Archive for Gennaio 13th, 2023

Metsola: “Sulle potenze straniere servivano più controlli. Ora taglierò la pensione ai deputati condannati”

venerdì, Gennaio 13th, 2023

dal nostro corrispondente Claudio Tito

BRUXELLES – “Sulle interferenze straniere avremmo dovuto vigilare di più”, non solo per quanto riguarda il Marocco e il Qatar ma anche sulle altre autocrazie come la Russia e la Cina. Il Parlamento europeo “non meritava questo scandalo” e ora serve una risposta in tempi brevi. In discussione c’è anche l’ipotesi di sospendere la pensione per chi viene condannato a oltre due anni di reclusione. “Ridurremmo i tempi” anche per la revoca dei due eurodeputati indagati, Andrea Cozzolino e Marc Tarabella, ma serviranno “due mesi”. La presidente del Parlamento europeo, la maltese Roberta Metsola, prova a reagire dopo la tempesta che ha investito l’unica istituzione elettiva dell’Unione europea. Ieri ha proposto un pacchetto di 14 misure per provare ad arginare i rischi di corruzione e inquinamento dell’attività parlamentare. “Tutti i gruppi mi hanno detto di andare avanti”.

Facciamo però un passo indietro. Che sensazione ha avuto quando sono uscite le notizie sul Qatargate?
“Uno shock. Beh, io ero a Malta. Ero andata a trovare alcuni parenti che non stavano bene. Ho chiesto: quanto è grande questa vicenda? Di chi si tratta? Chi e come hanno fatto tutto questo, ma non conoscevo la persona al centro dell’inchiesta”.

Panzeri?
“Si, mai conosciuto. Volevo dare una risposta immediata perché il Parlamento non si meritava questo scandalo. Ero furiosa. Ho detto: dobbiamo reagire. Abbiamo lavorato tutte le vacanze di Natale per questo”.

Però sembrano misure sulla carta. Quando potranno essere concretamente approvate?
“Alcune regole ci sono già: dichiarazioni sugli incontri, conflitto di interessi, chi ti paga, cosa dichiarare. Possiamo rinforzarle subito e renderle operative. E da subito fermiamo gli accrediti permanenti per gli ex europarlamentari. Su questo ho ricevuto il sostegno unanime dei capigruppo. Ho il permesso di approfondire subito tutti i temi immediatamente. E domani (oggi ndr) ci sarà già riunione tecnica su questi punti. Poi ci sono altre questioni che riguardano il comitato etico o la commissione d’inchiesta e che richiedono tempo. Sono procedure sui cui dobbiamo stare attenti. Toccano le istituzioni”.

Anche le cosiddette porte girevoli per gli ex europarlamentari che svolgono attività di lobbing?
“Ecco, questa sarà la cosa più difficile. Per me è importate introdurre un sistema per cui non si può cominciare subito a fare lobbing. Dovremo negoziare, a partire dalla tempistica. Su quanto deve durare il divieto”.

Perché la più difficile?
“Ci sono opinioni molto differenti. Ad esempio: può essere applicabile ma non obbligatoria perché non siamo come la Commissione Ue che paga per due anni dopo il mandato per non lavorare sulla stessa materia. Non voglio dire che questo Parlamento sia stato vittima della corruzione ma ci siamo aperti per essere trasparenti. Certo la cosa più semplice sarebbe non incontrare nessuno e legiferare senza parlare con gli stakeholders. Ma una volta che le regole non sono state rispettate – e in questo caso siamo dentro una corruzione criminale con milioni di euro in gioco provocata da una interferenza straniera – qualcosa andava fatta”.

Ma lei pensa che questi provvedimenti possano davvero bloccare episodi del genere? Sembrano tutti facilmente aggirabili.
“Adesso forse si. Ma li rafforzeremo”.

Come?
“Con un codice di condotta che se viene violato si può venire da me, in presidenza, con una raccomandazione del comitato che si occupa di questi casi. Voglio insomma assicurarmi che ci siano sanzioni disponibili e rapide. Le sanzioni sono i veri deterrenti. Oggi è così per tutti? Ad esempio per i relatori-ombra? No e allora voglio che non sia più così”.

