Archive for Ottobre, 2022

La Russa, il cognome filoputiniano, la lezione della Segre. Le parole della settimana

sabato, Ottobre 15th, 2022

Paolo Gambi

Proviamo a dare un po’ di sapore ai numeri che decretano il successo delle notizie su Google. Di seguito alcune delle notizie più cliccate della settimana rivisitate e corrette.

Il cognome troppo filoputiniano di La Russa

Le Camere hanno eletto i loro presidenti, Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana. Fra gli alti lai di quelli che si fanno difensori della democrazia, prendendo gli ordini dall’alto, mancava solo che avanzassero la lamentela che La Russa è un cognome troppo filoputiniano e Fontana è uno spreco d’acqua. Complimenti e buon lavoro ai due eletti.

La lezione di Liliana Segre

Una delle pagine più nobili della democrazia italiana recente l’ha appena scritta Liliana Segre. Presiedendo il Senato, dopo aver detto che “il popolo ha deciso” e che “la maggioranza uscita dalle urne ha il diritto-dovere di governare; le minoranze hanno il compito altrettanto fondamentale di fare opposizione”, ha detto: “Le grandi democrazie mature dimostrano di essere tali se, al di sopra delle divisioni partitiche e dell’esercizio dei diversi ruoli, sanno ritrovarsi unite in un nucleo essenziale di valori condivisi, di istituzioni rispettate, di emblemi riconosciuti”. Non sappiamo quanto possa esserle costato scriverla. Ma la sua testimonianza è preziosa.

IL GIORNALE

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Quel Pd che resiste a fatica anche nelle regioni rosse

sabato, Ottobre 15th, 2022

Alessandra Benignetti

Dal 2018 il Pd ha perso per strada circa 820mila voti. Quasi un milione di ex elettori Dem che, secondo l’Istituto Cattaneo di Bologna, sarebbero stati attratti soprattutto dal Terzo Polo. Insomma, se quella del 2018 venne definita come “la sconfitta più grave della storia del Pd e del centrosinistra”, questa volta al partito di Enrico Letta è andata anche peggio.

Con il centro-nord saldamente in mano a Fratelli d’Italia, che cannibalizza i consensi della Lega respingendola nel perimetro del vecchio Carroccio, e il Movimento 5 Stelle che si impone come “partito del reddito” al Sud, il Partito Democratico resta ancorato alla “zona rossa”. Un fortino che comprende Toscana, Emilia-Romagna, il nord delle Marche e dell’Umbria e che tradizionalmente è appannaggio della sinistra. Si tratta di una delle zone politiche storiche dello Stivale, dove il Pd e i suoi antenati hanno sempre avuto la meglio. Ma il voto del 25 settembre sembra aver rimesso in discussione anche i vecchi dogmi.

Prendiamo il caso della Toscana. Qui complessivamente il centrodestra è lo schieramento più votato con il 38,5 per cento delle preferenze. Il distacco con il centrosinistra è marginale. Ma fatto sta che il Pd e i suoi alleati in questa regione tradizionalmente orientata a sinistra sono arrivati soltanto secondi, con una percentuale del 33,8. È vero che sommando i voti di Movimento 5 Stelle e Italia Viva e Azione si sarebbe potuto superare il centrodestra, ma l’equazione non è automatica.

mappa percentuali PD camera
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Il centrodestra tra conflitti e pulsioni identitarie

sabato, Ottobre 15th, 2022

di Massimo Franco

Quella tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi rischia di diventare una frattura che può mutare la fisionomia e le prospettive della maggioranza dopo la vittoria del 25 settembre. Come sopravviverà il centrodestra a queste tensioni?

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Le nomine del centrodestra al vertice del Parlamento non debbono sorprendere. Sono il prodotto di uno schieramento che esprime personalità e identità come quelle di Ignazio La Russa al Senato e Lorenzo Fontana alla Camera: il primo di FdI, il secondo della Lega. E che ha deciso di marcare nettamente il proprio territorio culturale, senza nascondere la volontà di una svolta radicale e, se necessario, dello scontro con le opposizioni.

