, ma ormai è entrato nella cittadella costruita da Giorgia Meloni ed è appena stato eletto senatore nel collegio di Treviglio.

Una traiettoria che assomiglia a quella di Carlo Nordio, magistrato per una vita, oggi in pensione e fresco deputato votato in massa a Treviso. Insomma, un tecnico non più tecnico, anche se non è il caso di impiccarsi alle forme. Nordio potrebbe diventare Guardasigilli, portando in dote la sua indipendenza di giudizio, la sua competenza e la sua lontananza dalla corporazione togata.

Il governo che sta per nascere dovrà comunque trovare un punto di equilibrio: Berlusconi e Salvini spingono per un assetto più politico, Meloni cerca riparo dalle tempeste in arrivo dietro lo scudo di personalità specchiate e dal curriculum inattaccabile che dovrebbero essere i pilastri della squadra.

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Perché sul gas l’Italia rischia di fare i conti con lo scenario peggiore

lunedì, Ottobre 3rd, 2022

Federico Giuliani

L’ombra della penuria di gas si allunga sull’Europa intera, Italia compresa. Le ultime vicende lasciano presagire un futuro incerto e carico di ulteriori tensioni. Non bastasse il misterioso sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, con le accuse reciproche rimbalzate tra Stati Uniti/Unione europea e Russia, e le inevitabili conseguenze a cascata su tutto il mercato energetico europeo, ecco che tornano ad affiorare le mai risolte spaccature tra i membri Ue.

È lontano, infatti, l’accordo sul price cap, ovvero sul tetto da imporre al prezzo del gas. Da una parte troviamo la Germania, contraria a questa soluzione, dall’altra 15 Paesi, tra cui l’Italia, che l’hanno invece caldeggiata e sostenuta in una lettera inviata a Bruxelles. Ma non è finita qui, perché nel documento informale presentato dalla Commissione europea è ben evidente una seconda divergenza: quella tra i sostenitori del price cap al prezzo del gas, inteso come all’intero import della preziosa risorsa, e i fautori di una misura meno radicale, che vorrebbero invece applicare il price cap solo al gas di provenienza russa.

In uno scenario del genere, la stessa Commissione ha messo sul tavolo due proposte. La prima: lanciare un nuovo indicatore del mercato del gas da affiancare al Tdt di Amsterdam, e dedicato al Gnl – ovvero al gas naturale liquefatto – per slegare quest’ultima fornitura dai rincari del gas dovuti ad eventuali manipolazioni di Gazprom. La seconda: imporre un tetto al prezzo del gas usato per generare elettricità.

Questo ipotetico sistema comporterebbe un prezzo amministrativo ottenuto attraverso un intervento pubblico che andrebbe a pesare sui bilanci dei singoli stati membri. Più nello specifico, il sistema elettrico nazionale di ciascun Paese si farebbe carico di pagare la differenza tra il prezzo di mercato del gas e quello figlio del price cap. Il punto è che, lasciando ai singoli governi la possibilità di calmierare i prezzi, si creerebbe una spaccatura tra quei Paesi che possono effettivamente intervenire in maniera massiccia, perché dotati di un ingente spazio fiscale, e quelli che, al contrario, hanno le mani legate.

Il gas divide l’Europa

La Germania, intanto, ha attivato uno “scudo” di un valore compreso tra i 150 e i 200 miliardi di euro per calmierare i prezzi del caro energia. Berlino attingerà a piene mani dal Fondo di stabilizzazione economica, un fondo al di fuori del normale bilancio federale. “Il prezzo del gas deve andare giù”, è l’imperativo categorico del cancelliere tedesco Olaf Scholz.

C’è la Germania, dunque, e poi ci sono gli altri Paesi, alle prese con strane scomparse di gas e rebus all’apparenza irrisolvibili. Prendiamo l’Italia. “Gazprom ha comunicato di non poter confermare la consegna dei volumi di gas richiesti per oggi (sabato 1 ottobre ndr) a causa della dichiarata impossibilità di trasportare il gas attraverso l’Austria. Oggi, pertanto, i flussi di gas russo destinati a Eni attraverso il punto di ingresso di Tarvisio saranno nulli”, informava l’Eni sul proprio sito.

Poco dopo è arrivato un chiarimento da parte di un portavoce della stessa Eni: “A partire da oggi Gazprom non sta più consegnando il gas ad Eni poiché, stando alle sue comunicazioni, non sarebbe in grado di ottemperare agli obblighi necessari per ottenere il servizio di dispacciamento di gas in Austria dove dovrebbe consegnarlo”. La frase chiave è però la seguente: “Ci risulta però che l’Austria stia continuando a ricevere gas al punto di consegna al confine Slovacchia/Austria”.

