Mosca prosegue lo sviluppo di nuove armi nucleari, con l’obiettivo di spostare l’equilibrio del terrore con gli Stati Uniti. La Tass ha comunicato che sono state completate le prove del Poseidon, il cosiddetto “siluro dell’Apocalisse”. L’agenzia ha citato una fonte vicina al ministero della Difesa per annunciare che “il sottomarino Belgorod ha concluso una serie di test del super siluro Poseidon. Lo scopo era verificare il funzionamento del sistema di lancio e sono stati effettuati per chiarire il comportamento del sottomarino a diverse profondità dopo l’espulsione dell’ordigno”.
Non si sarebbe ancora trattato di un’arma operativa, ma soltanto di
un simulacro “con massa e dimensioni del Poseidon”: si dovrebbe trattare
dell’ultima fase di sperimentazione prima che il siluro venga
introdotto in servizio con la Marina russa.
Repubblica era stata la prima lo scorso ottobre a rivelare la nuova campagna di prove del sottomarino K-329 Belgorod: una notizia confermata un mese dopo da fonti ufficiali americane alla “Cnn”. Ogni movimento di questo battello viene seguito con massima attenzione dalla Nato, perché si tratta del più grande e moderno sommergibile nucleare della flotta di Mosca. Ed è l’unico progettato per impiegare il siluro Poseidon, presentato da Vladimir Putin nel 2018 come uno dei sistemi che restituirà la supremazia strategica alla Russia: una testata atomica che viaggia sotto le onde per diecimila chilometri e poi esplode in vicinanza della costa per causare uno tsunami radioattivo. L’onda contaminata può cancellare metropoli come New York o Los Angeles. Gli esperti spiegano che lo stesso effetto può venire ottenuto con i missili balistici intercontinentali, che esistono dagli anni Sessanta. Ma gli Stati Uniti hanno creato una rete di satelliti con sensori infrarossi proprio per avvistare la partenza dei missili russi: l’accensione dei motori infatti causa un calore fortissimo. Invece i satelliti non vedono quello che accade nelle profondità del mare: il super-siluro sarebbe stato progettato per emettere pochissimo calore e viaggiare in modo silenzioso a oltre cento chilometri orari.
Avrò avuto undici anni e camminavo a caso per i viali deserti di
Torino quando andai a sbattere contro il corpo di un uomo impiccato a un
albero. Ho saputo in modo istantaneo che si trattava di un delitto
fascista. I resti delle spedizioni di Salò venivano lasciati dovunque,
un corpo sul marciapiede, uno dentro un portone, per essere certi che i
cittadini sapessero, come si fa quando si lasciano in giro le tracce
delle feste. Ricordo bene quel momento. Come un flash ho visto un
pensiero proiettato ben chiaro in quel cielo invernale: “Ci sarà un
dopo”.
Era un pensiero di rivolta, come per tutto il movimento partigiano
che mi brulicava intorno. Ma non di vendetta. Prevaleva la persuasione
che l’Antifascismo avrebbe liberato il mondo dal fascismo con una
zampata definitiva e che le imprese sinistre del fascismo non sarebbero
sopravvissute neppure nella memoria di chi non poteva ammettere di
averle compiute. Il peso insopportabile di troppi morti avrebbe spinto
altrove la storia, la vita, il sentimento italiano, nella appassionata
ricerca di ritorno a un percorso umano.
Eppure adesso sono diventate chiare due cose in chi aveva vissuto dal
vero, come me, l’incubo del fascismo. La prima è che in grande
maggioranza i fascisti sono restati tra noi come reduci fra i reduci, a
guerra finita. A nessuno di loro – ben motivati e organizzati – a suo
tempo era sfuggito un solo ebreo e un solo antifascista (salvo i
rifugiati di conventi e di case non infettate dal fascismo). Ma nessuno,
dopo, ne ha chiesto conto, al punto che alcuni hanno ricoperto cariche.
