La “fase 2” dell’inchiesta Qatargate
entra nel vivo. Prima la richiesta degli inquirenti di revocare
l’immunità di due parlamentari europei, l’italo belga Marc Tarabella e
l’italiano Andrea Cozzolino, accolta dalla presidente Metsola e
presentata due giorni fa durante la plenaria di Strasburgo. Ieri, il
colpo di scena: l’ex europarlamentare del Pd Antonio Panzeri, magna pars
del presunto sistema di corruzione, ha deciso di collaborare con la
giustizia. Dai verbali spuntano le prime ammissioni: nomi, cognomi ma
anche il meccanismo della “cricca”.
Panzeri collabora con la giustizia
L’accordo tra la procura e Panzeri, come scrive oggi su Il Giornale Lodovica Bulian, prevede una collaborazione ben definita. L’ex eurodeputato Pd, poi passato in Articolo 1, si impegna “a informare gli inquirenti sul modus operandi, gli accordi finanziari con Stati terzi, le architetture finanziare messe in atto, i beneficiari delle strutture e i vantaggi proposti, l’implicazione delle persone conosciute e di quelle ancora non conosciute nel dossier, inclusa l’identità delle persone che ammette di aver corrotto”
Come
si può facilmente notare, l’elenco degli impegni presi dal “pentito”
Panzeri è lungo. L’accordo per l’ex eurodeputato prevede 5 anni di
carcere, di cui un anno effettivo da scontare in prigione (o con
braccialetto elettronico), una multa di 80 mila euro e la confisca dei
patrimoni. L’ex europarlamentare avrebbe”ammesso di aver partecipato a un’organizzazione criminale e di essere stato un corruttore attivo”. Da qui la decisione di collaborare con la giustizia belga in cambio di una condanna più lieve.
Il modus operandi della “cricca”
Un giorno dopo l’arresto del 9 dicembre, Antonio Panzeri
si presenta per la prima volta davanti al giudice istruttore Michel
Claise. Da quel verbale, allegato alla richiesta di rimozione
dell’immunità nei confronti di Tarabella e Cozzolino, inizia la
collaborazione tra Panzeri e gli inquirenti. Il giudice Michel Claise, o come viene soprannominato in Belgio lo “sceriffo”,
avrebbe ottenuto le prime ammissioni di Panzeri. Nomi, cognomi, ma
anche alcuni dettagli di un meccanismo di corruzione rodato. Iniziamo
con i nomi, o meglio, il nome: Marc Tarabella, europarlamentare di S&D dal 2004. Panzeri avrebbe dichiarato di aver dato al parlamentare socialista tra i 120 e i 140mila euro
in contanti, nel periodo in cui era in corso al Parlamento europeo la
discussione sul rispetto dei diritti dei lavoratori in Qatar. Il CorrieredellaSera, riprendendo il verbale, attribuisce alcuni virgolettati a Panzeri. “Gli ho dato più volte denaro in contanti, in luoghi diversi e in sacchi di carta”. Un rapporto che Panzeri dice “cominciato due anni fa” quando con Giorgi, compagno di Eva Kaili e anche lui agli arresti, chiese a Tarabella “se fosse d’accordo a prendere certe posizioni, e se voleva poteva disporre di diversi regali, incluso denaro”.
E’ bello sapere che il prezzo internazionale del gas naturale
ha azzerato l’effetto-Ucraina ed è tornato ai livelli pre-bellici; ma a
noi consumatori che cosa ne viene? Le bollette del metano restano
uguali a prima, e la spiacevole sensazione è che le compagnie del
settore energia stiano accumulando altri super-profitti…
Il fatto è che l’aggiornamento delle tariffe non avviene in tempo
reale. Fino a poco tempo fa i cambiamenti venivano registrati di tre
mesi in tre mesi, e per l’elettricità si fa ancora così. Invece per il
gas è stata introdotta di recente una nuova regola, intesa a rendere le
tariffe più sensibili alle variazioni dei prezzi internazionali:
l’aggiornamento avviene mese per mese. In base al nuovo meccanismo
deciso lo scorso ottobre, ai primi di febbraio l’Autorità dell’Energia
(Arera) calcolerà la tariffa di gennaio, che farà pagare in bolletta a
febbraio. Allora arriveranno i benefici economici per i consumatori. Guerra Russia Ucraina, le notizie di oggi
Questo, sia chiaro, riguarda il mercato tutelato, cioè le tariffe
stabilite dall’Arera, mentre le altre sono regolate dai contratti del
mercato libero – magari su base pluriennale – e a seconda dei momenti
possono essere più o meno convenienti di quelle amministrate. In tempi
normali la differenza fra tariffe determinate dall’Autorità e contratti
di mercato non è grande, ma quando alla Borsa di Amsterdam (che fa da
riferimento in tutta Europa) ci sono oscillazioni violente come quelle
del 2022/2023, su base settimanale o quotidiana, è ovvio che gli
adeguamenti, che siano trimestrali o mensili, lascino ogni volta
un’impressione di colpevole ritardo.
