Archive for Gennaio, 2023

Giorgia Meloni in Africa, Sallusti: “Perché è la partita della vita”

martedì, Gennaio 24th, 2023

Alessandro Sallusti

Giorgia Meloni è in queste ore ad Algeri a parlare di gas, petrolio e non solo. La notizia non è certo di quelle che scaldano i cuori, se non fosse per la copertura mediatica che si deve al premier gli italiani neppure lo saprebbero. Già, perché noi siamo fatti così, ci appassioniamo alle risse domestiche, quasi tutte sul nulla tipo Pos, rave e contanti. Eppure, in una ipotetica scala da uno a dieci che misuri l’importanza dei fatti politici, gli incontri di Algeri valgono dieci o poco ci manca. Non voglio dire che Giorgia Meloni tornerà domani a Roma con in tasca il biglietto vincente della lotteria, intendo che la crescita e la sicurezza dell’Italia oggi si gioca non certo negli stanchi riti della politica interna, ma costruendo una solida rete di rapporti internazionali. E per noi quelli con i paesi africani e mediterranei sono fondamentali.
Giorgia Meloni questo concetto dicono lo abbia molto chiaro: ridare all’Italia un ruolo centrale sugli scenari dove possiamo averlo, ovvero non certo nei Balcani dove al massimo dobbiamo assecondare gli alleati ma con poche possibilità di incidere. Si sta facendo strada l’idea che per uscire dal cul de sac dell’immigrazione non basta protestare e o piagnucolare di continuo. No, la strada giusta è assumere un ruolo attivo nella stabilizzazione dell’area mediterranea per poi trattare con Francia e Germania, cioè con l’Europa, su tutti gli altri dossier da una posizione autorevole e più forte, o se vogliamo meno debole, dell’attuale.
Una regola della politica dice che un paese che non ha una chiara politica estera non può avere alcuna politica interna efficace. Sembra un teorema illogico ma è così. Vedere nelle stesse ore Giorgia Meloni in Algeria e Antonio Tajani, ministro degli Esteri, in Egitto non è una coincidenza bensì una strategia di lungo respiro.

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Ucraina, dimissioni a raffica nel governo: chi lascia Zelensky (e perché)

martedì, Gennaio 24th, 2023

Dimissioni importanti nel governo ucraino. Nelle ultime ore sia Kyrylo Tymoshenko, vice capo dell’ufficio della presidenza ucraina, sia Vyacheslav Shapovalov, vice ministro della Difesa, hanno deciso di lasciare. Il primo ha scritto: “Ringrazio il presidente Volodymyr Zelensky per la fiducia e l’opportunità di compiere buone azioni ogni giorno ed ogni minuto”. Lo ha annunciato su Telegram, specificando di aver chiesto al presidente di sollevarlo dall’incarico.

Per quanto riguarda Shapovalov, invece, la notizia è apparsa sul sito web del ministero della Difesa di Kiev. Secondo la nota ufficiale, il vice del ministro avrebbe chiesto di lasciare il suo incarico per non “creare minacce alle Forze armate in seguito alle accuse sull’acquisto dei servizi di ristorazione”. Il riferimento è a un’inchiesta giornalistica, da cui è emersa l’accusa nei confronti del ministero della Difesa di aver pagato prezzi eccessivi per le razioni di cibo dei soldati. Anche se il fornitore ha risposto parlando di errore tecnico e ha escluso passaggi di denaro. “Nonostante il fatto che le accuse annunciate siano prive di fondamento, le dimissioni sono un atto degno nelle tradizioni della politica europea e democratica, dimostrazione che gli interessi della Difesa sono superiori a qualsiasi gabinetto o presidenza”, si legge sul sito del ministero.

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Tracolla la fiducia nelle toghe. “Ora gli italiani hanno paura”

martedì, Gennaio 24th, 2023

Francesco Curridori

Lo scontro politico divampa attorno al tema della giustizia e le varie forze politiche si dividono di nuovo tra garantisti e manettari. I sondaggisti, invece, sono concordi su un dato incontrovertibile: gli italiani non credono più nella magistratura.