La seconda, che si è fatta strada rapidamente, era che – in un Paese
grigio e propenso a vedere come va a finire prima di decidere – è
sembrato normale e civile riconoscere che se ci sono gli antifascisti è
naturale che ci siano anche i fascisti. Non puoi zittirli a causa di
fatti avvenuti in altre circostanze e in un altro tempo.
Ecco perché al presidente del Senato La Russa non è
sembrato di avere detto niente di sbagliato, elogiando il fascismo
tramite il Movimento Sociale Italiano (partito neofascista che aveva
occupato il posto libero di una estrema destra ancora da definire). La
Russa aveva ragione e comprensibilmente si è indignato per le critiche al suo elogio del fascismo tramite Msi, perché ha capito prima di altri che stava occupando un altissimo ruolo non nella rivoluzione ma nella continuazione.
Il fascismo non era mai andato via (si pensi alle stragi, dalla Banca
dell’Agricoltura alla P2) e adesso è legittimato ad andare avanti da
una poderosa vittoria di un partito di estrema destra che – salvo respingere fino alle lacrime ogni partecipazione alla Shoah – del fascismo e del Msi si è preso tutto, compresa l’emanazione di leggi, come quella che vuole eliminare le organizzazioni umanitarie che salvano i profughi in mare e punire gli autori dei salvataggi, come chi nascondeva quelli privi di fede nel fascismo.
Il marito non ne sapeva nulla. E vabbé, può capitare. Ma nemmeno la mamma, l’amica del cuore, il figlio diciassettenne. Nessuno. Un segreto custodito gelosamente per mesi. Fino a ieri, quando finalmente “Spare – Il minore “(ed. Mondadori), l’autobiografia del principe Harry, è uscita in contemporanea nel mondo anglosassone e in quasi tutta Europa (16 le lingue in cui è stata tradotta). Solo allora la modenese Sara Crimi, classe 1974, ha confessato: a tradurre quella storia per i lettori italiani era stata lei insieme ad altre colleghe Manuela Faimali, Valeria Gorla e Laura Tasso. Così se a Buckingman Palace ieri pare tirasse una brutta aria, a casa Crimi hanno stappato una bottiglia di Lambrusco buono. “Ho firmato un accordo di riservatezza, non potevo rischiare in nessun modo”.
Crimi, come l’hanno presa i suoi?
“La più contenta è stata la mamma, fan della royal family, a lei
regalerò la prima copia. Marito e figlio contenti nella norma. Nessuno
dei libri da me tradotti ha suscitato tanta attenzione. Ho ricevuto
messaggi da gente che non sentivo da anni”.
Ma in casa cosa raccontava?
“I miei sono abituati. Anni fa tradussi sempre con Laura Tasso “No easy
day”, sul marine che ha ucciso Bin Laden. Di mezzo c’era addirittura il
Pentagono, non doveva trapelare nulla. Quando mio marito mi chiedeva
cosa traducessi, rispondevo “nulla”. Ma ero sempre davanti al computer.
Adesso abbiamo un accordo: se non spiego, non posso”.
Un mestiere pericoloso…
“No, ma avevo tre password anche per cambiare una parola sola. In
Mondadori fino a ieri nemmeno l’ufficio stampa aveva il permesso di
leggerlo”.
Come ha lavorato alla traduzione?
“È stato un lavoro di gruppo con le colleghe, i tempi e le attenzioni da
avere erano tali che sarebbe stato impossibile per un solo traduttore.
Sono più di cinquecento pagine, io avevo il compito di rileggere tutto,
uniformare le diverse parti, verificare che le modifiche fossero
apportate correttamente. Ci abbiamo lavorato da settembre, tutte
insieme, al ritmo di dieci ore al giorno. Ad eccezione di due settimane
all’inizio…”.