Per decenni in Cina tutto è stato in ascesa. Qualcosa si è rotto? La
popolazione più numerosa del mondo è un gran punto di forza. Cosa
succede se diminuisce? Nel 2022 ha perso quasi un milione di abitanti.
Si sapeva del calo demografico in arrivo ma la spia si è accesa prima
del previsto. Le conseguenze vanno oltre i confini del Celeste Impero.
La Cina è la fabbrica del mondo, locomotiva dell’economia
internazionale, potenza planetaria seconda solo agli Stati Uniti e in
corsia di sorpasso, da ultimare nel 2050 – nei disegni cinesi almeno,
senza fare i conti con l’oste americano. Quanto cambia l’emorragia di
popolazione? Su 1400 milioni di abitanti un calo dello 0,0007% è
un’inezia statistica. Nessuno se ne accorge – quest’anno. Il problema
sorge nei prossimi decenni. È il primo calo netto ma le nascite sono in
diminuzione da sei anni. Dopo il tardivo abbandono della “one child
policy” Pechino è passata agli incentivi per tre figli. Hanno scarsa
presa sulla massa di popolazione nelle città dove per tirare avanti
servono due stipendi. La forbice si stava allargando da tempo.
L’allungamento della durata media della vita ha drasticamente ridotto la
mortalità e mascherato l’impatto del calo di natalità. L’invecchiamento
della popolazione porrà presto problemi di sicurezza sociale e capacità
lavorative, analoghi a quelli delle nostre società senza però
beneficiare di immigrazione. Il problema non è un milione di abitanti in
meno all’anno, è la bomba a scoppio ritardato della drastica riduzione
di forza lavoro nei prossimi due-tre decenni.
Nel 2022 ha rallentato anche la crescita: 3% secondo le statistiche
ufficiali. In Europa faremmo i salti di gioia. In Cina è il tasso più
basso in mezzo secolo. Non basta per continuare l’innalzamento delle
condizioni di vita e la sottrazione dalla povertà di larghi strati della
società cinese. Il modello cinese è basato sul binomio benessere
economico in cambio di ossequienza politica. Il 3% in più annuo del Pil
non lo garantisce. Xi Jing Ping si è appena aggiudicato il terzo mandato
quinquennale alla guida del Paese. Può anche riuscire a farlo
permanente come quello del suo idolo, Mao Zedong. Ma ha bisogno di
consenso e il consenso ha bisogno di crescita.
La pandemia, o meglio l’infelice strategia “zero Covid” di Xi, è
stata la causa principale del rallentamento economico. L’abbandono
dovrebbe permettere un rilancio a partire da quest’anno. Sono però
maturate altre difficoltà: le restrizioni americane all’esportazione di
tecnologie, le crescenti diffidenze europee e il disinvestimento di
operatori multinazionali a favore di altri Paesi asiatici politicamente
più sicuri. La Cina ha cavalcato brillantemente la globalizzazione.
Adesso dovrà accontentarsi di una globalizzazione meno ebulliente, prova
ne siano le diserzioni di quest’anno dal tempio della globalizzazione –
Davos. Come adombrato nel XX Congresso Xi intende compensare almeno in
parte col mercato interno.
Nella sala della Protomoteca del Campidoglio è stata allestita la camera ardente di Gina Lollobrigida, scomparsa lo scorso 16 gennaio all’età di 95 anni. Ad accogliere il feretro il sindaco Roberto Gualtieri assieme ai familiari dell’attrice. Presenti anche l’ex marito Javier Rigau.
TRAPANI. Sfogliando pagine conservate nell’Archivio di Stato o quelle
anche di recenti sentenze di condanna, si scopre il comune denominatore
che unisce questa terra trapanese, incastonata nella Sicilia più
occidentale, a cavallo di tre secoli: la sommersione del potere mafioso.
