Archive for Gennaio, 2023

Meloni, l’Opa sul Ppe

venerdì, Gennaio 6th, 2023

Ilario Lombardo

ROMA. È l’ora di pranzo quando Silvio Berlusconi fa sapere di aver avuto una telefonata con Manfred Weber, presidente del Partito popolare europeo. «Mi ha fatto piacere sentire da lui l’importanza che viene attribuita a Forza Italia nel Ppe e in Europa». Nessuno ancora sa che c’è un motivo ben preciso dietro questa dichiarazione. Lo si capirà poco meno di un’ora dopo quando Weber entrerà a Palazzo Chigi, per un colloquio con la premier Giorgia Meloni. Un incontro che viene tenuto riservato fino all’ultimo. La comunicazione tace, consapevole anche della rilevanza politica di questo faccia a faccia per i possibili contraccolpi all’interno della coalizione di centrodestra.

È la seconda volta che Meloni e Weber si incontrano. A Palazzo Chigi il tedesco vede anche Antonio Tajani, vicepremier, ministro degli Esteri, coordinatore di Fi, e autore assieme al ministro degli Affari europei Raffaele Fitto, di Fratelli d’Italia, dell’operazione che punta a consolidare l’alleanza tra Conservatori e Popolari in Europa. È il progetto a cui lavora Meloni in vista delle Europee, per sganciare il Ppe dal tradizionale asse con i socialisti a Bruxelles.

La premier parla da presidente del gruppo Ecr, ma anche da leader di un partito in crescita che sogna di arrivare al 35-36% alle Europee del 2024. Quello è l’orizzonte di Meloni anche per fare i conti in casa e capire se FI sarà liquidata dalla storia. La fondatrice di FdI ha già rigettato il progetto del partito unico conservatore rilanciato tre giorni fa da Berlusconi sul modello dei Repubblicani americani. È un formato che non le interessa e che considera inutile dal punto di vista politico.

In realtà per Berlusconi, a detta dei suoi fedelissimi, è più che altro un’azione di «disturbo», che serve a testare le intenzioni della premier. Il leader azzurro si sente «tagliato fuori», reso marginale dal consenso in calo, preoccupato di non controllare i suoi uomini. Continua a guardare con sospetto Tajani e il suo attivismo: «Ormai – ripete – è più meloniano dei meloniani». Il ministro degli Esteri sta facendo pesare una rete di relazioni costruita in anni di vita politica a Bruxelles. La sua principale alleata è Roberta Metsola, presidente dell’Europarlamento, ma anche i popolari spagnoli e i greci.

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Totti e il gioco d’azzardo. L’amico fa catenaccio: “I soldi? Solo un prestito”

venerdì, Gennaio 6th, 2023

Stefano Vladovich

Una fortuna sfacciata e una passione sfrenata per il gioco. «Francesco vince a tutto, a Natale straccia i parenti pure a tresette». I milioni di euro girati su decine di conti e che hanno allertato il pool antiriciclaggio di Bankitalia? A spiegare l’affaire ci pensa l’amico fraterno di Totti, quel D.M. agente di polizia che appare sulle carte che gli 007 della Banca d’Italia hanno trasmesso alla Guardia di Finanza per indagare su «attività sospette» e che, assieme a sua moglie, avrebbe dato risposte evasive agli esperti finanziari.

«Gli 80mila euro? Un prestito», racconta a La Verità il dipendente del ministero degli Interni. «Si, non lo nascondo e non mi vergogno a dirlo: gli abbiamo chiesto 160mila euro con la promessa di restituirli a rate». Denaro che, a detta dell’amico, sarebbe rimasto sui conti personali di marito e moglie. «Non abbiamo speso un solo centesimo». Ma allora perché farli transitare solo poche ore sul conto che la suocera, un’anziana di Anzio, ha assieme alla figlia, dipendente di una società già legata al Coni?

«Mia suocera ha 85 anni – spiega ancora D.M. -. Li ho fatti versare a lei perché a me aveva fatto già un bonifico. Poi li ho fatti togliere da lì perché la madre di mia moglie ha anche altri parenti. E se me more diventano tutti eredi. Io campo coi soldi dei miei suoceri che stanno in casa con noi. Con quei tremila euro faccio la spesa, ci pago le bollette. Per questo dico che i soldi di Totti stanno ancora tutti là».

E le scommesse? «Anche quelle le pago coi soldi dei miei suoceri. Quando prendo le loro pensioni mi gioco 300, 500 euro per prenderne tre, quattromila. La passione ce l’ho anch’io, ma sono scommesse regolari. Francesco quando va a Monte Carlo manco li guarda seimila euro. Detto fra noi, spero tanto che i soldi che mi ha dato non me li chieda indietro». Il Pupone, del resto, è conosciuto per la sua generosità. A Porta Metronia, il quartiere romano dov’è nato e cresciuto, lo ricordano in tanti per questa.