Dal canto suo Gazprom ha affermato che “il motivo di questa interruzione sono le modifiche normative in Austria” e che la società russa “sta lavorando per risolvere il problema insieme all’Italia”. “Il trasporto di gas russo attraverso l’Austria – ha aggiunto il colosso russo – è stato sospeso a causa del rifiuto dell’operatore austriaco di confermare le nomine di trasporto”.

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Sul Pd il veto dell’area sud che punta all’asse con i 5s

lunedì, Ottobre 3rd, 2022

Pasquale Napolitano

Il Pd è alle prese con tre passaggi cruciali: l’avvio del congresso, la definizione delle future alleanze e la scelta dei capigruppo di Camera e Senato. Tre partite incrociate tra loro, che indicheranno la rotta nel dopo Letta. Sul terreno della battaglia congressuale (giovedì c’è la direzione nazionale che apre le danze verso il congresso) si registra lo strappo tra il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini e quello campano Vincenzo De Luca. I due presidenti avevano un accordo: De Luca avrebbe dovuto garantire l’appoggio a Bonaccini in caso di candidatura alle primarie dem. L’intesa è saltata. Il motivo è la posizione assunta dal presidente dell’Emilia Romagna in favore della battaglia leghista per l’introduzione dell’autonomia differenziata. Il feeling tra Bonaccini e Zaia non è andato giù allo sceriffo salernitano che ha deciso di ritirare il sostegno al collega del Pd. L’autonomia differenziata è un tema spinoso, difficile da digerire da Roma in giù. Il presidente della Campania valuta altre opzioni in campo. Si segnala nelle ultime ore un avvicinamento tra De Luca e Francesco Boccia. Dal proprio canto, il governatore dell’Emilia è a un passo dall’annuncio della candidatura: «La classe dirigente va rinnovata nella sostanza, non per slogan: abbiamo donne e uomini nel partito dei territori, amministratrici e amministratori che hanno dimostrato sul campo di saper vincere. Smettiamola di tenerli in panchina», rilancia dal suo profilo Facebook.

La seconda partita si gioca sul campo delle alleanze. Una partita destinata a condizionare anche la scelta dei due capigruppo nella prossima legislatura. L’idea è di puntare su due profili graditi a Giuseppe Conte. L’obiettivo è chiaro: far rifiorire il campo largo sepolto dalla gestione Letta. I due nomi che avrebbero chance di riallacciare i fili del dialogo con i Cinque stelle sono Nicola Zingaretti alla Camera e Francesco Boccia al Senato. L’altra opzione è una reggenza con gli attuali Simona Malpezzi (Senato) e Debora Serracchiani (Camera) fino alla scelta del nuovo segretario del Pd. A Palazzo Madama l’ipotesi Boccia sembra però aver perso quota. I senatori bocciano il nome dell’ex ministro per gli Affari regionali. Si fa largo, invece, Cecilia D’Elia. A Montecitorio l’alternativa a Zingaretti sarebbe Peppe Provenzano, il numero due del Partito con una posizione filo-grillina. Si ragiona già anche sul nome del presidente del Copasir: il favorito in casa Pd è Enrico Borghi.

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Bossi e il Nord. Gli anti Salvini rivogliono la vecchia Lega

lunedì, Ottobre 3rd, 2022

Fabrizio De Feo

La sconfitta elettorale accende la dialettica interna alla Lega. Lo fa prendendo vie esterne e laterali, senza un’onda che si propaga dall’interno. Sono infatti soprattutto gli esponenti della vecchia guardia, quella più legata a Umberto Bossi e a Roberto Maroni a sollevare eccezioni e invocare una correzione di rotta.

L’attacco a Matteo Salvini si sviluppa su due fronti: dentro la Lega nasce il «Comitato per il Nord» lanciato dal Senatùr, un progetto che punta a recuperare dialogo e voti nel bacino territoriale più naturale per il Carroccio. Fuori dalla Lega i nordisti ex militanti che Gianni Fava – già sfidante per la segreteria nel 2017 – intende radunare il 15 ottobre a Biassono. Da verificare i numeri di entrambi i tentativi, ma di certo queste iniziative vanno a intercettare umori che oggi sono presenti nelle regioni del Nord. Un elettorato che negli ultimi 30 anni ha avuto la Lega come partito di riferimento e oggi guarda a Fratelli d’Italia

«Il prossimo 20 ottobre è convocato il consiglio federale della Lega nord che dovrà fissare la data del prossimo congresso. Salvini stavolta non potrà correre perché fa il segretario del suo partito personale. Si riapre la partita per rilanciare la Lega Nord che è cosa diversa dalla Lega Salvini premier» dice a LaPresse Gianni Fava. «Sono pronto a rimettermi in gioco come ho fatto 5 anni fa con la consapevolezza che il mondo è cambiato e stavolta la partita sarà aperta» assicura, dando appuntamento a sabato 15 ottobre a Biassono (Monza e Brianza) per la manifestazione «Per il Nord! Riparte la battaglia». Fava non aderirà alla corrente di Bossi perché «potrebbe diventare una componente di un partito che non è il mio».