D’accordo. Ma quali sono le sanzioni?
“Alcune sono già previste nel regolamento. Si può perdere lo stipendio. Un paio di gruppi hanno chiesto di andare oltre e di bloccare anche la pensione. Chi viene condannato a più di più di due anni di reclusione, perde la pensione. È un’ipotesi ma devo vedere se è legalmente possibile. So che il potere può portare il crimine e allora servono dei “firewall”. L’allarme insomma deve suonare prima”.

Lei ha avuto la sensazione che oltre al Qatargate in questi anni ci sia stata la possibilità di condizionare e infiltrare il Parlamento anche da altre forze straniere come la Russia e la Cina?
“La cosa più sorprendente non era che ci fossero dei rappresentanti stranieri invitati a parlare. O che mi abbiano invitato ad assistere ai mondiali di calcio. Ho detto no. Ma chi mai me l’avrebbe detto in quel momento…”.

Una fortuna.
“E mi sono ricordata di aver detto no solo dopo. Ciò che mi ha sorpreso di più non è stato che un paese terzo cercasse di influenzare ma che una Ong, una cosiddetta Ong che si occupa di diritti umani, sia stata utilizzata da un regime autocratico per corrompere”.

Ma ha mai avuto sospetti?
“Sospetti no. Mi sono resa però conto che c’era qualcosa di diverso quando si è svolta quella votazione in quella commissione. Forse si è arrivati al Qatar nelle indagini pensando che i manovratori fossero Russia e Cina. Siamo sempre preoccupati per questo genere di cose, ma il punto è che in questo caso ci sono riusciti”.

Eppure poco più di un anno fa il Parlamento aveva già approvato un rapporto che indicava la Russia e la Cina come Paesi in grado di infiltrare e penetrare l’Ue. Perché non si è subito corso ai ripari?
“Col senno di poi ci si sarebbe potuto chiedere cosa stesse succedendo nella commissione parlamentare sui diritti di cui forse ci si sarebbe potuti fidare di meno. Ma siamo membri eletti e siamo responsabili nei confronti dei nostri elettori. Certo quando abbiamo parlato di interferenze straniere, della Bielorussia o di paesi autocratici, avremmo dovuto controllare, ad esempio quando un deputato cambia posizione. Ecco perché essere più trasparenti ci proteggerà senza però colpire la libertà del mandato parlamentare. Serve responsabilità”.

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Caro carburanti, Giorgia Meloni alla prova delle accise

venerdì, Gennaio 13th, 2023

di Luca Ricolfi

Non credo che i primi passi falsi del governo Meloni, dalla marcia indietro sul Pos alla riscrittura delle norme sui rave party, abbiano turbato troppo l’elettorato: sono cose abbastanza marginali, che toccano in modo diretto poche persone.

Alquanto diverso è invece il caso delle accise sui carburanti, ridotte con vari decreti da Draghi (e in parte da Meloni stessa), ma sostanzialmente ripristinate con la Legge di bilancio.

Discutere se si tratti oppure no di una promessa mancata è meno rilevante rispetto ad un altro dato: l’aumento del prezzo dei carburanti è tangibile, riguarda quasi tutti, ed è di entità non trascurabile (in media 35-40 euro al mese per famiglia, secondo una mia stima). Insomma, è una di quelle mosse cui non si può non reagire.

Non sappiamo che cosa succederà nei prossimi giorni, e se ci sarà da parte del governo un tentativo di correre ai ripari, ad esempio mediante un nuovo (inevitabilmente modesto) taglio delle accise, o mediante buoni-carburante per certe categorie, o mediante un allineamento al ribasso delle accise del gasolio e della benzina, come suggerito dall’Istituto Bruno Leoni. O se, invece, il governo terrà duro, lasciando le cose come stanno e spiegando perché non ha rinnovato il taglio delle accise.

Quel che mi sembra certo è che, coerenza con le promesse elettorali a parte, dare una spiegazione non è difficile. La ratio della misura è infatti molto semplice e chiara: mantenere la riduzione delle accise si poteva fare solo in due modi, ovvero con 10-12 miliardi in più di debito pubblico, o con 10-12 miliardi in meno di sostegni alle famiglie e alle imprese. Nessuna delle due opzioni sarebbe stata indolore, ed è tutto da dimostrare che sarebbero state opzioni più favorevoli ai ceti popolari e/o meno rischiose per l’economia.