Le commistioni con i poteri pubblici, sia quando erano teste coronate a
governare, sia quando l’Italia è rinata repubblicana e democratica.
Trapani e quella incarnata cultura secondo la quale la mafia non esiste.
Ancora più forte questa certezza quando arrivano certe condanne, per
corruzione o collusione: accadde nel 1908 quando per peculato fu
condannato il ministro, e massone, Nunzio Nasi; è accaduto ai nostri
giorni, quando qualche settimana addietro è diventata definitiva la
condanna a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa dell’ex
sottosegretario berlusconiano Tonino D’Alì, oggi detenuto a Milano.
D’Alì i Messina Denaro li conosce bene, erano i suoi campieri nel suo
latifondo di Castelvetrano. Tra questi secoli si cela il potere mafioso
trapanese, esistito avendo la capacità di far negare la sua esistenza.
La mafia qui non la trovi mai nelle campagne, come a Corleone, ma dentro
i palazzi anche nobiliari. Cosa Nostra da queste parti ottiene quello
che vuole senza sparare, fa affari con gli appalti e si siede nei
salotti che contano.
Ma a Trapani la mafia non esiste. Lo disse un sindaco nel 1985
dinanzi ai corpi straziati della strage di Pizzolungo. La mafia è una
meteora che si vede quando uccide (si legge in un giornale del 1864) o è
un Uffizio (come scrisse nel 1838 il prefetto Ulloa) dinanzi al quale
tanti si prostrano anche per certe fratellanze. Sembra la descrizione
che viene fuori ancora oggi dalle carte delle indagini su Matteo Messina
Denaro: mafia, politica, massoneria e talvolta anche la Chiesa. I due
più famigerati Messina Denaro, Francesco e Matteo, padre e figlio,
avrebbero trascorso la loro prima parte della latitanza nella canonica
di una chiesa di Calatafimi. Negli anni ’80 ci sono le parole di
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Conoscono bene Trapani, Falcone qui
cominciò la carriera, Borsellino è stato procuratore a Marsala: a
Palermo, raccontarono, c’è la mafia militare; a Trapani quella
economica. A Trapani non ci sono coppole e lupare, ma manager,
imprenditori, anche non punciuti ma legati a Cosa Nostra, da
pari, senza sudditanza. A metà degli anni ’80 la Squadra Mobile scopre
dietro la copertura di un circolo culturale la sede di alcune logge
massoniche segrete: tra gli iscritti, mafiosi, professionisti, uomini
delle istituzioni, dell’impresa e della finanza. Anni dopo un altro
magistrato, Andrea Tarondo, in una requisitoria evidenzia un dato reale,
l’assenza di denunce per estorsioni, «qui – affermò – le imprese pagano
ma non il pizzo, semmai la quota associativa a Cosa Nostra, così da
avere aperte tutte quelle porte che al contrario resterebbero loro
chiuse». Qui la mafia è stata sempre legata alle sue origini, mantenendo
la caratteristica della sommersione e la connotazione borghese, niente
coppole ma uomini in grisaglia. La mafia, si legge in decine di
sentenze, è fatta da latifondisti, imprenditori, politici scoperti
essere uomini d’onore riservati.
Anche stavolta molti italiani si sono subito chiesti se non ci stanno mentendo sull’arresto del boss
Il dubbio sistematico è l’abito mentale dell’Occidente, da Cartesio in poi. È un metodo che ci induce a sottoporre al vaglio della ragione qualsiasi verità,
fosse pure matematica, prima di accettarla come vera. Allo stesso modo,
nelle società aperte lo scetticismo è il dovere deontologico della
stampa libera; così come
il potere di inchiesta e controllo è la funzione democratica del Parlamento, e in esso delle opposizioni.
Vogliamo perciò sapere ogni cosa,
non appena sarà possibile e senza pregiudicare le operazioni di polizia,
dell’arresto di Messina Denaro, delle indagini che l’hanno preceduto,
delle condizioni in cui è avvenuto. È
peraltro comprensibile non accontentarsi mai della versione ufficiale,
perché la storia della Repubblica purtroppo abbonda di notti ancora
avvolte nel mistero.
Ma bisogna riconoscere che, forse
proprio a causa di questa tradizione di opacità, in ampi settori
dell’opinione pubblica si è diffuso, al posto del dubbio, un pregiudizio di sfiducia sistematica nei confronti dello Stato e dei suoi apparati. Che ha trasformato spesso l’ansia di verità in presunzione di menzogna da parte delle autorità.
