Archive for Gennaio, 2023

Quei falsi miti della religione ambientalista

domenica, Gennaio 29th, 2023

Nicola Porro

Quello di Francesco Vecchi, Non dobbiamo salvare il Mondo(Piemme), è un libro davvero interessante. Premettiamo: non soddisfa tanti di noi che vorrebbero anche mettere in discussione le ragioni antropormofiche (è colpa dell’uomo) del cambiamento climatico. Ci definisce negazionisti. Ma non importa. Il libro è da leggere e da far leggere. Perché è un testo pragmatico e laico. Anche Vecchi ritiene che l’ambientalismo sia diventato una religione millenarista. «Il tentativo di contrapporre noi cattivi e dannosi esseri umani al povero pianeta messo a rischio serve solo a dare un indirizzo morale e religioso al problema. Invece la strada da intraprendere dev’essere quella razionale: qual è il modello di sviluppo economico che ci consente di avere le migliori relazioni possibili tra di noi (prosperità) e con l’ambiente (tutela)?». Il covid e le chiusure hanno dimostrato come la decrescita economica abbia inciso poco sulle emissioni di CO2 che sono scese solo di un misero 4 per cento.

Vecchi si pone delle domande retoriche e vi risponde con l’evidenza dei fatti e del buon senso. Si chiede: «Chi sostiene che possiamo vivere solo con il fotovoltaico, lo sa quanto consuma in un anno un paese come l’Italia? Chi dice che tre giorni di pioggia non sarebbero un problema, lo sa quanto tempo ci metterebbero a esaurirsi tutte le batterie presenti nel paese? Chi pensa che dobbiamo passare subito all’auto elettrica, lo sa almeno come viene prodotta in Italia l’energia elettrica? Chi combatte per il biologico, si è chiesto quanti pianeti ci vorrebbero per sfamare l’umanità con quel metodo? Chi ha combattuto contro l’estrazione di gas nel mar Adriatico, si è reso conto che il risultato pratico di quella battaglia è stato semplicemente quello di acquistare più gas dalla Russia, di renderci più dipendenti, di alzare le nostre bollette e di non ridurre di un grammo le emissioni di CO2 nell’aria? E chi ha votato contro il nucleare in Italia, lo sa che il 10% dell’energia consumata oggi viene da centrali nucleari finanziate da aziende italiane e poste in Francia sul nostro confine?».

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Meloni va in Libia e strappa un accordo storico sul gas. Stretta sui flussi di migranti

domenica, Gennaio 29th, 2023

Un accordo “storico” da 8 miliardi di dollari per aumentare la produzione di gas proveniente dalla Libia e un “potenziamento” della cooperazione con Tripoli per la gestione dei flussi migratori. Sono soprattutto questi i risultati che la premier Giorgia Meloni rivendica al termine della missione nel paese nordafricano, condotta insieme ai ministri degli Esteri e dell’Interno, Antonio Tajani e Matteo Piantedosi. Una trasferta che la presidente del Consiglio giudica “positiva” perché sono stati “siglati importanti accordi su cooperazione, energia e contrasto all’immigrazione irregolare. Abbiamo inoltre espresso piena disponibilità a favorire il percorso verso legittime elezioni” e per la “stabilizzazione della Libia”. Appena sbarcata a Tripoli, Meloni ribadisce chiaramente la sua linea: “L’Italia vuole giocare un ruolo importante anche nella capacità di aiutare i paesi africani a crescere e a diventare più ricchi. Una cooperazione che non vuole essere predatoria, ma vuole lasciare qualcosa nelle nazioni”, spiega durante l’incontro con la delegazione guidata primo ministro del Governo di unità nazionale libico, Abdel Hamid Al-Dabaiba. Poi, nella conferenza stampa congiunta, sottolinea che la sua visita “dimostra che la Libia è una priorità per l’Italia, per la stabilità nel Mediterraneo, per la sicurezza italiana e per una delle grandi sfide che l’Europa affronta come la crisi energetica”. Quindi ribadisce “la piena disponibilità italiana a favorire il legittimo e richiesto percorso per la celebrazione di elezioni e per una stabilizzazione del quadro libico”, anche per “evitare che alcune influenze esterne lavorino per destabilizzare il quadro”.

