Archive for Gennaio, 2023

Il “one woman show” che logora la premier

lunedì, Gennaio 16th, 2023

Alessandro De Angelis

Andrebbe davvero indagato questo nervosismo sproporzionato di Giorgia Meloni. Insomma: c’è una criticità sulla benzina e, in prima persona, si espone in tv per tre giorni di fila, inanellando una serie di figuracce. Ogni volta con una serie di smorfie che neanche gli emoticon di wathsapp. Va a fare un comizio a Milano, probabile vittoria annunciata e dice – indicativo di uno stato d’animo – di sentirsi sulle spalle un impegno pari a quello di Giuseppe Garibaldi.

Neanche tre mesi di governo e già trasmette stanchezza e scarsa serenità. Eppure il contesto generale, nei suoi fondamentali, è tutt’altro che ostile: i mercati tengono, le opposizioni non esistono, il capo dello Stato non è un problema. Chissà se Giorgia Meloni è a conoscenza di trame indicibili degli alleati. A occhio però è difficile vedere un fuoco amico in grado di impensierirla, se riuscisse, con uno sforzo di self-control, a tenere a bada quella spirale tra ansia da sondaggi e sindrome da complotto. Le oscillazioni ci sono, e ci saranno: è semplicemente la fatica del governare. Pretendere di zittire Berlusconi, lo sanno pure le pietre, non è impossibile, è semplicemente inutile; la considera una sorta di usurpatrice, e non aspetta altro che una polemica per sentirsi ancora al centro della scena, tanto vale fare spallucce. Discorso che si può estendere anche a Salvini, che ha parecchi guai all’interno del suo partito. Ben altri logoramenti si sono visti nei governi di coalizione.

La sensazione è che i problemi, e il logoramento, Giorgia Meloni se li stia creando e amplificando tutti da sola. E sono la conseguenza di due fattori: il primo è il limite di fondo di un governo nato come un “one women show”, che la carica di onori, oneri e anche figuracce. Non c’è dossier su cui può contare su dei player in grado di mettere ordine evitando la sua sovraesposizione. Succede, quando si preferisce la fedeltà alla competenza: dall’assenza di un “regista” a palazzo Chigi a un ministro dell’Economia scelto in quanto all’opposizione nel suo partito, ma proprio per questo debole nella gestione delle criticità.

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Così la politica ha fatto a pezzi lo Stato sociale

lunedì, Gennaio 16th, 2023

Massimo Cacciari

Tra le molte vittime che il salto d’epoca che viviamo sta mietendo possiamo ormai forse contare anche lo Stato sociale, quel Welfare vanto delle politiche europee del secondo Dopoguerra. La crisi, anche in questo caso, viene da lontano e gli economisti più avveduti l’avevano prevista già tra anni ’70 e ’80: senza una profonda riforma dell’apparato amministrativo, senza “Stato leggero” dal punto di vista burocratico, senza costante e rigorosa spending review e, soprattutto, senza la precisa volontà politica di porre ai primi posti nella “gerarchia dei valori” formazione, innovazione, sanità, non sarebbe stato possibile sostenere politiche fiscali aggressive (anche a prescindere dallo scandalo tutto nostrano del livello dell’evasione) e l’aumento irresistibile del debito pubblico. Un Welfare tutto in deficit esiste soltanto nel libro dei sogni delle promesse elettorali che hanno nutrito la politica italiana dell’ultimo trentennio. Nessuna forza politica, nessun governo hanno saputo affrontare il nodo, che ha finito col soffocarci. I fondi del Pnrr sono stati a ragione presentati come l’ultima spiaggia. Nessuno sa, però, che cosa sia stato davvero finanziato, che cosa progettato, che cosa cantierato; soltanto voci, spot, qui un’università, là dei ricercatori, oltre ancora una strada o uno stadio. Sotto il mantra dell’eco-sostenibilità e dell’informatizzazione di ogni buco di vita sta passando di tutto.

Magari il Ponte sullo Stretto, così si potranno spendere di un botto, come col Mose di Venezia, diversi miliardi, con un bel Commissario Unico controllato da sé stesso (e, se va bene, dalla Magistratura, ma naturalmente post festum).