Riforniti a getto continuo di presunti complotti da quella che potremmo definire una vera e propria setta, Dietrology, anche
stavolta molti italiani si sono subito chiesti se non ci stanno
mentendo sull’arresto del boss, se in realtà si sia consegnato, oppure
sia stato tradito (il che non inficerebbe comunque la vittoria
dello Stato); o peggio ancora se non sia stato immolato sull’altare di
una nuova trattativa dei vertici mafiosi al fine di ottenere benefici
per chi è in galera e concessioni per la mafia che verrà. Così, mentre
in tutto il mondo dicono «gli italiani hanno preso il capo della mafia»,
molti italiani si chiedono perché solo ora, se era così facile.
I precedenti nel nostro Paese —
l’abbiamo detto — inducono a dubitare. Ma anche tanti anni di teorie
del «doppio Stato», di giochi di parole su «chi è Stato», di sospetti
lanciati su servitori dello Stato fedeli, compresi quelli che presero
Totò Riina, hanno scavato alla lunga un solco tra cittadini e
istituzioni non sempre giustificato; creato un
senso comune, un riflesso condizionato, per cui dietro ogni scena ci
deve essere un retroscena, dietro ogni fatto una trama, e dietro ogni
evento un puparo.
Non
ci sono «carte mafiose» nella casa di Campobello di Mazara. Ora il vero
obiettivo sono gli appoggi di più alto livello, anche sanitari
DAL NOSTRO INVIATO PALERMO – Finita l’indagine per arrivare alla cattura, comincia l’altra sui complici del boss. Che parte da quelli «di prossimità», cioè coloro hanno aiutato Matteo Messina Denaro nella vita quotidiana e clandestina a Campobello di Mazara, che l’ha protetto fino a lunedì mattina, ma punta molto più in alto. Perché nessuno crede, o si rassegna, all’idea che all’ultimo padrino stragista di Cosa nostra sia bastata la protezione di un vecchio amico d’infanzia o un paio di conoscenti compiacenti per garantirsi la latitanza.
A partire da quell’Andrea Bonafede che ha accettato di prestare la sua identità al capomafia, e ora si ritrova indagato per associazione mafiosa, con gravi indizi a suo carico. O il medico Alfonso Tumbarello,
che ha rilasciato prescrizioni a due Bonafede nati lo stesso giorno e
con la stessa tessera sanitaria, ma tutt’affatto diversi e con problemi
di salute differenti. O quel Giovanni Luppino che è stato l’ultimo autista del boss.
E poi? Chi altro ha garantito la sua vita clandestina? Con chi è stato
in contatto per continuare a gestire gli affari da capomafia e il patrimonio occulto da
cui ha continuato ad attingere i soldi per vivere, negli ultimi otto
mesi a Campobello ma pure — negli anni precedenti — altrove? E
soprattutto: dov’è e chi copre il vero covo di Messina Denaro?
Carte e perizie
Oltre ai complici ancora occulti,
è questo il vero obiettivo della Procura. Perché, dal poco che filtra
su un’inchiesta appena avviata e ovviamente segreta, che ha bisogno di
tempo per essere sviluppata, di «carte mafiose» nell’appartamento di vicolo San Vito non
sarebbe stata trovata traccia. O comunque solo alcune, da verificare se
attribuibili al boss o ad altre persone, anche con perizie
calligrafiche in corso. La caccia a pizzini o altra corrispondenza
con «uomini d’onore» o presunti tali, insomma, per ora non ha dato i
frutti sperati. Ci sono scatoloni o contenitori vari con altra
documentazione risalente all’ultimo anno. Di diverso genere.
Si tratta soprattutto di referti, analisi mediche e riscontri di visite specialistiche,
oncologiche e oculistiche, effettuate in strutture diverse dalla
clinica La Maddalena di Palermo. Carte che aprono nuove prospettive
d’indagine su altri medici e professionisti che hanno aiutato il latitante
anche prima che approdasse a Campobello. Ma il fatto che siano datate
2022 o poco prima è un altro elemento che fa sospettare l’esistenza di
un «deposito» dove il boss potrebbe avere conservato il resto del
materiale. Se l’ha conservato. Perché la vita segreta di Matteo Messina Denaro è cominciata non uno ma trent’anni fa, e perché di messaggi sulle sue mosse e sulla gestione di alcuni affari
il latitante ne avrebbe ricevuti e inviati almeno fino alla primavera
scorsa, secondo quanto risulta da altre attività investigative.