Su questo sfondo, il conflitto tra la premier in pectore Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi rischia di diventare una frattura. E può mutare la fisionomia e le prospettive dello schieramento vittorioso il 25 settembre.


L’asse che la leader della destra sembra avere stretto col capo leghista Matteo Salvini ha l’aria di un accordo per ridimensionare il berlusconismo e destabilizzare la cerchia dei consiglieri del Cavaliere che non accettano il primato di Meloni.

I voti arrivati giovedì a La Russa dalle minoranze, d’altronde, dicono non solo che gli avversari sono divisi. Fanno capire anche che il potere di FI di condizionare la leader di FdI incontra limiti ormai vistosi: come anche la rivendicazione di Berlusconi di essere il garante internazionale del centrodestra.

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Pd, prove di Aventino dopo l’elezione di Fontana: “Un disastro per l’Italia, il più contento sarà Putin”

sabato, Ottobre 15th, 2022

Carlo Bertini

«Il più contento sarà Putin». Enrico Letta è furioso. Dopo aver votato per Cecilia Guerra presidente, (proposta per unire il fronte della sinistra) ha preso un aereo per Berlino per andare al congresso del Pse. E una volta consumato «il disastro», come i dem bollano l’elezione di Fontana, il segretario al telefono con i suoi si è sfogato: «Peggio di così non poteva andare, uno sfregio per l’Italia. Fontana. Ci rendiamo conto? Per due mesi abbiamo allertato del rischio di questa destra al potere e oggi queste reazioni, un mix di stupore e preoccupazione, mi fanno molto arrabbiare. Era chiaro che sarebbe stata questa l’evoluzione della loro vittoria».
«Omofobo e filo-Putin»
Un’evoluzione che ha portato a guidare la Camera, «il leghista filo-Putin, vicino alle destre estreme europee, omofobo. Serve altro?», domanda Matteo Ricci. «Una tragedia, lui è un corpo estraneo, sarà un problema», scuote la testa Gianni Cuperlo.
Letta sa che il nodo da affrontare sarà la divisione delle opposizioni evidenziata in queste due votazioni. Nessuno si fa illusioni, serve tempo per avvicinarsi. Ma il nemico è pericoloso. «Era chiaro – sostiene il segretario – che la presunta svolta moderata di Meloni fosse da un lato una brillante operazione di marketing di Fdi e dall’altro una sorta di autoconvincimento delle classe dirigenti che erano già pronte a salire sul carro della vincitrice. E al primo passaggio parlamentare, la realtà ha portato il conto. Ora facciamo un’opposizione dura senza perdere un colpo», ha detto ai parlamentari in mattinata.
Zingaretti e il dialogo con M5s
«Opposizione sì, ma non da soli», è l’esortazione di Nicola Zingaretti. Uno dei più preoccupati di questa spaccatura è l’ex governatore del Lazio, appena eletto deputato e in predicato di divenire vicepresidente della Camera: si dimetterà da governatore a giorni e non vuole lasciare macerie. «Farò un decreto di devolution del maggior numero di materie alla città di Roma», annuncia seduto su un divano alla Camera. Ma si vede che è il rapporto con i 5Stelle a preoccuparlo anche in termini nazionali. «Dobbiamo dare una risposta adeguata. Questo significa opposizione del Pd su contenuti chiari nei quartieri e in Parlamento, ma anche apertura di una fase nuova tra le opposizioni. Se la situazione è preoccupante non si può rimanere congelati al passato». Peccato che i rapporti tra Letta e Conte non esistano più e che per sei mesi il leader Pd sarà ancora lui.

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Il dovere del compromesso

sabato, Ottobre 15th, 2022

Paolo Guzzanti

Era possibile immaginare il disastro politico a cui abbiamo assistito e a cui ahimè ancora stiamo assistendo? Non nei dettagli, forse, non negli screzi che ieri sono arrivati perfino alla querelle folcloristica sugli appunti del Cavaliere, ma di sicuro era prevedibile e a riprova, senza davvero vantarmene, l’avevo scritto e previsto in un libro, La Maldestra. Avevo tentato di spiegare che l’alleanza di centrodestra rischiava di andare a sbattere contro il primo guard-rail perché le tre forze che la compongono non sono tra loro componibili, ma sono buone al massimo per allearsi su un programma.

