Archive for Gennaio, 2023

La religione della Repubblica

lunedì, Gennaio 9th, 2023

di Ezio Mauro

Mentre si festeggia la bandiera, nel giorno del Tricolore, forse bisognerebbe domandarsi se esiste uno spirito laico della Repubblica, un carattere riconoscibile e riconosciuto, una religione civile che lega le istituzioni, il Paese e i cittadini, un deposito comune di valori capace di dare un senso alla comunità nazionale, insieme con la coscienza della sua vicenda storica. Ho qualche dubbio che sia così. Da dieci anni i populismi di destra e di sinistra prosperano su un culto pagano dell’antistato, arruolando il risentimento e il ribellismo dei cittadini emarginati dalla crisi, invece di emanciparli dalle loro paure e dalle loro solitudini trasformandole in una cultura politica capace di produrre integrazione, innovazione e liberazione, la vera formula del cambiamento. L’antipolitica è la negazione di tutto questo perché si limita a coltivare la sterilità della rabbia, incrementando la separazione tra il cittadino e lo Stato in una crescente estraneità reciproca senza rimedio. È questo sentimento di estraneità repubblicana la vera fonte della controcultura politica dominante: che dileggia la democrazia e invita nei fatti il Creator Spiritus invocato da Croce sull’Assemblea costituente a prendersi oggi un periodo sabbatico, perché nel cortocircuito populista le menti e i cuori contemporanei non hanno più bisogno dei sette doni della sua grazia.

I tre elementi che dovrebbero sorreggere il patrimonio di valori condiviso della Repubblica sono la storia, la democrazia e la Costituzione. Il divenire storico del Paese seleziona errori, vittorie, tragedie, lotte, scoperte, successi in un percorso che nell’ultimo tratto – il Novecento – attraversa le guerre, le ricostruzioni, la dittatura, la Resistenza e la fondazione repubblicana; la democrazia è il primo esito di questa esperienza storica, una liberazione e una riappropriazione nazionale di destino, una scelta di coscienza, di impegno e di garanzia; la carta costituzionale è la traduzione di tutto ciò in principi, diritti, doveri e infine istituzioni, che prendono la forma dettata dalla consapevolezza del processo storico e dalla condivisione della libertà riconquistata nella democrazia. Oggi tutti e tre questi elementi sono in discussione. Oltre alla contestazione populista, infatti, la Repubblica deve fronteggiare l’obiezione nazional-sovranista, che prevede una riscrittura della geografia politica e dunque del quadro di riferimento italiano ed europeo.

Vincendo le elezioni e conquistando Palazzo Chigi Giorgia Meloni porta al traguardo il suo percorso personale e la vicenda collettiva del suo mondo politico di riferimento, ma lascia il Paese dentro una storia sospesa. Non si può compiere il transito dal post-neo-fascismo alla guida di una democrazia come se fosse un salto, senza una pubblica riflessione su ciò che si lascia e ciò che si trova, tra i disvalori e i valori, gli errori, le scelte, il dovere del giudizio. È il grande tema del rendiconto, fondamento della trasparenza e della responsabilità di ogni leader davanti ai cittadini, soprattutto per chi viene da una cultura avversaria della democrazia, estranea al patto che ha scritto la Costituzione, derivata dall’esperienza di Salò, tragica per il Paese. Il rendiconto è un obbligo di verità, ma soprattutto è un debito morale nei confronti di tutta la popolazione, che ha il diritto di conoscere il rapporto tra il suo Presidente del Consiglio, il corso storico degli eventi, il suo significato, e le conseguenze che ne derivano. Questo dovere si può rinviare galleggiando nell’ambiguità di giudizi sfuggenti e parziali, quasi fossero estorti: ma non si può eludere. Nemmeno la vittoria elettorale, neppure il consenso degli elettori conquistato nelle urne cancella il dovere di fare i conti con la storia, e finalmente concluderla.

Rating 3.00 out of 5

Il sondaggio sull’esercito: lo “schiaffo” degli italiani a Conte

lunedì, Gennaio 9th, 2023

Arnaldo Ferrari Nasi

Questo articolo è dedicato ai nostri più di 8.500 militari impiegati all’estero, nelle oltre quaranta missioni internazionali a cui l’Italia partecipa sotto l’egida Onu, Unione europea, Nato e con accordi bilaterali.
Nel novembre 2019, fui invitato a Roma dallo Stato Maggiore dell’Esercito, come relatore al “4° Workshop di Psicologia e Psichiatria Militare”. Aveva per tema e titolo “Stress, Operazioni e Resilienza. Prevenzione e gestione degli eventi potenzialmente traumatici in ambito militare”.
In pratica, cosa succede al militare al rientro dalla missione? Specie in teatri operativi operativi difficili; magari dopo aver subito un ferimento, un’amputazione. In estrema sintesi, la tesi emersa al convegno, disegnava tre ambiti concentrici di relazione e tutela: quella più stretta, dei suoi colleghi di lavoro; quella dei suoi parenti e amici; quella più larga e molto larga, dell’ambiente sociale in cui il militare, come persona, ma soprattutto latore di una professione particolare, vive e si muove.