Per dirla con le parole del ministro della Difesa (Guido Crosetto),
il machete è rimasto nella fondina. La lotteria delle prime tre nomine
importanti del governo Meloni è terminata con due conferme su tre. E che
conferme. Ernesto Maria Ruffini, ai vertici della macchina fiscale dai
tempi del primo governo Renzi, resta direttore dell’Agenzia delle
Entrate. Alessandra Dal Verme, funzionaria di lungo corso del ministero
del Tesoro e cognata del commissario europeo all’Economia Paolo
Gentiloni, continuerà a guidare la burocrazia che gestisce il patrimonio
immobiliare pubblico. Al termine di lunghe discussioni nella
maggioranza, l’unica sostituzione riguarderà Marcello Minenna, fino a
ieri direttore delle Dogane e scelto per quella poltrona da Giuseppe
Conte in quota Cinque Stelle. Sarà sostituito da Roberto Alesse, già
capo dell’Autorità per il diritto allo sciopero e da poche settimane
capo di gabinetto del ministro del Mare Nello Musumeci.
La conferma di Ruffini era nell’aria ormai da qualche settimana. A
favore della riconferma hanno pesato almeno tre fattori. Il primo: i
risultati. L’avvocato romano (tributarista ma anche esperto di diritti
dei migranti) vanta il miglior gettito da lotta all’evasione di sempre,
circa venti miliardi, nel 2017. Stimato al Quirinale e dal ministro del
Tesoro Giancarlo Giorgetti, Ruffini chiede alla politica da anni di
risolvere il problema dei quasi mille miliardi di tasse mai riscosse
dallo Stato, gran parte delle quali inesigibili. Musica per le orecchie
di Matteo Salvini e del viceministro alle Finanze, il tributarista
Maurizio Leo. Chi è stata in bilico fino all’ultimo è Dal Verme:
all’interno di Fratelli d’Italia la pressione per sostituirla è stata
forte. L’unica decisione che non ha sorpreso i palazzi è quella di
Minenna. Fonti governative raccontano che già qualche settimana fa
Giorgetti aveva chiesto un parere all’Avvocatura dello Stato sulla
possibilità di anticipare il suo avvicendamento prima della scadenza
naturale. Anche lui funzionario pubblico di lungo corso (proviene dalla
Consob), Minenna era rincorso dalle polemiche e da più di un’inchiesta
giornalistica sui metodi di gestione dell’Agenzia.
La prossima scadenza sulle nomine cerchiata nell’agenda della premier è il 24 gennaio, quando saranno scattati i novanta giorni previsti dalla legge Bassanini per il cosiddetto «spoil system», grazie alla quale il governo entrante ha il diritto di sostituire gran parte delle figure apicali dello Stato. L’attenzione è su due poltrone, delicatissime per la gestione dei conti pubblici e dunque i rapporti con la Commissione europea: la direzione generale del Tesoro e la Ragioneria generale dello Stato.
Dopo gli aumenti della benzina, delle bollette, dell’affitto, dei
trasporti, per molte famiglie è in arrivo un nuovo aumento: quello del
costo di colf e badanti, per adeguare i compensi all’inflazione. Un
aumento di circa il 10 per cento. Ovviamente anche colf e badanti
subiscono i costi dell’inflazione, soprattutto se non sono conviventi e
non devono fronteggiare i costi di vitto e alloggio. Non solo, le loro
famiglie appartengono al gruppo di quelle più colpite dell’inflazione,
avendo bilanci modesti e perciò rigidi.
L’adeguamento sembra perciò equo e in qualche misura dovuto, come
per altre categorie di lavoratrici e lavoratori a reddito modesto. Ma
l’effetto che ciò può avere su di loro e sulle famiglie che le impiegano
può essere molto pesante. Un aumento di 100 euro o più (considerando
tredicesima e quota di TFR) al mese per una badante convivente può
diventare insostenibile per alcune famiglie , certo non povere, ma non
ricchissime, il cui stipendio o pensione non è sempre analogamente
adeguato all’inflazione. Ricordo che una badante non è un lusso in un
paese in cui le politiche, e i servizi, per la non autosufficienza, sono
gravemente carenti, quando non del tutto assenti. Il rischio è duplice.