Ma, soprattutto, alla premier non sfugge che “la Libia è per noi un partner economico assolutamente strategico”. Lo dimostra l’accordo siglato alla sua presenza dagli amministratori delegati di Eni, Claudio Descalzi, e della National oil corporation (Noc), Farhat Bengdara: prevede un investimento di 8 miliardi di dollari per lo sviluppo del progetto strategico ‘Strutture A&E’, volto ad aumentare la produzione di gas per rifornire il mercato interno libico, oltre a garantire l’esportazione di volumi in Europa. Consiste in due giacimenti, chiamati Struttura A e Struttura E, situati al largo della Libia, dove la produzione di gas inizierà nel 2026. “Un passaggio storico nella lunga e proficua collaborazione tra Italia e Libia”, lo definisce Meloni, che rilancia il suo ‘pallino’ di “fare dell’Italia un hub di approvvigionamento energetico per l’intera Europa”. E a proposito di Europa, l’altra sfida da affrontare riguarda la gestione dei migranti, rispetto alla quale “per l’Italia rimane fondamentale la cooperazione” con la Libia “per il contrasto all’immigrazione irregolare”, osserva la presidente del Consiglio, chiedendo all’Ue di “potenziare gli strumenti per combattere i flussi illegali”, anche con “la cooperazione europea verso il nord Africa” – è il refrain di Meloni -, che può consentire “alle persone di crescere e di prosperare nelle loro nazioni”.

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Cospito, “rischio attentati in Italia”. Allerta nei servizi segreti, anarchici in fermento

domenica, Gennaio 29th, 2023

L e proteste degli anarchici per Alfredo Cospito sono diventate un tema di sicurezza nazionale, anche se le manifestazioni non erano di certo inaspettate. I servizi segreti, riferisce Repubblica, hanno posto un’attenzione particolare alla situazione, che rappresenta “il principale pericolo di natura terroristica”. Secondo polizia e carabinieri in totale sono meno di un centinaio i soggetti che possono essere disponibili nel partecipare ad atti di violenza. “Nelle ultime informative di Polizia sono delineate le modalità di azione dei gruppi (incendi soprattutto e talvolta attentati dinamitardi) a palazzi istituzionali e simboli: infrastrutture per le telecomunicazioni (i tralicci, appunto), le sedi di Equitalia e delle forze di Polizia, le auto del car sharing, le banche. Il caso Cospito, ora, trascina nel mirino il ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria” la ricostruzione del quotidiano sul pericolo degli anarchici e su possibili attentati in Italia.

IL TEMPO

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Giornata della memoria, parole di verità e silenzi a destra

domenica, Gennaio 29th, 2023

Marco Revelli

Non è stata solo formale la celebrazione del Giorno della memoria. Non lo è stata nemmeno nelle sedi istituzionali più alte, dove è pur sempre presente il rischio che la cerimonialità di maniera neutralizzi la forza tragica degli eventi, e che il sordo lavoro del tempo trascorso ne appanni l’orrore. Quest’anno, poi, il passaggio appariva particolarmente delicato, data la presenza alla giuda del governo di forze e persone che appartengono a una storia altra, e opposta, rispetto a quella di chi quel «male assoluto» combatté a viso aperto, e trasformò la propria vittoria nel patto costituzionale che ha garantito la nostra democrazia. La tentazione di un atteggiamento reticente avrebbe potuto farsi strada. E invece, nel discorso del Presidente Mattarella, alcune cose forti, e chiare, sono state dette.