All’appartamento di Campobello, gli investigatori dell’Arma sono
arrivati attraverso le chiavi di un’Alfa Romeo 164 contenuta nel borsello che Messina Denaro aveva con sé.
I movimenti dell’auto
Quella chiave ha un codice, dal quale si è risaliti alla targa dell’auto, e inserendo numeri e lettere nel sistema informatico di sicurezza urbana collegato con le telecamere che presidiano il territorio, si è risaliti ai movimenti della macchina. Che hanno portato i carabinieri all’indirizzo dove viveva il boss.
Permettendo di trovare immagini di lui che sale o scende dall’auto,
trasporta le buste della spesa. Comportamenti normalissimi che poco si
addicono a un capomafia divenuto il ricercato numero 1 per tutte le
forze dell’ordine italiane; come pure i selfie scattati in clinica, durante le sedute terapeutiche, con infermieri o altri pazienti. Una «visibilissima invisibilità» che lascia perplessi inquirenti e investigatori, e che però potrebbe corrispondere a una precisa strategia: apparire come se non ci fosse niente da nascondere, per evitare di attirare l’attenzione.
«Con la crescita
zero il Paese invecchia. Tra un po’ avremo un pensionato a carico di
ogni disoccupato». La vignetta di Altan è vecchia, ma la provocazione
sta diventando realtà. Il principio su cui si regge il sistema
previdenziale lega a doppio filo il numero di lavoratori a quello dei
pensionati: con i contributi del mio lavoro oggi pago chi sta prendendo
la pensione, domani ci dovrà essere qualcuno che lo farà per me. Se
questo equilibrio si spezza, le casse dell’Inps e degli altri enti
previdenziali saltano. Su 36 milioni di italiani in età da lavoro oggi i
dipendenti (sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato) e gli
autonomi sono 23 milioni. Da questo numero è escluso chi è in cassa
integrazione o inattivo da oltre 3 mesi. Invece a incassare la pensione
di anzianità, vecchiaia, sociale, invalidità e infortuni sul lavoro,
sono 16 milioni. Con questi numeri fino a quando sono garantite le pensioni ai livelli di oggi?
Vediamo che cosa ci aspetta e cosa innesca il continuo cambiamento
delle regole per abbassare l’età pensionistica. Il decimo rapporto «Il
Bilancio del Sistema Previdenziale italiano» redatto dal Centro studi e
ricerche Itinerari Previdenziali di Alberto Brambilla e presentato
stamattina, 18 gennaio, alla Camera dei deputati, parla chiaro. Dataroom l’ha potuto leggere in anteprima.
La situazione attuale
Secondo
i calcoli ormai consolidati, per consentire al sistema pensionistico di
reggere devono esserci tre lavoratori ogni due pensionati: è il
«rapporto attivi/pensionati» espresso tecnicamente dal tasso di 1,5.
Oggi siamo a 1,42. Il conto è fatto sugli ultimi dati disponibili
comparabili, quelli di fine 2021: i lavoratori sono 22 milioni e 884
mila contro 16 milioni e 98.748 pensionati. La differenza tra il tasso
di 1,5 e quello di 1,42 sembra minima, ma non lo è: vuol dire che nel
2021 per avere una condizione in
perfetto equilibrio ci dovrebbero essere 1 milione e 264.122 lavoratori
in più, oppure 842.748 pensionati in meno. Invece ci sono entrate
contributive per 208 miliardi e 264 milioni, mentre la spesa
pensionistica è di 238 miliardi e 271 milioni. Un buco di 30 miliardi.
Sul 2022 invece c’è il numero di occupati (23 milioni), ma manca ancora
quello dei pensionati.