«Ha sempre aiutato gli amici in difficoltà. Senza farsi pubblicità. Purtroppo per lui, i suoi vecchi amici so’ scannati, senza un soldo. Tutta gente umile e lui è molto generoso». Un’ambulanza veterinaria, l’unica in circolazione, donata a un canile comunale dal numero 10 della As Roma, tanto per dirne una, assieme a Ilary. Centomila euro donati per le cure necessarie a una bambina, per raccontarne un’altra. «Francesco, in questi anni, sarà andato sotto di almeno tre milioni di euro. Tutti soldi che non ha mai chiesto indietro. C’ha la passione per il gioco, mbè? Se si gioca qualche cosetta, saranno pure affari suoi, no?».

Al setaccio i conti correnti del poliziotto e della moglie, alimentati «da bonifici domestici provenienti da società operanti nel settore delle scommesse online». Quindici movimenti per un totale di 87mila euro, più assegni per 445mila euro. Tanti soldi, troppi, per due impiegati ministeriali. «A Monte Carlo ci siamo stati, parecchie volte – chiarisce D.M. -. Ci sarò andato dieci volte, ma lui so’ da 24 anni che va là. Se vai a Monte Carlo è pieno di giocatori. Ce va mezza Roma».

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La “reunion” tra Draghi e Giorgetti

venerdì, Gennaio 6th, 2023

Fabrizio De Feo

La politica italiana si ritrova in Piazza San Pietro per l’ultimo saluto al Papa emerito Joseph Ratzinger. In prima fila poco dopo le nove il capo dello Stato Sergio Mattarella, con la figlia Laura e il segretario generale alla presidenza Ugo Zampetti, si siede dietro le transenne, raggiunto da Giorgia Meloni. Dopo pochi istanti Mario Draghi, raggiunge lo spazio riservato alle autorità italiane. Saluta Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Si sistema la sciarpa blu e si intrattiene per qualche minuto a colloquio con Giancarlo Giorgetti. Un faccia a faccia che fa scattare inevitabilmente la curiosità dei cronisti e le ipotesi sui contenuti della loro chiacchierata.

Il titolare del ministero dell’Economia d’altra parte è l’uomo che rappresenta la continuità con il governo precedente, essendo l’unico ministro in carica nei due esecutivi. Inoltre l’ex ministro dello Sviluppo Economico non ha mai nascosto la sua grande stima per Draghi, da lui definito come «un uomo autorevole, un fuoriclasse». Giorgetti ha sostenuto la sua ascesa a presidente del Consiglio e ha tentato di promuoverne la candidatura per il Quirinale. Nell’autunno del 2021, nel libro di Bruno Vespa Perché Mussolini rovinò l’Italia (e perché Draghi la sta risanando), disse che «anche da lì guiderebbe il convoglio, sarebbe un presidente della Repubblica che allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole».

Nel suo trasloco da via Molise a via XX Settembre, Giorgetti incassò anche un attestato di stima importante da parte di Daniele Franco: «Sarebbe adattissimo per fare il ministro», disse l’ex titolare dell’Economia. Giorgetti, d’altra parte, ha sviluppato il suo percorso a cavallo tra politica ed economia ricoprendo in parlamento il ruolo strategico di presidente della commissione Bilancio, forte della sua laurea in Economia conseguita alla Bocconi.

Da tempo Draghi e Giorgetti non si vedevano di persona. È rimasto un filo diretto anche in questi mesi di avvio della legislatura. E la stima è forte e invariata, con Supermario che pare abbia apprezzato la linea prudente e realistica adottata sulla Legge di Bilancio, un approccio che ha rassicurato i mercati evitando l’attacco della speculazione.

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Se il ministro Sangiuliano si perde i nazisti

venerdì, Gennaio 6th, 2023

Ilario Lombardo

Nel catalogo della mostra alle scuderie del Quirinale “Arte liberata 1937-1947 Capolavori salvati dalla guerra” è stato concesso al ministro dei Beni Culturali Gennaro Sangiuliano lo spazio nobile di una prefazione. Sono due paginette, cinque paragrafi in tutto. Ma a leggerle e rileggerle con attenzione, tra una citazione di Leopardi e un omaggio a Canova, si nota che manca qualcosa, come uno spazio bianco. Ah, ecco cos’è: i cattivi. I nazisti e i fascisti che furono complici delle razzie di opere d’arte. Non proprio un dettaglio, visto che si parla di opere trafugate e Sangiuliano ha dimenticato chi fu a trafugarle e chi perseguitò critici, storici dell’arte, archeologici, e tutti gli eroici Monuments men italiani (o come direbbe l’italico ministro: gli uomini dei monumenti) che rischiarono la vita per salvare quadri e sculture di immenso valore dalle grinfie di Adolf Hitler. La mostra, scrive Sangiuliano, «intrisa di sentimento del bello e di sentimento patrio» racconta l’arte liberata, salvata o recuperata, da chi? «Dalle torbide minacce della Seconda guerra mondiale». E ancora: si offrono allo sguardo del visitatore «molti degli splendidi capolavori d’arte sottratti allora, talora a rischio della vita, alla distruzione e al trafugamento». Distruzione e trafugamento da parte di chi? Niente nazisti neanche qui. Eppure lo smemorato ministro cita uno dei pezzi forti della mostra, il Discobolo Lancellotti. La scultura è considerata uno dei simboli della propaganda nazista, capace di racchiudere nella bellezza di un corpo in movimento tutto l’ideale ariano. La storia è emblematica e il catalogo la racconta nel dettaglio. Il Führer se ne innamora e la mette al primo posto delle opere da acquistare in Italia, dove ritornerà solo alla fine della guerra grazie a Rodolfo Siviero, storico dell’arte e agente segreto.