È evidente che oggi in Italia non potremmo pensare neppure per ipotesi anche soltanto al mantenimento di certi livelli di Welfare in presenza di un debito che rende quasi un esercizio di retorica parlare di “sovranità” e con un’entrata per l’Irpef che viene per l’85% da lavoratori dipendenti e pensionati. Ma non si tratta, temo, ormai più soltanto delle note patologie della madre Patria. La questione va compresa nel contesto delle grandi trasformazioni sociali, da un lato, e geo-politiche dall’altro. È in questo contesto che lo Stato sociale sta divenendo una possibilità spettrale, e che si spiegano, di conseguenza, sia la débâcle delle socialdemocrazie che la relativa ascesa di movimenti di destra. Lo Stato sociale era anche lo Stato di un certo capitalismo, non solo ancora fortemente collegato alla dimensione nazionale, ma soprattutto interessato a politiche redistributive e all’aumento del potere di acquisto di larghe masse di cittadini. La globalizzazione guidata dai grandi gruppi multinazionali dei settori strategici sfugge quasi interamente alla “presa” dei poteri politici tradizionali. O questi ultimi si adeguano alle loro finalità, che in nessun modo coincidono con quelle del vecchio Stato sociale, o finiscono col balbettare slogan per mascherare palese impotenza. La ricchezza prodotta cessa di rispondere a una domanda collettiva. È saltata ogni mediazione tra i due livelli. Il “terribile diritto”di proprietà rivela, per così dire, la propria essenza: risponde soltanto a sé stesso, non ha doveri nei confronti di altri.

Lo stato di emergenza (Stato, appunto, e non più emergenza) tende a compiere la “operazione”. L’accentramento del processo decisionale negli esecutivi è anche l’accentramento delle decisioni di spesa in alcuni settori, al di là di ogni effettivo confronto e di ogni discussione reale all’interno delle vecchie aule parlamentari. Anche le modalità in cui verranno usati i fondi del Pnrr esalterà comunque questa universale tendenza. Si tratta sempre di emergenze globali, e dunque la risposta dovrà essere a tutti comune. Dove viene decisa? Esiste forse una Repubblica della Terra, col suo Parlamento e il suo Governo? E tuttavia la decisione va presa. Come? La prenderanno i tecnici, gli “scienziati”. E dove stanno costoro? All’interno dei grandi apparati economici, dei sistemi tecnico-scientifici. Lì soltanto si elaborano veramente i big data, da lì si prospettano, non è vero?, le soluzioni più razionali da comunicare ai vari governi locali, dai quali, se non desiderano la venuta di Commissari ad acta, verranno adottate.

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La destra post-populista alla ricerca di un’ideologia

lunedì, Gennaio 16th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Chi è davvero questa Giorgia Meloni, leader post-missina e vagamente peronista, che oscilla tra Giorgio Almirante, Evita Melòn e adesso addirittura il Giuseppe Garibaldi di “qui o si fa l’Italia o si muore”? Un bel dilemma, in questi giorni di tormenti e risentimenti.

Nulla più della benzina accende la rabbia dei popoli contro le élite. L’America Latina brucia da mezzo secolo per le rivolte sul prezzo dei carburanti. Nel 1989 fu il “Curacazo”, che partì dai quartieri più popolari di Caracas e finì per infiammare tutto il Venezuela. Trent’anni dopo toccò all’Ecuador, dove l’aumento dei prezzi scatenò prima l’assedio dei distributori, poi l’assalto al palazzo presidenziale di Lenin Moreno, costretto a fuggire da Quito e a spostare la sede del governo sulla costa. In quello stesso anno riesplose anche il Cile, per le stesse ragioni: rincaro della “gasolina”, raddoppio del biglietto di bus e metropolitane, e inferno da Santiago a Valparaiso, città messe a ferro e fuoco dalla gente inferocita, morti e feriti tra la folla caricata dalla polizia del generale Iturriaga, autorizzata a sparare dal presidente Sebastian Pinera.

Nella vecchia Europa, vivaddio, non siamo arrivati a tanto. Ma la sommossa dei gilet gialli in Francia, innescata nell’autunno del 2018 dal boom dei costi del carburante e dall’inflazione conseguente e durata fino al 2020, segna un capitolo fondamentale nella storia e nell’iconografia dei movimenti populisti del Terzo Millennio: tre milioni di giubbotti catarifrangenti del ceto medio impoverito, in marcia sui Campi Elisi e lanciati “a bomba contro l’ingiustizia”, come la locomotiva di Guccini. Conviene partire da qui, per ragionare sul primo serio inciampo eco-socio-politico di Meloni

Nella civiltà delle macchine, e in attesa che la costosissima transizione energetica ci mostri le magnifiche sorti e progressive dell’elettrico, il prezzo della benzina resta la tassa del macinato dell’era moderna. Chi tocca non muore, ma paga pegno.