Inoltre, Berlusconi è convinto, e chi potrebbe negarlo, che Forza Italia non porti come dote soltanto il numero dei voti, ma anche un suo indispensabile valore aggiunto: quello che può permettere al futuro governo di presentarsi sulla scena nazionale e internazionale non come «di estrema destra» (come seguitano a scrivere tutt’ora i più importanti giornali europei), ma di una destra che è certificata dall’unico partito liberale riconosciuto dal Parlamento Europeo e che rappresenta i valori dei partiti che ricostruirono l’Italia dopo una catastrofica guerra.

All’inizio di questo 2022, nessuno si aspettava che avremmo votato in autunno. Ma il punto fondamentale è che, una volta conosciuti il numero e la forza di ciascuna delle forze dell’alleanza, si sarebbero subito dovuti costruire i criteri comuni per procedere insieme. Così si fa quando si dichiara un’alleanza. Sarebbe stata quindi cosa buona e opportuna che i tre vincitori si sedessero subito al tavolo non solo per dire quanti ministri e sottosegretari voleva ciascuno, ma per sottoscrivere il codice con cui fare le scelte, rispettando i pesi elettorali con tutti gli altri contrappesi che definiscono una politica e rassicurano gli spettatori esterni, specialmente europei.

Se un tale codice fosse stato redatto, non avremmo assistito a quel che abbiamo visto con occhi che ancora bruciano non per la novità, ma a causa del genere di pagliacciata in cui la politica italiana eccelle quando scende al rango delle barzellette. Perché la barzelletta diventa l’unica forma di analisi aperta al pettegolezzo e allo sghignazzo dei labiali e dei social, che hanno sostituito, quanto a nobiltà, le lettere anonime e quelle con richiesta di riscatto.

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La trincea di Giorgia Meloni

sabato, Ottobre 15th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

Giorgia Meloni è in cima alle scale, nel cortile di Montecitorio. Appoggiata a una colonna, accanto alla porta che dà sul Transatlantico, fuma nervosa una sigaretta. L’aria è quella di chi non vede l’ora sia finita. «E Berlusconi?», chiede Matteo Salvini, che si aggira per la Camera da ore come un leone in gabbia: il segretario della Lega è un senatore, non ha un ufficio lì, non può entrare in aula. Fa su e giù tra buvette, corridoio, chiostro. Senza pace. Lorenzo Fontana come terza carica dello Stato è l’ennesima scelta che ha imposto al suo partito, ora è lì a controllare che tutto fili liscio. (Per dire la differenza, a Palazzo Madama nel giorno di Ignazio La Russa – ben più a rischio – la premier in pectore, deputata, non c’era. È rimasta ad aspettare nel suo ufficio, al momento giusto si è congratulata con un tweet).

«E Berlusconi?», chiede dunque Salvini dopo che Meloni lo chiama a sé con un cenno della mano. Di primo mattino – sempre nel cortile – aveva detto ai suoi: «Io l’avevo avvisato Silvio, attento che Giorgia ha i numeri, non puoi metterti di traverso». Nell’inedita veste di mediatore, il segretario leghista – che ancora ieri ha chiamato più volte il capo di Forza Italia – cerca di sondare le intenzioni dell’alleata. Che consapevole dei cronisti intorno con l’orecchio teso, dice solo: «Lo sentiamo domani». Poi comincia a parlare di week end, gite fuori porta in cerca di castagne. Passa Francesco Lollobrigida, il cognato compagno di banco in aula, il marito della sorella Arianna anche lei – ieri – eccezionalmente in Transatlantico, e Meloni chiede: «Dove si va per castagne? » . A Cave, si va lì, vicino a Tivoli. E insomma, sarà per i giornalisti troppo vicini, sarà perché non ha voglia di rispondere, la leader di Fratelli d’Italia cambia discorso.