«Nel 1998, a cinque anni dalla morte di Falcone e Borsellino, la fiducia nella magistratura era all’88%, nel 2010 scende al 66% e nel 2022 tracolla al 33%», afferma Carlo Buttaroni, fondatore dell’Istituto Tecné. «Vent’anni fa il giudizio era eccellente, ma poi è andato scendendo e si è passati da un 70% a circa il 40%. La gente ha più paura», gli ha eco Renato Mannheimer. Non si discosta molto da queste percentuali neppure Antonio Noto: «Nel 1993, durante Tangentopoli, – dice – la fiducia era al 77%, mentre oggi di ferma al 43%». Una conferma del tonfo del sentiment degli italiani per quanto riguarda il nostro sistema giudiziario arriva anche da Alessandro Amadori: «Nel 2010 il consenso era intorno al 60%, mentre oggi – rivela – si è praticamente dimezzato». A riportare in auge il tema della giustizia, in queste settimane, non sono state solo le prese di posizione del ministro Carlo Nordio, ma anche la cattura di Matteo Messina Denaro che ha portato ad accrescere la fiducia nei confronti delle forze dell’ordine. Ma non solo. «Il giudizio cambia quando si parla dei magistrati esposti nella lotta alla criminalità organizzata perché vengono visti come degli eroi. E, anzi, si ha l’idea che la macchina della giustizia sia contro di loro», spiega Buttaroni. Sulle intercettazioni, invece, gli italiani si dividono: «C’è una larga prevalenza di cittadini che le ritiene necessarie per quanto riguarda i reati di mafia, terrorismo e corruzione, ma sottolinea il fondatore di Tecné – una grandissima maggioranza pensa che vi sia un abuso». Secondo Maurizio Pessato di Swg, su questo tema c’è ancora tanta confusione e «una larga parte dell’opinione pubblica non capisce su cosa si sta discutendo». Dagli esperti, poi, arriva un monito chiaro: la giustizia è percepita come importante nella misura in cui vengono perseguiti i reati e se i processi sono rapidi. «Insomma, la riforma del Csm non premia e non punisce nessuna forza politica», sintetizza Amadori. Detto ciò, la riforma della giustizia, da sempre una bandiera di Forza Italia, viene vista da tutti come necessaria. «Se all’inizio sembrava che servisse solo a Berlusconi, ora nel Paese è cresciuta l’esigenza di riformare la giustizia», spiega Buttaroni, convinto che questa battaglia contribuisce in maniera determinante a rafforzare la credibilità di Forza Italia: «Alla lunga, può valere uno o due punti percentuali».

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Gli italiani stanno con il centrodestra: fiducia alta nel governo e nella Meloni

martedì, Gennaio 24th, 2023

Luca Sablone

La luna di miele tra gli italiani e il centrodestra non è affatto giunta al termine. A dispetto delle voci e dei gufi della sinistra, gli elettori continuano a fidarsi della coalizione che ha vinto in maniera netta le elezioni del 25 settembre e supportano l’operato del governo nei suoi primi mesi di vita. È quanto emerge dal recente sondaggio Dire-Tecnè, che ha scattato una fotografia chiarissima sull’attuale scenario politico del nostro Paese.

Il centrodestra cresce

Al primo posto tra i partiti con maggiori preferenze resta saldamente Fratelli d’Italia, che rispetto alla settimana precedente si conferma stabile al 31%. Invece il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte perde lo 0,2% e scivola al 17,4%. Variazione positiva per il Partito democratico, che si affaccia alla fase finale del Congresso con un aumento dello 0,3% che lo fa salire al 15,5%. Resta comunque un risultato magro per una formazione politica che in teoria dovrebbe guidare l’opposizione in Parlamento.

