Archive for Ottobre, 2022

Rai, guerra sul nuovo programma di Fiorello. Rivolta al Tg1: “Uno sfregio”

martedì, Ottobre 18th, 2022

L’ipotesi di un programma satirico di Rosario Fiorello nella mattina di Rai 1 fa infuriare i giornalisti del Tg1. Da tempo si parla di una striscia quotidiana in dello showman siciliano, un morning show dal titolo “Viva Asiago 10!” in onda sulla rete ammiraglia Rai ma anche su Radio2 e RaiPlay, in contemporanea su tv, radio e web. Oggi è arrivato il comunicato del Comitato di redazione del Tg1, la rappresentanza interna dei giornalisti, che “esprime tutto il suo sconcerto e la sua totale contrarietà nell’apprendere del possibile approdo di un programma satirico di intrattenimento, guidato da Fiorello, al posto di quasi un’ora di programmazione gestita dal Tg1, nello specifico Tg1 Mattina”.

Il Cdr chiede chiarimenti all’azienda e minaccia proteste di fronte ai rumors. “Sappiamo che l’Usigrai non è stata preventivamente consultata, come deve avvenire in caso di cambio di palinsesto. E per questo ha già notificato all’azienda la mancata informativa. All’azienda come Cdr del Tg1 chiediamo: il Consiglio di Amministrazione della Rai è stato informato di tale cambiamento? I suoi componenti hanno tutti condiviso questa scelta? Noi come Cdr della redazione del TG1 sottolineamo la battaglia fatta per ottenere quegli spazi e lo sforzo enorme compiuto da tutti noi sul mattino, impegnandoci su un lavoro di ripensamento e valorizzazione di quella fascia”.

Il nodo della discordia è il restringimento dello spazio informativo del mattino. “Ora abbiamo appreso che l’azienda sta pensando di ridurre lo spazio informativo del Tg1. Poniamo anche un’altra domanda: quali sono le motivazioni editoriali di tale scelta? Come si può pensare di interrompere il flusso informativo con un programma satirico, generando confusione nel pubblico a casa? Non si può ospitare questo nuovo programma nella fascia della rete successiva al Tg1 e al Tg1 mattina dopo le 9.00?

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Draghi e Meloni: tutte le «sorprese» del passaggio di stagione e di governo

martedì, Ottobre 18th, 2022

di Ferruccio de Bortoli

Li unisce una chimica di reciproca simpatia umana e di rispetto, non ostacolata, anzi, dalla comune cittadinanza romana. Nulla di paragonabile a quello che accadde quando si arrivò nel 2018 alla formazione del Conte 1, grazie alla «empia alleanza» fra i due populismi che oggi si guardano in cagnesco — Cinque Stelle e Lega — e nemmeno nell’ascesa di Matteo Renzi ai danni di Enrico Letta, peraltro esponenti dello stesso partito, o tra lo stesso Conte e Draghi, vista la quasi inesistenza di un rapporto personale tra i due. Dunque il cammino, soprattutto di politica economica è in salita ripida ma non ripidissima.

Giorgia Meloni non è però fortunata. Non poteva esserci momento peggiore, dal punto di vista della congiuntura economica, per arrivare al potere dopo decenni di infinita attesa. Uno scherzo del destino. Perché l’era dei tassi bassi o negativi, e dell’abbondanza di liquidità, è ormai finita. L’inflazione morde il potere di acquisto delle famiglie e minaccia la vita delle aziende, soprattutto piccole e medie, più esposte al caro energia. Lo scenario economico che si staglia all’orizzonte del prossimo esecutivo è, per paradosso, terreno ideale, anche se non preferito, per un banchiere centrale. Il campo di azione nel quale può saggiare (verbo appropriato) la validità di una manovra sui saggi cioè i tassi d’interesse, la principale arma della politica monetaria. È più facile inondare di liquidità i mercati, sperando di innalzare l’inflazione all’obiettivo di stabilità al 2 per cento, che fare l’opposto.