«Anche oggi buona la prima. Andiamo avanti veloci», commenta subito dopo l’elezione di Lorenzo Fontana alla presidenza. Le interessa questo, dare un’idea di rapidità. Come se tutto non fosse bloccato dai veti di una coalizione talmente litigiosa che ogni giorno esplode: giovedì al Senato, sulla mancata partecipazione di Forza Italia all’elezione di La Russa. Ieri alla Camera, sull’immagine che mentre Meloni fuma in cortile comincia a circolare: il foglio che Silvio Berlusconi aveva con sé a Palazzo Madama e che la definiva «supponente, prepotente, arrogante, offensiva».

Guarda tutti da lontano, la premier in pectore. Fin dal mattino, presente ma in disparte. I capannelli più vistosi sono quelli della Lega. Passano tutti a incitare Fontana, prima; a congratularsi con lui, poi. Tra gli altri, in cortile si apparta con Salvini e i suoi Claudio D’Amico: ex deputato, braccio destro di Gianluca Savoini (sotto inchiesta per corruzione internazionale nella vicenda dell’hotel Metropole di Mosca), organizzatore dei viaggi della Lega in Russia e dell’accordo con il partito di Vladimir Putin Russia Unita, oltre che proprio dell’incontro tra il presidente russo e il leader della Lega. Non si sa perché sia lì, se non per la felicità di vedere l’amico Fontana diventare presidente della Camera.

Su questo, sulla vicinanza alla Russia del deputato leghista appena diventato terza carica dello Stato, Meloni glissa, non sa, non risponde. Posizioni omofobe? «Lo hanno detto anche a me perché sono contraria alle adozioni da parte di coppie omosessuali, e non sono omofoba». Idee filorusse? «Se mi preoccupassi di quello che dice l’opposizione non farei il governo». Per resistere alle pressioni di Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni non può permettersi distinguo sulle scelte dell’alleato Salvini. La linea è quindi, fin dal mattino: «Fontana non si discute». Poi se serve c’è il programma, che sulla posizione della coalizione sulla guerra in Ucraina e sui rapporti con la Russia di Putin è chiaro e inequivoco.

Non sarà semplice spiegarlo ai giornali internazionali che già titolano, come il Financial Times, «Il Parlamento italiano elegge come presidente della Camera un euroscettico filo-Putin», ma tant’è, tocca fare una battaglia alla volta. E tocca avere alleati. Se pure Salvini provasse nei confronti di Meloni la stessa rabbia che pare provare il leader di Forza Italia (perché stavolta è lei a comandare, perché lo fa senza cedere su nulla, perché è una donna che gli tiene testa senza alcuna deferenza), il leader della Lega non lo dà a vedere. Si è ritagliato il ruolo di messaggero tra i due. È ormai per molti il ponte con Silvio Berlusconi (a Umberto Bossi che ieri al suo arrivo in sedia a rotelle – sospinto dal figlio Renzo – scattava selfie con chi lo andava a omaggiare, Salvini ha assicurato: «L’altro giorno io e Berlusconi parlavamo di te. Organizziamo un incontro, gli farà piacere»).

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Destra già a pezzi, sparito il centro, alleanza a rischio

sabato, Ottobre 15th, 2022

Marcello Sorgi

È inutile nasconderlo: a quasi trent’anni anni dall’apparizione del centrodestra sulla scena politica italiana, l’elezione dei due presidenti delle Camere La Russa e Fontana rappresenta un passo indietro. Tutto il lavoro fatto da Berlusconi per rendere compatibili con la democrazia italiana un partito post-fascista e uno federalista (ma nella pancia secessionista) è stato consumato in pochi giorni. E questo è dimostrato anche dal tenore liquidatorio dello scontro tra la leader di Fratelli d’Italia e quello di Forza Italia, maturato nella giornata di ieri. Il foglietto in cui Berlusconi – sembrano gli appunti per un’intervista – definisce Meloni «supponente, prepotente, arrogante, una con cui non si può andare d’accordo». E Meloni che gli risponde che ha dimenticato di aggiungere «non ricattabile». Come possano questi due – il Fondatore del centrodestra vecchia maniera e la Rifondatrice – pensare di tornare ad allearsi per mettere su un governo, è tutto da scoprire, nei prossimi giorni.