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Covid, casi in calo del 38% ma l’Rt in leggera salita

venerdì, Gennaio 13th, 2023

di Michele Bocci

L’Rt sale leggermente ma resta comunque sotto la soglia di 1, quindi l’epidemia continua a rallentare. Il dato è di 0,91 (un po’ insalita rispetto allo 0,83 della scorsa settimana). Il valore rende conto della situazione dei 15 giorni precedenti, quando viene calcolato dalla Cabina di regia di Istituto superiore di sanità e ministero alla Salute.

Più aggiornato è il dato dell’incidenza, cioè del numero di casi settimanali. Anche quello è in miglioramento, visto che è sceso a 143 contro il 231 di venerdì scorso. La riduzione è importante, del 38,09%. I casi settimanali sono quindi stati circa 84.300 contro i 135.990 della settimana precedente. Il dato è il più basso da novembre del 2021. La situazione quindi è molto positiva e per ora non si vedono effetti delle varianti che circolano in altri Paesi. La causa potrebbe essere anche una importante riduzione dei tamponi.

Il tasso di occupazione in terapia intensiva, dicono dall’Istituto superiore di sanità, è in lieve calo, cioè al 3,1% rispetto al 3,2% della settimana scorsa. quello delle aree mediche scende al 10,1% dal 12,1%.

“Nessuna Regione/PA è classificata a rischio alto. Sette sono a rischio moderato e quattordici classificate a rischio basso”, spiega la Cabina di regia.

REP.IT

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La Prof impallinata

venerdì, Gennaio 13th, 2023

Massimo Gramellini

Non sarò una mamma finlandese, però nutro anch’io qualche lievissima perplessità sullo stato di salute della scuola italiana. E forse non solo della scuola. A Rovigo, per dire, c’è una professoressa di scienze, Maria Luisa Finatti, che ha appena denunciato alla magistratura una classe intera, ventiquattro ragazzi: alcuni di loro per averle sparato addosso dei pallini con un fucile ad aria compressa, e gli altri per avere ripreso e diffuso la scena sui social con commenti tra il gongolante e l’irridente. L’episodio risale all’ottobre scorso. Ebbene, a dar credito alla prof, ciò che l’ha spinta a compiere un gesto così irrituale è stato il silenzio di tutti.



Il silenzio degli studenti, tranne l’unico che si è scusato, ma di nascosto, per non fare brutta figura con i compagni. Il silenzio della scuola, che non ha ancora preso provvedimenti nei confronti dei pistoleri. Ma soprattutto il silenzio delle famiglie: in tre mesi neanche un genitore di quella scoppiettante combriccola si è sentito in dovere, non dico di strigliare il proprio figliolo (e quando mai?), ma almeno di chiamare la prof per chiederle come stava, esprimerle solidarietà e tentare di ricostruire un canale di comunicazione tra la famiglia e la scuola, le due istituzioni in disarmo che si occupavano dell’educazione dei giovani prima di essere rimpiazzate dai più agili smartphone. Un’istituzione non dovrebbe mai fare pena, ma non saprei descrivere diversamente ciò che provo per quella professoressa, e un po’ per tutti noi.

CORRIERE.IT

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Bindi e Dirindin: la Sanità svenduta in nome del mercato, ma l’Italia rimane un piccolo miracolo

venerdì, Gennaio 13th, 2023

RosY Bindi, Nerina Dirindin*

Il Servizio sanitario nazionale, un presidio fondamentale per la salute delle persone e per la solidarietà nazionale, è oggi malato. Unanimemente riconosciuto punta avanzata della pubblica amministrazione e all’avanguardia nel panorama internazionale, il Ssn appare sempre più «non autosufficiente», ovvero incapace di svolgere autonomamente le funzioni che gli sono proprie. Conosciamo le cause della malattia; per troppi anni è stato sottoposto a interventi contrari al rispetto dei principi costituzionali e dei diritti umani fondamentali, assecondando l’idea che il mercato avrebbe comunque potuto sostituire buona parte della sanità pubblica, quella più in grado di generare profitti. Condividiamo le tante grida di allarme che (solo) ora si levano forte, ma non accettiamo la diagnosi di incurabilità espressa da molte voci, spesso non disinteressate. Riteniamo al contrario che il Ssn possa ancora essere salvato, e si debba combattere per ridargli ruolo e dignità. Perché in assenza di sostanziali interventi straordinari e di un grande lavoro trasformativo sul piano culturale e politico, la sua «non autosufficienza» è destinata ad aggravarsi e gli italiani sono destinati a vedere la propria salute sempre più condizionata dalla loro situazione socio-economica.

