Archive for Ottobre, 2022

Covid, meno contagi ma più ricoveri e decessi: “Preoccupante”. Il nuovo report

venerdì, Ottobre 14th, 2022

Balzo dei ricoveri da Covid in una settimana mentre i contagi della popolazione anziana nelle Rsa nel 2022 sono stati in linea con quelli della popolazione in generale e con un basso impatto sulla mortalità. Sono le due fotografie che arrivano dal fronte della lotta alla pandemia. La Fondazione Gimbe registra un boom della pressione sugli ospedali negli ultimi 7 giorni: +30% i ricoveri ordinari (ma con un calo di 126 unità nelle ultime 24 ore) e +44% nelle terapie intensive dove si passa da 125 pazienti a 244.

“Si conferma l’inversione di tendenza”, afferma Marco Mosti, Direttore operativo di Gimbe, che in parte riguarda anche la crescita dei contagi. “Per la quarta settimana consecutiva – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione – sale la curva dei nuovi casi settimanali, seppur in maniera meno ripida (+20,3%): da quasi 245mila della settimana scorsa arrivano a sfiorare quota 294mila, con una media mobile a 7 giorni di quasi 42 mila casi al giorno”. Al 12 ottobre la copertura vaccinale delle quarte dosi è al 18,7% ma “l’incremento di quasi il 60% delle somministrazioni giornaliere lascia ben sperare – spiega il medico – rispetto alla necessità di aumentare in tempi brevi le coperture di anziani e fragili”.

Allo stesso tempo la ripresa della circolazione virale ha già determinato un incremento di quasi 3mila posti letto in area medica (dai 3.293 del 24 settembre ai 6.358 dell’13 ottobre) ed è quindi “fondamentale per ridurre l’impatto sugli ospedali nella stagione autunno-inverno, insieme all’utilizzo della mascherina nei luoghi al chiuso, specialmente se affollati e/o poco ventilati”.

Meglio nel 2022 hanno fatto le Residenze sanitarie per anziani, grandi ‘vittime’ del primo anno di pandemia. Per l’Istituto Superiore di Sanità “i contagi nelle Rsa hanno avuto lo stesso andamento della popolazione generale, ma grazie ai vaccini e a una buona capacità di gestione del virus, testimoniata dagli andamenti degli isolamenti, l’impatto su ricoveri e decessi è stato basso”. È quanto si afferma nel nuovo aggiornamento del report a cui aderiscono 853 strutture residenziali provenienti da 7 regioni e per un totale di 31.341 posti letto disponibili, che hanno partecipato alla sorveglianza dal 21 dicembre 2020 al 18 settembre 2022.

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Salvini fa il grande mediatore. Giorgetti dice sì per il Mef

venerdì, Ottobre 14th, 2022

Michel Dessì

Matteo Salvini veste i panni del pompiere. Getta acqua sul fuoco acceso tra gli alleati. «Chi lo avrebbe mai detto», dicono tra le stanze damascate del Senato. Anche qualche leghista si sorprende delle mosse del suo segretario. Ponderate, senza colpi di testa. Ragionate. Almeno ieri. Oggi è un altro giorno, il giorno della Lega a Montecitorio. La terza carica dello Stato spetta a loro. Il candidato è Lorenzo Fontana, ad annunciarlo lo stesso Salvini: «Ho chiesto a Molinari la disponibilità a proseguire il suo mandato da capogruppo della Lega a Montecitorio». Ma il passo indietro potrebbe nascondere altro. Il rinvio a giudizio per falso pesa sulle spalle di Molinari. I più maliziosi parlano di un veto arrivato direttamente dal Colle più alto di Roma. Ma dalla Lega smentiscono.