Qualcuno rinuncerà alla badante, o alla colf a ore, sostituendone il
lavoro pagato e regolare con il proprio ( o della moglie, figlia, nuora)
lavoro non pagato, insieme creando disoccupazione e peggiorando la
propria qualità della vita.
Qualcuno licenzierà la persona finora assunta regolarmente per
riassumere lei o un’altra in nero, una situazione che si stima già ora
coinvolga il 60 per cento di queste lavoratrici e lavoratori, la parte
più fragile e sprotetta di una categoria che, anche quando
contrattualizzata, gode di molti meno diritti degli altri lavoratori
dipendenti. Altri cercheranno un compromesso, spostando parte
dell’orario da regolare al nero. L’adeguamento all’inflazione, infatti,
coinvolge ovviamente solo le lavoratrici contestualizzata, non le altre.
Le associazioni di categoria hanno fatto in questi anni un lavoro
importante per dare dignità e sicurezza alle lavoratrici domestiche,
favorendone l’emersione.
Anche l’immigrazione ha favorito il processo, perché l’avere un
contratto regolare è indispensabile per avere il permesso di soggiorno e
le periodiche regolarizzazioni hanno favorito proprio colf e badanti,
viste come “meritevoli” per l’indispensabile aiuto che forniscono alle
famiglie in un contesto di servizi pubblici scarsi. Anche se le
difficoltà ad ottenere il permesso di soggiorno a loro volta fanno delle
migranti le più ricattabili tra le lavoratrici in nero. Nel riconoscere
la legittimità delle richieste di adeguamento all’inflazione di colf e
badanti occorre dunque tenere ben presenti i rischi di peggiorare invece
la situazione per molte di loro in un mercato del lavoro in cui la
quota di irregolarità è ancora maggioritaria.
Occorre trovare un compromesso che consenta a chi ha scelto di
assumere regolarmente una collaboratrice familiare o una badante possa
continuare a farlo anche nelle circostanze attuali e alle lavoratrici di
avere una paga decente e contributi per la pensione e gli infortuni.
L’aumento del prezzo dei carburanti mette per la prima volta Fratelli
d’Italia davanti al rischio concreto di perdere consensi. Francesco
Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e numero due del partito, però,
non fa marcia indietro: «Le risorse sono poche servono misure per la
crescita».
Ministro, cosa avrebbe detto Fratelli d’Italia qualche mese
fa se il governo avesse deciso di non rinnovare gli sconti sulle accise
dei carburanti, di fatto causando l’aumento dei prezzi? «In
questi anni abbiamo dimostrato che anche dall’opposizione si può essere
responsabili. Quindi avremmo compreso che, come era giusto applicare
degli sconti nell’epoca in cui i prezzi erano schizzati alle stelle, ora
non è tempo di interventi orizzontali».
Come spiegate la decisione di non rinnovare gli sconti? «Bisogna
fare delle scelte. Ora che i carburanti sono tornati a prezzi più
contenuti, le poche risorse che abbiamo vanno usate per interventi più
mirati. Lo sconto sulle accise è molto costoso. Ora è tempo di investire
sulla crescita».
Lega e Forza Italia chiedono di intervenire sui prezzi, farete qualcosa? «Lo
stiamo decidendo, ci potrebbero essere interventi mirati a specifici
settori da salvaguardare, come peraltro già abbiamo fatto per
l’agricoltura, la pesca e l’autotrasporto».
In questi giorni è stato ripubblicato un video d’archivio,
dove Giorgia Meloni, allora all’opposizione, si indignava per il peso
delle accise, chiedendone l’abolizione. Lo ha visto, immagino. «Era
una battaglia giusta, che rivendichiamo, ma ora viviamo in tempi
eccezionali. Il conflitto in Ucraina e l’aumento dei prezzi dell’energia
hanno mutato il quadro e questa congiuntura ci obbliga a scegliere. Noi
siamo un Paese con un debito altissimo».