Eppure, nonostante le sue tante pecche, il Ssn è un piccolo capolavoro: è l’espressione della capacità del nostro Paese di raggiungere grandi risultati con poche risorse. A dispetto della storica penuria di risorse, il Ssn ha infatti sempre saputo produrre buoni risultati in termini di salute. Valga per tutti un dato poco noto: il numero di decessi (per 1000 abitanti) ritenuti potenzialmente evitabili attraverso il ricorso a interventi sanitari tempestivi e appropriati è in Italia del 30% inferiore alla media Ue (24% in meno della Germania). Anche il tasso di sopravvivenza ai tumori è superiore alla media Ue. Un capolavoro, se si pensa che l’Italia destina complessivamente alla sanità un ammontare di risorse del 25% inferiore alla media Ue, mentre Francia e Germania spendono rispettivamente il 45% e l’85% in più (calcolate per abitante e a parità di potere d’acquisto – dati Oecd riferiti al 2019).

Ma come si spiega l’apparente paradosso della bassa spesa e dei buoni risultati? Innanzitutto, un sistema universale come il nostro evita la spirale dei costi propria dei modelli basati sulle assicurazioni sociali o sulle polizze malattia (come dimostra la letteratura specialistica sui sistemi sanitari comparati). Conta la competenza acquisita nel tempo dai professionisti della sanità pubblica: il Ssn è l’unico settore della pubblica amministrazione che negli ultimi decenni si è dotato di un apparato tecnico e di un sistema di governance che – per quanto imperfetti – non hanno eguali negli altri comparti pubblici. C’è poi la preparazione dei professionisti e la loro dedizione alla sanità pubblica, magistralmente svelate in occasione della pandemia ma ancora poco riconosciute – se non a parole – dai decisori e dalla politica. Conta il ruolo svolto dalle famiglie (e dalle donne) nella cura di molte persone fragili, senza gravare eccessivamente sulla spesa pubblica. E, per ironia della sorte, contano le politiche di risanamento della finanza pubblica che hanno costretto la sanità pubblica a puntare sull’appropriatezza e sull’essenziale. E così il Ssn ha via via imparato a operare sempre con meno risorse, mentre i governi hanno imparato a imporre sempre maggiori sacrifici, confidando sul fatto che nessun ospedaliero avrebbe abbandonato un paziente alla fine del proprio turno di lavoro o si sarebbe sottratto ai doveri cui deve adempiere «quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera» (come afferma il codice di deontologia medica). Un modo di procedere, quello dei governi, poco responsabile e al contempo poco rispettoso della dignità del lavoro di cura, che invece andrebbe protetto e valorizzato. Ma ormai il vaso è colmo, gli operatori si sentono traditi e le persone si stanno abituando a rivolgersi al privato.

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Le giravolte della premier

venerdì, Gennaio 13th, 2023

ANNALISA CUZZOCREA

Andare di corsa nei telegiornali delle 20, Tg1 e Tg5, per riscrivere per la terza volta in tre giorni la versione sul mancato taglio delle accise sulla benzina significa aver capito di aver sbagliato molto, in questa storia. Forse tutto. Giorgia Meloni non ha solo paura della rivolta dei benzinai, che pure può considerare parte della sua base elettorale. Le preoccupazioni della presidente del Consiglio riguardano tutto l’elettorato, perché non c’è tema più trasversale del costo dei carburanti. Ne sa qualcosa Emmanuel Macron, che ha visto le città francesi messe a ferro e fuoco dai gilet gialli. Non è certo un grande amico della premier italiana, il presidente francese, ma ha vissuto l’incubo che lei preferirebbe evitare.