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I nostri figli guerrieri del clima e la destra che vuol prenderli a cinghiate

venerdì, Gennaio 6th, 2023

Concita De Gregorio

Interessante, questo ritorno alla cinghia, io t’ho fatto io ti disfo. Questo ghigno educativo sadico ma giusto, necessario a prevenire le devianze: metti che poi un figlio ti diventa omosessuale, se non lo correggi in tempo, se non t’accorgi subito del vizio e non lo chiudi in casa a pane e acqua, è finita la pacchia. Metti che poi si droga, che fuma, che tira di coca: tutte mollezze gravissime che gli adulti probi, i maschi virili e le femmine operose, non si sognano neppure presi come sono dal rispetto stringente delle regole, prego si accomodi era lei prima in fila, anche lei qui a pagare le tasse? Si figuri, mi scusi, non c’è di che.

Metti che gli venga un giorno in mente di non vaccinarsi quando c’è l’obbligo di farlo, a tutela della salute pubblica e della propria, e invece di diventare sindaco di Roma o ministro del partito di maggioranza relativa finisce che ti sbanda nei territori incerti degli scettici della scienza, privo della necessaria umiliazione educativa, e non c’è nemmeno un Sanremo per redimersi – quello capita una volta su un milione, si sa, e bisogna sapere almeno un pochettino intonare.

No ma magari è salvifico, questo ritorno all’era in cui di Maria Montessori non si poteva prevedere la futura esistenza: quanti danni ha fatto, benedetta donna. Generazioni di genitori a quattro zampe a rimettere a posto la cameretta del piccolo che deve liberare la sua energia, a fare il verso della balena, come fa la balena?, a mangiare pappette schifose facendo l’aeroplano col cucchiaio pur di fargliene ingoiare un pochettino, dai su non sputare, ti prego, non mi sputare in faccia. Succubi, finti amici, adulti col bomber che vanno a comprare i filtrini se i ragazzi non hanno voglia di uscire, poveri cari, sono così stanchi, sono un po’ giù, vado io dal tabaccaio, che altro vorresti? Non ti va di cenare? Ti prendo un Mc? Tu resta pure lì a giocare a Fortnite, non ti affaticare.

C’è davvero il caso che questa epica didattica primonovecentesca salvinian-meloniana arrivi opportuna a chiudere la stagione tragica della dittatura dei figli, che poi Enea sulle spalle portava il padre Anchise mica la creatura, no? Quella per mano a trottare. C’è uno storico, una tradizione: da quando in qua i bambini vanno portati a cavalluccio fino a sedici anni e i genitori lasciati all’ospizio, dove si è mai visto. Quindi bene. Un po’ di sana severità, un po’ di galera se ti assembri, due schiaffi se rispondi male alla maestra, un processo per direttissima se ti azzardi a fare un’azione dimostrativa ai danni dell’istituzione a cui si deve portare rispetto, perbacco. Occhi bassi.

Poi hai voglia a dire che l’opposizione ora di governo è cresciuta nelle piazze e nel dissenso, a rivendicare come fa Giorgia Meloni la rivincita, il riscatto sugli anni in cui ci si menava e ci si ammazzava parecchio ma che c’entra: erano altri tempi, quelli, erano gli Anni Settanta c’erano le passioni, gli ideali. C’erano le rivoluzioni a bassa intensità e gli agguati ad altissima, mica come ora che al massimo ti spari un selfie solidale – se vuoi proprio parteggiare, se quel giorno ti va – e ti posti su Instagram mentre ti spunti i capelli. Non rischiano niente, questi ragazzi, tranne la nostra esasperazione di manutentori perpetui: e perbacco. Di errori ne abbiamo fatti tanti, è ora di finirla.

Ci sarebbe tuttavia la piccola questione dell’esempio, perché c’è un fastidioso filone di pensiero che sostiene che i nuovi venuti al mondo si adeguino rapidamente a ciò che li circonda – si chiama spirito di adattamento, dicono. Pare che i neonati non nascano con un’indole collettiva data come patrimonio genetico generazionale, che non siano già di natura tutti quanti e tutti insieme i bamboccioni che si riveleranno a vent’anni ma che invece si adeguino ai modelli e agli stili di vita che, pensa te, crescendo, vedono tutto intorno e velocemente imparano. Tipo che se le femmine operose adulte si fotografano in mutande per fare soldi anche le cucciole di femmina imiteranno presto la posa, davanti allo specchio, e vorranno a nove anni il kit col rossetto glitterato e griffato per Natale: non il dolce forno come una volta, che stranezza, e nemmeno il cerchio da far correre per strada come quello nelle foto della nonna e del resto meno male, le macchine li metterebbero sotto, per strada. Già i monopattini elettrici sono un pensiero.