Intanto è stato affermato con chiarezza che quell’abisso infinito e tuttora in gran parte insondabile che fu Auschwitz non fu affatto un incidente della storia, una ventata di follia omicida, ma affonda le radici, e si presenta come diretta e in qualche modo inevitabile conseguenza di un’ideologia e di un progetto politico che si chiama Fascismo e Nazismo. Un modo di concepire la storia, la società, sé e gli altri, dominato da un principio di sopraffazione e di auto-affermazione spinto fino alla negazione di ogni umanità. In questo il Presidente è stato chiarissimo quando ha affermato che «il sistema di Auschwitz e dei campi ad esso collegati fu l’estrema, ma diretta e ineluttabile, conseguenza di pulsioni antistoriche e antiscientifiche, di istinti brutali, di pregiudizi, di dottrine perniciose, di gretti interessi, e persino di conformismi di moda». E, a scanso di equivoci, ha dato un nome alle «tossine letali» che hanno prodotto quell’orrore, e che si chiamano «razzismo, nazionalismo aggressivo e guerrafondaio, autoritarismo, culto del capo, divinizzazione dello Stato» – ovvero gli ingredienti più propri del fascismo, di ogni fascismo, quale che sia il tempo e il nome che si dà.

Né si è stati reticenti, in quest’occasione, sulle responsabilità collettive che permisero al «male assoluto» di installarsi nel cuore d’Europa e compiere sistematicamente e capillarmente, il proprio lavoro di morte. Lo sterminio non porta solo la firma dei pochi capi criminali – Mussolini e Hitler in primis, a contendersi il primato della violenza e dell’orrore – che apposero le proprie firme sotto la sentenza di condanna a morte dell’umanità. Essi poterono contare sulla complicità di molti, di troppi, sul loro silenzio, sulla loro adesione, sul conformismo e sull’egoismo di tanti, sulla disponibilità al servo encomio e al codardo oltraggio, per arraffare un posto, una carica onorifica, un favore dai potenti. Nel rendere onore a quegli italiani che seppero ribellarsi a tutto ciò, e che pagarono a caro prezzo per questo, ha aggiunto Mattarella, «non possiamo sottacere anche l’esistenza di delatori, informatori, traditori che consegnarono vite umane agli assassini, per fanatismo o in vile cambio di denaro». Ed è stata una liberazione, questo passaggio, rispetto al retrogusto dolciastro di troppe auto-assoluzioni dalle colpe storiche che il nostro Paese porta sulla propria coscienza collettiva; alla retorica degli «italiani brava gente», col conseguente rifiuto di assumere, e riconoscere, le proprie responsabilità: primo passo per non ricadere in quell’abisso morale. Quando ci si ricorda che «il terribile meccanismo di distruzione non si sarebbe messo in moto se non avesse goduto di un consenso, a volte tacito ma comunque diffuso, nella popolazione», si dice proprio questo: che l’apatia e l’indifferenza dei popoli di fronte alle potenze del disumano scatenate da capi criminali li rende responsabili. Quando si afferma che «la Repubblica di Salò fu alleata e complice dell’occupante nazista» e che «dopo i drammatici fatti seguiti all’8 settembre del 1943, le milizie fasciste parteciparono alla caccia degli ebrei», si traccia una linea ben netta, nel corpo stesso del Paese e nella sua storia.

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Odissea passaporti, tempi d’attesa infiniti e caos: tutta l’Italia bloccata

domenica, Gennaio 29th, 2023

Massimiliano Peggio

Seimila persone in coda in un solo giorno per chiedere il passaporto. Più o meno il carico di passeggeri di 10 Airbus 380, il gigante dei cieli. La paura dei torinesi di non riuscire a ottenere il documento con microchip e pellicola olografica ha scatenato ieri una corsa agli sportelli. Il primo giorno dell’anno della campagna di apertura straordinaria di questura e commissariati, programmata in un più date per smaltire le lunghe attese, si è tramutato in un’odissea all’ultimo timbro. Un assalto: qualcuno si è messo in coda nel cuore della notte per essere primo allo sportello.

Viaggi di piacere, esigenze improvvise, sogni professionali. C’è un po’ di tutto in questa fiumana di gente che ha sfidato il freddo, dando anche l’impressione di essere in preda a una sorta di fobia collettiva. Code infinite nei commissariati cittadini. File impressionanti negli uffici periferici. Persino a Bardonecchia i villeggianti hanno lasciato le piste da sci per mettersi in fila.