Ma è intuibile che la vincitrice delle elezioni e candidata a Palazzo Chigi considera un “ricatto” le pressioni del Cavaliere per fare entrare nel governo la sua stretta collaboratrice Ronzulli. E che Meloni, piuttosto di accontentarlo, è pronta a non fare il governo, con conseguenze immaginabili sulle sorti della legislatura, e con un abbandono repentino dell’atteggiamento, se non proprio moderato, compatibile con la responsabilità che l’attende, tenuto fino a qualche giorno fa.

Quanto alla scelta dei due candidati eletti a Palazzo Madama e a Montecitorio e presi dalle file radicali dei due partiti, è un’altra conseguenza della mutazione genetica del centrodestra. Una svolta che contraddice i compiti di quel “triumvirato” che, con il Quirinale, da oltre un quarto di secolo sovrintende ai destini della Repubblica, accompagnandoli in tutte le emergenze, e muta la natura di questo organismo informale che è stato una risorsa nei momenti difficili di questi ultimi ventotto anni.

C’è da sperare, ovviamente, che i due nuovi presidenti sappiano interpretare i ruoli assegnati loro con senso delle istituzioni: e non è affatto escluso che lo faranno. La Russa, sia detto con tutto il rispetto, per tradizione familiare è un vecchio fascistone, che viene dalle file della “maggioranza silenziosa” inventata da Almirante, e si è molto ammorbidito nel tempo e nei lunghi anni di esperienza parlamentare: il discorso pronunciato subito dopo l’elezione fa testo della volontà di voler cambiare, dando vita a una nuova stagione della sua vita politica. Ha giurato, va preso in parola. Ma basta averlo frequentato in uno dei talk-show che ha frequentato spesso finora, e da cui dovrà necessariamente allontanarsi, per sapere che non ama essere contraddetto e reagisce con nervosismo, diciamo così.

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Ministri del governo Meloni, le candidature di Giorgetti e Calderoli: così Salvini conquista posizioni

sabato, Ottobre 15th, 2022

di Marco Cremonesi e Marco Galluzzo

La candidatura di Giorgetti al Mef si consolida. Per gli Affari regionali è in corsa Calderoli. Al partito potrebbe andare anche l’Agricoltura

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Le tessere del puzzle sembrano comporsi in un quadro più chiaro dopo l’elezione del presidente del Senato. Un colloquio pomeridiano fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, alla Camera, fa fare passi avanti alla composizione del futuro governo. Le indiscrezioni che fa filtrare la Lega sono di piena soddisfazione, se oggi come sembra eleggerà un suo esponente alla guida della Camera dei deputati, ma soprattutto se otterrà la guida del ministero dell’Economia con Giancarlo Giorgetti.

Le ultime notizie sul governo e l’elezione del presidente della Camera

«Se la Lega vuole il ministero dell’Economia e mi manda lì, io ci vado», dice il diretto interessato, rompendo il suo proverbiale riserbo, mentre nello staff di Salvini fanno i conti su una rappresentanza governativa molto nutrita. Salvini stesso potrebbe aggiungere la carica di vicepremier alle deleghe sulle Infrastrutture, Roberto Calderoli, che per «spirito istituzionale» si è tirato indietro dalla corsa alla guida del Senato, dovrebbe approdare agli Affari regionali, mentre il prefetto Matteo Piantedosi, già capo di gabinetto di Salvini, dovrebbe guidare il Viminale. Alla Lega dovrebbe anche andare un ministero fra Agricoltura, Istruzione e Università.

Ma soprattutto dovrebbe ottenere la terza carica dello Stato con Lorenzo Fontana, fedelissimo di Salvini, per tanti anni eurodeputato, ministro per la Famiglia nel primo governo Conte, vicesegretario del partito. Mentre a fine giornata è la stessa premier in pectore che sembra ufficializzare la candidatura di Giorgetti: «Io penso che Giancarlo Giorgetti sarebbe un ottimo ministro dell’Economia».