L’ex ministro Roberto Castelli si schiera su una linea di attesa rispetto alla sortita bossiana. «Se il Comitato del Nord parte dall’esigenza di portare alla ribalta il dibattito sulla questione settentrionale, ben venga. Ma vediamo la vera essenza di questa iniziativa». Per il momento Castelli con la sua associazione parteciperà all’appuntamento di Biassono.

Il consigliere regionale veneto Fabrizio Baron ritiene che «la proposta di Bossi rappresenti uno sfogo figlio del malessere che è dato dalla lontananza del partito dal territorio». Baron nei giorni scorsi ha candidato Matteo Salvini a ministro delle Regioni e per l’Autonomia. «Da 3 anni non si fanno congressi, dopo 4 anni al governo non si è riusciti a fare l’Autonomia che è tema fondante della Lega. In compenso abbiamo votato per quella specie di Cassa per il mezzogiorno che è il reddito di cittadinanza per non parlare di come in un nulla abbiamo votato per Roma Capitale».

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Vola il dollaro, tremano le monete del mondo: l’ombra del grande crac agita le banche centrali

lunedì, Ottobre 3rd, 2022

Stefano Lepri

Tremano molte valute, in questi giorni, anche di paesi importanti. O forse no, non tremano nemmeno tanto, per tutte le tensioni che erompono sui mercati finanziari in una fase di tassi di interesse in veloce rialzo che parte dagli Usa che ha cancellato un quinto del valore capitale dei titoli. Vengono a galla tutte le debolezze del globo. Mentre il dollaro continua a rafforzarsi (+5,5% da ferragosto su un insieme bilanciato delle altre valute) sono intervenuti a sostegno della loro valuta Giappone, India, Singapore, Corea, Thailandia. Nell’Europa fuori dall’euro soffre la Svezia. Ma nel commercio mondiale di oggi il fattore cambio incide molto meno che in passato. Anni fa la tempesta si sarebbe scatenata lì, oggi forse no.

Tocca così domandarsi dove altro si manifesterà la prima frattura, data la quantità di fattori di rischio che preoccupano il Fondo monetario e la Banca dei regolamenti internazionali. Si sa già di Paesi emergenti che faticano a rimborsare i creditori eppure spesso le crisi si accendono inaspettate dal centro. Ieri una banca di peso mondiale, il Credit Suisse, ha dovuto smentire difficoltà.

La crisi improvvisa della sterlina, che fra l’altro ha messo a nudo la fragilità di fondi pensione mal regolati, è stata un avvertimento; e in Gran Bretagna resta troppo alto il mercato immobiliare. In altri casi potrà succedere che politiche sbagliate si rivelino subito tali; o che alla fine si provino tali alcune da tempo sospette, come quelle dell’Argentina o della Turchia.

Il continuo calo delle quotazioni di Wall Street nell’ultimo trimestre, per un complessivo -5,4%, ha ridotto un importante fattore di pericolo senza cancellarlo. D’altra parte, le Borse dei Paesi emergenti sono precipitate in media oltre il 25%. Ovunque aver debiti costa molto caro: ci si domanda quali operatori possano aprire con le loro difficoltà un processo a catena.

Dappertutto gli errori vengono a galla. Con i tassi alti della stretta monetaria anti-inflazione (cominciata in alcuni Paesi emergenti prima degli Stati Uniti) soffre chi ha preso a prestito per sopravvivere sia chi lo ha fatto per espandersi oltre misura. Per conto chi la stretta monetaria l’ha evitata si trova con l’inflazione fuori controllo, attorno all’80% sia in Argentina sia in Turchia.

Ma accade anche che a causare problemi sia l’opposto, come in Giappone dove di alzare i tassi non c’è bisogno perché l’inflazione è ancora bassa, e allora i capitali fuggono altrove a cercare rendimenti migliori. Mentre fra i Paesi emergenti troppo indebitati ce ne sono alcuni come Sri Lanka e Zambia che la Cina ha finanziato a piene mani per la «Via della seta»

Nella tempesta, in quali navi le falle si apriranno prima? Gli alti prezzi dell’energia e la guerra in Ucraina impongono di aggiustare con urgenza scelte che erano parse ottime finora. Basti pensare che tre quarti delle imprese italiane impegnate nel commercio internazionale hanno dichiarato a Intesa-Sanpaolo che rivedranno le loro catene di fornitura a scopo di maggiore sicurezza.