La coda per il passaporto

Flavia Perina 29 Gennaio 2023

Cartelline in mano, fotografie e marche da bollo. Dario Pautassi e Anna Zerillo, marito e moglie, sognano di volare a New York. «A novembre ci avevano detto di recarci in Questura il 28 gennaio: sono due mesi che aspettiamo questo giorno. Abbiamo il volo di partenza già acquistato per il 15 marzo, questo tipo di viaggi si programmano con un certo anticipo, chissà se riusciremo a rinnovare il passaporto». Sveglia all’alba, sciarpa pesante e giubbotto da missione artica. «Io sono arrivata all’ingresso degli uffici alle 7, a quell’ora c’era già almeno un centinaio di metri di coda sul marciapiede – racconta Isabella Romanelli – Il mio passaporto è scaduto nel 2017, è da un po’ di tempo che sono ferma e ho una vacanza a Samarcanda prenotata per il 18 marzo, ho già preso i biglietti per l’aereo e la camera in albergo».

Turismo, Brexit e carte d’identità elettroniche: i motivi del cortocircuito sui passaporti e le idee per uscirne

nadia ferrigo 29 Gennaio 2023

In serata il responso. Accolte in un giorno 3.000 istanze. Che cosa a succede a Torino? Un corto circuito. Anche se segnali simili si sono manifestati in altre città. Gli italiani, lasciata alle spalle la pandemia, hanno riscoperto i viaggi. E sono corsi in massa a fare i passaporti. Così da mesi. Il sistema, calibrato su prenotazione online, è andato in tilt ovunque, rendendo necessarie aperture extra degli uffici. Ieri, ad esempio, c’erano aperture straordinarie a Bologna e a Cagliari. Operazione «Open day». Accesso libero anche a Jesi, Senigallia, Osimo e Fabriano. In altre questure sono stati potenziati gli orari normali di accesso. Nei mesi scorsi erano addirittura venuti a mancare i libretti a causa del boom di richieste.

Caos passaporti con code infinite, il questore di Torino: “E’ stata una psicosi collettiva”

I numeri non mentono. Nei giorni scorsi il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, rispondendo in question time alla Camera ad una interrogazione sugli eccessivi tempi di rilascio del documento, è stato eloquente. «Nel 2022 – ha detto – sono stati rilasciati 1.816.000 passaporti, con una media di oltre 151 mila documenti al mese e un trend che non accenna a diminuire neppure nel mese corrente». Perché questo incremento di richieste? Risposta: «La fine delle restrizioni post-Covid, la Brexit e la difficoltà, registratasi soprattutto nei comuni più popolosi, di conseguire in tempi rapidi la carta d’identità, per cui il passaporto viene richiesto non solo ai fini dell’espatrio, ma anche per disporre di un documento d’identità». Quest’ultima spiegazione calza a pennello per Torino, dove le anagrafi arrancano al punto che l’attesa per ottenere una carta d’identità può raggiungere i quattro mesi.

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Arriveranno i fondi europei e noi non sapremo come e dove spenderli

domenica, Gennaio 29th, 2023

Flavia Amabile

ROMA. Non si può dire che non sia stato fatto nulla. E’ stato fatto male. Lo stato dell’edilizia scolastica si sintetizza così, con il giudizio della Fondazione Agnelli, con le statistiche di anno in anno identiche nell’elencare le carenze delle scuole dove vivono gran parte del loro tempo bambini e giovani, con le cronache che mostrano crolli di controsoffitti, di cornicioni e una precarietà sempre meno giustificabile che arriva alle scuole ma parte innanzitutto dai numeri.

L’ultimo studio pubblicato risale a pochi giorni fa, è di Legambiente, nel 2021 il 30,6% delle scuole necessita ancora di interventi straordinari. Negli ultimi 5 anni le indagini diagnostiche dei solai, risultano eseguite solo nel 30,4% degli edifici, dato che scende nelle Isole al 18,8%. Interventi per la loro messa in sicurezza sono stati realizzati, a livello nazionale, appena sul 12% degli edifici. Anche se il 53,8% dei comuni capoluogo di provincia abbia dichiarato di aver realizzato interventi di adeguamento sismico negli ultimi 5 anni, tali lavori hanno interessato solo il 3,1% degli edifici scolastici. E all’inverno con le bollette del riscaldamento schizzate alle stelle le scuole sono arrivate avendo solo il 4,2% in classe energetica A e il 74,8% fermo nelle ultime tre classi energetiche.