Quindi niente abolizione. «Io parlerei di riduzione ed è un tema che andrà ripreso, in tempi diversi da questo».
Voi avete detto di mettere nel conto che, stando al governo,
il consenso si possa perdere o ridurre, quello di questi giorni è il
primo esempio di questo tipo? «A giudicare dai sondaggi
direi proprio di no. Fratelli d’Italia fa registrare una crescita
importante e non a discapito degli alleati del centrodestra. I cittadini
sono molto più maturi di quei pochi che ragionano con la pancia e ci
chiedono di fare tutto e subito».
Il rapporto con l’Europa la preoccupa? «Al
contrario. In Europa il governo ha già ottenuto due risultati. Il primo è
smentire la propaganda che voleva un’Italia isolata. Il fatto che la
presidente della Commissione europea abbia già avuto due incontri in
pochi mesi con Giorgia Meloni, l’ultimo dei quali molto proficuo,
dimostra che quella narrazione era falsa. Poi c’è il successo nella
partita del tetto al prezzo del gas».
Non è presto per cantare vittoria? «Certo, sono
solo i primi mesi, ma i segnali sono già molto buoni: da quando siamo
al governo la Borsa è cresciuta, lo Spread non è certo aumentato come
diceva qualcuno e il prezzo del gas è sceso. E l’ottimismo che si
percepisce è importante, perché porta a far crescere i consumi».
Il boom sul prezzo dei carburanti
divide la maggioranza. Meloni: «Che l’opposizione attacchi è normale;
che nella maggioranza ci sia chi va in tv a parlare di taglio mi fa
infuriare». Cattaneo (FI): «Misure da riorientare»
Lo stop al congelamento delle accise sui carburanti ha
innescato un forte aumento dei prezzi ai distributori, con il diesel
arrivato a 2,50 euro e la benzina sopra i 2 euro al litro.
È la conseguenza della decisione del governo Meloni, che
nell’impianto della manovra ha dirottato i miliardi dello scudo contro
il caro carburanti verso misure a sostegno della crescita e di altri
sostegni contro la povertà. A rivendicare l’obiettivo della «crescita» è il ministro Francesco Lollobrigida, braccio destro della premier. Una linea, questa, che pare condivisa in blocco da tutto Fratelli d’Italia; ma non da Forza Italia, dove monta la protesta.
Davanti al boom dei prezzi e al
malcontento esploso tra cittadini e imprese, il partito di Berlusconi ha
deciso di partire in contropiede. Ma a Palazzo Chigi, come raccontato dal Corriere,
lo stato d’animo è quello dell’assedio e Giorgia Meloni, nel mezzo
del Consiglio dei ministri, ammonisce la squadra: «L’opposizione ci
attacca ed è normale, ma mi fa infuriare che anche nella maggioranza ci
sia chi va in tv a dire che bisogna tagliare le accise. Questo non è
accettabile». La premier è durissima e non tanto con i 5 Stelle, che
l’accusano di non aver mantenuto le promesse, ma appunto con gli
alleati.
Forza Italia è convinta che il
problema non sia causato dall’avidità dei concessionari ma dalle accise,
il cui taglio, appunto, non è stato prorogato in manovra. Alessandro Cattaneo, capogruppo dei Berlusconiani alla Camera, usa termini pacati, ma la sostanza non cambia:
serve una misura per contenere il costo dei carburanti. «Siamo pronti a
riorientare tutti i provvedimenti, un approccio dinamico in un mercato
dinamico — ha spiegato Cattaneo al Corriere —. Ma rivendico le risposte puntuali di fronte all’evolversi della situazione».