Invariata la posizione della Lega: il Carroccio resta al 9%. L’asse tra Azione e Italia Viva cresce dello 0,2% ma non basta per avvicinarsi al partito di via Bellerio: il Terzo Polo si attesta al 7,8%. Prosegue il momento positivo di Forza Italia, che incassa un +0,1% e va al 7,7%: a questo punto è a un passo il sorpasso sullo schieramento di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Infine si trovano Verdi-Sinistra italiana al 3,2% (-0,3%), +Europa di Emma Bonino al 2,6% (+0,1%) e Italexit con Gianluigi Paragone all’1,9% (+0,1%). Il peso degli altri partiti è del 3,9%, in calo dello 0,3%.

Non ci sono particolari novità sul fronte delle coalizioni. Resta in nettissimo vantaggio il centrodestra che, nonostante il chiacchiericcio proveniente dal fronte rosso su un presunto malcontento da parte degli italiani, è lo schieramento verso cui gli italiani nutrono maggiore fiducia: l’asse tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia può vantare il 47,7% delle intenzioni di voto, in crescita dello 0,1%. Invece il centrosinistra (Pd, Verdi-Sinistra italiana e +Europa) non va oltre il 21,3%.

La fiducia nel governo e nella Meloni

Altrettanto eloquente è il dato relativo al governo guidato dal centrodestra: il 54,6% dichiara di avere fiducia; il 38,2% dice di non averne; il 7,2% non sa. Questi numeri positivi si riflettono anche su Giorgia Meloni: il 61,2% degli intervistati risponde di avere fiducia nel presidente del Consiglio; invece il 34,6% non nutre fiducia nel primo ministro; il restante 4,2% non si esprime.

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Carburanti: scatta alle 19 lo sciopero dei benzinai per 48 ore, self-service compresi

martedì, Gennaio 24th, 2023

Alle 19 di stasera scatta lo sciopero dei benzinai, compresi i self service. Gli impianti di rifornimento saranno chiusi fino alle 19 del 26 gennaio. Sulle autostrade si parte invece alle 22 di stasera per terminare alle 22 del 26 gennaio.

Lo sciopero è stato indetto da Faib, Fegica e Figisc/Anisa «per protestare – scrivono – contro la vergognosa campagna diffamatoria nei confronti della categoria e gli inefficaci provvedimenti del governo che continuano a penalizzare solo i gestori senza tutelare i consumatori. Per scongiurare nuovi aumenti del prezzo dei carburanti».

Il Codacons, invece, annuncia di voler presentare un esposto alla magistratura contro la serrata, ipotizzando la fattispecie di «interruzione di pubblico servizio». L’associazione a tutela dei consumatori spiega che «sospendere in modo totale il servizio per 48 ore, sulla rete urbana e sulle autostrade, sia per la modalità servito che per il self-service, rappresenta una decisione gravissima, che va oltre uno sciopero di categoria e creerà enormi e ingiustificati danni al Paese e ai cittadini. Uno sciopero che appare ancor più immotivato e sbagliato se si considera che il governo, su richiesta degli stessi benzinai, ha annacquato il decreto trasparenza, eliminando l’obbligo di indicazione giornaliera dei prezzi medi e riducendo drasticamente le sanzioni per i distributori scorretti».

Sulla stessa linea anche Assoutenti, che chiede alle prefetture e al Garante per gli scioperi di bloccare la protesta precettando i benzinai e costringendo i distributori a rimanere aperti. «Il maltempo che sta imperversando in Italia e l’allerta neve che interessa diverse regioni rendono del tutto inattuabile lo sciopero, a prescindere da ogni ragione», spiega il presidente Furio Truzzi.

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Nicola Gratteri: “Senza intercettazioni indagini a rischio. Sulle pubblicazioni polemica inutile”

martedì, Gennaio 24th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

A differenza di quello che dice il ministro della Giustizia Carlo Nordio, «cambiare le norme sulle intercettazioni non serve né a evitare abusi né a tutelare la privacy». Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ritiene totalmente «infondate» le motivazioni tirate fuori in questi giorni dal Guardasigilli.