Solo che, neanche fosse Fonzie in Happy Days, Meloni non riesce a dire: avevamo fatto male i calcoli, ci siamo sbagliati. Prima adotta la tecnica populista per antonomasia: è colpa della speculazione! Qualcuno ci sta marciando, interessi oscuri rialzano il prezzo alla pompa. Parte la caccia ai “furbetti”, con tanto di convocazione a Palazzo Chigi del comandante della Guardia di Finanza e di strigliata – con conseguenti maggiori poteri di monitoraggio e sanzionatori – a mr Prezzi, nel nome della trasparenza.

Le dichiarazioni in questo senso si susseguono anche nelle ore in cui è il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica a certificare che no, non c’è nessuna speculazione, il prezzo medio dei carburanti sale esattamente del costo dell’accisa reintrodotta. La versione cambia, siamo al taccuino della premier e al “bagno di realismo”. Riassumiamo: “Sapevamo che i prezzi sarebbero aumentati, ma il taglio delle accise è ingiusto, aiuta anche i miliardari, noi abbiamo deciso di concentrarci sui più bisognosi, e poi il video in cui parlavo della necessità del taglio era del 2019, nell’ultimo anno non mi sarei mai sognata di dirlo. Sono una persona seria, io”.

Ai quotidiani e alle residue forze di opposizione basta andare a pagina 26 del programma di Fratelli d’Italia per leggere la promessa di “sterilizzazione delle entrate dello stato da imposte su energia e carburanti” e di “automatica riduzione di Iva e accise”. Ai tg, la premier la spiega così: “Non si parla di taglio, ma di sterilizzazione. Vuol dire che se il prezzo sale oltre una determinata soglia, quello che lo Stato incassa in più di Iva verrà utilizzato per abbassare il prezzo. Che è quello che si sta facendo anche con questo decreto”. Peccato che per farlo, il decreto sia stato modificato dal Consiglio dei ministri di ieri sera. È stata riesumata una vecchia norma del 2007 e pare saltato pure il tetto ai prezzi del carburante in autostrada.

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Harry, il più odiato dagli inglesi: “Spare” va a ruba, ma la popolarità dell’ex principe crolla. E lui litiga con Meghan

venerdì, Gennaio 13th, 2023

Emanuela Minucci

Guadagnerà anche 12 milioni di sterline al giorno, grazie al suo memoir «Spare», «il figlio di scorta»,  ma sarà difficile che l’ex principe Harry potrà goderseli in patria quei soldini. Al momento infatti , secondo un autorevole sondaggio dio ,,, , è l’uomo più odiato d’Inghilterra. E questo è soltanto l’ultimo degli effetti negativi  legati all’uscita della sua corposa autobiografia. Il primo è che il figlio di Carlo III non è più gradito alla cerimonia di incoronazione del sovrano prevista per il 6 maggio. Più il libro vende e più – per assurdo – cresce la popolarità della famiglia reale che anziché distrutta – a suon di «never complain and never explain» (mai lamentarsi, ma spiegare) hanno ricevuto applausi e sorrisi a non finire. Carlo d’Inghilterra in Scozia e Kate e William a Londra per inaugurare ufficialmente il Royal Liverpool University Hospital.

La lite con Meghan (divorzio in vista?)
Nemmeno il tempo di festeggiare per le vendite record di Spare, quasi 2 milione di copie solo nel Regno Unito, e già il principe Harry con un feroce gossip riguardante una furiosa lite con la moglie Meghan Markle. A sganciare è stato il magazine tedesco «Frau Aktuell», secondo cui i Duchi del Sussex (ribattezzati malignamente i duchi di Montecito) sarebbero stati protagonisti di una discussione così accesa da richiedere l’intervento della polizia della contea californiana dove vivono. Ovviamente, conferme dai diretti interessati non ce ne sono, prove fotografiche dell’arrivo delle volanti nemmeno, eppure l’indiscrezione ha fatto il giro del mondo. Quale sia stato il motivo scatenante non è dato saperlo, ma che tra i due le acque siano piuttosto agitate è una di quelle voci che circolano con insistenza da mesi, tanto che diverse fonti vicine all’ex attrice raccontano di come Meghan starebbe pianificando nei dettagli le tappe verso il divorzio.