Gli fa eco, però, il
ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani (Fratelli
d’Italia), che spiega in termini divergenti il dibattito interno alla
maggioranza: «La scelta del governo di non prorogare il taglio
delle accise è stata molto meditata e molto sofferta, una misura che
però costa oltre un miliardo al mese. Il governo ha deciso di utilizzare
quelle risorse per aumentare le pensioni minime, per tagliare il cuneo
fiscale, quindi tutte misure sociali». E poi: «È chiaro — aggiunge
l’esponente di FdI — che se ci sarà la possibilità , e i conti lo
consentiranno, appena possibile potremo ridurre anche il costo della
benzina. Ma ricordo che abbiamo impegnato 30 miliardi per ridurre il costo delle bollette».
L’accoltellamento alle 6.40 del
mattino. L’aggressore è stato neutralizzato dalla polizia, ringraziata
dal ministro dell’Interno Darmanin per l’intervento «efficace e
coraggioso»
Mercoledì mattina, intorno alle 6.40, un uomo ha ferito sei persone a Parigi, alla stazione dei treni Gare du Nord. Uno è grave, secondo un portavoce della polizia citato dall’agenzia Reuters.
La polizia ha neutralizzato l’aggressore con colpi di arma da fuoco e lo ha arrestato. I treni stanno circolando normalmente. L’agente che ha sparato era fuori servizio, sempre secondo la Reuters. L’aggressore, colpito al torace, è stato trasferito in ospedale.
Il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin ha confermato su Twitter parte della notizia, inizialmente diffusa dai media francesi, e ringraziato le forze dell’ordine per l’intervento «efficace e coraggioso». CORRIERE.IT
Fare il giro delle farmacie pur di trovare il medicinale necessario: per tanti pazienti il problema dei farmaci «introvabili» non è nuovo.
Negli ultimi tempi, però, la situazione è peggiorata e gli stessi farmacisti hanno segnalato che fanno più fatica a reperire alcune categorie di medicinali di uso comune — e si sta allungando la «lista dei farmaci temporaneamente carenti».
Ecco allora cosa sapere e alcuni consigli.
Il «caso» dell’ibuprofene e del paracetamolo
Cosa sta accadendo? Ci sono diverse cause.
È aumentata notevolmente la richiesta di alcuni prodotti,come ibuprofene e paracetamolo. Nella maggior parte dei casi il farmaco carente può essere sostituito con l’equivalente (o generico) e, laddove possibile, le farmacie hanno contribuito e contribuiscono a sopperire alle carenze con preparati galenici, come nel caso dell’ibuprofene in versione sciroppo per i bambini.
Farmaci che «spariscono» a intermittenza
Ci sono, poi, altri motivi che stanno provocando un aumento della carenza dei farmaci.
A causa delle crisi internazionali, si è aggiunta la scarsità di alcune materie prime necessarie per produrre le confezioni ma anche di principi attivi che provengono dall’estero.
I provvedimenti
L’Agenzia italiana del farmaco monitora costantemente la temporanea irreperibilità sul mercato nazionale di medicinali, in particolare di quelli indispensabili per la cura di determinate patologie.
In base alle norme in vigore, le aziende farmaceutiche titolari dell’autorizzazione all’immissione in commercio sono tenute a segnalare all’AIFA, con un anticipo di quattro mesi, che si verificherà una carenza del farmaco, di solito dovuta a problemi di produzione o a un aumento imprevisto della richiesta, o a cessata commercializzazione del prodotto.
Quando l’AIFA riceve la comunicazione, verifica se c’è un problema di sanità pubblica in modo da adottare i provvedimenti necessari coinvolgendo, se è il caso, i professionisti sanitari e le componenti della filiera, produttori, grossisti, importatori, farmacie.
Se il medicinale non può essere sostituito, perché non esistono equivalenti in commercio, viene rilasciata l’autorizzazione per l’importazione al titolare dell’autorizzazione in commercio del farmaco o alle strutture sanitarie interessate (Asl, farmacie ospedaliere).
Cosa fare se non si riesce a trovare il farmaco?