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Guerra Russia-Ucraina, entra in vigore la tregua annunciata da Putin. Biden: “Cerca solo un po’ di ossigeno”

venerdì, Gennaio 6th, 2023

«Adesso i russi vogliono usare il Natale come copertura per fermare per un po’ l’avanzata dei nostri ragazzi nel Donbass e portare attrezzature, munizioni e mobilitarsi più vicino alle nostre posizioni». Lo ha affermato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, nel consueto discorso serale, secondo quanto riporta Ukrainska Pravda. «Tutti nel mondo sanno come il Cremlino usa la tregua nella guerra per continuare la guerra con rinnovato vigore», ha aggiunto Zelensky riferendosi all’annuncio da parte del Cremlino di una tregua lungo tutta la linea del fronte dalle 12 del 6 gennaio alla mezzanotte del 7 gennaio, in coincidenza con le celebrazioni della Veglia e del Natale per gli ortodossi.

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Ucraina: al via tregua unilaterale russa per Natale Ortodosso

La Russia ha cominciato il cessate il fuoco unilaterale di 36 ore in Ucraina a partire dalle 12:00 ora locale (le 10 in Italia) per il Natale ortodosso. La tregua dovrebbe durare fino a sabato sera, a mezzanotte (22:00 ora italiana). Si tratta della prima grande tregua dall’inizio dell’invasione il 24 febbraio 2022, un gesto interpretato da Kiev e dai suoi alleati come un desiderio di guadagnare tempo da parte di Mosca 09:53

Usa, capo Wagner ha messo gli occhi su miniere Bakhmut

L’interesse “ossessivo” della Russia per la cattura della citta’ ucraina Bakhmut potrebbe avere motivazioni economiche, almeno a sentire l’amministrazione Biden. Secondo una fonte della Casa Bianca all’agenzia Reuters, e’ Yevgeny Prigozhin, potente alleato di Vladimir Putin, fondatore e proprietario del gruppo di mercenari Wagner, che e’ interessato in maniera particolare a prendere il controllo delle miniere di sale e gesso vicino alla citta’ ucraina. Dei circa 50mila mercenari del gruppo Wagner, in Ucraina ne sono morti piu’ di 4.100 e altri 10mila sono rimasti feriti in Ucraina; di costoro, oltre un migliaio sono stati uccisi tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre proprio vicino a Bakhmut. Ieri, un think-tank statunitense ha ipotizzato che il gruppo Wagner abbia probabilmente bisogno di nuove ‘iniezioni’ di uomini, proprio perche’ ha subito ingenti perdite; e le nuove reclute potrebbero essere ex detenuti fatti uscire dalle carceri in Russia e che accettano di combattere in cambio della grazia. Tra l’altro, in un video diffuso nei giorni scorsi si vede Prigozhin che visita uno scantinato vicino a Bakhmut, dove sono riversi i cadaveri dei suoi combattenti, uccisi nei combattimenti per la conquista della citta’; e Prigozhin dice che i suoi uomini, in qualche caso, hanno combattuto per settimane pur di catturare anche una singola casa a Bak 09:10

007 Gb, milizie filorusse Donbass integrate in esercito Mosca Il 31 dicembre. Annessione Donetsk e Lugansk divisivo in Russia

Le milizie filorusse delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, nel Donbass ucraino, che combattono al fianco dette truppe di Mosca, sono state formalmente integrate nell’esercito russo lo scorso 31 dicembre: è quanto sostiene oggi l’intelligence britannica nel suo briefing quotidiano sulla guerra in Ucraina, citato dal Guardian. Nello stesso bollettino si ricorda che Mosca considera ora questi territori come parte della Federazione russa, ma si afferma che questi sarebbero percepiti come un elemento divisivo in Russia, dove secondo molti essi drenano risorse finanziarie e hanno un costo politico e diplomatico per il Paese. 08:50

Ucraina: ambasciatore russo a Washington, “Usa non vogliono accordo”

Gli Stati Uniti allungano la guerra in Ucraina inviando armi e rifiutando il cessate il fuoco: è l’opinione dell’ambasciatore russo a Washington, Anatoly Antonov. «Tutte le azioni dell’amministrazione indicano la mancanza di qualsiasi desiderio di una soluzione politica», ha detto il diplomatico, secondo una nota pubblicata dal sito della missione. Per Antonov, tutte le recenti azioni statunitensi -tra cui la decisione di assegnare un nuovo pacchetto di aiuti militari a Kiev, del valore di quasi 3 miliardi di dollari e che comprenderà i veicoli da combattimento della fanteria americana Bradley- indicano la mancanza di desiderio di Washington per una soluzione politica. «Nessuno deve avere dubbi su chi e’ responsabile del prolungamento dell’attuale conflitto. Tutte le azioni dell’amministrazione indicano chiaramente una mancanza di volontà di una soluzione politica». «Anche il cessate il fuoco unilaterale da parte russa viene definito un “tentativo di prendere fiato”». «E’ la conferma che i nostri interlocutori negli Stati Uniti non hanno nemmeno provato ad ascoltare i nostri numerosi appelli a tener conto delle possibili conseguenze di un corso cosi’ pericoloso da parte di Washington». 08:45