Il caso ha voluto che nell’anno e mezzo abbondante in cui ha governato (bene) il Paese, l’ex governatore della Banca d’Italia abbia dovuto affrontare situazioni seppur drammatiche — causa la pandemia e la guerra — ma sostanzialmente ideali sul piano delle politiche economiche, grazie alla sospensione delle regole di bilancio e l’assenza di alcun freno all’indebitamento. L’esatto opposto della situazione che si trovarono ad affrontare Carlo Azeglio Ciampi, nel 1993 dopo la crisi della lira dell’anno precedente, e Monti nel drammatico autunno del 2011. Sia Ciampi sia Monti hanno avuto, seppur in condizioni diverse, l’incubo quotidiano dello spread (e infatti il futuro presidente della Repubblica andava sempre in giro con il foglietto sui tassi italiani e tedeschi). Draghi no. Come se il suo whatever it takes del 2012 lo avesse reso immune, da quel pensiero insistente, anche nella veste di premier.

Inversione storica

La Storia inverte i ruoli in maniera curiosa. Giorgia Meloni e il suo governo, quando e come nascerà (la collezione di no che ha ricevuto per il ministero dell’Economia è già da Guinness dei primati) questa immunità non l’avrà. Il punto è esattamente questo. Lei lo sa, i suoi riottosi e malmostosi partner di governo — specie dopo la figuraccia di essersi divisi nell’elezione del presidente del Senato, Ignazio La Russa — sembra di no. Lo scarso tempo a disposizione per scrivere la legge di Bilancio per il 2023 è però un vantaggio. Non si potrà dar seguito immediato alle proposte più insidiose per la tenuta dei conti pubblici, forse nemmeno a quell’ampliamento dell’area della flat tax per gli autonomi e le partite Iva o all’ipotesi della tassa piatta incrementale.

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Calenda: «Il Pd andrebbe con i Cinque Stelle anche se fossero i nazisti dell’Illinois»

martedì, Ottobre 18th, 2022

di Maria Teresa Meli

Il leader di Azione: costruiremo noi un grande partito riformista

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Carlo Calenda, niente vicepresidenze di Camera e Senato per il Terzo polo…
«Se da qui a mercoledì non ci sono novità non parteciperemo al voto perché una delle opposizioni è esclusa dall’accordo Pd-M5S, il che fa capire che sotto traccia un’intesa tra di loro su tutto c’è già. I dem non avendo più nessuna idea scelgono sulla base della consistenza elettorale. Dicono: i 5 Stelle hanno più voti andiamo con loro. Fossero i nazisti dell’Illinois farebbero lo stesso».

Lei continua a non parlare con Letta?
«Letta non mi risponde. Non ho più sentito né lui né nessuno del Pd quindi anche sulle Regionali non abbiamo nessuna intesa. In Lombardia le strutture locali stanno lavorando per vedere se c’è lo spazio per un accordo ma nel Lazio non abbiamo notizie. Il Pd sta chiaramente puntando a rinsaldare i rapporti con il M5S e a escluderci».

Le ultime notizie sul nuovo governo e le trattative

In Lombardia no, però.
«Sì ma stanno lavorando a livello locale. A livello nazionale non c’è nessuna interlocuzione. A livello nazionale infatti il Pd ha già scelto e ha scelto il M5S come testimonia l’accordo che hanno fatto per escluderci dalle vicepresidenze di Camera e Senato».

Ma dopo il congresso dem non sarà possibile riallacciare i rapporti con il Pd?
«No. Credo che il Pd chiederà l’unità delle opposizioni, come fa sempre, dirà “buttiamoci tutti insieme contro la destra”».

E lei che risponderà?
«Non è questo il nostro progetto: noi pensiamo invece che vada offerta un’alternativa di governo. E siccome il Pd ha terminato il suo percorso di partito riformista il nostro obiettivo è costruire un grande partito riformista italiano, altrimenti si continuerà sempre con lo schema “fascisti contro comunisti”».