Come spiega Alessandra Ghisleri nel sondaggio che pubblichiamo oggi, la nostra presidente del Consiglio è ancora in luna di miele col Paese. E tuttavia, numeri alla mano, quella pasticciata sequenza di piccole bugie e grandi contraddizioni che la Sorella d’Italia ha profuso per giustificare il rialzo delle accise rappresenta un vero “litigio” tra lei e l’amata Patria. Il problema non è il fronte dei benzinai, cioè quei 22 mila “furbetti e speculatori” che un governo preoccupato solo di autoassolversi ha dato frettolosamente e irresponsabilmente in pasto all’opinione pubblica. Quelli fanno comunque parte della constituency elettorale dei patrioti, che dunque ne regolerà il provvisorio dissenso secondo una rigorosa logica di scambio corporativo. Il nodo vero, invece, sono proprio gli italiani, possessori di un parco circolante di ben 53 milioni tra autoveicoli, pullman, motocicli e motocarri. Gente che fa il pieno tutti i giorni, pendolari che si spostano per lavorare, “padroncini” che fanno le consegne. Poche migliaia di ricchi in Ferrari e Lamborghini, che se ne fregano degli aumenti e dei dibattiti tra economisti sulla “regressività” delle accise. Molti milioni di cittadini normali, per i quali anche solo 25 centesimi in più al litro sono un costo tutt’altro che irrisorio.

Lei stessa se n’è resa conto. Altrimenti non avrebbe convocato ben due telegiornali delle 20, per provare a spiegarsi parlando a reti unificate agli italiani già attovagliati per la cena, blitz mediatici e drammatici che faceva giusto Conte al culmine dell’emergenza pandemica. E soprattutto non avrebbe ricorretto il cosiddetto “decreto trasparenza”, inventando una “accisa mobile” e ripristinando il bonus trasporti per le famiglie più disagiate e più colpite dalla crisi energetica. Serve a poco, adesso, correre ai ripari con i pannicelli caldi, lamentarsi dei soliti “giornaloni” che mistificano o dei social ingrati che banchettano. È stato un report ufficiale del ministero dell’Ambiente (dunque il governo stesso) a chiarire che il rincaro dei carburanti non è altro che l’effetto aritmetico dell’abolizione dello sconto fiscale introdotto a marzo 2022 dal governo Draghi. Ed è la stessa Rete usata infinite volte dai picchiatori digitali della fratellanza meloniana, che oggi fa diventare virale l’ormai famoso video del maggio 2019 nel quale la “Ducia” solitaria all’opposizione fa benzina e giura “quando governeremo noi, le accise le aboliremo!”. È la Politica 4.0, bellezza, e non puoi farci niente. Detto tutto questo, ora la domanda è cosa lascia e cosa insegna, questo primo dissapore tra la premier e “la Nazione”.

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Caro benzina, l’Antitrust a caccia di irregolarità sui prezzi: ispezioni nelle sedi di Eni, Esso, Ip, Kuwait, Tamoil

lunedì, Gennaio 16th, 2023

Pronti, controlli, al via. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con l’ausilio del Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza, ha svolto ispezioni nelle sedi delle società Eni Spa, Esso Italiana Srl, Italiana Petroli Spa, Kuwait Petroleum Italia Spa e Tamoil Italia Spa. I procedimenti, informa una nota, sono stati avviati anche sulla base della documentazione tempestivamente fornita dalla Guardia di Finanza in merito alle infrazioni accertate sui prezzi dei carburanti praticati da oltre mille pompe di benzina (marchio ENI 376, marchio ESSO 40, marchio IP 383, marchio Kuwait 175, marchio TAMOIL 48) distribuite su tutto il territorio nazionale. L’Antitrust, spiega nella nota, ha avviato le istruttorie in quanto la documentazione e i dati trasmessi dalla GdF farebbero emergere da parte delle compagnie petrolifere condotte riconducibili alla omessa diligenza sui controlli rispetto alla rete dei distributori, in violazione dell’art. 20 del Codice del Consumo. In numerosi casi è risultata difformità tra il prezzo pubblicizzato e quello più alto in realtà applicato; in altri è stata riscontrata l’omessa esposizione del prezzo praticato, ovvero l’omessa comunicazione al portale “Osservaprezzi Carburanti”, utile al consumatore per trovare la pompa con il prezzo piu’ basso. In particolare, Eni, Esso, IP, Kuwait Petroleum Italia e Tamoil non avrebbero adottato misure o iniziative idonee a prevenire e a contrastare queste condotte illecite a danno dei consumatori.