Il ministero dell’Istruzione risponde con le sue cifre, ricordando che sono stati effettuati 17.146 interventi ordinari in dieci anni, dal 2013 al 2022 per un importo pari a 5 miliardi. Sono molti? Sono pochi? Si tratta di una media di 1700 lavori l’anno su un patrimonio di 40.221 edifici scolastici e 366.310 classi. Gli interventi comprendono tutto, dal controsoffitto da rimettere a posto al controllo antisismico, all’adeguamento degli spazi o al noleggio di strutture temporanee durante il periodo del Covid.

Liste interminabili di numeri da una parte e dall’altra che provano a fornire una fotografia delle scuole italiane che, però, resta sempre sfocata. Nonostante gli annunci roboanti del passato, l’Anagrafe dell’edilizia scolastica presenta “ancora tanti buchi nelle informazioni”, denuncia Cittadinanzattiva nel suo XX Rapporto sulla sicurezza a scuola, il più recente. I buchi sono tanti. «I dati sono fermi al 2021. Non c’è trasparenza né sistematicità. I dati vengono aggiornati quando capita, senza regolarità, e negli open data accessibili a tutti è consultabile solo una parte degli indicatori presenti», denuncia Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale scuola di Cittadinanzattiva.

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L’Occidente contro Putin e la geopolitica di Amadeus

domenica, Gennaio 29th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Ci stiamo riuscendo, anche stavolta. A fermare le miserabili baruffe tra comari da talk show non bastano l’odio nel ventre d’Europa e il nemico alle porte d’Oriente. A stoppare la rancorosa intifada digitale tra webeti non bastano undici mesi di orrore, di sangue, di morte. A stoppare la patetica contesa tra Cretino Collettivo con l’elmetto e zelanti Putin-Versteher col colbacco non bastano 6.702 civili ucraini massacrati e 123 mila russi caduti al fronte. A raffreddare i cervelli e a far palpitare i cuori non bastano la paura di un allargamento del conflitto, con la Casa Bianca che autorizza il comando di Kiev a effettuare attacchi diretti alla Crimea, e la minaccia di una nuova offensiva di Mosca, con altri 200 mila tra soldati e coscritti che già premono ai confini bielorussi.

La tragedia della guerra degenera nella farsa su Sanremo. Con zero gravitas e poco senso della Storia, giochiamo i destini della civiltà occidentale sul palco dell’Ariston. In ossequio alle regole del “gran mischione” (come lo definisce Michele Serra), il video-saluto di Zelensky finirà impacchettato tra uno strillo dei Maneskin e un borborigmo di Achille Lauro. Il suo grido di dolore risuonerà fortissimo, tra un selfie di Chiara Ferragni e uno smile di Chiara Francini. Due minuti, non di più. Giusto il tempo di ricordare che, mentre noi aspettiamo trepidanti il verdetto sui big ammessi allo spareggio finale, a Kharkiv e a Bakhmut donne e bambini continuano a morire sotto i bombardamenti dello Zar. Poi via, come sempre, show must go on. “Perché Sanremo è Sanremo”, come recita il claim del contenitore più nazional-popolare della Patria.

E in quel teatro tra i fiori abbiamo sempre ingoiato e digerito di tutto, dall’Armata Rossa a Michail Gorbacev, dai metalmeccanici disoccupati agli orchestrali sindacalizzati, da Favino che recita la poesia dei migranti a Saviano che ricorda il martirio di Falcone. Volete negare le luci della ribalta al presidente ucraino, che oltre tutto da consumato attore qual è sa sfruttarle sempre al meglio, come ha già dimostrato alla Mostra del cinema di Cannes o ai Grammy di Las Vegas?