In ogni caso, se non riuscite a trovare il vostro medicinale in farmacia, per non interrompere le cure, rivolgetevi sempre al vostro medico curante (o allo specialista) che vi prescriverà un medicinale equivalente, se esiste, o una terapia alternativa.
Potete anche verificare se il vostro medicinale è inserito nella lista dei «farmaci temporaneamente carenti», sul sito dell’Agenzia italiana del farmaco, che riporta in ordine alfabetico le informazioni sul prodotto mancante (sia principio attivo che nome commerciale), la data di inizio della carenza e quella prevista per il ritorno in commercio, i motivi per cui manca, i suggerimenti su cosa fare, l’esistenza o meno di un farmaco equivalente, cioè una «copia» del farmaco di riferimento (di marca) presente sul mercato già da molti anni e il cui brevetto sia scaduto, con lo stesso principio attivo, stessa forma farmaceutica e via di somministrazione (per esempio: compresse, sciroppo, soluzione iniettabile ecc), stesso dosaggio.
Anita ha otto anni e fa lo slalom fra gli scaffali del supermercato
come una piccola saetta. Da quello delle merendine raggiunge il banco
frigo e lì prende uno dei suoi yogurt preferiti, alla fragola con tanti
confettini golosi da immergerci dentro. Non sa che a colorarlo di rosa
ha contribuito un piccolo insetto chiamato cocciniglia con un nome che
sembra uscito da un cartone animato o da un balletto su Tik Tok e che
richiama quello della simpatica coccinella con la quale, però, non ha
nulla da spartire. O meglio in un certo senso sì perché l’animaletto
portafortuna è ghiotto del primo, nient’affatto visto di buon occhio
soprattutto dagli agricoltori perché parassita e infestante. Ma
utilizzato come colorante alimentare (e non solo: si può trovare anche
nei cosmetici come rossetti rossi e fard e anche, ma più raramente, nei
tessuti). Un uso che ha origine molto tempo fa e che, anche se in misura
minore, continua ancora oggi, praticamente sconosciuto alla maggior
parte dei consumatori che ignorano la presenza di insetti, in questo
caso sotto forma di colorante, in alcuni prodotti assai diffusi d’uso e
consumo quotidiano.
Presenza che sarà sempre più frequente dopo l’autorizzazione
dell’Unione Europea alla commercializzazione di Acheta domesticus,
ovvero il grillo domestico in polvere (il
3 gennaio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale comunitaria il
regolamento che entrerà in vigore il 24 gennaio) che segue
l’approvazione mesi fa delle tarme della farina essiccate e della
locusta migratoria nel piatto.
Per quanto riguarda gli insetti che, senza saperlo, già mangiamo e
beviamo – la cocciniglia femmina colora diverse bevande color rubino – e
per quelli che troveremo negli alimenti in un futuro ormai prossimo,
non si tratta tanto di essere favorevoli o contrari. Ciascuno è libero di ingerire cosa vuole, naturalmente. L’importante
è che tutto sia ben segnalato sulle etichette. E che ciascuno, che sia
sensibile ad allergeni o abbia fatto una scelta vegana o voglia
semplicemente essere informato, abbia la possibilità e soprattutto il
diritto di scegliere.
L’indagine
Per questo Il Gusto ha deciso di condurre una piccola indagine esplorativa per verificare la presenza di prodotti con il colorante E120 o carminio (sigla e termine che indicano la cocciniglia)
che, ricordiamo, non è vietato ma autorizzato ad essere immesso in
commercio. E per raccogliere i commenti dei consumatori, clienti dei
punti vendita della Gdo, la Grande distribuzione organizzata presente in
tutta Italia. Prendendo come campione rappresentativo 10 supermarket
Conad, Coop, Pam, Esselunga, Elite, Gros, Dem, Pewex e Carrefour di
Roma. È in uno di questi che incontriamo la piccola Anita a far la spesa
insieme alla sua mamma sabato 7 gennaio. Quando la bimba viene a sapere
che nel suo yogurt del cuore, una confezione Danone coloratissima a due
vasetti con confettini da mescolare e la scritta “Super Mario”, c’è un acido detto carminico prodotto da un insetto non fa una piega.