di Andrea Nicastro, inviato a Leopoli, e Redazione Online
Le notizie sulla guerra di mercoledì
18 gennaio, in diretta. Incontro tra l capo della Casa Bianca lo ha
dichiarato al primo ministro olandese Mark Rutte in visita all’Ufficio
Ovale. Zelensky avvisa che la premier Meloni sarà «presto in Ucraina»
• La guerra in Ucraina è arrivata al 329esimo giorno. • Meloni-Macron: «Sostegno economico e militare a Kiev fino a quando sarà necessario». • Soldati ucraini a lezione di Patriot a Fort Sill, in Oklahoma • Cosa serve all’Ucraina nei prossimi, decisivi mesi di guerra. • Olena Zelenska oggi al Forum economico di Davos (Svizzera). • Zelensky fa sapere che la premier Giorgia Meloni sarà presto in Ucraina. L’annuncio a Porta a Porta da Bruno Vespa. •
Gli Stati Uniti, rivela il New York Times, sta inviando munizioni
all’Ucraina prendendole dai depositi che ha in Israele e in Sud Corea
Ore 10:26 – Metsola: informati di schianto elicottero, vicini a Ucraina
Siamo appena stati
informati che il ministro degli Affari interni ucraino e la dirigenza
del suo ministero sono rimasti uccisi nello schianto dell’elicottero
vicino a Kiev. Penso di parlare a nome di tutti noi dicendo che i nostri
pensieri in questa Aula sono con il popolo coraggioso dell’Ucraina, le
famiglie e i cari del ministro Monastyrskyi e del suo vice». Lo ha detto
la presidente
dell’Eurocamera Roberta Metsola informando la Plenaria in corso a
Strasburgo dell’incidente avvenuto questa mattina nella regione di Kiev. «Continueremo a stare al fianco» dell’Ucraina, ha aggiunto Metsola.
Ore 10:22 – La nebbia e il buio: ecco la dinamica dello schianto dell’elicottero
Era buio e nebbioso al
momento dell’incidente dell’elicottero dei servizi di emergenza a
Brovary, nella regione di Kiev, in cui hanno perso la vita 18 persone,
tra cui il ministro degli interni ucraino Denys Monastyrskyi. Le prime
informazioni suggeriscono che l’elicottero abbia colpito l’asilo prima
di schiantarsi vicino a un edificio residenziale, riferisce la Bbc. Insieme a Monastyrsky sono rimaste uccise altre due figure di spicco del ministero degll’Interno: Yevgeny Yenin era il primo viceministro mentre Yuriy Lubkovich era segretario di Stato del ministero.
Per quanto riguarda le cause,
le forze dell’ordine ucraine stanno valutando tutte le possibilità
dell’incidente, ha spiegato il procuratore generale Andriy Kostin.
«Al momento, investigatori ed esperti stanno lavorando sul luogo della
tragedia. Sono in corso azioni investigative urgenti. Per ora stiamo
valutando tutte le possibili versioni dell’incidente dell’elicottero.
L’istruttoria è stata affidata agli investigatori dell’Sbu,» ha scritto
Kostin su Telegram.
Ore 10:18 – Il dramma dei bambini: 455 morti, 336 dispersi
L’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk,
aggiorna i dati delle piccole vittime e dei bambini dispersi causati
dalla guerra: «Secondo i rapporti delle autorità statali ucraine, al 16 gennaio di quest’anno 336 bambini sono ufficialmente considerati dispersi; 455 bambini sono morti.
Sono solo casi documentati. 897 sono feriti. Ma grazie a Dio, 9.916
bambini in quei burrascosi eventi delle operazioni militari in Ucraina
sono stati alla fine ritrovati».
«C’è una sensazione
generale dell’escalation di questa guerra. Gli attacchi russi –
sottolinea Shevchuk in un videomessaggio- si stanno intensificando non
solo in prima linea, ma anche nelle nostre pacifiche cittàáe villaggi.
Le nostre regioni di Donbas, Luhansk e Donetsk sono in fiamme. Pesanti
battaglie si stanno svolgendo intorno alle cittàádi Avdiivka, Bakhmut e
Soledar, ormai leggendarie».
Ore 10:10 – Michel, ci uniamo a dolore; Monastyrsky era amico Ue
«Ci uniamo all’Ucraina
nel dolore dopo il tragico incidente in elicottero a Brovary. Il
ministro Denys Monastyrsky era un grande amico dell’Ue». Lo scrive in un
tweet il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
«Condividiamo le nostre più sentite condoglianze con le famiglie delle
vittime, con il presidente Volodmyr Zelensky, il premier Denys Shmyhal e
il popolo ucraino», si legge ancora.
Ore 09:35 – L’ira di Mosca: «Le azioni degli Stati Uniti? Come Hitler e Napoleone»
Nel corso della sua
conferenza stampa annuale, a Mosca, il ministro degli Esteri russo
Sergei Lavrov ha di nuovo attaccato duramente l’Occidente per il
sostegno all’Ucraina (senza notare, al solito, che l’Ucraina è uno stato
sovrano che la Russia ha invaso, il 24 febbraio scorso), e ha
paragonato il ruolo degli Stati Uniti in questa crisi alle mosse di
Adolf Hitler e di Napoleone Bonaparte.