Il leader del Carroccio in queste ore è il ponte tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni. Media e tratta. Soprattutto tratta. Per sé, per il suo partito. Lo fa mostrando a Giorgia Meloni lealtà. È il primo a dire in diretta televisiva che, per la Lega, il nome del Presidente del Senato «è quello di Ignazio La Russa». Così è stato. «C’è un accordo e dobbiamo rispettarlo. Roberto (Calderoli ndr.) sarebbe stato un eccellente Presidente del Senato ma dobbiamo fare fede ai patti» ha detto il segretario al suo nutrito esercito di senatori riuniti prima di entrare a Palazzo Madama. Faccia decisa, quasi ombrata, passo sicuro tanto da preoccupare chi lo incontra. «Ma tutto bene?», gli chiedono nel piccolo transatlantico, in sala Garibaldi. «Sì, sì», risponde. Poi dritto alla buvette per un caffè. Dietro di lui il cordone di fidatissimi. Poca confidenza a chi lo circonda. Telefono all’orecchio e incontro con Silvio Berlusconi. Lui e il presidente di Forza Italia sono gli ultimi ad entrare in Aula. Prima un breve vertice per trovare la quadra. Che non c’è. Ma lui dice di essere ottimista «dai, dai» incita i suoi mentre sogna ancora il Viminale. L’idea non l’ha mai abbandonata. I segnali arrivano da tutte le parti, anche dal suo dress code. «Salvini sfoggia la cravatta anti-droga» recita il messaggio inviato ai cronisti dal suo ufficio stampa. «Il tema del contrasto agli stupefacenti è e sarà una priorità» dice Salvini. Ma il suo posto pare essere già designato: ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture. Al Viminale Matteo Piantedosi o la fidatissima Giulia Bongiorno. Lui dovrà accontentarsi di gestire i porti e la Guardia Costiera. Se lo fa bastare, ma non si accontenta. Vuole di più. C’è chi dice tra i pavimenti scricchiolanti del Senato che abbia alzato la posta dopo la prova di fiducia sul voto compatto ad Ignazio La Russa.

Salvini mira ad avere almeno 6 ministeri, tutti di peso, compreso quello all’Economia per Giancarlo Giorgetti che dice: «Se mi vogliono al Mef ci andrò». I rapporti non sono buoni ma bisogna mostrare unità. E così le foto sorridenti di Salvini, Giorgetti, Fontana, Crippa e Molinari rimbalzano su tutti i cellulari dei cronisti. Oltre alla presidenza della Camera dei Deputati il leader della Lega mira ad ottenere anche l’Agricoltura, gli Affari regionali e le Autonomie e la Scuola. «I voti si pesano» ci dice Alessandro Morelli. Un segnale che dà credito alle voci che circolano tra i Palazzi. Mentre Ignazio la Russa fa il discorso da Presidente lui è nel suo ufficio col volume della televisione al minimo ed escogita la prossima mossa.

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Draghi vola a Parigi prima dell’ultima battaglia. Asse con Macron su economia e prezzo del gas

venerdì, Ottobre 14th, 2022

Massimiliano Scafi

Due premier? Non scherziamo. Niente diarchia, nessun raddoppio, nemmeno l’ombra di una qualche forma di confusione istituzionale, Mario Draghi è «pienamente» in carica e guiderà il Paese per un altra decina di giorni almeno, mentre Giorgia Meloni avrà l’incarico soltanto dopo il Consiglio Europeo del 20. Infatti eccole le immagini di Super Mario che arriva in serata all’Eliseo per un lungo e «cordialissimo» e «proficuo» faccia a faccia con Emmanuel Macron. «Una cena tra amici», riferiscono le fonti diplomatiche, dove in realtà il piatto forte sono le prossime scadenze Ue, dal tetto sul prezzo del gas all’economia. Tra una settimana a Bruxelles su caro bollette ed energia si gioca una partita decisiva e sarà Draghi a scendere in campo.

Poi certo, siamo agli ultimi giri di valzer. E se la data per lo scambio di consegne con tanto di rito della campanella non è stata stabilita, è per tre motivi precisi. Primo, impensabile per il Quirinale, ma pure per la stessa leader di Fdi, indebolire il capo del governo proprio mentre sarà impegnato in una difficile trattativa a Bruxelles: chi ha istruito i dossier ora li deve portare a termine. Secondo, la Meloni non vuole bruciarsi saltando in corsa dentro un negoziato complicato di cui non conosce tutti i particolari: il rischio di figuracce internazionali sarebbe troppo alto. Terzo, non ultimo: come si è visto per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, la strada di Giorgia verso Palazzo Chigi è ancora lunga, la trattativa in alto mare, la squadra da definire.