SENTIMENTO BIPARTISAN

Certamente, nella gestione degli stress post-traumatici, più o meno gravi che siano, le prime due cerchie si danno per scontate e positive. Ma la terza? Fui appunto chiamato a relazionare sui dati di AnalisiPolitica, che segue il tema da anni, dato che, in Italia, non esiste un osservatorio istituzionale, sistematico e continuativo – per lo meno, pubblico – sul tema delle Forze Armate nell’opinione pubblica.
Di seguito, presentiamo i risultati della nuova rilevazione effettuata nelle scorse settimane, su un campione rappresentativo di 1.000 italiani adulti.
Il 69%, ovvero oltre i due terzi, ritiene che per ogni governo sia una priorità avere «Forze Armate efficienti e affidabili». Dall’analisi dei sottogruppi della prima domanda, si delinea un fenomeno che sarà sempre presente in tutto il sondaggio: si riscontra un grado di accordo elevato più alto della media, non solo nell’elettorato del centrodestra, come ci si poteva aspettare, ma anche in significative aree del centrosinistra, in particolar modo, tra chi vota Partito democratico. Nello specifico, 78% Fratelli d’Italia e 78% Pd.

SINISTRA PARADOSSALE

Il 53% ritiene che «un Paese debole a livello militare non sarà mai veramente rispettato a livello internazionale». Si tratta della maggioranza, anche se il dato è meno solido di quello visto in precedenza.
Vista anche la situazione attuale, ovvero che gli interlocutori di Putin sono esclusivamente leader di Paesi militarmente più forti, ci si poteva aspettare un valore più alto. In questo caso pesa forse il niet della sinistra-sinistra (solo il 33% di accordo). Di nuovo, il Pd si eleva al 60%. Viene riconosciuto dal 68% il fatto che «l’industria militare, in Italia, è importante anche per i posti di lavoro che rappresenta». In questo caso, oltre al centrodestra, è da sottolineare, l’elevato grado di accordo dell’80% rilevato tra gli elettori del Terzo Polo. Il 61% è «contento che l’Italia sia presente sul piano internazionale con le proprie Forze Armate»; anche perché «grazie al comportamento delle nostre Forze Armate nelle missioni internazionali, l’Italia assume sempre più l’immagine di un Paese affidabile agli occhi del mondo»; 63% (Pd 74%).

Rating 3.00 out of 5

L’autogol sovranista che condanna l’Italia

lunedì, Gennaio 9th, 2023

Alessandro De Angelis

Secondo una classica formula di rito, fanno sapere da palazzo Chigi che l’incontro sarà utile per favorire il dialogo sui principali dossier. Ma è complicato immaginare che, al di là della foto opportunity ricercata da Giorgia Meloni, anche comprensibilmente, per ragioni di standing, il confronto con la presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen, oggi a Roma, possa in qualche modo produrre elementi di novità sul tema più caldo dell’immigrazione.

Non ne parlano, preferendo, verificata l’impossibilità dei “porti chiusi”, l’ammuina dei “porti itineranti” coi poveri cristi delle Ong dirottati verso Ancona solo per prendere tempo. Ma se ci fosse stato un governo di un altro colore, gli impresari della paura oggi al potere avrebbero suonato, per fatturare voti, la grancassa dell’“emergenza” su numeri che riportano l’orologio a prima del 2015. Superata la soglia psicologica dei 100 mila arrivi nel 2022, gli ultimi dieci giorni sono impressionanti: 657 il 30 dicembre (zero l’anno prima, stessa data), 674 il 31 (437 l’anno prima), 500 il 2 gennaio (45 l’anno prima), 1192 il 3 (35 l’anno prima) e così via.

È “il problema”, del governo, rivelato proprio dall’idea di spedirli ai sindaci di sinistra. Difficile farli accogliere da chi, per anni, è cresciuto alla scuola del «rispediamoli a casa loro». Prima vera contraddizione in seno alla destra. Del resto la memoria va proprio a quella rivolta dei sindaci che bloccavano i pullman in piena emergenza durante il governo Gentiloni, prima che (con il ministro dell’Interno Minniti) venisse messa in campo una strategia complessiva di governo del fenomeno, in Europa e in Italia. Ed è proprio quel che manca oggi: visione, relazioni, autorevolezza.

Bel paradosso quello di una destra che, sull’economia, dove l’Europa ha una linea si è consegnata al vincolo esterno e alle regole comuni, al punto da non confermare neanche il taglio delle accise sulla benzina voluto da Mario Draghi, mentre sui migranti, dove l’Europa una linea non ce l’ha, non sa che fare. Poiché non può esistere per definizione l’internazionale sovranista, e dunque i Paesi di Visegrad, già piuttosto impegnati con i profughi ucraini (ancora per molto) non sono interessati a farsi carico del problema italiano e lo stesso vale per la Svezia guidata dalla destra estrema, e poiché anche i Paesi non sovranisti (vedi Macron) hanno il problema delle opinioni pubbliche nazionali, insistere sulla redistribuzione rischia di essere esercizio puramente retorico.