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Berlusconi: “Il primo errore di Giorgia”. La premier furiosa lancia l’offensiva in tv

venerdì, Gennaio 13th, 2023

FEDERICO CAPURSO, FRANCESCO OLIVO

ROMA. Nella sua giornata peggiore a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni si ritrova da sola. Ha un consenso forte, ma in tempi mutevoli e nevrotici, basta un niente per far cambiare il vento. L’ondata di malcontento scatenata dagli aumenti, veri, percepiti o gonfiati che siano, rischia di interrompere, o per lo meno di macchiare, una luna di miele finora tutto sommato serena.

Lo sconto alle accise per ora non torna, al di là di quello che Giancarlo Giorgetti aveva ventilato, ma occorre spiegarlo anche ai telespettatori dell’ora di punta. Poi ci sono gli alleati che attaccano. Silvio Berlusconi non vuole guerre, ma fa una considerazione che ha un suo peso: «Quello sulla benzina è il primo errore della signora Meloni». Poi c’è Matteo Salvini che, occupato com’è dai cantieri del suo ministero, non spende una parola per difendere la leader in difficoltà. Il Carroccio poi aspetta al varco i Fratelli d’Italia, l’appuntamento è per la ratifica del Mes, il fondo salva Stati che nessuno vuole utilizzare, ma che andrà presto approvato dal Parlamento.

La premier sa riconoscere i segnali e sono negativi: «Sono peggio di Fratoianni», dice privatamente degli alleati, con ironia amara. Le tv del Cavaliere non fanno che mandare in onda servizi con automobilisti inferociti. È il caso di intervenire subito, ammesso che non sia troppo tardi, prima di essere travolta (in termini di consenso) da una misura che la premier continua a ritenere giusta. Serve una controffensiva. Sin dalle prime ore del mattino i fedelissimi mandano alle agenzie dichiarazioni per giustificare le scelte dolorose del governo. Non basta, però, come non è bastato il video postato sui social mercoledì, e oggetto di critiche anche di molti fan, per le incoerenze rispetto alle promesse elettorali. Così, nel pomeriggio Meloni decide di concedere due interviste alle edizioni delle 20 dei tg di Rai e Mediaset. L’esigenza di dover spiegare, ancora una volta, la ragione per cui lo sconto deciso da Mario Draghi non sia stato rinnovato, è giustificata dalle prime rilevazioni nell’opinione pubblica.

C’è un’altra insidia poi: lo sciopero minacciato dai benzinai. Oggi le categorie saranno a Palazzo Chigi per scongiurare quello che un dirigente di Forza Italia definisce «il primo sciopero della storia indetto su una norma che nessuno ha capito», ovvero la cosiddetta operazione trasparenza che obbligherebbe i gestori a esporre cartelli con i prezzi medi del carburante. Una trovata che il responsabile Energia di Forza Italia, Luca Squeri, in un’intervista a La Stampa, ha definito «populista». Da Arcore si fanno diverse critiche alla gestione di questa prima piccola crisi. L’aumento così repentino dei prezzi poteva essere evitato, ragionano i berlusconiani, magari rendendolo più graduale di quanto è stato fatto o con una misura specifica nella manovra, quando era chiaro che il calo del prezzo del petrolio, previsto da Giorgetti, non sarebbe stato così consistente. «Un errore», ripetono gli azzurri, che si sono scagliati contro chi, anche da Palazzo Chigi, aveva addossato la colpa degli aumenti a una fantomatica speculazione.

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Cosa sappiamo, per certo, sul caso Emanuela Orlandi, in 10 punti

venerdì, Gennaio 13th, 2023

di  Fabrizio Peronaci

La verità storica e giudiziaria acquisita sul caso Orlandi, su cui il Vaticano ha riaperto le indagini: i pedinamenti di altre ragazze, i riscontri sulle due piste principali, il ruolo di Agca e De Pedis, il nesso con il caso Gregori

Cosa sappiamo, per certo, sul caso Emanuela Orlandi, in 10 punti
Emanuela Orlandi, scomparsa nel 1983, oggi avrebbe 55 anni

Emanuela Orlandi: inchiesta vaticana al via. 