Così anche Sergio Mattarella ha dovuto aggiornare l’agenda. L’idea iniziale era quella di cominciare subito con le consultazioni, convocando i partiti dal 16, perché con questi chiari di luna, alla vigilia della Finanziaria, l’Italia non può restare senza un governo che abbia la fiducia del Parlamento. Guerra, Covid, crisi economica, lavoro: sono tante le emergenze da aggredire in fretta. Poi però le difficoltà del centrodestra hanno convinto il capo dello Stato ad allungare il brodo. Le consultazioni dovrebbero quindi partire tra il 19 e il 20, Draghi con i suoi poteri rappresenterà l’Italia al Consiglio europeo del 20 e 21 e sabato 22, se nel frattempo sarà riuscita a risolvere il cruciverba politico, la Meloni otterrà il mandato per formare il nuovo esecutivo. Una volta concordata la lista dei ministri con il presidente, tra il 24 e il 25 potrebbe giurare e presentarsi alle Camere per il voto di fiducia.

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Dai delfini rosa ai gorilla di pianura, la grande scomparsa degli animali selvatici

venerdì, Ottobre 14th, 2022

Mario Tozzi

Verrà molto presto un giorno in cui i sapiens rimarranno gli unici animali del pianeta, insieme a quelli allevati o addomesticati, e non resterà nemmeno un animale selvatico. E non sarà un bel giorno, prima di tutto per gli stessi uomini che possono solo illudersi di vivere su un pianeta senza fauna selvatica, perché nessuna vita è possibile senza l’integrità degli ecosistemi, a meno che non si parli di nuovi parametri artificiali che di biologico conserverebbero solo le cellule.

Il Living Planet Report del WWF del 2022 è drammatico: le popolazioni di fauna selvatica della Terra dal 1970 sono calate del 69%, con punte del 94% in America Latina e nei Caraibi. Dai delfini rosa di acqua dolce dell’Amazzonia ai gorilla di pianura, dai leoni marini agli anfibi, la maggior parte dei nostri compagni di strada, quegli animali non umani che rendono possibile la vita anche ai sapiens, si sta perdendo per strada e la responsabilità è solo nostra.

Distruzione degli habitat per avere nuovi territori agricoli e allevamenti, caccia e bracconaggio, cambiamento climatico indotto dalle nostre attività, infrastrutturazione selvaggia, allargamento delle aree urbane: i sapiens sono l’unica specie che manda a gambe all’aria gli altri ecosistemi, incurante dei servizi gratuiti che ci offrono, dallo stoccaggio di anidride carbonica ai medicinali, dallo svago all’acqua pulita. Ma sull’impoverimento inarrestabile di biodiversità quasi non si sente una voce, come se ce ne prendessimo in silenzio la colpa, però senza soffrirne, almeno non per ora, tanto ci sembra lontano il destino di una scimmia dal nostro. Non capendo che si tratta esattamente dello stesso. E peggio avviene sul clima.

Sembra che l’estate più calda di sempre, quella più secca, quella che ha funestato il pianeta di ondate di calore mortali, che ha crepato il terreno e prosciugato i fiumi e che rischia di essere, addirittura, ricordata come la più fresca e umida del prossimo futuro, non abbia portato tutti i sapiens allo stesso grado di consapevolezza sul cambiamento climatico. Che è anomalo rispetto al passato, accelerato e che dipende dalle attività produttive dei sapiens, come sostiene, praticamente all’unanimità, tutta la comunità scientifica mondiale degli specialisti del clima. Tranne qualche sporadica resistenza cui però viene data inspiegabile e eccessiva importanza da parte dei mezzi di comunicazione, tanto che parte dell’opinione pubblica è portata a ritenere che gli scienziati non abbiano tutti la stessa idea sul cambiamento climatico, come invece è, ma presentino diverse opinioni. Viene così dato rilievo a un negazionismo climatico che si impernia sulle responsabilità, che non sarebbero dei sapiens, ma del sole, dei vulcani, delle irregolarità dell’orbita terrestre e dei cicli naturali in generale.