Rating 3.00 out of 5

Tutte le bordate del principe Harry: ecco le rivelazioni del libro bomba

lunedì, Gennaio 9th, 2023

Francesca Rossi

Sono molte le rivelazioni contenute nel memoir di Harry e trapelate sui giornali attraverso delle copie lette in anteprima da alcuni giornalisti inglesi e una presunta, misteriosa vendita in anticipo, per errore, dell’edizione spagnola del libro. Il duca racconta proprio tutto, perfino dettagli sulla sua vita intima e non risparmia dolorose accuse a William e a re Carlo.“William mi gettò per terra”. Il racconto choc del principe Harry

La presunta aggressione fisica del fratello

Dalle indiscrezioni trapelate attraverso i media, nella sua autobiografia il principe Harry prenderebbe di mira in particolare il principe William, con aneddoti che ne screditano la reputazione. Nel 2019, al Nottingham Cottage, il futuro erede al trono avrebbe definito Meghan “maleducata”, “irritante” e “difficile”. Harry avrebbe difeso la Markle, accusando il fratello di “ripetere a pappagallo la narrativa della stampa”. William si sarebbe giustificato dicendo di voler essere d’aiuto, ma Harry avrebbe ribattuto: “Sei serio? Aiutarmi? Lo chiami così? Aiutarmi?”.

Il duca di Sussex, vedendo William nervoso, sarebbe andato in cucina a prendergli un bicchiere d’acqua, ma l’altro “posò

[il bicchiere]

d’acqua…venne verso di me. Accadde tutto così velocemente…[William] mi agguantò per il bavero, strappandomi la catenina e…mi buttò a terra. Andai a finire sulla ciotola del cane, che si ruppe sotto la mia schiena, i pezzi mi tagliarono. Rimasi lì per un momento, stordito, poi mi rimisi in piedi e gli dissi di uscire”. Il principe William si sarebbe scusato per il suo comportamento e avrebbe aggiunto: “Non c’è bisogno che tu lo dica a Meghan” e “Non ti ho attaccato”. La duchessa, però, si sarebbe accorta dei “lividi e graffi” sul corpo del marito.

William “Brillo” al matrimonio

Harry racconta che il giorno del matrimonio di William e Kate, nel 2011, il fratello si sarebbe presentato all’altare “brillo”. Il duca di Sussex sarebbe stato costretto ad “abbassare i finestrini dell’auto…e ad offrire [a William] una mentina per aiutarlo a nascondere l’odore del rum che questi avrebbe bevuto la sera prima”, riporta il magazine Hello.

“Sembrava che William non avesse chiuso occhio, ha spiegato Harry…nonostante i tentativi di William di rassicurare il fratello che stava bene, Harry non era convinto”. Pare anche che il principe di Galles non volesse il fratello minore come testimone di nozze e nemmeno, racconta Harry, che “facessi un discorso da testimone”. Sarebbero stati gli amici dello sposo, James Meade e Thomas Van Straubenzee, a pronunciarlo.“Puzzava di alcol, era ubriaco”. Harry spara sul matrimonio di William

La divisa nazista

Chi non ricorda il principe Harry, durante la festa a tema “Coloni e Nativi” del 2005, con indosso una divisa nazista? Gesto che gli valse critiche da tutto il mondo. In “Spare. Il Minore”, però, il duca scarica la colpa di quella trovata assolutamente infelice e indecorosa sul fratello e sulla cognata, dichiarando: “Ho chiamato William e Kate e ho chiesto loro cosa pensassero. Mi hanno detto l’uniforme nazista”. Subito dopo aver dato questo suggerimento i futuri principi di Galles sarebbero scoppiati a ridere.

Il difficile rapporto con re Carlo III

“William e io promettemmo a nostro padre che avremmo accolto Camilla nella famiglia. La sola cosa che gli chiedemmo in cambio fu di non sposarla. Lo pregammo – non hai bisogno di sposarti una seconda volta”, confessa il duca nell’autobiografia. Lui e il principe di Galles avrebbero tentato di fare una sorta di accordo con Carlo, forse temendo che le nuove nozze con Camilla oscurassero il ricordo di Diana. Non ci fu nulla da fare.

Il principe Harry, poi, accusa suo padre di averlo provocato più volte, in modo meschino, chiedendogli: “Sai chi è il tuo vero padre?”. Una domanda brutale, riferita alle dicerie, mai del tutto messe a tacere, secondo le quali Harry sarebbe figlio del maggiore James Hewitt, con cui Diana ebbe una liaison.