Dopo l’accelerazione dei giorni scorsi, che ha portato all’apertura di un fascicolo per omicidio e occultamento di cadavere da parte del Promotore di giustizia della Santa Sede, Alessandro Diddi, per la prima volta saranno dunque le autorità ecclesiastiche, con il supporto della Gendarmeria, a tentare di risolvere l’intrigo legato alla scomparsa della «ragazza con la fascetta». Quarant’anni dopo i fatti (la ragazza sparì il 22 giugno 1983) e in un clima di grandi aspettative. 

Qualora la magistratura vaticana riuscisse ad arrivare dove non è giunta quella italiana, infatti, la luce della riconquistata verità e trasparenza su una pagina tanto buia e controversa si rifletterebbe anche sul pontificato di Francesco. Indizi, prove, riscontri: la possibile svolta passa da una rivisitazione delle piste percorse, che saranno scandagliate rivedendo vecchie carte e informative, nonché dall’audizione di nuovi testimoni. Un lavoro enorme, nel quale sarà centrale l’esame delle precedenti inchieste della Procura di Roma (1983-1997 e 2008-2015), da tempo archiviate. Con un obiettivo preliminare: individuare i fatti già emersi e indiscutibili, cristallizzati in verbali giudiziari sulla base di elementi probatori solidi, che possano essere usati  come «base istruttoria» per successivi accertamenti. E allora eccoli, i 10 punti fermi da cui partire.

1 – Azione premeditata

Una prima certezza riguarda la natura del crimine ai danni della sventurata Emanuela Orlandi: si trattò di un allontanamento volontario da casa, in quanto la quindicenne figlia del messo pontificio Ercole, ingenuamente, cadde in un tranello, che però, nel giro di poche ore, diventò un sequestro di persona vero e proprio. Ma attenzione: Emanuela non fu la prima «scelta». Come evidenziato da due verbali d’interrogatorio dell’Arma dell’11 e del 24 luglio 1984, almeno due coetanee residenti in Vaticano, le figlie dell’aiutante da camera di Wojtyla, Angelo Gugel, e del capo della Gendarmeria, Camillo Cibin, furono «attenzionate», pedinate e poi scartate, in quanto i familiari ottennero una sorveglianza speciale (il primo verbale è di Ercole Orlandi, il secondo della diretta interessata, Raffaella Gugel, la quale riferì di essere stata seguita per settimane sul bus e per strada da un uomo «sui 28-30 anni, carnagione scura, tipo nazionalità turca»). Tale antefatto è rafforzato da un “alert” lanciato dal capo dello Sdece (servizi segreti francesi), il marchese Alexander De Marenches, su possibili rapimenti  nelle Sacre mura e sembra accreditare la pista del terrorismo internazionale legata alle tensioni di quel periodo, in piena Guerra Fredda, e ai tentativi di Alì Agca di uscire dal carcere. Va infatti tenuto presente che – due anni prima – l’autore dell’attentato a Wojtyla  (13 maggio 1981) era stato condannato all’ergastolo al termine di un processo-lampo (luglio 1981). E, molto stranamente, non aveva presentato appello. Aveva forse ricevuto qualche rassicurazione? Negli stessi mesi, mentre il Lupo grigio riceveva a Rebibbia la visita di due esponenti dei servizi segreti (uno Sisde, Luigi Bonagura, e l’altro Sismi, Alessandro Petruccelli), iniziarono a circolare voci sulla sua liberazione tramite il “prelevamento” di cittadini vaticani. Un caso? Non basta. La nuova inchiesta dovrà valutare anche un ulteriore elemento significativo e mai approfondito: Emanuela assunse la cittadinanza vaticana solo tre mesi prima di sparire, come attesta un atto anagrafico datato 23 marzo 1983 (protocollo n. 06773). Anche questa una coincidenza? Oppure, al contrario, la famiglia fu indotta dai rapitori, con un sotterfugio, a far «emigrare» la ragazza Oltretevere, per creare le condizioni del ricatto? 