Mettiamo da parte i reati di mafia e corruzione, che sarebbero esenti dalla modifica. Per tutti gli altri si possono fare indagini efficaci senza avere accesso agli ascolti?
«Le rispondo con un paio di esempi. Poniamo di essere davanti a un reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti. Con indagini tradizionali, come le verifiche fiscali, si può giusto arrivare ai prestanome, senza patrimonio e ignari del meccanismo. I veri registi, i professionisti compiacenti e i beneficiari dei profitti, tutti sempre coinvolti in organizzazioni di stampo criminale, senza intercettazioni non si colpiranno mai».

Ne ha pronto un altro.
«Certo, la corruzione mediante consulenze fittizie: senza intercettazioni gli inquirenti acquisiranno contratti di consulenza e pagamenti mediante bonifici apparentemente regolari. Ma non potranno dimostrare che le parcelle sono in realtà mazzette da destinare a pubblici ufficiali».

Insomma, le ritiene indispensabili.
«Lo sono».

Che tipo di inchieste sarebbero a rischio se il governo andasse avanti con la riforma prospettata da Nordio?
«Inchieste su reati contro la pubblica amministrazione, reati finanziari, bancarotte, organizzazioni dedite a furti e rapine. Estorsioni. È un lungo elenco».

La maggioranza accusa: sui giornali escono ancora intercettazioni non rilevanti, come nel caso Zaia-Crisanti.
«La riforma entrata in vigore il 1 settembre 2020 è chiara: le conversazioni non rilevanti non possono essere inserite in atti, ma devono confluire in un archivio riservato. Se chi ha accesso all’archivio le divulga, commette un reato. Nel caso che cita, se sono state divulgate, evidentemente sono state ritenute rilevanti».

Al di là delle intercettazioni, cosa pensa dell’impianto di riforma proposto dal governo?
«La separazione delle carriere è assolutamente inutile, perché di fatto una separazione già esiste, attraverso gli assai rigidi limiti territoriali e numerici di cambio di funzioni. In più, è negativa, perché fa perdere la cultura giurisdizionale al pm, come soggetto terzo nelle indagini. E spalanca le porte a qualcosa di ancora peggiore».

Cosa?
«La sottomissione del pm all’esecutivo».

Secondo Nordio è il Parlamento a essere supino rispetto ai magistrati.
«Se fosse così oggi non avremmo la riforma Cartabia, che la magistratura non ha certo voluto».

Il governo si è impegnato a correggere l’effetto pericoloso dell’improcedibilità d’ufficio per alcuni reati.
«Quello dei reati a querela è solo l’antipasto, se mi consente il termine».

Cos’altro non funziona?
«Vengono appesantite le procedure, rendendo più difficoltosa l’organizzazione degli uffici piccoli e più lunghi i processi di primo grado. In più, quando si arriva in appello, dopo tutto l’impegno profuso, in molti casi arriva la mannaia della improcedibilità. Il sistema è destinato a girare a vuoto».

Ma condivide la necessità di velocizzare i processi?
«Certo, ma per farlo bisogna ottimizzare le risorse che sono mal distribuite. Nella sanità si sono chiusi importanti presidi ospedalieri sul territorio, e non si ha il coraggio di chiudere tribunali piccoli distanti 20 o 30 km da quelli più grandi, peraltro alla vigilia dell’entrata in vigore, anche nel penale, del processo telematico».

Basterebbe questo? Pura logistica?
«No, serve una depenalizzazione di reati che di fatto non hanno alcuna valenza offensiva. Si devono snellire le procedure, facendo esattamente l’opposto di quanto dettato dalla Cartabia».

E poi forse bisognerebbe alleggerire le carceri, sovraffolate, troppo spesso teatro di violenze, dove i suicidi sono in costante aumento.
«Il problema lo si risolve costruendo carceri attrezzati, potenziando le comunità di recupero dei tossicodipendenti, evitando a questi ultimi di andare in carcere».