Fonte Usa, Wagner combatte a Bakhmut per miniere sale e gesso Ossessione oligarca creatore milizia Prigozhin per quella città

Ievgheni Prigozhin, l’oligarca russo e creatore della milizia mercenaria Gruppo Wagner, che ha un ruolo importante nell’invasione dell’Ucraina, starebbe combattendo a Bakhmut, nel Donbass, perché interessato a impossessarsi delle locali miniere di sale e di gesso, secondo quanto dichiara oggi un funzionario statunitense, che resta anonimo, citato da vari media fra cui il Guardian. Secondo la fonte, ci sono indicazioni che “l’ossessione di Prigozhin per Bakhmut” sia di tipo “pecuniario”. Gli Stati Uniti hanno più volte accusato il Gruppo Wagner, accusato anche di atrocità e crimini di guerra, di inviare mercenari nella Repubblica centrafricana, in Mali e in Sudan per sfruttare le risorse naturali di quei Paesi africani, aiutando così il Cremlino a finanziare la guerra in Ucraina. (ANSA). GV 08:23

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La versione di Harry. Ora il principe “pezzo di ricambio” ha deciso di dire tutto

venerdì, Gennaio 6th, 2023

di Luigi Ippolito

Con l’uscita del libro «Spare» dopo l’intervista-documentario in streaming su Netfllix, il principe ha deciso di vuotare il sacco: una giovinezza «nel caos», poi l’arruolamento, infine la scelta di Meghan (che è stata il detonatore e non l’origine della crisi)

La versione di Harry. Ora il principe “pezzo di ricambio” ha deciso di dire tutto
Harry con la madre Diana in un parco di divertimenti inglese nel 1992: il principe aveva 8 anni, la principessa 31 (foto Getty Images)

Questo servizio del corrispondente da Londra del Corriere della Sera, Luigi Ippolito, è stato pubblicato sul numero di 7 in edicola venerdì 6 gennaio. Lo proponiamo online per i lettori di Corriere.it

Harry con la madre Diana in un parco di divertimenti inglese nel 1992: il principe aveva 8 anni, la principessa 31 «An heir and a spare», un erede e un pezzo di ricambio, dicono gli inglesi, a indicare che è meglio sempre avere due figli, un primogenito e uno di scorta, nel caso succeda qualcosa: e proprio Spare si intitola il libro di memorie del principe Harry, che uscirà la prossima settimana. Un titolo già definito a Londra “provocatorio”, che allude al trauma che il figlio minore di Carlo e Diana si porta dietro fin dalla nascita, l’ombra che lo ha accompagnato per tutta la sua vita: essere destinato a un ruolo di seconda fila, sempre alle spalle di William, il futuro re.

La sindrome di Margaret

I sottotitoli delle versioni in lingua straniera sono ancora più espliciti: L’Avanzo, La Riserva, Nell’Ombra . Una sorte che in qualche modo travolge tutti i figli cadetti delle dinastie reali: la “sindrome di Margaret”, potremmo chiamarla, ossia la sorella minore di Elisabetta, condannata all’infelicità, messa nell’angolo dal destino che le era toccato solo per essere nata dopo. Ma adesso il “pezzo di ricambio” vuol dire la sua: e la famiglia reale si prepara al peggio. Perché il memoriale si presenta come un lavoro di «cruda onestà», un racconto «franco» e «personale», ha fatto sapere la stessa casa editrice, la Penguin Random House: e a Buckingham Palace si teme che sarà «critico di tutti e di tutto», in particolare nei confronti di Carlo e Camilla.

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La copertina del libro «Spare, il minore». Sarà pubblicato in contemporanea mondiale il 10 gennaio: in Italia la versione cartacea e digitale è di Mondadori

Dal trauma alla guarigione

Nessuno dei reali ha potuto vedere il manoscritto in anteprima — né i loro avvocati — e dunque non hanno avuto la possibilità di preparare una eventuale replica a ciò che la Penguin definisce come «una pubblicazione piena di rivelazione, auto-esame, e saggezza duramente conquistata riguardo l’eterno potere dell’amore e del lutto». Rispetto al primo annuncio, dato più di un anno fa, il tono sembra essere cambiato: allora era stato illustrato come «una storia umana di ispirazione e coraggio», adesso risulta «un commovente viaggio personale dal trauma alla guarigione». Come se nel frattempo Harry fosse diventato ancora più amareggiato e pieno di risentimento. (continua a leggere dopo i link e la foto)

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HARRY È UN UOMO FERITO NEL PROFONDO. DA QUI ARRIVA LA FURIA CONTRO IL PADRE, IL FRATELLO WILLIAM E LA “MATRIGNA” CAMILLA