A questo punto a Forza Italia toccherebbe una rappresentanza minore rispetto alle aspettative. Punto fermo resta Antonio Tajani agli Esteri, mentre Maurizio Gasparri potrebbe finire alla guida della Pubblica amministrazione e Anna Maria Bernini all’Università. Alessandro Cattaneo, già sindaco di Pavia, resterebbe in corsa per un altro posto. Una sorpresa potrebbe essere la conferma al governo di Gilberto Pichetto Fratin, oggi numero due al Mise. Se queste previsioni fossero confermate un ridimensionamento del partito di Berlusconi sarebbe un dato di realtà. Fra i cinque ministeri più importanti prenderebbe solo gli Esteri, mentre la Giustizia toccherebbe al magistrato Carlo Nordio, eletto con FdI, e la Difesa ad Adolfo Urso, anche lui di Fratelli d’Italia. E gli altri due alla Lega, Economia e Interno.

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Per il governo Meloni non ha un piano B (nonostante lo strappo con Berlusconi): ecco perché

sabato, Ottobre 15th, 2022

di Francesco Verderami

Per l’elezione di La Russa, Meloni aveva una soluzione alternativa al blocco di centrodestra, e l’ha usata. Per il governo, invece, né lei né i suoi alleati dispongono di un «piano B». Per questo la leader di Fratelli d’Italia continuerà a esercitare il suo potere per chiarire tutto prima del varo del nuovo esecutivo

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Per l’elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato , Giorgia Meloni aveva una soluzione alternativa al blocco di centrodestra e l’ha usata.

Per il governo, invece, né la leader di Fratelli d’Italia né i suoi alleati dispongono di un «piano B».

I rapporti di forza in Parlamento sono tali che impediranno qualsiasi futura alchimia di Palazzo, anticipando di fatto la sorte di una legislatura che si esaurirà nel progetto a cui sta lavorando Meloni.

«E Giorgia se ne andrebbe a casa piuttosto che farsi ricattare», ha detto ieri La Russa a un esponente di partito.
Proprio il concetto che «Giorgia» ha ripetuto in serata. Il fatto di ritrovarsi a capo di una maggioranza senza alternative, «per certi versi contribuirà — secondo un autorevole dirigente di FdI — a far cambiare atteggiamento anche ai partner europei, abituati alle rotazioni di premier e di ministri italiani. Che avvengono in media ogni anno e mezzo».

C’è più di un motivo insomma se la presidente di FdI ha esercitato il suo potere di capo dell’alleanza con Silvio Berlusconi . E continuerà a farlo. Perciò — scommettono rappresentanti della coalizione — «tutti ci dovremo adeguare. E il primo sarà proprio il Cavaliere».

Ecco spiegato perché Meloni — invece di «lasciar posare la polvere» come alcuni suoi consiglieri le avevano suggerito — ha optato per la linea dura con Forza Italia sulla questione dei dicasteri.

È convinta che il chiarimento in maggioranza vada fatto prima del varo del governo, per non trovarsi poi in Consiglio dei ministri a fronteggiare qualche fronda politica mentre infuria la crisi economica.

Così sembrerebbe fallito l’esito della mediazione nella quale si era impegnato Gianni Letta, che ha (ri)stabilito un solido rapporto con Meloni e che in mattinata si era recato da Berlusconi. Il Cavaliere non vuole che l’alleata — nel redigere la squadra — applichi lo stesso metodo adottato ai tempi del governo di Mario Draghi, quando dovette subire la scelta dei ministri di Forza Italia senza potersi opporre. La leader di FdI non intende però derogare al suo mandato.

E Letta si muove tra i due fuochi, scontando i sospetti degli azzurri che non vogliono cedere a Meloni ma contando in queste ore sul sostegno della famiglia di Berlusconi. Una soluzione si troverà, anche perché non esiste un «piano B». Né per lei né per gli altri partiti della coalizione.

È una questione di grammatica politica. Infatti l’errore da «matita blu» commesso dal gruppo di Forza Italia al Senato — sotto la spinta di Gianfranco Micciché — si è tramutato in una sconfitta strategica. E ha scatenato l’ira della premier in pectore, che ha messo una croce sopra i nomi di due senatori azzurri in predicato di diventare ministri: «Visto che a votare per La Russa, oltre Berlusconi, è stata solo Elisabetta Casellati, porto lei al governo. Ma non alla Giustizia».

Per quell’incarico Meloni aveva deciso già prima delle urne: siccome a palazzo Madama i margini di maggioranza sono ristretti, ha candidato l’ex magistrato Carlo Nordio alla Camera.