Lei ha detto porte aperte ai dem riformisti, ma nessuno è venuto a bussare da voi…
«È troppo presto. Ora sono gli amministratori locali del Pd a venire da noi, poi vedremo se verrà l’area riformista. Ma sinceramente io penso che loro non verranno perché lì prevale la cultura dei miglioristi, che stanno dentro qualsiasi cosa succeda. Possono dissentire ma alla fine hanno una convenienza a stare dentro. Questo vale per Irene Tinagli come per Giorgio Gori. Anche di fronte all’alleanza con i 5 Stelle trovano sempre il modo di stare zitti e di adeguarsi. Non capiscono che il partito è sempre in mano ai soliti quattro: Zingaretti, Bettini, Orlando e Franceschini».

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Governo, Meloni e le ultime notizie sulle trattative | Berlusconi: Cattaneo capogruppo alla Camera, Ronzulli al Senato

martedì, Ottobre 18th, 2022

di Redazione Online

Le news in diretta sulla formazione della nuova squadra di governo, dopo le elezioni del 25 settembre: Meloni, i possibili ministri e tutti gli aggiornamenti

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• Il giorno dopo l’incontro tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi alla sede romana di Fratelli d’Italia la squadra del nuovo governo appare sempre più chiara.
• Chi potrebbero essere i futuri ministri del governo Meloni.
• Berlusconi in una lettera ai parlamentari di Forza Italia indica come capigruppo rispettivamente Alessandro Cattaneo alla Camera e Licia Ronzulli al Senato.

Ore 10:03 – Donzelli: FdI manterrà gli stessi capigruppo

Sui capigruppo «Fratelli d’Italia manterrà gli stessi, gli uscenti. Vedremo in futuro se sarà necessario fare delle modifiche. In questa fase serve un accompagnamento per mano da parte dei capigruppo uscenti», ha detto il responsabile dell’organizzazione di Fdi Giovanni Donzelli in collegamento a Rtl 102.5.

Ore 09:31 – Berlusconi: Cattaneo capogruppo alla Camera, Ronzulli al Senato

«Per dare ancora più forza ai nostri gruppi, valorizzando le capacità e le risorse che abbiamo, la mia indicazione come nuovi capigruppo è per l’onorevole Alessandro Cattaneo alla Camera e per la senatrice Licia Ronzulli al Senato».

Lo scrive il leader di Fi Silvio Berlusconi in una lettera ai parlamentati azzurri in vista dell’elezione nel pomeriggio dei capigruppo di Camera e Senato.

IL GIORNALE

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“Aiuti Covid tutti al Nord”. Ora Tridico fa il meridionalista

martedì, Ottobre 18th, 2022

Gian Maria De Francesco

L’odiosa divisione del Paese tra Nord e Sud è tornata argomento di dibattito. Il tema è stato rilanciato da un «insospettabile», ossia da una figura istituzionale che, per sua natura, dovrebbe rappresentare il Paese nella sua unità. Si tratta del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. «Abbiamo speso circa 60 miliardi di euro per prestazioni Covid (cassa integrazione, bonus per gli autonomi). Noi continuiamo a dire che il 65% del reddito di cittadinanza va al Sud, ma dimentichiamo di dire che il 70% delle prestazioni Covid sono andate al Nord», ha detto ieri Tridico, a Palermo per la presentazione del XXI Rapporto annuale Inps.

«Anche per un fattore di onestà verso tanti cittadini del Sud, bisogna guardare alla spesa dell’Inps nel suo complesso e non ai 7,6 miliardi che all’anno si spendono per il reddito di cittadinanza», ha aggiunto. Tridico, tuttavia, sembra aver calcolato una semplice media aritmetica della spesa per il reddito nei primi tre anni di vigenza da aprile 2019 (22,7 miliardi). In realtà, nel 2021 sono stati devoluti ai percettori 8,8 miliardi, mentre nei primi tre mesi del 2022 sono stati spesi 2,1 miliardi che in proiezione porterebbero il totale a 8,4 miliardi.