Il memoriale arriva sulla scia del documentario che Harry e Meghan hanno girato per Netflix e che è stato trasmesso a dicembre, subito dopo la quinta stagione di The Crown , che ha squadernato proprio la disgregazione del matrimonio fra Carlo e Diana e le conseguenze sui loro due figli. E in tv i duchi di Sussex hanno dato un assaggio di quelle che potrebbero essere le “bombe” contenute nel libro: dagli attacchi a William, che terrorizza il fratello con le sue sfuriate, a Kate troppo gelida, al padre che «dice cose non vere», ombre perfino sulla regina, dipinta come una vecchia impotente e manovrata dai suoi cortigiani.

Il padre avrebbe voluto una bambina

Ma d’altra parte la vita per Harry — pur ovattata dai privilegi — non è stata facile fin dall’inizio: il padre avrebbe voluto una bambina e, quando lui nacque, pare abbia esclamato «oddio, è un maschio! E ha pure i capelli rossi!». E perfino Diana, quando chiamava la cuoca di Kensington Palace per farsi dare una mano a badare ai piccoli, diceva: «Tu occupati dell’erede, io penso al pezzo di ricambio». Rispetto al fratello più serio, Harry era «il monello», ammetteva la principessa, quello che si arrampicava sul parapetto del palazzo per tirare palle di neve ai poliziotti di guardia. Ma già allora meditava la rivincita: aveva quattro anni quando disse al fratello che «tu un giorno sarai re, mentre io potrò fare quello che voglio!». E a modo suo, ha tenuto fede alla promessa.

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l nuovo papato di Francesco, dopo la morte di Benedetto XVI

venerdì, Gennaio 6th, 2023

di Massimo Franco

Ieri per la prima volta, dopo quasi dieci anni di coabitazione anomala, Bergoglio si è trovato proiettato in un pontificato solitario, dunque «normale»

In piazza San Pietro, ieri mattina, è cominciato il nuovo papato di Francesco.

Quello precedente, accompagnato e a tratti condizionato dall’ombra di Benedetto e della sua rinuncia, si è chiuso il 31 dicembre scorso con la sua morte.

Le esequie di Joseph Ratzinger non sono state soltanto l’omaggio solenne e sobrio, per alcuni anche troppo, al Papa emerito. Hanno proiettato per la prima volta davanti al mondo Jorge Mario Bergoglio nel mare inedito, per lui e per la Chiesa, di un pontificato solitario e dunque «normale», dopo quasi dieci anni di coabitazione anomala.

E la domanda che spuntava nella folla né grande né piccola, tra il clero numeroso, partecipe e un po’ ingrigito, è quella destinata a rimbalzare a lungo nei prossimi mesi.

E cioè se il Pontefice argentino riuscirà a rappresentare e convincere anche l’«altra Chiesa», che non ha mai dimenticato il «suo» Papa tedesco; se riuscirà a dimostrare di essere in grado di unire tutti, facendo propri alcuni dei temi, degli spunti teologici, dello stile lasciati in eredità da Benedetto.

È una sfida non facile. Ha come sfondo tensioni diffuse e finora contenute. Sconta una confusione e un disorientamento difficilmente negabili, che certamente preesistevano alla rinuncia di Ratzinger e all’arrivo di Francesco.

Ma in questo quasi decennio sono cresciuti e per alcuni aspetti sembrano perfino esacerbati: soprattutto nelle file ecclesiastiche. Qualcuno non solo scommette su una conflittualità accentuata nel mondo cattolico, una volta abbattuto l’argine moderatore del Papa emerito dal suo Monastero in cima ai giardini vaticani. Sotto sotto, sembra pronto ad alimentarla, convinto che una resa dei conti non sia semplicemente inevitabile ma quasi benefica.

Non è una predisposizione limitata alla nebulosa del cattolicesimo tradizionalista, peraltro diviso al proprio interno.

La tentazione serpeggia anche tra alcuni dei sostenitori di Bergoglio, che hanno cercato di spingerlo, senza riuscirci, a fare riforme radicali senza valutarne le conseguenze dirompenti.

Le prime prese di posizione del prefetto della Casa Pontificia, monsignor Georg Gänswein, l’uomo più vicino a Ratzinger, mostrano la volontà di sottolineare la sofferenza silenziosa che avrebbe segnato in questi anni il Papa emerito; e probabilmente anche la propria.

Il rischio di una strumentalizzazione della sua difesa di Benedetto è evidente.

Sarebbe altrettanto arrischiato, tuttavia, un confronto tra «il partito del Monastero» e chi oggi ritiene di avere un potere più forte perché senza sponde, argini, coscienze critiche. In realtà, la Chiesa e il papato appaiono indeboliti e in ritardo rispetto alle domande di spiritualità e di religiosità; e a un’esigenza di unità tuttora insoddisfatta. Eppure, senza una riconciliazione riesce difficile immaginare non soltanto la possibilità di governare un’istituzione così complessa, ma di consolidarne e accrescerne l’influenza.