Non solo: quando nacque il duca di Sussex Carlo avrebbe detto alla moglie: “Meraviglioso. Ora che mi hai dato un erede e un rimpiazzo il mio lavoro è finito”. Sempre il sovrano, tentando di placare la rabbia dei figli, sfociata in un litigio dopo il funerale del principe Filippo, avrebbe detto: “Per favore ragazzi, non rendete infelici i miei ultimi anni”.Il ghost-writer dietro le verità di Harry: ecco chi ha scritto il libro

“Alterare l’ordine costituito”: Harry e l’uso di droghe

Harry rivela di aver fatto uso di cocaina quando aveva solo 17 anni: “Ero…disposto a provare quasi tutto ciò che avrebbe alterato l’ordine costituito. Almeno è ciò di cui volevo convincermi…In quel periodo prendevo cocaina. A casa di qualcuno, durante un fine settimana di caccia, mi è stata offerta una striscia e da allora ne ho consumata ancora un po’…Non è stato divertente e non mi ha fatto sentire particolarmente felice come pareva accadere ad altri. Ma mi ha fatto sentire diverso e quello era il mio obiettivo principale”.

Rating 3.00 out of 5

Su migranti e Pnrr faccia a faccia tra Meloni e Von der Leyen

lunedì, Gennaio 9th, 2023

Massimiliano Scafi

Su migranti e Pnrr faccia a faccia tra Meloni e Von der Leyen

Aggiungi un posto a tavola, c’è Ursula a pranzo e, spiegano da Palazzo Chigi, non si tratta solo di una visita di cortesia. «Si parlerà di temi politici – fa sapere da Bruxelles la portavoce Dana Spinant – La discussione sarà incentrata su argomenti d’interesse per l’Italia e la Ue». Il menu è infatti piuttosto robusto: migranti, sostegno alle imprese, rimodulazione del Pnrr, Ucraina, energia, lotta al Covid, riforme dell’Unione. Piatto forte il controllo dei flussi, in vista del Consiglio europeo straordinario del 9 e 10 febbraio.

È il secondo incontro ufficiale ravvicinato tra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen. Dopo il primo a Bruxelles un mese fa per il debutto della nuova premier italiana, ora si sfrutta l’arrivo della presidente della Commissione, a Roma per la presentazione di un libro che raccoglie i discorsi di David Sassoli, per un nuovo faccia a faccia. Approvata la Finanziaria, trovato un accordo sul tetto del prezzo del gas, adesso il dossier più urgente riguarda le migrazioni. La stretta italiana sulle Ong non ha incontrato entusiasmi nell’Unione e ha provocato diversi scontri con Parigi. Giorgia «illustrerà la ratio del provvedimento» del ministro Piantedosi, preso nel quadro della tutela delle frontiere di tutta l’Unione. «Dobbiamo contrastare i trafficanti di esseri umani, va accolto solo chi ha affettivamente diritto alla protezione internazionale». Nei giorni scorsi la Ue ha insistito sul rispetto della legge del mare e sull’obbligo di salvare vite umane: vedremo se nel colloquio a Palazzo Chigi le posizioni si avvicineranno

E poi c’è la modifica del sistema delle redistribuzioni, con l’adozione di criteri più solidali, che rischia di slittare a chissà quando: Stoccolma, presidente di turno dell’Unione, non appare difatti molto impegnata a spingere per un’intesa, come ha sottolineato sul Financial Times l’ambasciatore svedese a Bruxelles Lars Danielsson. Prima del 2024, ecco il succo, «per problemi di calendario» sarà difficile giungere a un nuovo patto, anche se «intensificheremo gli sforzi».

«Non è nostro interesse accettare un compromesso al ribasso – la risposta di Raffaelle Fitto, ministro per gli Affari europei – A differenza del passato, vogliamo difendere gli interessi nazionali senza alcun arretramento. Noi chiediamo di concentrarsi sulla difesa dei confini esterni della Ue e sulle cause degli arrivi in massa. Bisogna progredire sui negoziati e ben venga la determinazione della Svezia». Ma tutto sommato il governo si fa andar bene la seconda parte dell’intervista, dove si parla di impegni. L’altra buona notizia è che Parigi, tra una lite e l’altra con Roma, ha appoggiato in sostanza le richieste italiane ottenendo che il tema sia all’ordine del giorno del Consiglio straordinario.

E con Ursula si parlerà anche del Pnrr. L’Italia vuole più tempo per la messa a terra dei progetti e anche un ritocco delle condizioni del Piano di rinascita alla luce degli aumenti dei costi dovuti alla guerra e al rincaro di energia e materiali. Non solo. La Meloni intende rivedere pure la governance, ridisegnando competenze e deleghe dei singoli ministeri e affidando il controllo generale dell’attuazione non più all’Economia di Giorgetti ma alla cabina di regia guidata dal fido Fitto. In più l’esecutivo vorrebbe mettere le mani sulle cosiddette strutture intermedie «non per spoils system bensì per rendere più veloce e efficiente la macchina». Si ragiona inoltra su una diversa distribuzione di una parte dei fondi, dirottando quelli non spesi verso altri cantieri: un volume di una decina di miliardi. Passaggi delicati, che vanno concordati con Bruxelles.