LA STAMPA

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E se la recessione fosse davvero evitabile? Lo scenario del «soft landing»

lunedì, Gennaio 16th, 2023

di Federico Rampini

Sognando il “soft landing”: e se evitassimo la recessione?

«Soft landing» significa atterraggio morbido. Atterraggio da che cosa? Dall’alta inflazione, dal pericolo di un surriscaldamento dell’economia avvitata in una spirale prezzi-salari. Un atterraggio morbido significa riportare il carovita a livelli ragionevoli, senza passare attraverso la medicina più dolorosa: una recessione.

Se si riuscisse a raffreddare la situazione quel tanto che basta, senza infliggere alla popolazione le sofferenze di un forte aumento della disoccupazione, sarebbe uno scenario molto positivo. Sarebbe anche un capolavoro firmato da Jerome Powell, il presidente della Federal Reserve, la banca centrale americana. La lotta all’inflazione infatti la stanno conducendo prevalentemente, o perfino esclusivamente, le banche centrali. Usano l’arma dei tassi d’interesse perché agisce sulla domanda: rende più caro il credito per le imprese e per i consumatori; fa costare di più i prestiti bancari e i mutui casa e l’uso delle carte di credito. Comprime i consumi e gli investimenti, quindi riduce la spesa complessiva e questo dovrebbe calmare i prezzi. I governi da parte loro fanno poco o nulla per contrastare l’inflazione, i provvedimenti in favore della concorrenza oppure della trasparenza dei prezzi sono abbastanza simbolici. Infine c’è una componente dell’inflazione attuale che viene dai prezzi dell’energia, sui quali nessuno di noi in Occidente ha un potere diretto d’intervento; però anche le quotazioni di gas e petrolio reagiscono alla domanda e quindi, sia pure molto indirettamente, se le banche centrali raffreddano la crescita economica riducono anche i nostri consumi di energia e contribuiscono a calmare i prezzi su quel fronte.

Powell come Volcker, anzi meglio?

Se il sogno si avvera Powell passerà alla storia come Paul Volcker, il suo predecessore che negli anni Ottanta riuscì a domare l’iperinflazione scatenata da due shock petroliferi (1973 e 1979) e dalla forte conflittualità sociale. (Volcker è morto nel dicembre 2019 all’età di 92 anni senza aver visto né la pandemia, né la rinascita dell’inflazione).

Volcker dovette usare in modo spietato l’arma dei tassi d’interesse, con rialzi feroci del costo del denaro e danni sociali pesanti. Powell invece spera di riuscirsi maneggiando i rialzi dei tassi con maggiore moderazione ed evitando una grave recessione. Questa sua speranza di recente si è diffusa anche tra gli investitori in Borsa, così si spiega la ripresa di Wall Street che ha aperto il 2023. Il sogno che sta generando un’atmosfera cautamente ottimista in Borsa, è quello di non ripetere né gli anni Settanta né gli anni Ottanta, di cavarcela in modo meno doloroso di allora. Nonostante la guerra in Ucraina, nonostante gli shock energetici che stiamo ancora pagando.

L’inflazione americana continua a rallentare.

Cosa giustifica questa ventata di ottimismo o quantomeno la sensazione di scampato pericolo? Una serie di dati che partono dagli Stati Uniti. Proprio l’economia americana era stata la prima a conoscere fiammate inflazionistiche poderose – e largamente impreviste – nel 2022. Ma è da sei mesi consecutivi che l’inflazione americana continua a calare: l’aumento di dicembre nell’indice dei prezzi al consumo è stato del 6,5% annuo, rispetto a un picco del 9% raggiunto nel mese di giugno dell’anno scorso. Si direbbe che la flessibilità dell’economia di mercato – insieme con la cura della banca centrale – stia reagendo alla crisi più efficacemente del previsto.