Posizione dei continenti, correnti oceaniche, radiazione solare e orbita della Terra agiscono effettivamente sul clima su tempi lunghissimi, ma possono spiegare l’attuale cambiamento su tempi così accorciati? I dati della Nasa affermano che, dal 1900 fino agli Anni 50, l’irraggiamento solare è aumentato, ma ciò ha avuto un effetto modesto sul clima dell’inizio del XX secolo, spiegando fino al 10 percento del riscaldamento verificatosi dalla fine del 1800. Inoltre, nella seconda metà del secolo, quando si è verificato il maggior riscaldamento, l’attività solare è effettivamente diminuita. Dunque la radiazione solare non è la forza trainante del cambiamento climatico attuale. Infine, se fosse dipeso dal Sole, tutti gli strati dell’atmosfera avrebbero dovuto riscaldarsi, invece i dati mostrano che l’alta atmosfera si è effettivamente riscaldata relativamente meno negli ultimi decenni, un segno distintivo che il riscaldamento è dovuto all’effetto serra. Sole quindi “più fresco” e atmosfera più calda.

I vulcani possono influenzare il clima emettendo anidride carbonica, anzi è proprio per questo che la Terra è abitabile. Ma rispetto alle moderne emissioni antropogeniche, anche le grandi eruzioni sono solo una goccia nel mare: quella del Mount Saint’Helen (1980) ha rilasciato nell’atmosfera circa 10 milioni di tonnellate di CO2 in sole nove ore, ma attualmente l’umanità impiega solo 2,5 ore per emettere la stessa quantità, e le emissioni dei sapiens sono incessanti e incrementano ogni anno. Inoltre le eruzioni raffreddano l’atmosfera, liberando aerosol e particelle, non la riscaldano.

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L’aiuto inaspettato alla destra divisa

venerdì, Ottobre 14th, 2022

Annalisa Cuzzocrea

Chi ieri era seduto su una delle poltroncine del Senato, o assiepato davanti agli schermi su cui scorrono i lavori d’aula, ha sentito come un vuoto nella pancia. Il vento che sferza il volto. Il precipizio. Un attimo prima c’erano Liliana Segre e – attraverso le sue parole chirurgiche, pronunciate con voce di cristallo – Piero Calamandrei, i valori della Costituzione, dell’antifascismo, dell’unità repubblicana, dell’inclusione, della democrazia. Un attimo dopo, sembrava il bar di Guerre stellari: Silvio Berlusconi furente aggrappato al banco in prima fila. Licia Ronzulli inamovibile, al suo fianco, tailleur rosso fuoco e ira trattenuta a stento. Senatori in processione a omaggiare, sulla scena. Nelle retrovie, da dove entra ed esce Matteo Renzi, la preparazione a tempo di record di un accordo indicibile, e infatti negato. Il primo della legislatura. Il vaffa di Berlusconi a La Russa è solo l’apice di un dramma che i cinici di complemento si sono affannati a chiamare “politica”. Ma non c’è niente di realmente politico in quel che è accaduto. O forse bisogna intendersi su cosa significhi, occuparsi della Res pubblica.

Se significa segnare un punto, preparare il terreno per un cambio di campo, accaparrarsi qualche ruolo di peso negli uffici di Camera e Senato e nelle commissioni bicamerali, dimostrare di esserci e di saper usare il proprio peso in Parlamento, allora sì: complimenti a chi davanti alla prima subitanea disfatta del centrodestra nell’aula di Palazzo Madama ha saputo approfittarne. Il risultato è stato eleggere come seconda carica dello Stato l’uomo forse più a destra dell’intero Parlamento, collezionista di busti del Duce, orgogliosamente “non antifascista”. Aiutando così Giorgia Meloni a umiliare l’alleato Silvio Berlusconi, sperando forse che questo possa terremotare la coalizione. Anche se, ripeteva ieri Matteo Renzi nel Salone Garibaldi, “quelli sono di destra, alla fine l’accordo lo trovano sempre”.