A questo si riduce, il nostro discorso pubblico. Zelensky a Sanremo, sì o no, col solito frastuono di cori da curva. Stavolta brillano per ottusità militaresca gli ultras del sì, pronti a cavalcare persino il delirio di qualche imbecille malato di sindrome maniacale da tarda par condicio che dice: «Se parla Zalensky allora serve il contraddittorio». Un’idiozia che andrebbe tacciata da un pietoso silenzio. E invece la “Coalition of the Willing de’ noantri” la prende sul serio, e la usa non solo per sostenere le ragioni della comparsata del presidente ucraino, ma anche per riaprire la caccia ai contrari, sperando che siano tutti “rosso-bruni” e tutti “arruolati” al partito pro-Putin (da notare il verbo, non a caso proprio delle caserme). Ma stavolta gli va male, perché a esprimere dubbi sull’opportunità dell’operazione non sono solo gli appositi Conte e Salvini, ma anche i Bonaccini, i Cuperlo, i Calenda. Un “partito” composito e troppo trasversale, per essere bollato di intelligenza col Cremlino. Fate uno sforzo, brothers in arms, e magari ci arrivate anche voi. Forse non aiuta la causa di quel popolo aggredito e martoriato, mischiare la guerra e i Cugini di Campagna (di nuovo Serra). Forse così si svilisce anche quell’immensa catastrofe dentro il frullatore della Grande Banalizzazione Contemporanea, dove un missile su un condominio finisce per valere quanto una “bomba” di Fedez. Non serve aver cenato all’Hotel Metropol con Savoini e il vice-primo ministro dell’energia Kozak, per sostenere con un minimo di ragionevolezza che “l’alto” di un sanguinoso conflitto bellico stona con “il basso” di un giocoso concorso canoro.

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Meloni, i primi 100 giorni del suo governo: forza (e debolezza) al primo giro di boa

domenica, Gennaio 29th, 2023

di Roberto Gressi

Per l’esecutivo esordio senza scossoni sui mercati o per lo spread. Tensioni contenute con la Ue. Ma fibrillazioni interne e dietrofront minano il cammino delle riforme

Meloni, i primi 100 giorni del suo governo: forza (e debolezza) al primo giro di boa

Dai, che l’esame di maturità, quello che arriva alla fine dei Cento giorni, dopo la più breve delle sbornie elettorali del passato recente, è stato, tutto sommato, superato. Nessun terremoto nei mercati, spread nei limiti, la Borsa italiana che va meglio di altre volte, un po’ debole il rapporto con l’Europa, che però si presenta spesso arcigna ma non nemica, le alleanze internazionali che reggono anche alla prova dell’Ucraina, con un posto dignitoso al tavolo dell’Occidente. La paura e la speranza che Giorgia Meloni sapesse cavarsela solo nell’orto di casa di Fratelli d’Italia e dell’opposizione, si sono rivelate perlomeno eccessive. Una buona tenuta con gli alleati riottosi, fin dalla formazione del governo, un aiuto dagli avversari divisi. Ma anche qui con una doppia, possibile, lettura. Da una parte il cupio dissolvi dei partiti d’opposizione, più impegnati a battagliare tra di loro piuttosto che a costruire un’alternativa. Dall’altra, l’evolversi di una democrazia normale, anomala per l’Italia, dove le differenze all’interno di uno stesso schieramento, almeno teorico, prevalgono sull’alleanza contro il nemico comune.