Se, dunque, Tridico analizza il maggiore «tiraggio» del Nord nei confronti dei sussidi contro la crisi generata dalla pandemia, a partire dalla Cig-Covid, non può e non dovrebbe dimenticare quanto emerso in un recente rapporto della Banca d’Italia nel quale si sottolinea che il ritardo economico del Mezzogiorno tristemente conclamato e rappresenta uno dei maggiori freni alla crescita economica complessiva del nostro Paese. Nel Sud vive un terzo della popolazione italiana ma viene prodotto poco più di un quinto del Pil. Dalle regioni meridionali si origina appena un decimo delle esportazioni nazionali e i tassi di occupazione e di accumulazione del capitale si sono tristemente ridotti a partire dagli anni ’90 dando origine a nuovi fenomeni migratori.

Già questi semplici fondamentali macro spiegano perché il Nord abbia ottenuto di più da cassa-Covid e bonus autonomi perché più popoloso e più produttivo. Al contrario, concentrandosi in massima parte al Sud i percettori del reddito di cittadinanza, bisognerebbe porsi anche delle domande sulla sua inefficacia nello svolgere la funzione di avvicinare i beneficiari al ricollocamento lavorativo.

E questo tipo di critica si riscontra anche in una pubblicazione sicuramente non di parte come il Rapporto Caritas su povertà ed esclusione presentato ieri. La povertà in Italia è ai massimi storici: 5,6 milioni di poveri assoluti nel 2021, di cui 1,4 milioni minori. Il fenomeno è in salita anche per effetto delle spinte inflazionistiche, caro-bollette in primis.

Ecco perché, secondo la Caritas, il reddito di cittadinanza, che è stato finora percepito da 4,7 milioni di persone, dovrebbe essere riformato aiutando gli «occupabili» con altre misure in quanto raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%).

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Il grande errore di Zan (e di Letta)

martedì, Ottobre 18th, 2022

Annarita Digiorgio

Enrico Letta ha proposto Alessandro Zan come vicepresidente della Camera.

Essendo un deputato che rappresenta una battaglia, una bandierina, pensava fosse l’asta giusta da piantare per superare lo stallo tra correnti da cui il segretario non riesce ad uscire.

E invece proprio le correnti lo hanno affossato, perché tutti si appuntano il fiocchetto arcobaleno sulla giacca, finché quel fiocchetto non vuole diventare una poltrona. Esattamente come hanno fatto con le donne, buone per riempire la conferenza delle schwa e accusare gli avversari di misoginia, utili per spartire il cancelli per quote, ma non occupare i posti che contano per meriti propri indipendentemente dal genere.

E però per la stessa ragione per cui era sbagliato prendere il sindaco di Marzabotto e farlo presidente del partito e portarlo in delegazione al Quirinale per le foto opportunity ma poi la lasciamo fuori dal parlamento, così era sbagliata l’idea di Letta di proporre Zan solo come l’anti Fontana.

Non solo perché risponde alla stessa logica conflittuale che dice di voler combattere, al rosso/nero dello “scegli” che non molta fortuna ha portato al Pd in campagna elettorale. E se consideri Fontana un estremista, una scelta divisiva per chi deve ricoprire una massima carica dello stato a rappresentanza di tutti gli italiani, non puoi rispondergli con un nome altrettanto divisivo ed estremista.

E non servirà neppure tornare su quanto fosse sbagliata la legge Zan, repressiva e criminogena, che non voleva introdurre un nuovo diritto, ma una nuova discriminazione, ponendo nei fatti le vittime omosessuali (e tutte le altre sigle) un gradino più in su di quelle etero.

E soprattutto pretendendo di rispondere a un problema sociale introducendo nuovi reati e trasformando in galera le opinioni e l’hate speech. Con la presunzione, di Zan e tutti quelli che abbracciarono quella bandiera, che se eri contrario eri omofobo.