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Caro bollette, la storia di Attilio Caputo: “Chiudiamo 5 hotel, in cassa 275 dipendenti. Con questi rincari salterà tutto il turismo”

lunedì, Ottobre 3rd, 2022

VALERIA D’AUTILIA

TARANTO. «Andrebbero prese decisioni da economia di guerra. Diversamente, prima le famiglie e poi le imprese sono destinate a collassare, com’è successo a noi». Attilio Caputo è il direttore generale di Caroli Hotels, gruppo alberghiero pugliese con 275 dipendenti, tra indeterminati e stagionali. Insieme ai suoi fratelli è il titolare della storica catena da cinque strutture e mille posti letto tra Santa Maria di Leuca e Gallipoli. Che da sabato non accettano più prenotazioni: le bollette passate da 100 mila euro a 500 mila euro al mese obbligano alla resa. Tutti in cassa integrazione i 275 dipendenti, in attesa di tempi migliori.

Come siete arrivati a questo punto?
«Causa rincari. Le nostre quattro strutture nel Salento, nel biennio luglio-agosto, hanno ricevuto una bolletta di 500 mila euro. L’anno scorso, nello stesso periodo, non superava i 100 mila. E aggiungo che siamo una realtà certificata Ecolabel che già applica tutte le politiche di risparmio energetico con dotazione anche di impianti fotovoltaici. Questa decisione è stata sofferta: per tutelare l’azienda ci conviene chiudere. Non possiamo riversare questi aumenti sui clienti perché non sono in grado di sostenerli. È un disastro totale».

Adesso che si fa?
«Per ora siamo ancora operativi e le strutture sono piene. Gli impegni già in essere verranno rispettati, ma da questo momento non accettiamo più prenotazioni. Lavoreremo altri 40 giorni, non di più. I dipendenti finiranno in cassa integrazione. Questo significa interrompere un rapporto di collaborazione, ma anche umano. Abbiamo persone che lavorano qui da sempre. Prima il padre, poi il figlio e ora il nipote. Abbiamo una responsabilità nei confronti di chi ha messo su famiglia o acceso un mutuo con la garanzia occupazionale. Saremo impegnati con AssoHotel a far sentire la nostra voce, considerando che il turismo esprime il 14% del Pil. Qualcosa dobbiamo pur contare. Ma così nessuno riuscirà a rimanere in piedi».

Che soluzione c’è?
«Stabilire un tetto massimo al prezzo del gas e dell’energia. Proprio la Puglia è al primo posto in Italia per produzione di energia da eolico e solare e si ritrova a pagare quanto le altre regioni. Lo Stato suggerisce il credito d’imposta e la dilazione dei pagamenti, ma non è così che risolveremo i problemi».

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Il governo tecnico di Giorgia Meloni. Il timore di Forza Italia e Lega: FdI vuole 8 tecnici al governo

lunedì, Ottobre 3rd, 2022

FRANCESCO OLIVO

Giorgia Meloni sa di non poter sbagliare una mossa. La situazione internazionale è drammatica e l’unica maniera di affrontarla, specie per una figura percepita con qualche diffidenza all’estero, è presentare una squadra di qualità. Lo ha spiegato nei giorni scorsi agli alleati, i quali ne hanno dedotto una conclusione: «Giorgia vuole un governo di tecnici». Una lista vera e propria non è stata sottoposta durante i colloqui con i leader, ma nei partiti si fa una stima delle personalità “extraparlamentari” da portare dentro al governo: «È pronta a nominarne otto o persino dieci». In totale i ministri con portafoglio sono quindici e quindi, secondo queste previsioni, l’esecutivo che segna il ritorno della destra al potere sarebbe assai poco politico. E tra questi ministeri ci sarebbero anche quelli della Sanità e dell’Istruzione, posti molto ambiti da esponenti dei partiti della maggioranza. Il problema è, a quanto riferiscono fonti di FdI, che i nomi fatti finora dagli alleati non soddisfano gli standard di qualità che la grave situazione internazionale richiede. «Si tratterà di tecnici di area», hanno cercato di rassicurare i meloniani, cercando di raccogliere un’obiezione posta da Silvio Berlusconi in un’intervista a La Stampa, ma Forza Italia e Lega restano preoccupati di essere di fatto emarginati all’interno del proprio governo. Il grado di tensione è tale che tra gli azzurri è cominciata a circolare una battuta, «a questo punto ci potevano tenere il governo Draghi», sarcasmo misto a timore perché se Meloni si prendesse tutto, quella del 25 settembre diventerebbe per Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, una vittoria mutilata. Il leader della Lega ha convocato per domani un consiglio federale straordinario che all’ordine del giorno ha proprio «condividere e poi scegliere i nomi più adatti». Una mossa con la quale Salvini manda un segnale interno in una fase assai delicata della sua leadership: «Decidiamo insieme». Ma il vero destinatario del messaggio è Meloni: saremo noi a indicarti i nomi.