«Washington, usando l’Ucraina come suo pupazzo, sta facendo guerra
alla Russia con lo stesso obiettivo che si erano posti loro: la
soluzione finale della questione russa», ha detto.
Secondo Lavrov, «è l’Occidente, e non l’Ucraina» a decidere
eventuali negoziati di pace con la Russia. E negoziati con l’Occidente
che riguardino solo l’Ucraina «non hanno senso» perché l’Occidente sta
usando l’Ucraina per ottenere un «dominio totale», con a capo gli Usa..
«Stanno cercando di indebolirci continuando a rifornire di armi
l’Ucraina», ha detto, «ma saremo pronti a rispondere».
Lavrov ha anche definito «insensati» e «impossibili» eventuali
colloqui con Zelensky, e ha chiarito che la «smilitarizzazione»
perseguita da Mosca in Ucraina è il completo annichilimento della
capacità militare di Kiev: «Non deve più esserci alcuna infrastruttura
militare in Ucraina che possa minacciare la sicurezza di Mosca», ha
detto, senza notare la totale inversione di ruoli tra Paese invasore e
Paese invaso che una posizione del genere tenta di mettere in campo.
Ore 09:24 – Nello schianto dell’elicottero è morto il ministro dell’Interno di Kiev
Si aggrava il bilancio
dello schianto dell’elicottero avvenuto nella mattinata di oggi a
Brovary, una cittadina nella regione di Kiev.
I morti — secondo quanto riferito dalla Reuters e dalla Agence
France Presse, che citano fonti di polizia — sarebbero almeno 18; e tra
loro ci sono anche il ministro dell’Interno ucraino Denys Monastyrskyi,
il vice ministro e altri funzionari del governo di Kiev.
Tre bambini sono morti nello schianto, avvenuto vicino a un asilo, e altri 10 sono stati trasportati in ospedale.
È andato tutto in modo limpido. Sobrio e trasparente. Ma non si sa mai. Speriamo che non torni la stagione dei veleni e dei sospetti. Speriamo che il successo di oggi non sia accompagnato dal solito corteo di retropensieri, meglio se maligni. Speriamo di non sentir rimbombare i nomi degli investigatori che hanno firmato questa operazione come presunti protagonisti di fantomatiche trame oscure. È già successo, ci auguriamo non si ripeta. La memoria corre alla cattura di Totò Riina, trenta anni fa, e alla mancata perquisizione del covo dove alloggiava il capo dei capi di Cosa nostra. Abbiamo passato anni ad ascoltare i nomi del capitano Ultimo e del generale Mori alternativamente come eroi della lotta a Cosa Nostra e poi come oscuri burattinai di trame oblique al di là della linea della legalità. Processi su processi, per il giallo del covo di via Bernini, per la mancata cattura di Bernardo Provenzano e per la trattativa Stato mafia che hanno alimentato l’industria del pregiudizio e la catena di montaggio del «chissà cosa c’è dietro», ma non hanno portato a nulla. Se non a rendere tutto torbido e confuso. Reati e comportamenti opachi vanno colpiti, ma qui è scattata una sorta di maledizione: fango e capi d’imputazione a grappolo. E poi ancora, una delegittimazione di alcuni tra i più importanti detective del nostro Paese. Pensiamo ai Subranni, ai De Donno e a altri la cui reputazione è stata macchiata e messa in naftalina per un tempo interminabile.
È un destino sfortunato che ha decimato le migliori energie sulla prima linea di questa battaglia difficilissima. E viene l’ulteriore dubbio che si sia alimentato questo gioco al massacro utilizzando trasversalmente qualunque elemento e indagine. Qui il discorso si fa ancora più contorto perché il malfunzionamento della nostra giustizia rende ogni opinione credibile. Resta il fatto che anche l’ex prefetto di Palermo Renato Cortese, artefice della cattura di Bernardo Provenzano, è finito diritto nell’imbuto del caso Shalabayeva e ne è uscito, assolto, solo in appello. Un’altra coincidenza sfortunata, naturalmente. È giunto il momento di voltare pagina: non sprofondiamo di nuovo nella palude del complottismo.