Mentre si può persino essere gay, ed essere contrari alla legge Zan.

Ma oggi superato tutto questo, con un ddl affossato per colpa dello stesso pd, che non volle trattare, si torna a sventolare quella bandiera per pura propaganda. Esattamente come il pulmino elettrico di Letta che, finita la campagna elettorale, il segretario ha riconsegnato al noleggio riprendendo l’auto blu. Del resto anche la candidatura di Zan è stata fatta da Letta solo per farla affossare dalle correnti per poi piazzare il suo portaborse Marco Meloni. Con buona pace dell’autonomia costituzionale del gruppo parlamentare rispetto al partito, per giunta guidato ad interim da un segretario dimissionario.

Il punto l’ha ben centrato l’ex ministro della famiglia Elena Bonetti, di Italia viva: “Le opposizioni devono tutte essere rappresentate. Le cariche istituzionali non si scelgono in base a criteri ideologici. Spero che il Pd non faccia con Zan quello che fa con le donne, utilizzandole come bandierine o nomi da bruciare. Alle cittadine e ai cittadini non servono i simboli – ha detto Bonetti- la politica di contrapposizione del rosso contro il nero ha fallito in campagna elettorale, suggerirei a Letta di non riproporla”.

Che è proprio quello che l’alleato del terzo polo Calenda non capirà mai. Tanto da redarguire pubblicamente su twitter mettendola alla berlina la vice presidente di Azione Emma Fattorini che aveva scritto “Non c’è fine al peggio: sembra che il Pd abbia scelto Zan come vicepresidente di Fontana alla Camera. Nella logica binaria del chiodo scaccia chiodo. Come se i due estremismi si elisessero. Così per magia”.

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Pensioni, l’idea pericolosa di “Opzione uomo”

martedì, Ottobre 18th, 2022

Pietro Garibaldi

Mentre i leader del centrodestra dichiarano sorridenti che nulla potrà intralciare la formazione del nuovo governo, nel sottofondo della politica si parla rumorosamente di come rispettare le promesse elettorali in tema di pensioni. In campagna elettorale il programma di Fratelli d’Italia parlava esplicitamente (a pagina 18, per esattezza) del «diritto a una vecchiaia serena». Si sosteneva poi che con Fratelli d’Italia al Governo si avrà «flessibilità in uscita al mondo del lavoro e accesso facilitato alla pensione, favorendo al contempo il ricambio generazionale».

In questi giorni abbiamo poi visto una Giorgia Meloni molto attentata ad acquisire credibilità sui mercati e sui contesti internazionali. La candidata Premier è infatti ben conscia che il Fondo Monetario Internazionale prevede per il 2023 una recessione intorno al punto percentuale e un’inflazione che certamente rimarrà superiore al 5 percento. Non si potrà quindi soddisfare le promesse elettorali con la crescita economica. Come garantire una pensione anticipata per tutti senza causare un’emorragia insostenibile ai conti pubblici è quindi una delle prime sfide che dovrà affrontare il nuovo Governo. Il problema è aggravato dal fatto che a partire dal 1 gennaio 2023 i requisiti per andare in pensione saranno quelli della legge Fornero del 2011, e richiederanno 67 anni di vecchiaia (con 20 anni di contributi, oppure 42 anni e 10 mesi di contributi a prescindere dall’età, con un anno in meno per le donne).

Inoltre quota 102, introdotta dal Governo giallo verde nel 2019 è in scadenza, come anche “opzione donna” e l’Ape sociale, una misura assistenziale ponte per alcune categoria di lavoratori e per i disoccupati. In questo contesto, nei prossimi mesi diversi lavoratori si troveranno di fronte un vero e proprio scalone pensionistico. Una misura che molti osservatori associano ad ambienti vicini a Giorgia Meloni sarebbe quella di introdurre “opzione tutti”, ossia il principio di estendere anche agli uomini i benefici di opzione donna. In termini più concreti, “opzione tutti” garantirebbe flessibilità a chi va in pensione, sarebbe sostenibile per i conti pubblici, ma richiederebbe tuttavia un ricalcolo delle pensioni a cui si avrà diritto. Cerchiamo di capire.