Ma facciamo un esercizio di stile, visto che nella realtà sarà molto difficile che accada: proviamo a pensare cosa avrebbe fatto una vera opposizione di centrosinistra, davanti alla possibilità di far saltare il nome di La Russa e di incunearsi nelle divisioni subito scoppiate dentro la destra. Magari avrebbe cercato una strategia comune, un nome sul quale far convergere i suoi voti. Avrebbe fatto sì che il primo passo di Giorgia Meloni nel nuovo Parlamento fosse una sconfitta. Avrebbe potuto perfino tenere fede e a tutte le cose dette in campagna elettorale: che c’è un pericolo di banalizzazione del passato fascista, che bisogna tenere desta la memoria.

E invece è stato tutto un reciproco “è stato lui”, “no lui”, “allora quell’altro?”, e improvvisamente la voce di Liliana Segre è apparsa lontana anni luce e siamo ripiombati qui dove siamo: c’è un centrodestra che grazie alla capacità di tenersi saldo alle elezioni ha avuto più seggi di quanti le percentuali dei tre partiti che lo compongono potessero fargli sperare (vale sempre la pena ricordare l’assurdità del mai abolito Rosatellum). Una coalizione di governo che non riesce a mettersi d’accordo neanche sul suo primo atto istituzionale, talmente il decisionismo di Meloni sta facendo impazzire colui che finora ha sempre comandato: aveva un foglietto con su scritti i ministeri desiderati, Berlusconi. Una cartelletta che continuava ad aprire e chiudere come se questo potesse magicamente cambiare la realtà, far svanire quelli che egli stesso definisce “veti inaccettabili”. Non è successo, l’umiliazione è bruciante, le conseguenze ancora imperscrutabili.

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I pilastri della civiltà repubblicana

venerdì, Ottobre 14th, 2022

MASSIMO GIANNINI

Il discorso di Liliana Segre al Senato resterà nella nostra Storia e nei nostri cuori. Nel giorno in cui comincia la stramba legislatura delle tre destre battezzata dal Vaffa del Cavaliere, nell’ora in cui Ignazio Benito Maria La Russa viene eletto presidente dell’assemblea di Palazzo Madama, questa donna straordinaria sopravvissuta alla Shoah passa a lui un testimone gravoso e regala a tutti noi un dono prezioso. In questi tempi di conformismo che sa già di revisionismo, ci vuole un immenso coraggio ad evocare in quell’aula che fu sorda e grigia “la vertigine” della Marcia su Roma e le “leggi razziste” del 1938, Giacomo Matteotti “capofila” della nostra battaglia contro il fascismo e poi la Festa della Liberazione.

In questa camaleontica epifania di un potere che dichiara “finita la pacchia” e già vaneggia di indefiniti presidenzialismi, ci vuole forza morale a ricordare che l’unità del nostro popolo, forgiata nella memoria del 25 aprile e del 2 giugno, nasce nella Costituzione, che non è un pezzo di carta ma il testamento di 100 mila morti caduti per la libertà, e che invece di voler cambiare faremmo bene ad attuare una volta per tutte. Non c’è altro da ricordare, a Giorgia Meloni che sta per entrare a Palazzo Chigi, alla maggioranza rissosa che già zoppica e all’opposizione sbandata che già offre stampelle.

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Filo Putin e anti-abortista, ecco chi è Lorenzo Fontana: il fedelissimo del leader che boicotta le famiglie gay

venerdì, Ottobre 14th, 2022

Antonio Bravetti

ROMA. Filo putiniano. Folgorato dal «grande risveglio religioso cristiano» della Russia contemporanea. Amante della famiglia tradizionale, anche perché quelle arcobaleno «non esistono». Euroscettico. Anti abortista. Una gioventù tra la chiesa e la curva un po’ nazi del Verona calcio. Da oggi, forse, presidente della Camera dei deputati. Lorenzo Fontana, classe 1980, è il candidato della Lega per lo scranno più alto di Montecitorio. «Dite che Giorgetti va a fare il ministro dell’Economia e lui risponde che va a fare l’allenatore della Juventus – scherzava ieri – allora io vado ad allenare il Verona. Siamo messi bene tutti e due».