I leader a questo punto si sono già visti, un primo giro di opinioni che, al di là di un clima che tutti definiscono molto cordiale, presenta un ostacolo non insormontabile, ma serio. La trattativa si è incagliata: il “governo dei migliori” con una spolverata sovranista «non è quello che si era detto agli elettori», ragiona un leghista.

Meloni, dopo la prima uscita pubblica da premier in pectore sabato a Milano, si è presa un giorno lontana dal suo ufficio di Montecitorio, ma anche da casa sono proseguiti telefonate, colloqui e lo studio dei dossier. La questione energetica e la piega presa dal conflitto ucraino fanno «tremare i polsi», ma la premessa per cominciare ad affrontare direttamente questi problemi è poter formare una squadra di governo. E quindi convincere gli alleati a mettere da parte le pretese eccessive. Tra le poche dichiarazioni pubbliche della futura premier in questi giorni c’è questa: «Vi assicuro che stiamo lavorando a una squadra di livello che non vi deluderà». Parole che unite a quelle, meno enfatiche, ascoltate durante i colloqui con Salvini e Berlusconi, lanciano ombre sulla settimana che si apre. «Può accadere che ci siano personaggi con un’esperienza tale da essere nel governo, pur non essendo parlamentari, ma siano dei casi, non la regola», dice Antonio Tajani, coordinatore nazionale di Forza Italia.

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Elezioni Brasile: Lula non sfonda e va al ballottaggio con Bolsonaro. L’ex presidente si ferma al 48,4% , il leader di destra al 43,3%

lunedì, Ottobre 3rd, 2022

di Sara Gandolfi

Sfuma l’elezione al primo turno per il candidato del fronte di sinistra. L’uscente populista resiste nelle sue roccaforti come il Sud e Rio. Si temono contestazioni

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L’uscente Jair Bolsonaro al seggio con la maglie del Brasile e l’ex presidente Lula

DALLA NOSTRA INVIATA
SAN PAOLO – Testa a testa in Brasile fra Lula e Bolsonaro, che andranno al ballottaggio il prossimo 30 ottobre. L’ex presidente, candidato di un fronte ampio delle sinistre, si è fermato al 48,4% dei voti, mentre l’attuale presidente, candidato del Partito liberale (destra) ha tenuto nei suoi feudi politici — in particolare il Sud e Rio de Janeiro — conquistando il 43,3%. Lula, ha visto così sfumare la possibilità di vincere al primo turno e ancora una volta i sondaggi si sono rivelati molto imprecisi.

«È solo rimandato, la lotta continua». A spoglio finito, Lula si presenta ai giornalisti in un hotel del centro di San Paolo e fa buon viso a cattivo gioco: «Non ho mai vinto una elezione al primo turno, il ballottaggio è una opportunità di maturare le proposte». Poi, ricorda che quattro anni fa era detenuto, «estromesso a forza dalla politica e dissi che saremmo tornati». Ammette che avrebbe preferito vincere subito, «avrei fatto una breve luna di miele, tre giorni, con la mia Janja» (la sociologa sposata ad aprile, ndr). E invece «dovrò aspettare a fine mese. Il 27 compio gli anni, speriamo che il popolo mi regali la grande vittoria, come nel 2002».

Mentre il presidente uscente Bolsonaro ha dichiarato che «approfitterà del secondo round per dimostrare la bontà della politica del governo federale di fronte alla pandemia, citando dati economici». Quindi ha affermato di aver superato quelle che ha definito le «menzogne» degli istituti di ricerca, citando Datafolha. «Ora è fiducia totale».

È stata una giornata lunghissima e carica di tensione. Oltre 156 milioni di elettori erano chiamati a scegliere il nuovo presidente e il suo vice, i 513 deputati, un terzo dei senatori, i governatori e i deputati dei 27 stati federati. Si sono formate code lunghissime fuori dai seggi, con attese che superavano le quattro ore. Per questo le urne sono state chiuse dopo l’orario previsto, alle 17 (le 22 in Italia). Poi è iniziata la conta dei voti — gli exit poll sono proibiti in Brasile — partendo dalle regioni del sud, più vicine a Bolsonaro, che fin dall’inizio della campagna ha contestato il sistema elettorale elettronico. Il presidente ha imposto che le forze armate supervisionassero il voto in un campione di seggi. Non era mai accaduto prima, ma benché i militari occupino molte posizioni di comando nell’attuale amministrazione, è improbabile che sostengano tentativi golpisti. Si temono invece azioni di forza dei sostenitori di Jair.