Rating 3.00 out of 5

Cina e i porti bloccati dal Covid: ecco quali sono gli effetti sull’economia mondiale

lunedì, Gennaio 9th, 2023

GIACOMO GALEAZZI

ROMA. Nel mondo globalizzato la Cina ha assunto il ruolo di fabbrica del pianeta, perciò il boom di contagi Covid rischia di bloccare l’economia anche in Occidente. Container bloccati nel porti e fabbriche senza rifornimenti. Ecco come il boom di contagi in Cina frena l’economia mondiale. Molte le spedizioni di container cancellate a Shanghai e Shenzhen. «Il numero elevato di malati sta creando problemi alla produzione. Dopo il Capodanno cinese attesi volumi bassi, -40% dagli Usa- analizza il Sole 24 Ore-. La Cina è a un passo dalla tempesta perfetta. La rimozione delle misure anti Covid 19 ha innescato contagi a catena. La cifra ufficiale dei 5.267 morti dall’inizio dell’epidemìa non rispecchia la realtà, tanto più che entro il 31 marzo il Governo ha annunciato di voler sostenere finanziariamente il 60% delle cure. La miccia è già esplosa con le migrazioni del Capodanno cinese che, a partire da sabato, durerà 40 lunghi giorni: per la prima volta in tre anni non ci saranno restrizioni agli spostamenti, con il rischio che i focolai si allarghino alle aree più remote del Paese».

Nuova strategia
Dopo tre anni, la Cina continentale ha aperto i passaggi marittimi e terrestri con Hong Kong e ha posto fine all’obbligo di quarantena per i viaggiatori in arrivo, smantellando l’ultimo pilastro della politica dell’azero-COVID che aveva protetto gli 1,4 miliardi di cinesi dal virus ma li aveva anche isolati dal resto del mondo. L’allentamento, nell’ultimo mese, di uno dei regimi COVID più rigidi al mondo ha fatto seguito a proteste storiche contro una politica che prevedeva frequenti test, limitazioni agli spostamenti e chiusure di massa che hanno danneggiato pesantemente la seconda economia del Paese. Lunghe code si sono formate agli sportelli dell’aeroporto internazionale di Hong Kong per i voli verso le città della Cina continentale, tra cui Pechino, Tianjin e Xiamen. Secondo le stime dei media di Hong Kong, le code sono state migliaia. “Sono così felice, così contento, così emozionato. Non vedo i miei genitori da molti anni”, ha detto Teresa Chow, residente a Hong Kong, mentre insieme ad altre decine di viaggiatori si preparava ad attraversare la Cina continentale dal checkpoint di Lok Ma Chau. “I miei genitori non godono di buona salute e non sono potuta tornare a trovarli nemmeno quando avevano il cancro al colon, quindi sono davvero felice di tornare a trovarli ora”, ha detto. Gli investitori sperano che la riapertura possa rinvigorire un’economia da 17 trilioni di dollari che sta subendo la crescita più lenta in quasi mezzo secolo. Ma la brusca inversione di politica ha scatenato un’ondata di infezioni che sta sommergendo alcuni ospedali e causando interruzioni di attività.

Apertura
L’apertura delle frontiere segue l’inizio di sabato del “chun yun”, il periodo di 40 giorni di viaggi per il Capodanno lunare, che prima della pandemia rappresentava la più grande migrazione annuale del mondo, in quanto le persone tornavano nelle loro città d’origine o trascorrevano le vacanze con la famiglia. Per questa stagione si prevedono circa 2 miliardi di viaggi, quasi il doppio del movimento dell’anno scorso, con un recupero del 70% rispetto ai livelli del 2019, secondo il governo. Si prevede inoltre che molti cinesi cominceranno a viaggiare all’estero, insieme all’atteso spostamento verso località turistiche in Paesi come la Thailandia e l’Indonesia. Ma diversi governi, preoccupati dall’impennata del COVID cinese, stanno imponendo dei limiti ai viaggiatori provenienti dal Paese. Secondo gli analisti, i viaggi non torneranno rapidamente ai livelli pre-pandemia a causa di fattori quali la scarsità di voli internazionali. Domenica la Cina ha ripreso a rilasciare passaporti e visti di viaggio per i residenti della Cina continentale, e visti ordinari e permessi di soggiorno per gli stranieri. Pechino ha fissato delle quote sul numero di persone che possono viaggiare ogni giorno tra Hong Kong e la Cina.