Caso Orlandi-Gregori, le prove dimenticate: l'amica pedinata, Emanuela emigrata in Vaticano, la trattativa su Agca
Il verbale di Raffaella Gugel (24 luglio 1984), pedinata prima di Emanuela Orlandi
2 – Ricatto ai massimi livelli

Emanuela sparì il 22 giugno di 40 anni fa e la vicenda assunse presto rilievo planetario. A certificare la delicatezza del caso Orlandi e la probabile natura spionistica dell’azione sono quattro circostanze. La prima è che Giovanni Paolo II decise di pronunciare pubblicamente nome e cognome della quindicenne, con voce accorata, durante l’Angelus del 3 luglio 1983, solo 11 giorni dopo la scomparsa, condividendo «le ansie dei familiari» e facendo appello «al senso di umanità di chi ha responsabilità in questo caso». Impossibile che una scelta del genere non fosse stata vagliata in Segreteria di Stato: il Santo Padre non si occupa di «scappatelle». Emanuela doveva essere già diventata lo strumento di un’azione inconfessabile e di un ricatto ai massimi livelli, con il pontefice polacco nella parte della vittima, tanto da essere costretto a piegarsi. Altri elementi eloquenti: la concessione ai rapitori di un codice riservato (il 158) per contattare il Segretario di Stato Agostino Casaroli (procedura anomala, spiegabile solo con ragioni serie, il numero 2 vaticano non parla con chiunque gli telefoni); la presenza in casa Orlandi di due agenti del Sisde (Giulio Gangi, morto di recente, e Gianfranco Gramendola) già 48 ore dopo la scomparsa; la pressione fatta dagli stessi 007 perché il padre nominasse un avvocato vicino ai servizi segreti, Gennaro Egidio, la cui parcella (altro indizio sottovalutato) non fu mai presentata a Ercole Orlandi e saldata in altro modo, mai chiarito.  

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Governo Meloni, le tensioni con Lega e Forza Italia: «Fanno tutto Giorgia e Giorgetti»

venerdì, Gennaio 13th, 2023

di  Monica Guerzoni

Tensioni nella maggioranza sulla decisione sulle accise. Crepe anche sulle nomine. E il decreto benzina è stato corretto fuori dal Consiglio dei ministri

meloni

Il caro benzina e le nomine di primavera. E poi le armi all’Ucraina, il futuro dei balneari e l’elezione dei membri laici del Csm. Ogni giorno (e su ogni tema) un esponente della maggioranza si alza e rilascia dichiarazioni in controtendenza rispetto alla linea di Palazzo Chigi. A volte sono sussurri, più raramente grida, ma è un continuo controcanto che fa fibrillare il governo. E se nelle stanze della presidenza del Consiglio la parola d’ordine è «niente retromarce», sull’emergenza carburanti il pressing di Forza Italia e Lega è riuscito ad aprire una breccia, che ha incrinato la tetragona resistenza di Giorgia Meloni

Il decreto «trasparenza» sui prezzi di benzina e diesel, approvato il 10 gennaio, a due giorni appena dal via libera è stato ritoccato in corsa, formalmente durante la riunione del Consiglio dei ministri di ieri e praticamente nelle stanze della presidente del Consiglio. «Hanno fatto tutto Giorgia e Giorgetti», racconta sottovoce un esponente dell’esecutivo, uno di quelli che si sentono tagliati fuori dalle scelte importanti. Dalle nomine al vertice delle tre agenzie fiscali sino all’emergenza carburanti «decide tutto lei», è la cantilena ai vertici di Forza Italia e Lega, a volte intonata con la variazione «decidono tutto loro». La premier e il ministro dell’Economia. Così è stato martedì sul provvedimento che ha imposto l’esposizione alla pompa del prezzo medio giornaliero e così è stato ieri. Quando, sull’onda delle proteste, il decreto è stato riveduto e corretto: non tanto in Cdm, giacché tanti ministri non hanno ancora visto il testo, ma prima e dopo. Un metodo inedito, che somiglia a una approvazione «salvo intese».

A rivelare cosa bolliva nel pentolone di Palazzo Chigi è stato lo stesso Giorgetti. Rispondendo al question time del Senato, il ministro ha fatto riferimento alla norma che potrebbe consentire di ridurre le accise «in relazione all’incremento verificato dei prezzi dei carburanti». A stretto giro fonti di governo hanno chiarito che non si sta lavorando a una sforbiciata immediata. «Non ci sono le condizioni — spiegano nello staff di Meloni — Giorgetti è stato interpretato male». 

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