È possibile ci sia stata una trattativa per la cattura di Matteo Messina Denaro?
«Non conosco il caso e non mi esprimo su ciò che ignoro».

Riformulo. È possibile nascondersi 30 anni in “pieno giorno”, nei luoghi di sempre? «Parlo in linea generale. Il reato di associazione mafiosa ha come elemento strutturale la valenza intimidatoria come fonte di omertà. Se in una comunità la presenza della mafia è forte, sarà meno facile per lo Stato penetrarvi».

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Meloni frena Nordio: “Riformiamo la giustizia ma basta con gli attacchi”

martedì, Gennaio 24th, 2023

Ilario Lombardo

C’è quel retrogusto di già visto, che quasi sconforta Giorgia Meloni. Un altro governo di centrodestra, un’altra potenziale guerra tra politica e magistratura. Silvio Berlusconi come presenza costante. Ieri, come oggi. Il passato che ritorna è l’incubo che non vuole rivivere la presidente del Consiglio. Il suo timore è di impantanarsi in un conflitto con i pubblici ministeri che può logorare il suo governo. Tanto più che è sostenuto da una maggioranza che sul sostegno o meno delle ragioni dei giudici è già spaccata. E ogni giorno si moltiplicano i segnali di un corteggiamento tra il Terzo Polo e i berlusconiani.

Meloni teme questa faglia interna, teme il gioco delle parti dei suoi alleati e le sponde con l’opposizione centrista, meno sensibile alle lamentele delle toghe. Ma è come imprigionata, perché non può nemmeno permettersi di sfiduciare il suo ministro della Giustizia, voluto proprio da lei a via Arenula, l’incontenibile Carlo Nordio, l’ex magistrato che ha preso a bersaglio gli ex colleghi, l’uso delle intercettazioni, e che nella settimana dell’euforia per l’arresto del capo dei capi di Cosa Nostra si è scagliato in Parlamento contro i magistrati antimafia. Per questo, ad Algeri, la presidente del Consiglio accantona per qualche minuto il dossier energetico, il vero motivo per cui è volata qui, e cerca una formula di compromesso. Lo fa parlando nel cortile del palazzo presidenziale, nel gelo di una giornata incerta tra pioggia e sole, mentre all’interno si approfondisce l’amore per gli affari con gli algerini.

Intercettazioni, Nordio: “Il Parlamento non sia supino alle posizioni dei pm”

Sulle intercettazioni offre una mediazione, nel tentativo di frenare le uscite più intemperanti del Guardasigilli. Vanno colpiti gli abusi, senza un corpo a corpo quotidiano con le toghe: «È necessario mettere mano alle cose che non funzionano, sicuramente quello che non funziona è un certo utilizzo delle intercettazioni». Ma, aggiunge, «per mettere mano a questo tema però non c’è bisogno di uno scontro tra politica e magistratura, anzi credo si debba lavorare insieme, quello che provo a metterci io è il buon senso per risolvere i problemi».

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Elkann: “Io, l’Avvocato, mia madre e la Juve”