Frontiere
Le frontiere sono state riaperte  ma la popolazione resta a rischio varianti da Covid 19: appena il 57,9% degli adulti ha un booster, sotto gli ottant’anni solo il 42,3% è vaccinato. «Le merci nei porti non arrivano o rimangono bloccate perché le fabbriche decimate dal virus rallentano la produzione e gli ordini restano inevasi. Si delinea così una situazione peggiore di quella della primavera scorsa, con inevitabili ripercussioni a livello di commercio globale e sulle scorte che sta creando un’inversione di tendenza sul traffico dei container e sui costi dei noli- evidenzia il Sole 24 Ore-. Le quotazioni sono in picchiata e un surplus di vettori-fantasma vaga per tutta l’Asia. A nulla valgono le rassicurazioni degli organi di stampa locali sul fatto che i porti nel 2022 sono rimasti competitivi nonostante la pandemia. Il calo della domanda dall’estero era la prima sfida del nuovo anno, ora l’industria dovrà far fronte ai problemi creati dal Coronavirus, tra cui il numero di container vuoti e la pressione per le cancellazioni delle prenotazioni di merci in aumento a Shanghai e Shenzhen». Le fabbriche non possono funzionare correttamente a causa dei molti lavoratori che hanno contratto il Covid. Dopo il Capodanno lunare si prevedono volumi di traffico bassi con prenotazioni nel migliore dei casi posticipate nella seconda metà di gennaio se non all’inizio di febbraio. Il calo di ordini dagli Stati Uniti è già del 40 per cento. Con metà o tre quarti della forza lavoro infetta e non in grado di lavorare è difficile garantire risultati ottimali, spiega ai clienti preoccupati la società di spedizioni HLS di Hong Kong. Il ritiro, il carico e il trasporto di container finiscono nel tritacarne delle aziende che stanno affrontando l’impatto della nuova ondata di Covid 19.

Rating 3.00 out of 5

Maurizio Landini: “Contratti per tutti e salari detassati, così si può battere la super inflazione”

lunedì, Gennaio 9th, 2023

Marco Zatterin

«Non patti, ma soluzioni», attacca subito Maurizio Landini, palesemente desideroso di spazzar via la nebbia delle parole che ha avvolto il cantiere della lotta alla super inflazione e la sfida alla recessione. «Chiediamo almeno cinque punti di taglio cuneo contributivo a cui aggiungere il recupero del fiscal drag», spiega il segretario della Cgil. Per noi, argomenta, «questo equivale a recuperare almeno una mensilità media all’anno, che può essere ampliata con un rinnovo dei contratti nazionali che non si fermi all’inflazione Ipca, ovvero l’indice dei prezzi al consumo armonizzato». Non c’è tempo da perdere, avverte, la povertà sta erodendo anche il ceto medio e le tensioni sociali crescono. «Bisogna fare in fretta – dice – milioni di lavoratori attendono».

Segretario, i prezzi sono alle stelle, l’economia è in rosso. La destra discute di presidenzialismo, rave e migranti, mentre la manovra parla poco di lavoro. Tutto bene?
«No, per nulla. Si conferma il giudizio negativo sulla legge di bilancio. Il governo ha perso l’occasione per cominciare ad affrontare seriamente il tema del lavoro».

Cosa sarebbe stato giusto fare?
«Un intervento forte che alleggerisse il carico fiscale sul lavoro dipendente e sulle pensioni, e allo stesso tempo introducesse un sistema automatico di recupero del drenaggio fiscale, il fiscal drag. Era, ed è, opportuna una riduzione di cinque punti del cuneo per i dipendenti. Bisogna rendere stabili i troppi precari, dalla Sanità alla scuola e ai servizi, e creare nuova occupazione con assunzioni a tempo indeterminato. Poi si deve pensare al rinnovo dei contratti nazionali di lavoro, anche nella prospettiva di una legge sulla rappresentanza che dia pieno valore agli accordi nazionali e chiudere alla logica del massimo ribasso in appalti, subappalti e finte cooperative. Queste sono le urgenze. Ma la legge di Bilancio va in una direzione diversa».

Quale?
«Aumenta le diseguaglianze, anche cancellando il reddito di cittadinanza. La Flat tax per i redditi oltre i 65 mila euro è un esempio di politica errata e divisiva. Non è questa la strada buona».

Agire sul drenaggio fiscale, sull’inflazione che gonfia il gettito e riduce gli stipendi. Come?
«La restituzione del fiscal drag va resa possibile indicizzando la detrazione all’inflazione. Serve perché gli aumenti siano reali. Va programmata nell’ambito di una riforma fiscale complessiva e progressiva che tagli anche il cuneo ai dipendenti, e porti a rinnovi contrattuali che aumentino il valore reale dei salari».

Si può fare subito?
«Certamente. Ancor meglio se si allarga la base imponibile e si avvia una lotta senza quartiere all’evasione fiscale, altro che tregue fiscali che mascherano condoni. I dati dimostrano che i contributi e le entrate fiscali sono aumentati. Vuol dire che la tassazione sale senza che le retribuzioni nette seguano. È una contraddizione che va corretta».

Cosa manca al governo?
«Un’idea di sviluppo per un futuro nuovo del Paese. Quelli del governo non sono solo strumenti di distrazione di massa rispetto ai problemi reali. Dietro alle deboli strategie si celano anche idee sbagliate».