Sostanzialmente, con “opzione tutti” si potrebbe si andare in pensione anticipatamente, ma si dovrebbe accettare il principio che si avrà diritto a una pensione calcolata esclusivamente sulla base di quanto si è effettivamente versato. In effetti, se invece di andare a 67 anni si va in pensione a 60 (con 35 anni di contributi) si producono due effetti sul sistema. Da un lato, si smette di contribuire alle entrate dell’Inps per circa sette anni. Da un latro lato, si prende una pensione per circa 7 anni di vita in più. Il combinato disposto di questi due effetti, per mantenere il sistema in equilibrio, richiede una riduzione importante della pensione a 60 anni rispetto a quella che si otterrebbe a 67 senza usufruire dell’opzione anticipata. Nel caso di opzione donna, la riduzione imposta alle donne che esercitavano il diritto ad anticipare la pensione era superiore al 10 percento e poteva arrivare fino al 30 percento della pensione ottenuta in base alla legge Fornero.

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Anche chi vota Fdi vuole i tecnici al governo. Il Pd in caduta libera raggiunto dai 5 Stelle

martedì, Ottobre 18th, 2022

Alessandra Ghisleri

Alla luce delle nuove sfide imposte dal momento, a breve – si auspica – si formerà un nuovo governo, frutto di un’elezione che ha avuto un esito chiarissimo sul vincitore. Anzi la vincitrice, che si sta adoperando in mezzo a mille traversie per comprendere quale percorso sia migliore per lei, per il suo esecutivo, ma anche per la “nazione”, per usare un’espressione a lei cara. Giorgia Meloni ha mostrato in queste settimane grande personalità ed equilibrio. Se sia solo una tattica o meno gli elettori lo valuteranno in seguito, di sicuro a oggi appare come l’unica modalità per lasciare più tranquilli mercati e istituzioni europee. Nel frattempo il rating del suo partito cresce nelle intenzioni di voto arrivando al 27% (+1% rispetto al risultato delle elezioni), unica formazione a crescere nella coalizione di centrodestra dove la Lega di Salvini con l’8,5% perde lo 0,3% e Forza Italia lo 0,8%, arrivando al 7,3%. A oggi quindi Fratelli d’Italia rappresenta con i suoi voti quasi il doppio della somma dei suoi alleati, ma non in seggi dove l’accordo pre-elettorale ha prevalso.

Sul fronte delle opposizioni il Movimento 5 Stelle cresce quasi di due punti rispetto al giorno delle elezioni marcando un 17,2% e tallonando da molto vicino il Partito democratico sceso al 17,5% (-1,6%). A parere degli elettori la difesa dei valori e delle tematiche care alla sinistra sembrerebbe appartenere maggiormente al Movimento guidato da Giuseppe Conte (15,4%) più che al Pd (14%). Ma il dato che spicca è il 33,5% che non riscontra in nessuna forza parlamentare la sua rappresentanza.

Anche Azione di Calenda con Italia Viva di Renzi è in trend di crescita arrivando all’8,7% (+0,9%). Ancora una volta il primo partito rimane quello dell’astensione al 36%, l’ennesima dimostrazione di quanto la gente sia distante dalla politica. È sempre possibile motivare gli elettori con promesse routinarie e spesso meccaniche nel caso di campagne elettorali, tuttavia quando è necessario agire per stimolare un sostegno convinto a un governo, ad esempio costretto ad affrontare sfide importanti in tempi di crisi, si trasforma in una strada accidentata se nel percorso dell’adattamento ai nuovi ruoli governativi si è persa una certa credibilità. La leader di Fratelli di Italia ha più volte sottolineato «l’alto profilo» che vorrebbe indicare al presidente della Repubblica nella sua proposta governativa e gli italiani cercheranno rassicurazioni nei nomi che saranno segnalati. Attualmente il 73,8% dei cittadini si sentirebbe rassicurato dalla presenza di tecnici nel futuro governo, mentre l’hard skill deluderebbe circa un elettore su quattro (26,2%). Anche per il ministero dell’Economia si preferirebbe un tecnico (52,3%) a un politico (27,4%).