martedì, Gennaio 24th, 2023

Massimo Giannini

Il 24 gennaio del 2003 se ne andava Gianni Agnelli. Poche altre figure, nella Storia del Paese, hanno lasciato un’impronta così profonda sul secolo che abbiamo alle spalle. E poche altre hanno indicato una rotta al secolo nuovo che stiamo vivendo. «Quando me ne sarò andato, la crescita e il consolidamento di tutto ciò che è stato costruito, alla fine dipenderà dalla qualità delle persone, e dal fatto che ci credano o no. Perché sono loro che dovranno affrontare il prossimo periodo di avversità. E sono loro il patrimonio della Fiat: i suoi uomini». Sono le parole che proprio l’Avvocato, poco prima del commiato, affidò al nipote John Elkann, cioè alla persona che aveva scelto per traghettare nel nuovo millennio la sua dinastia, la Fiat e tutte le attività del gruppo. E così, in questo anniversario, l’amministratore delegato di Exor, in un colloquio con La Stampa e con Ezio Mauro, già direttore di Repubblica, racconta il passato e soprattutto il futuro della più importante famiglia del capitalismo italiano. Elkann parla di tutto, dall’economia globale ai giornali, da Donald Trump a Giorgia Meloni, dal rilancio di Torino alle difficoltà della Juventus. E affronta anche il doloroso conflitto con sua madre Margherita Agnelli sull’eredità dell’Avvocato.

Tanti problemi, ma anche tante opportunità. «Proprio da mio nonno – dice – ho imparato che ciò che conta è andare avanti, non fermarsi. Il suo ottimismo nasceva dalla fiducia nell’individuo e nella sua libertà. Così, io penso che con la libertà e l’impegno si può costruire il futuro».

GLI AGNELLI, L’IMPEGNO E LA RESPONSABILITÀ
Nulla più dell’automobile è il simbolo del cambiamento. Dai consumi ai costumi, dalla fabbrica fordista all’elettrico. Trasformazioni affascinanti, ma spesso anche traumatiche. «Il vero insegnamento che il nonno ha trasmesso a tutti noi – dice Elkann – è l’invito ad affrontare le tempeste con coraggio e responsabilità, puntando sempre sullo sviluppo. Alla base di tutto c’è questo ingaggio responsabile dei singoli…». I passaggi cruciali sono stati soprattutto due. «Nel ‘45, appena finita la guerra, con la scomparsa del senatore Agnelli, tutto ciò in cui mio nonno aveva creduto è crollato. Lui, suo fratello, le sorelle e i cugini si trovarono davanti ad una scelta radicale: impegnarsi nell’azienda o tirarsi fuori. Con coraggio, scelsero l’impegno e continuarono, pilotando l’azienda in un forte cambiamento, mentre il Paese si risollevava e l’Europa rinasceva. Nel 2003 si ripropose un dilemma simile e la famiglia – sotto la guida di mio zio Umberto, che il nonno ha sempre considerato il suo successore naturale – decise un’altra volta di impegnarsi. Mio nonno direbbe che sono queste le scelte che contano di più, perché sono decisive in momenti cruciali».

L’EUROPA, L’AMERICA E UN DESTINO COMUNE
L’orizzonte della famiglia e del gruppo è il mondo globale, ma prima ancora è l’Occidente, i suoi valori, il suo comune destino. «Il nonno è sempre stato convinto che più l’Italia si integrava nell’Unione Europea, più si sarebbe rafforzata. Ed è esattamente quello che è accaduto. L’altra sua convinzione profonda era l’atlantismo, il rapporto con gli Stati Uniti: e se noi guardiamo agli effetti della guerra in Ucraina, proprio nelle zone in cui mio nonno era soldato, possiamo concludere che la Ue e l’Italia davanti all’invasione russa hanno rafforzato ancora di più i loro legami con Washington». Quello che Agnelli non poteva prevedere è Donald Trump, l’assalto a Capitol Hill e alla democrazia americana. «Lui era convinto che le istituzioni americane fossero comunque più forti degli individui. E i fatti lo hanno dimostrato: finora è stata proprio la forza di quelle istituzioni a impedire a chiunque di alterare o di spostare le fondamenta sulle quali quella grande nazione è stata costruita. E questa è la cosa più importante: la tenuta della democrazia».

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L’Europa rischia l’esclusione dal grande gioco africano

martedì, Gennaio 24th, 2023

di Federico Rampini

Riaffiora la vecchia retorica antioccidentale. Ne approfittano la Russia e la Cina, facendo incetta di appalti

L’Europa rischia l’esclusione dal grande gioco africano

È il momento dell’Africa: contesa da tutti. La missione di Giorgia Meloni in Algeria avviene mentre i leader del mondo intero corteggiano questo continente da Nord a Sud.