«Il bolsonarista più fanatico dovrà adattarsi alla maggioranza della società», ha avvertito Lula, parlando alla stampa nella scuola di San Paolo dove ha votato, accompagnato dall’ormai inseparabile moglie «Janja» e dal candidato vicepresidente Geraldo Alckmin (suo ex avversario politico). «Sarà facile ripristinare la democrazia e la pace in questo Paese — ha aggiunto —. Coloro che non vogliono, che non rispettano la legge… sarà un loro problema». Sabato sera, incontrando la stampa, ha affermato che per il secondo turno è «pronto a conversare con chiunque sia necessario, a fare un’Arca di Noe per migliorare la vita del popolo brasiliano». Dovrà insomma inseguire il voto degli indecisi e, soprattutto, trovare un accordo con gli altri candidati presidenziali, o almeno quelli ideologicamente a lui più vicini: Simone Tebet, la vera sorpresa di queste elezioni, che ha preso il 4,41% e Ciro Gomes, con il 3,09%.

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L’Italia e l’abiura mai fatta

lunedì, Ottobre 3rd, 2022

di Ernesto Galli della Loggia

Perfino nelle disposizioni transitorie finali della Costituzione c’è una prova di cautela nel giudizio sul regime

Nel perenne revival del fascismo a scopo etico-ammonitorio che si celebra sui banchi delle nostre librerie (da non confondere con i veri libri di storia che sono tutta un’altra cosa) quest’anno si è portato molto il tema «Ma perché siamo ancora fascisti» declinato anche come «Non abbiamo fatto i conti col fascismo», «Perché l’Italia è ancora ferma a Mussolini» e così via moraleggiando e biasimando. Col fine, per l’appunto, di deprecare il fatto che noi italiani saremmo ancora e sempre innamorati del duce, non ci vergogniamo abbastanza di lui e del suo regime, insomma non avremmo compiuto, a differenza dei virtuosi tedeschi, quell’abiura collettiva della dittatura e delle sue malefatte, necessaria per poter essere dei veri democratici. Come del resto starebbero a dimostrare i risultati delle elezioni che si sono appena svolte.

Il fatto è che agli italiani, in realtà, quell’abiura nessuno l’ha mai chiesta. Tanto meno quando era più urgente e giusto farlo, e cioè all’indomani del crollo del fascismo e della catastrofe bellica. In questo senso ha un valore paradigmatico la dichiarazione che il 22 giugno 1944 fece il governo italiano (si trattava del governo presieduto da Ivanoe Bonomi: il primo, sottolineo, formato da tutti partiti del Comitato di liberazione nazionale) con parole che meritano di essere ricordate. E che saranno in seguito, in un modo o nell’altro, ripetute per centinaia di volte nelle cronache e nei discorsi degli esponenti politici dell’epoca.

Diceva quel testo: «Il Consiglio dei ministri nella sua prima ordinanza constata che esso, per la sua origine politica, rappresenta quella grande maggioranza del Paese che già nel 1940 era schierata contro la dominazione fascista e contraria all’ingresso in guerra dell’Italia accanto alla Germania hitleriana. Perciò come suo primo atto il Consiglio afferma che soltanto il fascismo è responsabile dell’adesione dell’Italia al patto tripartito e dell’ingresso nella guerra (…). La nazione, non più sottoposta al più oppressivo dei sistemi di polizia ha saputo riprendere in mano le sue sorti e decidere liberamente del proprio destino».

Ma come ho detto di citazioni analoghe c’è solo l’imbarazzo della scelta. Mi limiterò ad un’altra soltanto, per la particolarità della sua sede e della data. È tratta dall’editoriale dell’organo del Partito d’Azione, L’Italia libera, del 2 giugno 1946, intitolato «Perché devi votare per la Repubblica». La risposta del giornale è: «perché votando la monarchia fascista assumeresti la responsabilità di una politica passata e futura di guerra e di rovina. Solo la Repubblica è capace di liberarti della responsabilità della guerra monarchico-fascista».