Un giorno qualcuno valuterà la mole di energie sprecate in scontri sfibranti tra fazioni cattoliche: un ossimoro rispetto a una religione che cerca di comprendere e armonizzare tutto, con l’ambizione di essere una «società perfetta».

E se Ratzinger lascia un testamento, per quanto controverso a causa della rinuncia, al fondo non è solo quello del fine teologo. È soprattutto la ricerca prioritaria dell’unità, sublimata per paradosso negli anni del Monastero; e nel rapporto, non si sa se definire fraterno o paterno, con il suo successore: un rapporto di ubbidienza leale e rispettoso.

C’è chi vede perfino nella semplicità estrema dei funerali di ieri, nella decisione del Vaticano di non indire una giornata di lutto, nella parsimonia degli inviti alle autorità di Stato, il segno di una sorta di inconscia rimozione dell’anomalia di Benedetto.

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Padre Georg e il bacio alla bara di Ratzinger: «Distruggerò le sue carte private. Francesco mi ha scioccato»

venerdì, Gennaio 6th, 2023

di Virginia Piccolillo

Il libro del segretario particolare di Benedetto XVI: «Il suo successore fece di me un prefetto dimezzato, nacquero due tifoserie sui pontefici»

Padre Georg e il bacio alla bara di Ratzinger: «Distruggerò le sue carte private. Francesco mi ha scioccato»

Si è avvicinato lentamente. Ha aiutato a sistemare il Vangelo sulla bara. Si è inginocchiato. E, prima di andar via, ha baciato il legno di cipresso .

Lo ha dato così monsignor Georg Gänswein l’ultimo saluto a Joseph Aloisius Ratzinger: per tutti il Papa emerito, per lui l’uomo con cui ha condiviso le amarezze della vita dopo il ritiro.

Lui, che nel lontano 2003 era stato scelto come segretario personale dall’allora cardinal Ratzinger,diventa ora la «famiglia» del Papa emerito assieme alle quattro memores domini che ieri, in prima fila, visibilmente commosse, hanno presenziato alla cerimonia fino alla parte più privata della tumulazione.


Ma Gänswein era anche il detentore dei suoi segreti che ora nel libro in uscita Nient’altro che la Verità (Piemme) annuncia di voler, in parte, distruggere: «La fine è segnata». «I fogli privati di ogni tipo devono essere distrutti. Questo vale senza eccezioni e senza scappatoie», gli avrebbe ordinato il papa emerito.

Aggiungendo «precise istruzioni, con indicazioni di consegna che mi sento in coscienza obbligato a rispettare, relative alla sua biblioteca, ai manoscritti dei suoi libri, alla documentazione relativa al Concilio e alla corrispondenza».

Il cardinale esclude che fra questi ci sia anche un dossier su Emanuela Orlandi: «Non è mai esistito».

E ora? Gänswein si definisce un «prefetto dimezzato» alludendo al congedo ricevuto da Papa Bergoglio: «Mi disse: lei rimane prefetto ma da domani non torni al lavoro». Rivela il vano tentativo di Ratzinger di intercedere in suo favore. E la battuta del Papa emerito: «Penso che Papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode…».

E se adesso appare sempre di più come punto di riferimento per la corrente conservatrice, quella più in contrasto con Papa Francesco, lui stesso descrive questo scenario: il problema, racconta nel libro, non è stato «tanto quello della coesistenza dei due papi, uno regnante e uno emerito, quanto la nascita e lo sviluppo di due tifoserie».

Col tempo, dice, «ci si rese conto sempre di più che effettivamente c’erano due visioni della Chiesa» e che «queste due tifoserie» creavano una «tensione» spesso fondandosi su affermazioni o atteggiamenti di Francesco e Benedetto «talvolta con invenzioni».

Una faglia che si allarga a ogni dichiarazione di padre Georg: l’ultima sul «cuore spezzato» di Ratzinger per lo stop di Francesco alla messa in latino. E si fa più profonda anche grazie a blog e siti. Fra questi quello descritto in sintonia con Gänswein è Silere non possum che ieri titolava: «Saltano gli altarini sul non detto di questi anni». Rimproverava a Bergoglio di aver «sempre temuto» il predecessore e aver voluto per lui «un funerale come ogni altro cardinale». E precisava che «nell’ovile cattolico ci sono anche quelli che non vogliono una chiesa alla “volemose bene”, ma una seria istituzione di Cristo che vuole la salvezza dell’anima».

Nel libro padre Georg ripercorre
le tappe di quel crescendo di incomprensioni. A partire dal «no» di Francesco all’Appartamento papale.