Tra le ultime visite importanti: il nuovo ministro degli Esteri cinese, quello russo, e la segretaria al Tesoro americana. L’Africa attrae per ragioni evidenti. Ha risorse naturali immense, dall’energia fossile alle rinnovabili, dai minerali all’agricoltura. Malgrado la nostra visione pauperistica e catastrofista, è un mercato in espansione. In un mondo dove la decrescita demografica è arrivata anche in Cina, è una delle aree dove la popolazione cresce ed è giovane. È una posta in gioco nella divisione del pianeta in aree d’influenza geopolitiche.

In Occidente fa scalpore l’annuncio di manovre militari congiunte tra Sudafrica, Russia e Cina. La marina militare di Putin vi manderà una nave armata di missili ipersonici dell’ultima generazione. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha visitato Pretoria prima di proseguire verso l’Angola e il Botswana. Il governo sudafricano giustifica le manovre militari come «una componente naturale delle relazioni tra Paesi amici». Queste relazioni si sono rafforzate dall’inizio della guerra in Ucraina. Nei primi mesi dell’aggressione russa il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa invocò un ritiro unilaterale di Putin e si offrì come mediatore. Poi ci ha ripensato.

Ora non solo il Sudafrica non aderisce alle sanzioni, ma critica le forniture di armi all’Ucraina e contesta che l’Occidente condanni la Russia ma non l’occupazione di territori palestinesi da parte d’Israele. È la vecchia retorica antioccidentale e anticoloniale che riaffiora come nella prima guerra fredda, quando il Terzo mondo sceglieva il «non allineamento» fra i due blocchi, e al tempo stesso simpatizzava con il comunismo sovietico considerandolo un alleato nelle lotte per l’emancipazione dell’emisfero Sud.

La Cina è la campionessa su questo terreno. Pur essendo una superpotenza economica e finanziaria, ormai la principale «banchiera» di molti Paesi africani, continua a presentarsi come un Paese emergente che sta dalla loro parte contro l’avido capitalismo occidentale. Non appena nominato, il nuovo ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha scelto Addis Abeba come tappa del suo primo viaggio all’estero: capitale dell’Etiopia e anche sede dell’Unione africana. Poi ha proseguito in Gabon, Angola, Benin, Egitto. Tra i suoi slogan preferiti: «Questo sarà il secolo dell’Asia e dell’Africa».

La missione africana della segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, prende di mira l’espansionismo cinese. La Yellen denuncia le gravi difficoltà in cui versano quegli Stati come lo Zambia, eccessivamente indebitati con Pechino, e oggi alle prese con un creditore ben più esoso e rigido rispetto al Fondo monetario internazionale o alla Banca mondiale. La Yellen ha ragione, dallo Zambia al Ghana si allunga l’elenco di nazioni africane che scoprono l’altra faccia della «generosità» di Xi Jinping. Gli americani aggiungono che il titanico programma delle Nuove Vie della Seta (il nome ufficiale è Belt and Road Initiative) accumula errori e problemi. In quei mille miliardi di dollari di investimenti infrastrutturali che la Cina ha disseminato nel mondo intero, ci sono opere pubbliche mal concepite, inefficienti, con danni all’ambiente, abusi contro i diritti umani. Tra gli esempi recenti vengono citate due dighe «made in China» lungo il corso del Nilo che attraversa l’Uganda: opere afflitte da una miriade di difetti di costruzione. Le critiche sono fondate però pochi altri soggetti si fanno avanti per contrastare la continua avanzata cinese in Africa, tant’è che il 60% degli appalti per infrastrutture africane sono in mano ad aziende della Repubblica Popolare.