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Berlusconi chiede «pari dignità», l’ipotesi di un incontro con Meloni

lunedì, Gennaio 16th, 2023

di Monica Guerzoni

Si lavora a un faccia a faccia. La premier: «Non voglio farmi spaventare dai problemi». L’ex presidente del Consiglio ha lasciato trasparire un’irritazione non del tutto placata

Berlusconi chiede «pari dignità», l’ipotesi di un incontro con Meloni

Il numero lo ha composto Silvio Berlusconi: «Ciao Giorgia, ti chiamo per farti tanti auguri di buon compleanno». Formale e garbato, com’è nel suo stile, l’ex presidente del Consiglio ha rivendicato «pari dignità» per Forza Italia e ha lasciato trasparire un’irritazione non del tutto placata. Prima dei saluti, il leader azzurro ha proposto all’attuale inquilina di Palazzo Chigi di vedersi a quattr’occhi nei prossimi giorni, per arrivare a un chiarimento che spazzi via le tensioni di questi giorni sul decreto benzina. Ma fonti di governo non ritengono imminente l’incontro: «Berlusconi non ha in programma di scendere a Roma, ed è difficile che Meloni voglia andare a Canossa». Cioè ad Arcore.

Il fondatore di Forza Italia non ha apprezzato la decisione di far scattare l’aumento del prezzo dei carburanti e si è dispiaciuto perché Meloni ha scritto il decreto Trasparenza senza consultarsi con lui e con gli altri leader della coalizione. Ma quello che Berlusconi ritiene «il primo vero errore» di Palazzo Chigi è ormai è alle spalle e a tutti conviene ricucire. Purché la premier accetti di condividere l’esame dei dossier «e non provi più a scaricare su Forza Italia le tensioni politiche e sociali». Berlusconi parlerà oggi a Villa Gernetto presentando le liste per le Regionali. Ribadirà il «pieno e leale sostegno al governo, per cinque anni e oltre», ma lancerà un avviso: «Porteremo avanti le nostre battaglie europeiste e garantiste e non ammaineremo le nostre bandiere». Il Cavaliere insomma non rinuncia a essere centrale e non vuole essere additato come colui che infila «i bastoni tra le ruote» del governo. Dopo le dichiarazioni di un ministro di peso come Francesco Lollobrigida, che ha messo in dubbio la sua lealtà nei confronti dell’esecutivo, lo ha ferito il monito della premier, verso l’opposizione «e non solo».

Nel giorno del suo primo compleanno da capo del governo, 46 candeline, e in vista del giro di boa dei cento giorni che cadrà tra due settimane, Giorgia Meloni ha ricevuto tra le tante telefonate anche quella di Matteo Salvini, che garantisce «piena sintonia e massimo impegno per le Regionali». La premier ha affidato ai social una sorta di promessa solenne. Un grazie a chi le ha scritto e un augurio anche a sé stessa, il cui filo rosso è la speranza di non deludere gli elettori: «Mi auguro di non farmi spaventare dalla mole dei problemi, di non farmi ammaliare dalle sirene del potere, di non farmi convincere da un sistema che non condivido».

Tradendo un filo di timore per la grandezza della sfida e anche un po’ di sofferenza per le difficoltà di navigazione del governo, la premier si impegna con gli italiani a non deludere, «costi quel che costi», chi ha creduto in lei. Con un tocco futurista si augura di essere «audace, concreta, veloce e coraggiosa» e promette che ogni sua decisione sarà orientata verso «quello che è giusto per l’Italia», che deve tornare a essere «la grande nazione che merita di essere».

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Quota 41, in pensione tre anni prima (ma rimettendoci fino al 12% dell’assegno)

lunedì, Gennaio 16th, 2023

di Andrea Carbone*

Che cosa cambia per la pensione anticipata

Quasi tre anni e mezzo di anticipo del momento della pensione per i lavoratori nati negli anni Settanta, quasi due anni e mezzo per le coetanee. Tra i casi simulati, questi sarebbero i massimi benefici qualora Quota 41 fosse varata a partire dal 1° gennaio 2024. Nell’ipotesi di riforma considerata, gli attuali requisiti di pensione anticipata (41 anni e 10 mesi per le lavoratrici, un anno in più per i lavoratori) verrebbero sostituiti da un unico requisito di 41 anni di contribuzione, non più adeguato per l’aumento dell’attesa di vita (che ogni biennio adegua l’età del pensionamento, vale a dire l’età per poter andare in pensione, alla speranza di vita calcolata dall’Istat).
(*Andrea Carbone è ideatore di smileconomy)

Chi si avvantaggia da Quota 41?