Sono molte le ragioni che inducono la leader di FdI a non cedere. Tutte legate tra loro. Se punta a ridisegnare la geografia dell’alleanza, assegnandosi il ruolo di perno del futuro centrodestra, deve superare la prova di governo. «La composizione della squadra — spiegava giorni fa il capo dell’Udc Cesa — sarà decisiva perché rappresenterà il biglietto da visita con cui si presenterà al Paese. Mentre i ministri dell’Economia, degli Esteri e della Difesa, saranno il suo biglietto da visita nel contesto internazionale».

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Berlusconi contro Meloni: «Supponente e arrogante»

sabato, Ottobre 15th, 2022

di Tommaso Labate

In Senato l’appunto del leader con i giudizi sulla presidente di FdI: «Lei prepotente, è una con cui non si può andare d’accordo». Forza Italia divisa tra i governisti di Tajani e chi sta con Ronzulli

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«Vuole provocare la nostra scissione», dicono dall’ala dei falchi di Forza Italia, quelli del giro di Licia Ronzulli; quelli accusati di scavare trincee per sabotare la nascita del governo a guida Giorgia Meloni, che sono davanti alla tv alle 19.54 quando sentono dalla voce della presidente del Consiglio in pectore scandire che al foglietto di Berlusconi «mancava un punto, che io non sono ricattabile». «E ora chi glielo va a dire?», confabulano tra di loro riferendosi all’ex premier, che proprio in quei momenti meditava una possibile via d’uscita dallo scontro con la leader di FdI e accarezzava pure la possibilità «di usare le prossime ore e i prossimi giorni per chiarirci», forse anche per chiedere scusa.

Per Berlusconi, per FI, per tutti, insomma, il giorno due della legislatura è anche peggio del giorno uno. Peggio del vano tentativo di far mancare i voti per Ignazio La Russa al Senato, peggio dei «no» ricevuti in sequenza sulle caselle di governo e della danza politicamente macabra che hanno finito per generare. Il giorno due è oltre, è di più: tanto si diradano le nubi su chi era in difficoltà fino a ieri l’altro, come Matteo Salvini; tanto si concentrano su Forza Italia, ormai spaccata in due tra «governisti» senza ancora un governo (Antonio Tajani, Anna Maria Bernini e compagnia) e i cosiddetti «antigovernisti» (Ronzulli e un folto drappello di parlamentari di Senato e Camera).

L’elenco

Maledetti elenchi. Maledette prime volte. C’era un elenco corredato da numeri anche quel giorno al Quirinale, alle consultazioni dopo il voto del 2018, in cui Salvini parlava per la prima volta a nome di tutto il centrodestra e Silvio Berlusconi provava a recuperare centimetri di centralità politica sottolineando con le dita «e uno, e due, e tre», arrivando fino a dieci. Ed era stato l’inizio di un lungo periodo di gelo tra il Cavaliere e il segretario leghista.

Stavolta Berlusconi si è fermato a quattro. Non mimando ma scrivendo; non nei confronti di Salvini ma contro Giorgia Meloni, definita in un appunto vergato su carta intestata «Villa San Martino» donna dal comportamento «supponente», «prepotente», «arrogante», «offensivo». E se non fosse intervenuto un tratto di penna inserito a mo’ di cancellazione, anche «ridicola». Una persona (la grafia del Cavaliere è chiara e inconfondibile) che «non ha nessuna disponibilità al cambiamento» e con cui «non si può andare d’accordo».

Qualcuno ipotizza che fosse un messaggio che voleva e doveva arrivare a destinazione, che l’ostentazione dell’appunto sul banco del Senato e la piena consapevolezza della potenza dei teleobiettivi dei fotografi erano state messe in conto; altri che il Cavaliere, al contrario, avesse detto di aver raccolto «giudizi altrui» su Meloni e di averli appuntati come appunta per abitudine ogni cosa di cui si trova a parlare, persino il menù del pranzo o della cena. Le ore che arrivano senza una smentita, e l’intervento del presidente del Senato Ignazio La Russa («Berlusconi dica che è un fake») sono benzina sul fuoco di un cantiere in fiamme.

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