Come si vede l’esempio dei mancati conti con il fascismo venne agli italiani dall’alto e venne proprio dai partiti antifascisti. I quali a mio giudizio avevano peraltro ottime ragioni per scegliere questa via e non quella dell’invito all’esame di coscienza e all’autodafé collettivo. Due ragioni in particolare. Innanzitutto i partiti antifascisti erano convinti giustamente che, per quanto fragilissima, la dissociazione di responsabilità degli italiani dal fascismo (peraltro convalidata dall’esistenza della lotta armata delle formazioni partigiane) era comunque un argomento indispensabile per cercare di ottenere dai nostri vincitori le migliori condizioni di pace possibili. In secondo luogo — e forse innanzitutto — essi si rendevano conto che una strada diversa — cioè ammonire il Paese all’abiura e al pentimento — non avrebbe fatto altro che sancire la loro estraneità rispetto ad esso, accrescere la già ampia diffidenza che in molti suscitava il loro ruolo di oggettivi alleati dei nemici di ieri, di gente salita al potere solo grazie alla sconfitta italiana. (Ciò che, detto tra parentesi fu anche il motivo per cui non fu estradato nei vari Paesi stranieri che ne avevano fatto richiesta neppure uno delle decine di criminali di guerra del Regio Esercito).

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Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi | L’ex capo Cia: «Se Putin usasse atomica elimineremmo tutte le forze russe in Ucraina». Kiev: offensiva verso Kherson

lunedì, Ottobre 3rd, 2022

di Francesco Battistini, Lorenzo Cremonesi, Marta Serafini e Redazione Online

Le notizie di lunedì 3 ottobre, in diretta. Prosegue con successo la controffensiva delle truppe di Zelensky per riconquistare Kherson

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• La guerra in Ucraina è arrivata al 222esimo giorno.
• La città di Lyman nel Donetsk è pienamente controllata da Kiev. Si tratta di una città strategica che fa parte dei territori annessi da Putin alla Russia.
• Il leader ceceno Kadyrov: «Mosca valuti l’uso dell’arma nucleare tattica».
• Stoltenberg (Nato): «Conseguenze serie se Putin usa armi nucleari».
• Ci sono fratture interne al Cremlino? I tre assi dell’intelligence occidentale.
• Paolo Valentino ha intervistato il miliardario russo Melnichenko, industriale russo sotto sanzioni: sulle annessioni spiega che «l’Occidente non ha ancora capito cosa significhi realmente questo passaggio: sarà impossibile da cambiare. Il caos in Russia può portare catastrofi», ed è «ingenuo e pericoloso» pensare che «tutti i problemi, in primis quelli di sicurezza, saranno risolti non appena ci sarà un cambio di regime».
• La Russia chiude il trasporto stradale ai «Paesi ostili».

Ore 09:27 – Russia, reclutatore sospeso: in migliaia mobilitati per errore

Il capo del reclutamento militare in una regione russa dell’Estremo Oriente è stato sospeso dalle sue funzioni dopo che migliaia di persone sono state erroneamente chiamate a combattere in Ucraina. “Il commissario militare di Khabarovsk krai, Yuri Laiko, è sospeso dalle sue funzioni. Ciò non avrà alcuna influenza sull’obiettivo fissato per noi dal presidente”, ha affermato il governatore Mikhail Degtiariov in un video su Telegram, senza esplicitare il motivo esatto di questa sospensione. “In dieci giorni diverse migliaia di nostri connazionali hanno ricevuto la convocazione e si sono recati ai commissariati di polizia militare. Ne abbiamo mandati a casa circa la metà perché non soddisfacevano i criteri di selezione per arruolarsi nell’esercito”, ha detto il governatore. “La mobilitazione parziale riguarda solo le categorie designate dal ministero della Difesa e dal Presidente. Qualsiasi abuso deve essere punito”, ha aggiunto.

Ore 08:32 – Kiev, bombe russe su Zaporizhzhia nella notte, vittime

Le forze russe hanno lanciato la notte scorsa un attacco missilistico contro la città di Zaporizhzhia, nell’Ucraina meridionale: alcune infrastrutture sono state distrutte e ci sono vittime. Lo hanno reso noto su Telegram il capo dell’amministrazione militare dell’omonima regione, Oleksandr Starukh, e il portavoce del Consiglio comunale della città, Anatolii Kurtieve. Lo riporta la Ukrainska Pravda. «Il nemico ha lanciato un attacco missilistico sul centro dell’Oblast (la città di Zaporizhzhia, ndr). Si stanno raccogliendo informazioni sui danni e sulle vittime», ha scritto Starukh. Da parte sua, Kurtiev ha aggiunto che alcune infrastrutture della città sono state distrutte e ci sono vittime.

Ore 08:01 – La Nato sull’Ucraina: «Se Putin usa armi atomiche, la Russia pagherà»

«Conseguenze serie per la Russia» se Vladimir Putin «ricorrerà in qualsiasi modo alle armi nucleari».