Ma chi sarebbero le lavoratrici ed i lavoratori beneficiari? I primi coinvolti sarebbero i primi esclusi da Quota 103: i nati e le nate del 1958 che matureranno 41 anni di contributi nel 2024 e che potrebbero anticipare di un anno. A seguire tutte le successive generazioni, con una comune caratteristica: si tratterebbe di coloro che hanno iniziato a lavorare entro i 26 anni circa. Per chi ha iniziato a lavorare più tardi (o prima, ma con buchi contributivi significativi), non cambierebbe nulla: si continuerebbe ad andare in pensione con un requisito di età.

Anche Quota 41, così come le precedenti Quote 100, 102 e 103 offrirebbe una possibilità di pensionamento anticipato prevalentemente a lavoratori con una carriera lunga e stabile.

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Arrestato Matteo Messina Denaro: il boss di Cosa Nostra era latitante da 30 anni

lunedì, Gennaio 16th, 2023

di Redazione Online

L’arresto oggi a Palermo, nella clinica privata Maddalena. Era ricercato da 30 anni e numero uno dei ricercati

Arrestato Matteo Messina Denaro: il boss  di Cosa Nostra era latitante da 30 anni
Epa

È stato arrestato Matteo Messina Denaro. Il boss era latitante da 30 anni e ricercato numero uno. L’uomo si trovava ricoverato nella clinica privata «La Maddalena» di Palermo in «day hospital». L’operazione è stata effettuata dai carabinieri dei Ros : ne ha dato notizia il comandante Pasquale Angelosanto.

Originario di Castelvetrano, 60 anni, aveva negli anni allargato il suo potere ad altri mandamenti mafiosi della Sicilia , specialmente dopo l’arresto di Totò Riina, Bernardo Provenzano e i fratelli Graviano.

Matteo Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo come mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio.

Articolo in aggiornamento…

CORRIERE.IT

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Sanità, medici a gettone: 100 mila turni in un anno. Tutti i rischi per i pazienti

lunedì, Gennaio 16th, 2023

di Milena Gabanelli, Simona Ravizza e Giovanni Viafora

Gli errori commessi in vent’anni di politica sanitaria, sono oggi la causa di un fenomeno che, senza contromisure immediate, rischia di paralizzare il servizio sanitario nazionale: la mancanza di specialisti e la conseguente diffusione, senza regole, dei medici a gettone. Gli ospedali per coprire i buchi di organico appaltano alle cooperative, che i medici invece li hanno perché ingaggiano neolaureati, pensionati, liberi professionisti e chi ha lasciato il servizio sanitario perché stremato e sottopagato. I gettonisti sono pagati per i turni che svolgono: di solito 12 ore la notte, nei fine settimana e nei festivi. Dataroom è in grado di quantificarne per la prima volta le dimensioni nelle principali Regioni del Nord Italia: solo nel 2022 i turni appaltati in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna superano i 100 mila. Vediamo cosa nasconde questo numero e perché è stata superata la soglia d’allarme.

Gli errori commessi in vent’anni di politica sanitaria, sono oggi la causa di un fenomeno che, senza contromisure immediate, rischia di paralizzare il servizio sanitario nazionale: la mancanza di specialisti e la conseguente diffusione, senza regole, dei medici a gettone. Gli ospedali per coprire i buchi di organico appaltano alle cooperative, che i medici invece li hanno perché ingaggiano neolaureati, pensionati, liberi professionisti e chi ha lasciato il servizio sanitario perché stremato e sottopagato. I gettonisti sono pagati per i turni che svolgono: di solito 12 ore la notte, nei fine settimana e nei festivi. Dataroom è in grado di quantificarne per la prima volta le dimensioni nelle principali Regioni del Nord Italia: solo nel 2022 i turni appaltati in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna superano i 100 mila. Vediamo cosa nasconde questo numero e perché è stata superata la soglia d’allarme.