Un esempio?
«Quando si insiste sull’autonomia differenziata che spacca il Paese. O quando si lascia fare al mercato – penso alle politiche energetiche. Si crede in un modello di sviluppo costruito sulla logica delle piccole patrie e non su riforme di sistema e politiche di sviluppo industriali che affrontino l’esigenza di far crescere il Paese. E non si introduce un piano di occupazione per i giovani. A partire dal pubblico, quello che sta succedendo in sanità non è più accettabile».

Rating 3.00 out of 5

Anche in Brasile i populisti eversivi minano i fondamenti della democrazia

lunedì, Gennaio 9th, 2023

di Federico Rampini

L’assalto al Parlamento dei seguaci dello sconfitto Bolsonaro imita l’assalto dei trumpiani del 6 gennaio 2021. Considerare il rivale come il male assoluto serve a sdoganare la violenza

Anche in Brasile i populisti eversivi minano i fondamenti della democrazia

Secondo Karl Marx la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa. Lo hanno confermato in Brasile i seguaci dello sconfitto Bolsonaro, che hanno inscenato due anni dopo la loro versione del 6 gennaio 2021. Imitando l’assalto dei trumpiani al Congresso degli Stati Uniti, un pezzo della destra populista brasiliana ha invaso la sede del Parlamento. Il comune denominatore è l’atteggiamento eversivo di chi non accetta il responso delle urne: il 30 ottobre il socialista Lula vinse senza ombra di dubbio, ancorché di stretta misura.

Questi comportamenti criminali puntano a distruggere un fondamento della democrazia, che è il riconoscimento della legittimità dell’avversario. La liberaldemocrazia funziona finché gli sconfitti accettano di farsi da parte, sapendo che grazie alla libera competizione elettorale la prossima volta potranno tornare a governare. Se invece il partito rivale viene considerato come il male assoluto, allora il fine giustifica i mezzi e perfino la violenza diventa accettabile. Non è solo un vizio della destra quello di demonizzare l’avversario; però in questa congiuntura storica da Trump a Bolsonaro è quella parte politica che sdogana l’assalto più plateale alle istituzioni.

La sindrome dell’imitazione è tanto più pericolosa in quanto il Brasile non ha una liberaldemocrazia antica come la Repubblica statunitense, la quale è sopravvissuta a tante crisi dalla sua fondazione nel 1787. La transizione dalla dittatura militare a Brasilia avvenne ben più di recente, tra il 1985 e il 1988. I bolsonaristi, che dal 30 ottobre covano il sogno di una rivincita illegale affidata alla piazza, hanno sperato di trascinare dalla loro parte le forze armate. Mentre scriviamo non c’è segnale che i militari vogliano giocare al golpe. Il governo Lula ha avuto l’astuzia di affidare proprio a loro la difesa del Parlamento. Peraltro un Congresso vuoto: a differenza del 6 gennaio 2021 a Washington, quando senatori e deputati dovevano ratificare l’elezione di Biden, quello di Brasilia non era in sessione al momento dell’assalto e Lula era già presidente da una settimana. Senza un rovesciamento nell’atteggiamento dei militari, la messinscena bolsonarista non sembra destinata ad avere conseguenze sugli assetti di potere. Un altro attore importante è la Corte costituzionale, che ha poteri notevoli (perfino eccessivi, secondo osservatori indipendenti) ed è in mano alla sinistra.

Va aggiunto che Lula, alla sua terza presidenza, è diverso da quello che governò il Brasile nei primi due mandati, prima dell’arresto e della condanna per corruzione (poi annullata per un vizio di forma). La sua agenda socialista è annacquata per forza: alle elezioni ha vinto, ma non ha conquistato una maggioranza parlamentare. Lula deve cucire una coalizione eterogenea con elementi centristi e perfino qualche bolsonarista. Al di là dei proclami che gli attirano simpatie internazionali — come la difesa ambientalista dell’Amazzonia — avrà un programma di governo abbastanza moderato. Sventolare di fronte all’opinione pubblica brasiliana lo spauracchio di un socialismo in salsa venezuelana o cubana non sembra realistico.

Rating 3.00 out of 5

Brasile, le ultime news in diretta | Bolsonaro: «Invasioni illegali», rimosso governatore di Brasilia

lunedì, Gennaio 9th, 2023

di Sara Gandolfi e redazione Online

Le ultime notizie dal Brasile, dopo l’attacco al Parlamento da parte dei sostenitori dell’ex presidente Bolsonaro

Brasile, le ultime news in diretta | Bolsonaro: «Invasioni illegali», rimosso governatore di Brasilia
LaPresse

• Domenica pomeriggio migliaia di sostenitori dell’ex presidente di estrema destra brasiliano Jair Bolsonaro hanno assaltato i tre principali palazzi della politica a Brasilia, la capitale del Brasile – Parlamento, Presidenza e Corte Suprema – per protestare contro il risultato delle elezioni dello scorso autunno, perse da Bolsonaro contro Inácio Lula da Silva.
• La polizia ha arrestato almeno 400 persone e dopo qualche ora è stato ripreso il controllo degli edifici.
• L’occupazione appare ispirata dall’assalto al Campidoglio statunitense a opera dei manifestanti pro-Trump, nel gennaio di due anni fa.