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Gas, ecco i patti con l’Algeria Meloni: «Così l’Italia aiuta l’Ue»

martedì, Gennaio 24th, 2023

di Marco Galluzzo, inviato ad Algeri

La premier: «Saremo un hub per l’energia». E sulle intercettazioni: riforma ma niente scontri

Gas, ecco i patti con l’Algeria

Accordi strategici su energia, imprese, spazio. Accanto a lei ha Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, che sigla un’intesa con gli imprenditori locali. E soprattutto Claudio Descalzi, ad di Eni, che con l’Algeria continua a costruire collaborazioni industriali che rafforzano il ruolo strategico, per l’Italia, del Paese nordafricano. Giorgia Meloni è il perno di una visita che muove il sistema Italia per 24 ore in territorio algerino. Rilancia il progetto di fare dell’Italia un hub di energia. Ma con i cronisti commenta anche tutti i temi caldi del dibattito interno: ribadisce la sua fiducia nel Guardasigilli, Carlo Nordio, annuncia un «cronoprogramma con tutti i ministri» sulle riforme, conferma che l’esecutivo metterà mano all’uso delle intercettazioni pur evitando «uno scontro con i magistrati».

Di prima mattina la premier vista il giardino dedicato a Enrico Mattei («un grande italiano») poi incontra il presidente della Repubblica e sottolinea il rapporto sempre più stretto fra i due Stati: l’Algeria è un «partner affidabile e di rilievo strategico», dice Meloni durante le dichiarazioni alla stampa con Abdelmadjid Tebboune. E l’Italia «intende rafforzare la collaborazione con l’Algeria in altri campi, rafforzarla nel campo energetico, politico e culturale». Un rapporto più continuo con i paesi della sponda sud del Mediterraneo non è solo interesse dell’Italia, aggiunge, ma dell’intera Europa, «anche per arginare la presenza della Russia e della Cina, che sono aumentate sensibilmente con elementi di destabilizzazione evidenti».

Anche per questo motivo Meloni conferma che farà altre missioni, anche a breve termine, in altre capitali africane, da Tripoli sino ad Addis Abeba. Ma è comunque il gas lo snodo primo della visita: «L’Algeria è il nostro principale fornitore di gas», dice commentando i due memorandum di intesa firmati da Eni e Sonatrach, «uno per ridurre le emissioni di gas serra, quindi per uno sviluppo sostenibile, e l’altro per giungere ad un incremento delle esportazioni di gas dall’Algeria all’Italia e all’Ue, la realizzazione di un nuovo gasdotto per l’idrogeno, la possibilità di fare gas liquefatto. Insomma — aggiunge — un meccanismo di mix energetico che individuiamo come possibile soluzione alla crisi in atto». Il progetto di fare dell’Italia un hub di energia nel Mediterraneo «ha un orizzonte di legislatura — continua — che è la possibilità, in un momento difficile per l’Europa sugli approvvigionamenti, di fare dell’Italia la porta di accesso, l’hub fondamentale di distribuzione dell’energia». Nel cortile del palazzo presidenziale algerino Meloni si ferma poi con i cronisti e commenta i temi cali del fronte politico interno.

Sul fronte intercettazioni l’esecutivo andrà avanti: «È necessario mettere mano alle cose che non funzionano, e sicuramente quello che non funziona è un certo uso che si fa delle intercettazioni», dice. Quello delle intercettazioni è quindi un tema su cui bisogna intervenire, «ma per farlo non c’è bisogno di uno scontro tra politica e magistratura. Credo anzi che si debba lavorare insieme per capire dove il meccanismo dello Stato di diritto non funziona e cercare le soluzioni più efficaci». Meloni rientra a Roma in serata, quando mancano 24 ore al primo sciopero contro il governo, quello dei benzinai. «Abbiamo convocato i benzinai due volte, nessuno vuole colpire la categoria, ma non torneremo indietro. I benzinai hanno fatto delle legittime rimostranze, noi siamo andati loro incontro, ma non potevamo tornare indietro su un provvedimento che riteniamo giusto, c’è la necessità di fare ordine».

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