“E allora? È un animaletto come un altro che si mangia. E lo yogurt è buonissimo” risponde. Meno convinta la madre Alessandra Fenu,
46 anni romana d’adozione e sarda d’origine che si dice ignara di
questa presenza che “un po’ blocca a livello psicologico”: “Ma poi se
pensiamo a tutto quello che mangiamo senza sapere realmente cosa è, cosa
contiene allora non succede nulla..”.
Nel caso del prodotto rivolto ai bambini la sigla E120 è sostituita
dall’indicazione chiara del nome “cocciniglia” che appare in etichetta
fra gli ingredienti presenti.
Fra gli yogurt anche quelli alla fragola e alla ciliegia, zero
grassi, Vitasnella (Danone) fino a qualche anno fa contenevano il
colorante in questione. Attualmente come si legge sul sito https://www.vitasnella.it/yogurt/ sono
stati sostituiti da altri che non abbiamo trovato in nessuno dei
supermercati visitati perché “non disponibili” o “fuori assortimento”.
La nuova ricetta prevede come coloranti carota nera e ibisco, ovvero
quelli che ci sono nella gran parte degli yogurt ai frutti rossi,
insieme a sambuco, ribes rosso. Ingredienti vegetali, come anche la
barbabietola rossa, presenti nella maggioranza dei prodotti che
vogliono, unicamente, accentuare la colorazione vermiglia. Per
motivazioni esclusivamente estetiche.
Come nelle caramelle gommose colorate in cui potrebbe esserci la “gelatina alimentare animale”. In quelle Haribo in
passato venivano usati “vari tipi di carminio” ovvero la sostanza
prodotta dalle cocciniglie nella versione “Primavera” alla fragola che
ora non si trova nei punti vendita (ancora appare nei portali di vendita
online). E per colorare i famosi orsetti attualmente ci sono i
concentrati di frutta e piante. Sull’etichetta di “Goleador Doppia
Caramella Gommosa con Gusto di Frutta” (Perfetti Van Melle) il carminio invece compare come colorante.
I colori accesi che virano al rosso passione servono ancor di
più nelle bevande e nei succhi di frutta che devono letteralmente
sprizzare energia ed allegria anche cromaticamente. In tutti i
supermercati esaminati si trovano bitter e ginger per far festa a
oltranza. Appena li vedi ti vengono in mente aperitivi in compagnia,
momenti spensierati da condividere con gli amici. C’è il Cocktail
SanPellegrino
che deve la sua tinta rubino alla cocciniglia indicata con la dicitura Colorante E120 (sul sito https://www.sanpellegrino.com/it/bibite/cocktail-sanpellegrino viene
aggiunto “acido carminico”), così come si trova nel SanBitter rosso
https://www.sanbitter.it/prodotti/sanbitter-rosso nelle bottigliette di
vetro. Stessa sostanza anche nel Bitter biondo Esselunga che appare
nella sigla E120.
Fra i prodotti a marchio, il colorante animale compare pure nella Bevanda all’arancia rossa Selex, bottiglia in pet. Ma non c’è nell’aranciata in brick, uno scaffale più in su, sempre della stessa marca di catena che costa circa 50 centesimi in più.
In altri marchi di bevande rosse analcoliche come non appare la
cocciniglia ma le sigle di coloranti sintetici, autorizzati, seguite
dalla scritta “Possono influire negativamente sull’attività e
sull’attenzione dei bambini”. Si tratta dell’E110 detto anche “Sunset
Yellow” e dell’E122, l’azorubina. In alcuni Paesi, per esempio negli
Stati Uniti, sarebbero vietati perché considerati potenti allergeni,
pericolosi per la salute delle persone asmatiche e chi già soffre di
intolleranza a determinate classi di farmaci.