Ore 08:25 – Palazzi del potere sotto controllo,danni a opere d’arte

Questa mattina le autorità brasiliane hanno iniziato a valutare i danni ingenti al Palazzo presidenziale, al Congresso e alla Corte Suprema di Brasilia dopo l’assalto di ieri dei sostenitori dell’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro. Dopo diverse ore di caos, la polizia ha ripreso il controllo degli edifici invasi da centinaia di manifestanti anti-Lula e ha arrestato centinaia di persone, secondo il ministro della Giustizia e della Sicurezza Flavio Dino. L’area era stata isolata dalle autorità. Ma i bolsonaristi, molti dei quali vestiti con le maglie gialle della squadra di calcio brasiliana Selecao, un simbolo di cui i bolsonaristi si sono appropriati, sono riusciti a sfondare i cordoni di sicurezza. Hanno causato danni considerevoli. Sono stati danneggiati dipinti di valore inestimabile, tra cui «I Mulatti», del pittore modernista Di Cavalcanti, esposto nel Palazzo Presidenziale, che presenta diversi buchi, secondo le foto che circolano sui social network.

Ore 08:02 – Meloni: «Urgente un ritorno alla normalità»

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha commentato l’assalto su Twitter: «Quanto accade in Brasile non può lasciarci indifferenti. Le immagini dell’irruzione nelle sedi istituzionali sono inaccettabili e incompatibili con qualsiasi forma di dissenso democratico. È urgente un ritorno alla normalità ed esprimiamo solidarietà alle Istituzioni brasiliane».

Rating 3.00 out of 5

Caro benzina, al via i controlli per contrastare la speculazione

lunedì, Gennaio 9th, 2023

di Andrea Ducci

Il rincaro dei carburanti è un tema destinato a planare sulla scrivania della premier Giorgia Meloni. Il rialzo dei prezzi di benzina e gasolio dovuto allo stop del taglio delle accise, oltre ad allarmare i consumatori, ha spinto il governo a monitorare quanto avviene alle stazioni di servizio per evitare fenomeni speculativi. A presidiare sulle tariffe del settore sono sia la Guardia di Finanza, sia il Garante per la sorveglianza dei prezzi (più noto come Mister Prezzi), che già nei prossimi giorni potrebbero fornire all’esecutivo un primo resoconto sulle verifiche effettuate. A innescare il brusco aumento dei prezzi è il ripristino delle imposte sui carburanti, dall’inizio del mese di gennaio gli automobilisti hanno visto lievitare di colpo il prezzo di diesel e benzina di 18,3 centesimi al litro, ossia l’equivalente dello sconto sulle accise, accordato per decreto all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina, e prorogato fino allo scorso 31 dicembre. Un ritorno alla «normalità» che si è tradotto in prezzi alla pompa che oscillano, spesso superandola, quota 2 euro al litro, ricordando così agli automobilisti che la fiscalità italiana sui carburanti è tra le più alte in Europa.

Le procure si attivano

La raffica di aumenti due giorni fa ha spinto il Codacons a presentare denunce presso 104 procure italiane, mentre la Procura di Roma già sta indagando sui rincari, compresi quelli dei carburanti, nell’ambito di un fascicolo aperto per individuare eventuali speculazioni. In nome dei consumatori il Codacons oggi dovrebbe, inoltre, presentare un esposto all’Antitrust per ipotesi di «cartello» tra le compagnie petrolifere e, poi, predisporre il boicottaggio dei punti vendita più cari. A fare le spese del caro benzina, oltre ai consumatori, è il governo Meloni, che in termini di consenso «paga» la reintroduzione delle accise, precedentemente tagliate dall’esecutivo di Mario Draghi. Un quadro che spiega le parole del ministro delle Infrastrutture e vice premier, Matteo Salvini. «Sulle accise parleremo con il presidente del Consiglio. Sicuramente c’è della speculazione in corso sui prezzi della benzina ed è bene che la Finanza faccia dei controlli — osserva Salvini —,non ci possono essere distributori che vendono la benzina a 1,7 euro e altri a 2,4. Evidentemente c’è qualcuno che fa il furbo. Porterò il ragionamento a livello di governo». Contro i furbi si è già mosso prima di Natale il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che prevedendo le fibrillazioni sul fronte dei prezzi dei carburanti, dovute al ripristino delle accise, ha incaricato la Guardia di Finanza di presidiare il mercato per scongiurare dinamiche speculative. Il titolare dell’Economia informalmente ha anche esercitato una «moral suasion» nei confronti dei principali operatori del settore (i leader nella distribuzione sono Eni e Ip, che poche settimane fa ha annunciato un accordo per rilevare le attività di Esso), invitandoli a fare la propria parte e a evitare ritocchi ingiustificati dei prezzi.

Le scelte del governo
Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.