E’ stato ministro della Famiglia prima e degli Affari europei poi nel governo Conte I, da quasi sette anni è il vicesegretario e responsabile Esteri della Lega salviniana. Ha tre lauree: in Scienze Politiche, in Storia e in Filosofia all’Università pontificia San Tommaso d’Aquino Angelicum, dove sta studiando per ottenere la quarta. Europarlamentare per due mandati, dal 2009 al 2018, negli anni a Strasburgo conosce e frequenta Salvini ed è colui che contribuisce a creare il legame tra il segretario leghista e Marine Le Pen («Un’alleanza storica che ho contribuito a stipulare», dice). Di recente è stato tra i promotori del progetto salviniano, finora fallito, volto alla creazione di un maxi-gruppo di centrodestra in Europa, che vada dai Popolari ai Conservatori, passando per Viktor Orban.

Da appassionato studioso della Russia di Putin nel 2014 vola in Crimea per l’annessione come osservatore internazionale. Vede cose, conosce gente. Torna e presenta un’interrogazione all’Europarlamento: «Considerando che il sì al referendum sopraccitato ha raggiunto quota del 96.6 %, quali sono le ragioni sulla cui base l’Ue vi dimostra avversione politica?». Non pago, aggiunge: «Il popolo della Crimea sente di essere tornato alla casa madre, la Ue dovrebbe fare un passo indietro sulle sanzioni alla Russia». Nel 2018 è illuminato dal «risveglio» putiniano, ne resta folgorato, come John Belushi nella chiesa di James Brown: «Ho visto in questo una luce anche per noi occidentali, che viviamo la grande crisi dei valori, immersi come siamo in una società dominata culturalmente dal relativismo etico».

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Senato, Forza Italia spaccata. E adesso Licia Ronzulli vorrebbe diventare coordinatore

venerdì, Ottobre 14th, 2022

di Francesco Verderami

La mossa dell’opposizione ieri non era un modo per aiutare Meloni, ma per iniziare a spartirsi ciò che resta dell’impero berlusconiano

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Attestato dietro la linea Maginot dei tre ministeri per Forza Italia, Berlusconi capitola a palazzo Madama. Viene sorpreso da una manovra ai fianchi condotta da 17 senatori dell’opposizione, che consentono l’elezione di La Russa a seconda carica dello Stato. Il blitz non ha nulla di casuale e Meloni non poteva non sapere, se è vero che nei giorni scorsi il candidato alla presidenza del Senato aveva incontrato Renzi e autorevoli esponenti del Pd in vista delle votazioni.

Le ultime notizie sul governo e l’elezione del presidente della Camera

E tutti ieri hanno messo il pugnale nell’urna contro il Cavaliere. Politicamente c’è la prova. Da solo Renzi non poteva dare garanzie numeriche, perché il suo gruppo è piccolo e in più c’era la contrarietà di Calenda. Il Pd, che oggi alla Camera medita di votare un candidato di bandiera, stranamente non l’ha fatto al Senato dove i margini per il centrodestra erano più risicati. Quanto a Conte, ha copiato una vecchia mossa di Bossi, che nel 1993 «salvò» a scrutinio segreto Craxi dalla prima richiesta di autorizzazione a procedere, per sfruttare il risultato nella campagna contro «Roma ladrona».


Insomma, a palazzo Madama c’è stata una convergenza di interessi. La mossa dell’opposizione ieri non era un modo per aiutare Meloni, ma per iniziare a spartirsi ciò che resta dell’impero berlusconiano, manco fosse la Polonia del 1939. Invano Gianni Letta l’altra sera aveva messo il Cavaliere sull’avviso. «Ricevo risposte offensive qualsiasi cosa chieda», era sbottato Berlusconi parlando della premier in pectore: «Non me lo merito». Può darsi avesse intuito l’accerchiamento, ma la prova di resistenza al Senato si è tramutata in una disfatta e ha avuto come effetto l’implosione di Forza Italia.

Così il ritorno in Parlamento è stato amaro. Raccontano che la figlia Marina sia contrariata per quanto è successo al genitore, e anche Fascina si sarebbe resa conto del danno subito dal suo compagno. La causa, secondo Tajani, è «la linea demenziale» che è stata suggerita al Cavaliere. L’indice è puntato verso Ronzulli, additata dagli avversari interni come la regista dell’asse con Salvini, che poi però ha votato per La Russa. Si vedrà se il capo della Lega ha solo accettato la logica dei rapporti di forza nell’alleanza o medita anche lui di partecipare alla spartizione di Forza Italia.