Qui il webreportage sui primi 100 giorni del governo Meloni

I conti pubblici

La sufficienza sulla legge Finanziaria, tenuto conto del poco tempo a disposizione per metterla in piedi, con pochi soldi a disposizione e i prezzi dell’energia alle stelle. Il contante a cinquemila euro, una marcia indietro sul Pos a sessanta euro dopo il naso arricciato di Bruxelles, una battaglia scomposta con Emmanuel Macron sui migranti, che ha rivelato come la strada ardua delle intese possa essere più produttiva di una spallata, una sfida con le navi delle Ong per ora più identitaria che fattuale. Il rospo da ingoiare sull’approvazione del Mes, del quale comunque non si farà uso, con la Lega intenzionata a fare le barricate. Un capitombolo iniziale sulla norma contro i rave party, che aveva connotazioni liberticide, poi corretta in corso d’opera. Un buon rapporto con Mario Draghi, che ha consentito un passaggio di consegne relativamente poco traumatico sul Pnrr, anche se non mancano le incognite sulla capacità di utilizzare al meglio i fondi europei. Una ferita sul ritorno prepotente delle accise, ma almeno in parte reso inevitabile dallo stato dei conti pubblici. Il malumore al momento di fare il pieno non manca, ma la minirivolta dei benzinai è stata ben lontana dall’effetto Forconi, con Forza Italia in buona parte delusa nel tentativo di cavalcare il malcontento. La luna di miele con l’elettorato, magari un po’ in via di rallentamento, ma con Fratelli d’Italia che naviga nei sondaggi intorno al trenta percento.

L’appuntamento ormai prossimo con le elezioni regionali, che, a scanso di sorprese improbabili, porterà il centrodestra a confermare la supremazia in Lombardia e a strappare il Lazio al Pd. Un avvio a ostacoli sull’ennesimo tentativo di riformare la Giustizia, con Giorgia Meloni che un po’ loda e un po’ frena il suo ministro Carlo Nordio, perché non vuole scontri con la magistratura. E non li vuole per non rovinare il clima dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, ma anche perché sa che finché c’è confusione non si conclude mai niente. E poi il Covid che pare aver deciso di offrire una tregua, stemperando di fatto le polemiche sul reintegro dei medici no vax e sulla cancellazione delle multe a chi non si è vaccinato.

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Tre mesi di governo: la difficile strada del rigore

domenica, Gennaio 29th, 2023

di Antonio Polito

L’accusa di aver fatto una retromarcia su Roma insegue i primi tre mesi del governo Meloni. Spesso proviene dagli stessi critici che l’accusavano di voler fare la marcia su Roma. La coerenza in politica è una bella cosa. Ma perseverare negli errori sarebbe anche peggio che correggerli. Così se, dopo anni di agitazione sovranista, il nuovo governo rispetta i vincoli europei sul bilancio e alla fine ratificherà anche la riforma del Mes, si dovrebbe applaudire alla resipiscenza, più che condannare l’incoerenza.

Piuttosto, ci si può chiedere se queste retromarce, o ripensamenti, non siano il prezzo che il governo ha deciso di pagare a un obiettivo più ambizioso. E cioè il tentativo – che già traspare da molti segnali – di restaurare un principio di autorità, scommettendo sul rilancio della capacità dello Stato di far rispettare legge e ordine. Non si tratta solo del tradizionale programma securitario di tutte le destre del mondo. In Italia infatti, dopo decenni di sfibrante incertezza e di trionfo dell’interesse particolare, ripristinare l’ordine è necessario anche nella gestione dei soldi pubblici.

Ed è necessario mettere un po’ di ordine anche nelle politiche fiscali, nella lotta alla corruzione, nel rapporto tra magistratura e politica, nel funzionamento della macchina legislativa del Parlamento. Difendendo con rigore la nostra credibilità internazionale.

Tagliare le accise sulla benzina, per esempio, sarebbe stato più funzionale a un progetto di acquisizione del consenso day-by-day; ma al costo di nove miliardi di nuovi debiti, o di minori aiuti a imprese e famiglie per il caro-energia (e il vantaggio sarebbe andato per i due terzi ai consumatori più benestanti). Mandare a quel paese la Commissione europea sul deficit, d’altro canto, sarebbe stato più in linea con la pedagogia della destra, ma avrebbe gettato nel caos il Paese, oltre che i conti pubblici.

Per ripristinare un po’ d’ordine bisogna insomma anche sacrificare un po’ di populismo, quella malattia senile della società italiana che ci ha fatto sfiorare più volte il baratro in questi anni. E dire la verità al Paese, invece di nutrirlo con la demagogia. La Meloni scommette sullo Stato e sui suoi apparati per riuscirci. Talvolta con una certa ingenuità, come quando il governo ha pensato di poter calmierare il mercato della benzina con la Guardia di Finanza, e invece ha finito con il dover rincorrere la serrata dei benzinai. Talvolta invece con successi che magari non sono ascrivibili alla sua azione, ma incarnano il messaggio più profondo del binomio «legge e ordine», come nel caso dell’arresto di Messina Denaro.