«Di solito dormo come un sasso. Ma nel pensare all’Appartamento non ho chiuso occhio», gli disse Bergoglio. E a un gruppo di studenti delle scuole gesuite spiegò: «Per me è un problema di personalità. Ho bisogno di vivere tra la gente e se vivessi solo, forse un po’ isolato, non mi farebbe bene». Gänswein stesso – nel libro intervista scritto con Saverio Gaeta – riferisce di aver sintetizzato a un professore che gli chiese come mai non andasse a vivere lì con: «Motivi psichiatrici». Ricorda come lui provò a far notare che «per tutti quelli che passavano di sera davanti alla Basilica vaticana era un punto di riferimento la luce accesa nell’Appartamento pontificio e che ci sarebbe stata sicuramente nostalgia se si fosse modificata la residenza». «Però ebbi l’impressione che le migliaia di chilometri di distanza da Roma non lo avevano reso partecipe di tale sensibilità», conclude.

In un altro passo dell’intervista
, assicura che fra i due Papi il rapporto era «affettuoso», con scambi di vino e dulce de leche argentini e dolci tirolesi delle memores e limoncello.


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Gianluca Vialli è morto

venerdì, Gennaio 6th, 2023

di Paolo Tomaselli

È morto Gianluca Vialli: l’ex calciatore aveva 58 anni, da tempo era in cura per un tumore al pancreas

Gianluca Vialli è morto

È morto Gianluca Vialli: l’ex calciatore, campione e simbolo di Sampdoria, Juventus, Chelsea e della Nazionale italiana, aveva 58 anni. Da tempo era in cura per un tumore al pancreas. Il 14 dicembre scorso aveva annunciato il ritiro dalla Nazionale, in cui ricopriva l’incarico di capo della delegazione. «Circondato dalla sua famiglia è spirato la notte scorsa dopo cinque anni di malattia affrontata con coraggio e dignità», ha scritto la sua famiglia in una nota. «Ringraziamo i tanti che l’hanno sostenuto negli anni con il loro affetto. Il suo ricordo e il suo esempio vivranno per sempre nei nostri cuori».


A Reggio Emilia, il 15 novembre 2020, durante la terza ondata della pandemia, l’Italia si gioca la Nations con la Polonia e deve fare gol. Il c.t. Mancini è a casa, positivo al Covid. Vialli è accanto alla panchina.

Un pallone esce, lui non lo calcia ma lo prende in mano e lo bacia.

Quel gesto del vecchio marine, in un attimo mostra agli azzurri un approdo sicuro e arriva dritto al cuore: perché dentro quel bacio c’è la passione per la maglia azzurra, l’affetto per la palla, vecchia amica di sempre, la voglia di stupire e di lottare in un momento complicato, dentro e soprattutto fuori dal campo.

Ci sono tanti modi per ricordare il capitano coraggioso Gianluca Vialli, ma questa immagine scalda l’anima e nel suo piccolo racchiude un po’ tutto: la fede cieca nel pallone e nella vita, la lotta alla malattia, il suo istinto di capobranco e la sua sensibilità, l’energia che fino agli ultimi giorni è sembrata inesauribile e la nostalgia per quello che sapeva di poter perdere, di lì a poco.

Una bufera di emozioni, che Luca ha imparato a governare negli ultimi anni in pubblico da capodelegazione azzurro. Debuttò nel novembre 2019, già nel pieno della lotta al tumore. Il suo ruolo era quello di saper trovare le parole giuste per accogliere i nuovi arrivati e motivare il gruppo: «Molti di voi sono come me, appassionati di mantra — raccontava ai giocatori — e allora vi dico che un viaggio di mille chilometri inizia con un singolo passo».

Chissà quante volte se l’è ripetuto nel suo cammino con la malattia. Senza retorica, ma con la profondità di chi ha imparato ad apprezzare il viaggio, sempre con il vento in faccia.

Il ragazzo ricco di Cremona, negli anni 80 coi suoi riccioli e i suoi enormi polpacci al vento, aveva la fisicità esuberante di quegli anni spensierati, era lo Stradivialli dipinto da Brera.

Tra 1987 e il 1990, tra i gol alla Svezia che ci riportarono all’Europeo e l’esplosione di Schillaci nelle Notti Magiche, si confermò la vera locomotiva calcistica, una forza della natura. Poi lo scudetto del 91, il culmine della Sampd’oro con Mancini gemello del gol; la finale di Coppa Campioni persa con il Barcellona nel 1992, l’addio al presidente Mantovani.

Quindi la seconda vita, juventina: i capelli rasati, il rapporto non facile con Baggio, il passaggio da Trap a Lippi, i muscoli del capitano che alzano al cielo di Roma la Champions con la Juve nel 1996.

Infine gli anni da pioniere al Chelsea, giocatore e tecnico: Londra era diventata la sua città, lì si era costruito una bellissima famiglia. Vialli giocatore era ingombrante, scomodo. Nell’armadietto alla Juve aveva la foto del c.t. Sacchi «nemico» del momento.

A pensarci, fa sorridere e piangere al tempo stesso, per l’addio di Luca di poche settimane fa all’Italia: «Al termine di una lunga e difficoltosa trattativa con il mio meraviglioso team di oncologi ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri. L’obiettivo è utilizzare tutte le energie psico-fisiche per aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia in modo da essere in grado, al più presto, di affrontare nuove avventure e condividerle con voi».

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