Dal Pronto soccorso alle Terapie Intensive

In Lombardia, secondo i dati forniti dalla Regione, i turni gestiti dalle cooperative sono oltre 45 mila, così ripartiti: 14.682 in Pronto soccorso; 9.960 coinvolgono gli anestesisti da fare entrare in sala operatoria e per le Terapie intensive; 20.515 in altre specialità tra cui Pediatria, Ginecologia-Ostetricia, Cardiologia, Psichiatria, Radiologia e Ortopedia. Il Fatebenefratelli di Milano con il suo Pronto soccorso di centro città ha appaltato 703 turni; il Ps di Lecco con i presidi di Merate e Bellano 4.674; quello di Varese con i presidi di Tradate, Cittiglio, Luino e Angera 1.800 e quello della Valtellina con i presidi di Sondrio, Sondalo, Chiavenna e Morbegno 1.080. In Veneto mancano 124 medici per i Ps, 75 anestesisti, 28 ginecologi e 20 pediatri: la conseguenza si traduce (sempre secondo i dati forniti dalla Regione) in 42.061 turni appaltati di cui 15.490 in accettazione e Pronto soccorso, 9.990 per gli anestesisti delle sale operatorie e per le Terapie intensive, 3.729 in Ostetricia e Ginecologia e 2.604 in Pediatria. In Piemonte i dati del 2022 riguardano solo il Pronto soccorso e sono 14.400. Il calcolo è della Società italiana di Medicina di Emergenza- Urgenza (Simeu), perché i numeri ufficiali della Regione sulle prestazioni esternalizzate al momento sono aggiornati al 2021 ed erano i seguenti: quasi 25 mila turni di cui il 31% in accettazione e Ps, 20% in Ginecologia e un altro 20% in Pediatria, 12% in Anestesia e Rianimazione e, complessivamente, il 17% tra Medicina interna, Ortopedia e Radiodiagnostica. Nella più virtuosa Emilia-Romagna il fenomeno è meno diffuso, ma comunque presente. Secondo i numeri forniti dall’assessore alla Sanità Raffaele Donini, 225 i turni appaltati al Ps di Ferrara negli scorsi mesi, mentre sono tuttora appaltati: 8 notti al mese al punto di Primo presidio di Santa Sofia (Forlì-Cesena); 60 turni mensili che da gennaio 2023 diventeranno 76 al Pronto soccorso di Carpi e Mirandola (Modena); 36 ai punti nascita di Mirandola; e dal 9 dicembre 30 turni mensili più 10 pronte disponibilità all’Ostetricia e Ginecologia di Carpi. Sempre a Carpi e Mirandola a gennaio è partito un nuovo appalto di un anno da 3,2 milioni per Pronto soccorso e Ginecologia.

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Metsola: “Sulle potenze straniere servivano più controlli. Ora taglierò la pensione ai deputati condannati”

venerdì, Gennaio 13th, 2023

dal nostro corrispondente Claudio Tito

BRUXELLES – “Sulle interferenze straniere avremmo dovuto vigilare di più”, non solo per quanto riguarda il Marocco e il Qatar ma anche sulle altre autocrazie come la Russia e la Cina. Il Parlamento europeo “non meritava questo scandalo” e ora serve una risposta in tempi brevi. In discussione c’è anche l’ipotesi di sospendere la pensione per chi viene condannato a oltre due anni di reclusione. “Ridurremmo i tempi” anche per la revoca dei due eurodeputati indagati, Andrea Cozzolino e Marc Tarabella, ma serviranno “due mesi”. La presidente del Parlamento europeo, la maltese Roberta Metsola, prova a reagire dopo la tempesta che ha investito l’unica istituzione elettiva dell’Unione europea. Ieri ha proposto un pacchetto di 14 misure per provare ad arginare i rischi di corruzione e inquinamento dell’attività parlamentare. “Tutti i gruppi mi hanno detto di andare avanti”.

Facciamo però un passo indietro. Che sensazione ha avuto quando sono uscite le notizie sul Qatargate?
“Uno shock. Beh, io ero a Malta. Ero andata a trovare alcuni parenti che non stavano bene. Ho chiesto: quanto è grande questa vicenda? Di chi si tratta? Chi e come hanno fatto tutto questo, ma non conoscevo la persona al centro dell’inchiesta”.

Panzeri?
“Si, mai conosciuto. Volevo dare una risposta immediata perché il Parlamento non si meritava questo scandalo. Ero furiosa. Ho detto: dobbiamo reagire. Abbiamo lavorato tutte le vacanze di Natale per questo”.