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Silvio Berlusconi, il giorno più nero. I no su Ronzulli e Giustizia. I falchi: da soli al Quirinale

venerdì, Ottobre 14th, 2022

di Tommaso Labate

L’ex premier ha invocato una compensazione per Forza Italia senza presidenze delle Camere: lo dice il manuale della politica. Ma la leader: scusami, di quale manuale stai parlando?

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«Allora, Giorgia. Secondo il manuale della politica, dopo le elezioni dei presidenti delle Camere di Fratelli d’Italia e Lega, a Forza Italia spetterebbero…». «Scusami presidente, di quale manuale stai parlando?». Ecco, alla fine una giornata iniziata prestissimo a Montecitorio e conclusasi tardissimo a Villa Grande, gli interlocutori di Silvio Berlusconi racconteranno di non averlo visto così neanche nei momenti più cupi del rapporto con Umberto Bossi o Gianfranco Fini, in quelle fasi della sua vicenda politica e umana che si erano concluse con un «addio» che in certi casi — non tutti — era stato poi rivisto in «arrivederci».

Le ultime notizie sul governo e l’elezione del presidente della Camera

Succede tutto la mattina, nell’evento riservato che determinerà gli altri clamorosi eventi che si manifesteranno sotto gli occhi di tutti, dal «vaffa» plateale pronunciato (ma non rivolto) a Ignazio La Russa alla scelta di Forza Italia di non votare per l’esponente di FdI, che poi sarebbe stato eletto alla presidenza del Senato con una dozzina abbondante di voti dell’opposizione, certificando una sconfitta tattica di Forza Italia.

Il nodo principale

L’evento riservato è l’incontro alla Camera tra Berlusconi e Meloni, che parte come peggio non potrebbe. Il leader azzurro invoca una compensazione in termini di ministeri per Forza Italia, che si ritrova senza presidenze delle Camere. In realtà il punto è sempre lo stesso: un posto da ministro per Licia Ronzulli, tanto che il nome della fedelissima è scritto tre volte nei fogli di quella carpetta in pelle più tardi immortalata da centinaia di fotografi a Palazzo Madama. Prima era la Salute, adesso il Turismo, in ogni caso un ruolo nel governo che invece Meloni non vuole concedere. Nella stanzetta scende il gelo. «Giorgia, tu sei disposta a riconoscermi tre ministeri in più?», è l’argomentazione di Berlusconi. «No», risponde la presidente del Consiglio in pectore col sorriso di chi si trova di fronte a una pretesa assurda.

Saranno dei secchi «no» anche le repliche alla richiesta berlusconiana di avere due ministeri in più, poi uno solo. «E va bene, Giorgia. Allora veniamo ai ministri», azzarda Berlusconi iniziando l’elenco. «Sei disposta ad avere Tajani agli Esteri?». «Sì», è la risposta. Sarà l’unica risposta affermativa che arriva da Meloni. Che poi pronuncerà gli altri due «no» secchi che spingono Forza Italia fuori dal perimetro degli elettori di La Russa alla presidenza del Senato: il primo è per il ministero della Giustizia, che non finirà a un esponente indicato dagli azzurri; il secondo è per Licia Ronzulli, la cui presenza è destinata a rimanere fuori dai radar ministeriali.

Psicodramma azzurro

A questo punto inizia lo psicodramma collettivo degli azzurri. Berlusconi si lascia convincere dalla cerchia ristretta, guidata da Ronzulli, a chiamarsi fuori dal voto per La Russa in Senato. Qualcuno, all’interno del partito, attribuisce a Tajani una volontà uguale e contraria. E dire che nessuno, e siamo a poco prima delle 13, ha ancora previsto l’uragano in arrivo. E cioè il fatto che di voti per La Russa, nell’urna, ce ne saranno a sufficienza.