Nei giorni scorsi all’Anaci Day 2022 (Associazione nazionale amministratori condominiali e immobiliari) è stato lanciato l’allarme: costi condominiali in aumento del 300% e soluzioni immediate oppure sarà grave crisi sociale perché i costi dell’energia creeranno come effetto domino morosità ulteriori ed entro fine ottobre la situazione sarà più chiara.

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Bollette, addio al sollecito: messa in mora e poi distacco per chi non paga in tempo

martedì, Ottobre 18th, 2022

Sandra Riccio

MILANO. Il caro-bollette rischia di lasciare molte famiglie senza luce e gas. Le richieste di aiuto arrivano ogni giorno da tutta Italia ai consumatori: gli operatori dell’energia hanno stretto le maglie e adesso passano subito alle maniere forti. Se prima delle crisi adottavano accorgimenti come l’invio di un sollecito e il «depotenziamento» della rete, adesso – denunciano le associazioni – passano subito alla messa in mora, con il successivo, possibile, distacco della fornitura. Il tutto in tempi rapidi: dal quarantunesimo giorno dalla scadenza della bolletta non pagata e senza che arrivi il tecnico a casa, il taglio delle forniture si fa scattare direttamente dalla sede del distributore.

Le forniture centralizzate

Il problema è particolarmente sentito tra i condomini, perché gli importi rispetto agli scorsi anni sono più che raddoppiati. E nei palazzi con riscaldamento centralizzato le difficoltà si moltiplicano. Il picco verrà toccato tra dicembre e gennaio, cioè cento giorni dopo la scadenza delle fatture.

Il caso di Padova

A Padova la società dell’energia Af Energia interromperà le forniture di gas a circa 300 condomini della provincia, a causa degli alti costi della materia prima ma soprattutto per le «insostenibili garanzie» chieste dai grossisti. Lo ha annunciato lo stesso l’amministratore delegato dell’azienda, Federico Agostini.

L’ultima istanza

Cosa succede in questi casi? Esiste la fornitura di ultima istanza (Fui) da parte delle aziende territorialmente competenti. Per tre mesi il condominio è coperto, se nel frattempo non trova un altro fornitore, resta con queste aziende ma con una maggiorazione di 14,39 centesimi per metro cubo (circa il 20-30% in più). Per evitare guai, alcuni condomini hanno deciso di mettere i sigilli agli impianti di riscaldamento. È quanto deciso dall’amministratore di uno stabile in provincia di Roma. In questa maniera nessuno consuma e non si finisce con il restare senza altre forniture essenziali come quella dell’acqua calda.

La bolletta comune

Ma che cosa succede se in un condominio due pagano e tutti gli altri invece no? Va subito detto che il riscaldamento viene staccato a tutti solo se non viene saldata la fattura condominiale, vale a dire la bolletta comune. Saranno quindi i condomini virtuosi che dovranno pagare anche le quote di quelli morosi per continuare a onorare questa bolletta comune. Successivamente, l’amministratore dovrà richiedere il pagamento delle quote ai condomini non in regola, mediante sollecito o diffida tramite legale oppure giudizialmente (ad esempio con ricorso per decreto ingiuntivo). Un altro maxi-problema che si sta materializzando all’orizzonte.