Però sembrano misure sulla carta. Quando potranno essere concretamente approvate?
“Alcune regole ci sono già: dichiarazioni sugli incontri, conflitto di interessi, chi ti paga, cosa dichiarare. Possiamo rinforzarle subito e renderle operative. E da subito fermiamo gli accrediti permanenti per gli ex europarlamentari. Su questo ho ricevuto il sostegno unanime dei capigruppo. Ho il permesso di approfondire subito tutti i temi immediatamente. E domani (oggi ndr) ci sarà già riunione tecnica su questi punti. Poi ci sono altre questioni che riguardano il comitato etico o la commissione d’inchiesta e che richiedono tempo. Sono procedure sui cui dobbiamo stare attenti. Toccano le istituzioni”.

Anche le cosiddette porte girevoli per gli ex europarlamentari che svolgono attività di lobbing?
“Ecco, questa sarà la cosa più difficile. Per me è importate introdurre un sistema per cui non si può cominciare subito a fare lobbing. Dovremo negoziare, a partire dalla tempistica. Su quanto deve durare il divieto”.

Perché la più difficile?
“Ci sono opinioni molto differenti. Ad esempio: può essere applicabile ma non obbligatoria perché non siamo come la Commissione Ue che paga per due anni dopo il mandato per non lavorare sulla stessa materia. Non voglio dire che questo Parlamento sia stato vittima della corruzione ma ci siamo aperti per essere trasparenti. Certo la cosa più semplice sarebbe non incontrare nessuno e legiferare senza parlare con gli stakeholders. Ma una volta che le regole non sono state rispettate – e in questo caso siamo dentro una corruzione criminale con milioni di euro in gioco provocata da una interferenza straniera – qualcosa andava fatta”.

Ma lei pensa che questi provvedimenti possano davvero bloccare episodi del genere? Sembrano tutti facilmente aggirabili.
“Adesso forse si. Ma li rafforzeremo”.

Come?
“Con un codice di condotta che se viene violato si può venire da me, in presidenza, con una raccomandazione del comitato che si occupa di questi casi. Voglio insomma assicurarmi che ci siano sanzioni disponibili e rapide. Le sanzioni sono i veri deterrenti. Oggi è così per tutti? Ad esempio per i relatori-ombra? No e allora voglio che non sia più così”.

D’accordo. Ma quali sono le sanzioni?
“Alcune sono già previste nel regolamento. Si può perdere lo stipendio. Un paio di gruppi hanno chiesto di andare oltre e di bloccare anche la pensione. Chi viene condannato a più di più di due anni di reclusione, perde la pensione. È un’ipotesi ma devo vedere se è legalmente possibile. So che il potere può portare il crimine e allora servono dei “firewall”. L’allarme insomma deve suonare prima”.

Lei ha avuto la sensazione che oltre al Qatargate in questi anni ci sia stata la possibilità di condizionare e infiltrare il Parlamento anche da altre forze straniere come la Russia e la Cina?
“La cosa più sorprendente non era che ci fossero dei rappresentanti stranieri invitati a parlare. O che mi abbiano invitato ad assistere ai mondiali di calcio. Ho detto no. Ma chi mai me l’avrebbe detto in quel momento…”.

Una fortuna.
“E mi sono ricordata di aver detto no solo dopo. Ciò che mi ha sorpreso di più non è stato che un paese terzo cercasse di influenzare ma che una Ong, una cosiddetta Ong che si occupa di diritti umani, sia stata utilizzata da un regime autocratico per corrompere”.

Ma ha mai avuto sospetti?
“Sospetti no. Mi sono resa però conto che c’era qualcosa di diverso quando si è svolta quella votazione in quella commissione. Forse si è arrivati al Qatar nelle indagini pensando che i manovratori fossero Russia e Cina. Siamo sempre preoccupati per questo genere di cose, ma il punto è che in questo caso ci sono riusciti”.

Eppure poco più di un anno fa il Parlamento aveva già approvato un rapporto che indicava la Russia e la Cina come Paesi in grado di infiltrare e penetrare l’Ue. Perché non si è subito corso ai ripari?
“Col senno di poi ci si sarebbe potuto chiedere cosa stesse succedendo nella commissione parlamentare sui diritti di cui forse ci si sarebbe potuti fidare di meno. Ma siamo membri eletti e siamo responsabili nei confronti dei nostri elettori. Certo quando abbiamo parlato di interferenze straniere, della Bielorussia o di paesi autocratici, avremmo dovuto controllare, ad esempio quando un deputato cambia posizione. Ecco perché essere più trasparenti ci proteggerà senza però colpire la libertà del mandato parlamentare. Serve responsabilità”.

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