Il Segretario della Nato, Jens Stoltenberg, in un’intervista trasmessa ieri dalla tv americana «Nbc», fa sapere di aver avvisato direttamente il Cremlino. «Il presidente Putin usa una retorica sul nucleare pericolosa e imprudente. È vero la stiamo sentendo da diverso tempo, ma ciò non toglie che resti estremamente pericolosa. Per questo gli abbiamo comunicato quanto sarebbero gravi le conseguenze per la Russia: cambierebbe la natura del conflitto».

Stoltenberg, però, non ha chiarito se la guerra «cambierebbe» al punto da indurre l’Alleanza atlantica a intervenire direttamente in Ucraina: «Questo è un conflitto iniziato dal presidente Putin. La Nato non ne fa parte. Quello che facciamo è fornire sostegno all’Ucraina, una nazione indipendente e sovrana in Europa che ha il diritto di difendersi da un’aggressione».

E ancora: «Una guerra nucleare non può essere vinta e non deve essere mai combattuta, questo è il messaggio che gli alleati della Nato mandano alla Russia». Leggi qui l’articolo completo a firma di Giuseppe Sarcina e Gian Guido Vecchi.

Ore 08:00 – Kharkiv, il viaggio in treno per salvare 200 pazienti psichiatrici dai russi: «Erano ridotti pelle e ossa»

«Quando mi hanno chiamato dall’ospedale e mi hanno detto che Irina non ce l’aveva fatta, confesso che è stata dura non piangere». Non è certo la prima volta che Emilie Fourrey, coordinatrice del treno di Msf in Ucraina dedicato all’evacuazione dei feriti si trova di fronte a situazioni drammatiche. Ma l’ultimo viaggio non lo dimenticherà tanto facilmente.

Duecento pazienti con patologie neurologiche e psichiatriche, compresi Parkinson e Alzheimer, messi in salvo dopo essere stati trasportati – e bombardati – dal confine con la Russia a Strelecha, fino a Kharkiv e poi, finalmente, grazie al treno di Msf, trasportati a Kiev. Tra loro anche Irina, sull’80ina. «Soffriva di Parkinson e aveva contratto tubercolosi e polmonite. Durante il viaggio si è aggravata e ieri mi hanno chiamato per dire che era deceduta nonostante le cure».

Anziani, spesso ricoverati nei reparti psichiatrici perché rimasti senza nessuno. Una solitudine che la guerra non ha fatto altro che aggravare. Leggi qui il reportage completo della nostra inviata a Kiev Marta Serafini.

Ore 07:40 – Cosa sono le bombe nucleari tattiche? Potenza, gittata, effetti e scenari

Vladimir Putin avverte che «non è un bluff».

La Russia potrebbe usare le armi tattiche nucleari «per proteggere la sicurezza nazionale».

Il Pentagono e il comando Nato di Bruxelles stanno esaminando le possibili contromisure . Anche se l’opinione prevalente è che il bombardamento atomico dell’Ucraina sia tuttora un’ipotesi poco probabile.

1. Quali ordigni potrebbe usare Putin? L’Armata russa dispone di circa duemila bombe tattiche nucleari con un raggio di azione limitato, intorno a uno-due chilometri, ma con un impatto devastante. Le armi possono essere montate su missili Iskander,con una gittata fino a 500 chilometri, oppure trasportate dai jet.

Leggi qui l’articolo completo del nostro corrispondente dagli Stati Uniti Giuseppe Sarcina.

Ore 07:15 – La carica dei nazionalisti in Russia per la guerra

Chiamatela pure l’invasione degli ultranazionalisti. Sono ovunque.

Nei talk show della propaganda più schierata, ospiti graditi al pubblico della Russia profonda. Nei parchi della capitale, dove la domenica mattina qualche loro emulo arringa la folla di mamme con i passeggini. E soprattutto, nella mente di Vladimir Putin, come ha dimostrato il suo ultimo discorso, una dichiarazione di odio definitiva verso l’Occidente collettivo che è al tempo stesso anche un compendio delle tesi di questo gruppo dalla limitata rappresentanza politica ma di enorme peso e influenza non solo nell’opinione pubblica.

Come ha scritto Andrei Kolesnikov, docente del Carnegie Endowment for International Peace , le parole del presidente russo sono state «un campionario di luoghi comuni cospirazionisti» che trent’anni fa si sarebbero potuti leggere solo nelle pubblicazioni clandestine di questi movimenti nazionalisti-patriottici.

La tirata sul colonialismo americano e quella sul satanismo dell’Occidente sono prese di peso dai manifesti di partiti come la Russia Conservatrice di Sergei Baburin, di organizzazioni come il Movimento Russo Imperiale di Stanislav Vorobyov, per altro inserito nella lista dei gruppi terroristici degli Usa, e di altre minuscole formazioni. Leggi qui l’articolo completo del nostro inviato a Mosca Marco Imarisio.

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