Nelle successive stazioni di una giornata trasformatasi in calvario, Berlusconi dirà che «era giusto mandare un segnale», che «non si devono mettere veti», che «sia io che Casellati abbiamo invece votato per l’amico La Russa»; argomenterà che i voti che hanno messo in sicurezza l’elezione del presidente del Senato c’erano già, garantiti «da Renzi e dai senatori a vita»; e in serata, prima di chiudersi a Villa Grande, confesserà a un alleato «che non ho chiesto ai senatori di votare per La Russa per non dare l’impressione ai tanti parlamentari di prima nomina amici della Ronzulli di essere finiti all’interno di un partito dittatoriale».

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Governo e l’elezione del presidente della Camera | Tajani: «Forza Italia voterà Fontana»

venerdì, Ottobre 14th, 2022

di Redazione Online

Le news in diretta sull’insediamento del Presidente della Camera dei Deputati e la formazione del nuovo governo con la premier in pectore Giorgia Meloni, il nuovo Parlamento, i possibili ministri, Meloni e gli altri protagonisti

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• Dopo le tre fumate nere di ieri, alle 10.30 si prosegue con la quarta votazione a maggioranza semplice per l’elezione del presidente della Camera. L’obiettivo della Lega è di portare sullo scranno più alto Lorenzo Fontana.
• Ieri un clamoroso colpo di scena ha portato all’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato – la seconda carica dello Stato – con 116 preferenze, ma senza i voti di Forza Italia. Sarebbero quindi 17 i senatori dell’opposizione che lo hanno scelto.

Ore 09:46 – Marattini: «Noi su Richetti. Avrà due voti in meno, si sappia»

«Noi voteremo Matteo Richetti. Abbiamo due assenti, che si sappia subito. Ettore Rosato non potrà votare perché presiederà l’Assemblea ed Elena Bonetti è in missione. Quindi noi avremo 19 voti per Matteo Richetti». Lo ha detto Luigi Marattin, parlamentare di Italia Viva – Azione, ad Agorà su Rai Tre.

Ore 09:44 – Lupi: «Fontana autorevole, sarà presidente di tutti»

«Fontana è una persona autorevole, ha già fatto il vicepresidente della Camera, è stato ministro, è espressione di un partito importante come la Lega e credo che la Lega abbia fatto bene a designare la persona che ritiene più autorevole per fare il presidente della Camera. Avrà la sensibilità, una volta eletto, di essere il presidente di tutti». Così il capo politico di Noi Moderati Maurizio Lupi, in arrivo a Montecitorio, sull’elezione del presidente del Senato e le polemiche sui voti dall’opposizione. Sui trascorsi di Fontana e sulle sue posizioni filo-putiniane, Lupi getta acqua sul fuoco. «Si viene giudicati dalle azioni. Ho visto presidenti partiti sulla base di un pregiudizio che poi sono stati grandi presidenti, penso a Violante» e «ho visto tante persone rincorrere prima Putin, poi la Cina… quando si governa un paese valgono le scelte, le politiche e i voti che si fanno in parlamento, non le dichiarazioni. Il centrodestra sull’europeismo, sull’atlantismo, sull’appartenere all’alleanza occidentale è sempre stato molto chiaro, dalla Lega a noi moderati».

Ore 09:28 – Azione-Iv voteranno Richetti presidente

I deputati di Azione-Iv scriveranno il nome di Matteo Richetti sulla scheda, nel corso della quarta votazione per eleggere il presidente della Camera che inizierà tra poco. E’ quanto si apprende da fonti del partito che sottolineano come i voti totali del gruppo saranno 19, dal momento che Elena Bonetti è in missione a Berlino e Ettore Rosato presiederà la seduta e non parteciperà al voto.

Ore 09:27 – Pd vota Maria Cecilia Guerra presidente

È in corso l’assemblea dei deputati del PD con il segretario Enrico Letta per decidere come votare durante l’elezione del presidente della Camera. Letta, a quanto si apprende dai partecipanti, avrebbe proposto di votare Maria Cecilia Guerra come candidata di bandiera.

Ore 09:18 – Orfini: «Pensavo nessuno peggio di La Russa, ma sbagliavo»

«Quando ho visto che al Senato la candidatura del centrodestra era La Russa, ho pensato che almeno a noi alla Camera difficilmente sarebbe toccato di peggio. Mi sbagliavo». Lo scrive su Twitter il deputato Pd, Matteo Orfini.

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