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Zelensky a Sanremo, il caso non si chiude: sale la tensione sui vertici Rai

domenica, Gennaio 29th, 2023

di Antonella Baccaro

Salvini attacca ancora sulla presenza del presidente ucraino al Festival, ma cancellarla provocherebbe però un incidente diplomatico. Domani l’ad Carlo Fuortes potrebbe vedersi bocciare il bilancio 2023

Chi rischia di saltare per la polemica sulla partecipazione di Volodymyr Zelensky a Sanremo non è la partecipazione del presidente ucraino, che appare salda (cancellarla provocherebbe a questo punto un incidente diplomatico) ma la poltrona di Carlo Fuortes a capo del consiglio di amministrazione della Rai.

Anche ieri Matteo Salvini non ha mancato di rimarcare la propria contrarietà alla presenza nella manifestazione canora del leader straniero. Lo ha fatto prima scherzando: «Pensavo di autoinvitarmi per cantare due canzoni». Per poi aggiungere più tardi: «Non è con un’apparizione a Sanremo che si mette fine a questa guerra». La Lega ieri è sembrata tenere il punto anche con l’europarlamentare Matteo Adinolfi, secondo cui «la Rai dovrebbe rivedere questa posizione su Zelensky a Sanremo». Mentre Maurizio Lupi (Noi Moderati) sostiene che «dare voce a Zelensky sia un bene, per ricordare che c’è un popolo aggredito che lotta per la propria libertà e indipendenza». E Angelo Bonelli (Avs) rivendica uno spazio per il video nel quale il musicista Shervin Hajipour canta «Baraye», canzone di protesta per la morte dell’attivista dei diritti iraniana Mahsa Amini, uccisa dal regime.

Ma la partita in gioco a questo punto non è più Sanremo ma un’altra, e riguarda l’amministratore delegato della Rai che domani, salvo ulteriori rinvii, dovrebbe portare al voto il bilancio aziendale 2023, già presentato nella scorsa riunione. Ma gli equilibri che fin qui gli hanno consentito di spuntarla sembrano compromessi a causa di un fronte sempre più consistente che vorrebbe un ribaltone in Rai.

Un fronte che si contrappone a quello guidato da Giorgia Meloni, più favorevole a non aprire il vaso di Pandora della Rai, lasciando Fuortes fino a scadenza (2024) e al massimo affiancandolo con una figura tecnica, forse solo con un ulteriore passaggio sul Tg1, dove Monica Maggioni potrebbe lasciare per una trasmissione politica serale.

Tutto questo però sembra non bastare ai fautori del ribaltone, irritati perché Fuortes parlerebbe solo con Meloni, che trovano la massima espressione nella Lega. Il voto contrario (o l’astensione) del membro leghista del cda Igor De Blasio, dopo la polemica su Zelensky sembra inevitabile, a dispetto delle parole di miele che ieri Salvini ha speso per Meloni da Milano.

Il motivo per cui il tempo dei ribaltonisti stringe, lo spiega una fonte ben informata: «Sanremo, se va bene, equivale a un condono tombale per l’ad». E che Fuortes conosca il valore salvifico degli ascolti, lo dimostra l’enfasi con cui ieri ha sottolineato il successo della prima serata di RaiUno «Binario21», seguita giovedì scorso da più di 4 milioni e mezzo di spettatori.

E che gli ascolti pesino, lo sa anche Mediaset che per la prima volta ha organizzato una controprogrammazione a Sanremo.

Se davvero domani il leghista boicottasse il budget, si andrebbe alla conta: c’è da aspettarsi, oltre al voto favorevole dello stesso Fuortes, quello della presidente Marinella Soldi (che finora non è mancato), e probabilmente quello di Francesca Bria (espressa dal Pd).

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