La valanga all’orizzonte

«Se prima gli operatori dell’energia con i propri clienti utilizzavano la piuma adesso sono passati alla frusta – racconta Furio Truzzi, presidente di Assoutenti –. In pratica, nella, gran parte dei casi, hanno abbandonato tutti quegli accorgimenti con cui trattavano i clienti che non pagavano con puntualità». I casi che potrebbero finire nel mirino già nelle prossime settimane sono davvero tanti. Secondo Facile.it, negli ultimi nove mesi l’aumento del prezzo dell’energia ha portato 4,7 milioni di italiani a saltare il pagamento di una o più bollette. Vuol dire che è concreto il rischio una valanga pronta a partire.

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I possibili ministri del governo Meloni (dopo il vertice con Berlusconi): Tajani e Salvini vicepremier, resta il nodo Giustizia

martedì, Ottobre 18th, 2022

di Redazione Online

Ecco i nomi discussi oggi nel corso dell’incontro tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni

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Sembra delinearsi, dopo l’incontro tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, la lista dei componenti del nuovo governo. Secondo le prime indiscrezioni Antonio Tajani sarà vice premier e ministro degli Esteri. L’altro vicepremier sarà Matteo Salvini, che avrà la delega alle Infrastrutture.

Resta tuttavia aperto il nodo della Giustizia . Mentre nei Fratelli d’Italia si dà per scontato che quella casella debba toccare a Carlo Nordio, in Forza Italia sono convinti di aver strappato la vittoria piazzando come Guardasigilli l’ex presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, che invece Meloni vorrebbe alle Riforme. E Salvini vorrebbe accorpare le Riforme con le Autonomie e affidarle a Calderoli.

Negli ambienti politici di maggioranza circolava una lista che manteneva ferma la posizione di Nordio alla Giustizia, così formata:

– Economia: Giancarlo Giorgetti (Lega), ministro uscente dello Sviluppo economico
– Sviluppo economico: Guido Crosetto (FdI), sottosegretario di Stato al ministero della difesa nel governo Berlusconi IV
– Transizione ecologica: Gilberto Pichetto Fratin (FI), viceministro uscente dello sviluppo economico
– Difesa: Adolfo Urso (FdI), presidente del Copasir, ex capo di Gabinetto del ministro dell’Interno Matteo Salvini
– Interno: Matteo Piantedosi (tecnico in quota Lega), prefetto di Roma
– Giustizia: Carlo Nordio (FdI), ex magistrato
– Lavoro: Marina Elvira Calderone (FdI), presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro
– Salute: Francesco Rocca (FdI), presidente nazionale della Croce Rossa Italiana
– Istruzione: Giuseppe Valditara (Lega), giurista
– Università e Ricerca: Anna Maria Bernini (FI), ministro per le politiche europee nel governo Berlusconi IV
– Cultura: Giordano Bruno Guerri (FdI), presidente (e dal 2014 anche direttore generale) della Fondazione Vittoriale degli Italiani, la casa di Gabriele D’Annunzio a Gardone Riviera
– Pubblica Amministrazione: Alessandro Cattaneo (FI), sindaco di Pavia dal 2009 al 2014
– Agricoltura: Gian Marco Centinaio (Lega), sottosegretario uscente di Stato al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
– Riforme: Elisabetta Casellati (FI), presidente del Senato uscente
– Affari Regionali: Roberto Calderoli (Lega), vicepresidente uscente del Senato della Repubblica
– Affari Europei: Raffaele Fitto (FdI), ministro per gli affari regionali dal 2008 al 2011 nel quarto governo Berlusconi
– Disabilità: Simona Baldassarre (Lega), eurodeputata
– Gioventù e sport: Chiara Colosimo (FdI), consigliere regionale del Lazio
– Rapporti con il Parlamento: Maurizio Lupi (Noi), ministro delle Infrastrutture e dei trasporti dal 28 aprile 2013 al 20 marzo 2015 nei governi Letta e Renzi
– Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: Giovan Battista Fazzolari (FdI), il responsabile del programma di Fratelli d’Italia.

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