La nebbia avvolge Piazza San Pietro, la grande cupola è avvolta
da un velo. Dalla tristezza. Un apparente stato di smarrimento, il
simbolo della Casa della Chiesa nel Mondo non si vede. I fedeli, in
religioso silenzio, entrano piano piano e prendono posto. Con loro anche
i politici. I nostri, quelli italiani. Arrivano alla spicciolata. Facce
cupe, rispettose. Seduti sul sacrato della Piazza, alla sinistra
dell’altare. A pochi passi dal feretro che fa il suo ingresso accolto da
un lungo applauso.
Per i funerali di Benedetto XVI ci sono quasi tutti. Uno dei primi ad arrivare il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.
Al suo fianco Pier Ferdinando Casini. Nessun colore politico per oggi. È
lì, insieme ai membri del governo. Parla. Poco dopo arriva Guido Crosetto,
ministro della Difesa insieme a Giancarlo Giorgetti, ministro
dell’Economia. A seguire Carlo Nordio, titolare della Giustizia. È
avvolto da una lunga sciarpa azzurra. Sembra di assistere ad un
Consiglio dei ministri, ma composto. Taciturno. La musica sacra risuona e
fa eco alle preghiere. Al santo Rosario. Con loro le campane che
scandiscono il tempo prima della celebrazione della messa.
Dietro i ministri alcuni sottosegretari e parlamentari. C’è Lucio Malan, di fratelli d’Italia e Giulio Tremonti, Maria Tripodi di Forza Italia. Il parcheggio del Vaticano antistante la Piazza è pieno di auto blu. Prima dell’arrivo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio, arriva Mario Draghi. La sua fede è nota, come il suo passato giovanile. È impassibile, come sempre. Saluta qualche ministro e prende posto, in sesta fila. Vicino al sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Unico assente il Presidente del Senato Ignazio Larussa costretto a rinunciare per una lieve influenza.
ROMA. Non ci sarà una riforma sull’immigrazione prima del
2024. Una dura lezione di sovranismo viene impartita ai sovranisti al
governo in Italia. «Faremo sicuramente avanzare il lavoro con tutta la
forza» ma «non ci sarà un patto migratorio completato durante la
presidenza svedese», ha spiegato Lars Danielsson, rappresentante svedese
presso la Ue in un’intervista rilasciata al Financial Times nel giorno
di inizio del semestre europeo guidato da Stoccolma, a proposito di un
accordo a livello europeo sulla ripartizione dei migranti. Danielsson ha
aggiunto che un accordo non sarà raggiunto prima della primavera del
2024.
La presa di posizione del governo svedese di destra da poco formato
lascia, quindi, l’Italia e gli altri Paesi del Mediterraneo a gestire da
soli i flussi provenienti dal Nord Africa. E ha costretto il governo a
mostrarsi pienamente in grado di gestire il colpo e che non ci si trova
di fronte a una rottura ma rientra in un clima di collaborazione anche
se Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, a metà dicembre al
Consiglio Europeo aveva chiesto una risposta europea a un tema centrale
per Italia ma un problema europeo e che come tale va affrontato.
La prima risposta arrivata dall’Ue, quindi, è che tutto continuerà
secondo il sistema attuale almeno ancora per un anno. Dal Viminale fanno
sapere che l’annuncio non è una sorpresa, perché nessuno si aspettava
che una riforma di questo tipo possa avvenire in tempi rapidi.
Il compito di esprimere la scelta del governo di evitare polemiche
viene affidato al ministro per gli Affari europei, la Coesione e il Pnrr
Raffaele Fitto. L’ex europarlamentare conosce bene gli ingranaggi
dell’Ue e nello scontro con la Francia sui migranti dell’autunno scorso,
pur ribadendo le posizioni del governo Meloni, si è adoperato per non
esasperare la tensione. Quella della Svezia – spiega – «non è una
posizione contro uno Stato membro specifico, il dossier della riforma
strutturale dell’asilo è molto complesso».
Quello che più crea difficoltà è lo scontro tra politico tra
sovranisti, uno schiaffo ricevuto da un partito alleato. Il governo di
Stoccolma è presieduto dal moderato Ulf Kristersson e si regge anche
sull’appoggio esterno del partito sovranista Svedesi Democratici, il
secondo più ampio nel Parlamento svedese, e una formazione che, in
Europa, siede nel gruppo dei Conservatori e Riformisti, lo stesso di
Fdi. E’ stato facile, quindi, per diversi esponenti dell’opposizione in
Italia, sottolineare il paradosso . Come ha avvertito la deputata di
Azione-Iv Daniela Ruffino, si è trattata di «una lezione di sovranismo
ai sovranisti» perché – ha sottolineato – questo è «il succo
dell’europeismo in salsa sovranista: ognuno per sé e Dio per tutti. La
Svezia, al pari dell’Italia, ha un governo di destra. Chi pensa di
costruire la solidarietà europea con certe forze politiche prima o poi
dovrà rendersi conto che è impossibile. Gli amici svedesi di Meloni e
Salvini lasciano l’Italia con il cerino in mano».«A fare i sovranisti
trovi sempre qualcuno più sovranista, che difende solo gli interessi del
proprio Paese», ha commentato anche l’ex ministro per gli Affari Ue. il
deputato Pd Enzo Amendola. Critiche che il governo respinge. Secondo
Raffaele Per Fitto, le parole di Danielsson «non possono in alcun modo
essere strumentalizzate politicamente a livello nazionale». Il
rappresentante svedese presso la Ue ha anche ridimensionato la possibile
influenza dei Democratici Svedesi sulle scelte di Stoccolma nel
semestre di presidenza. «Probabilmente – ha detto . ci sono argomenti
tabù per loro ma io ricevo istruzioni dal governo». E nel loro governo
non ci sono ministri sovranisti.
Prima la Germania, poi la Spagna, infine la Francia e ora
potrebbe toccare all’Italia. Il picco dell’inflazione – stando ai dati
di dicembre – sembra essere stato raggiunto. Ma analisti ed economisti
restano cauti, perché la Banca centrale europea ha indicato più volte
nelle ultime settimane che ulteriori rialzi dei tassi d’interesse sono
già in cantiere.
Se è vero che, secondo il consensus dei mercati finanziari, la
lettura di oggi dovrebbe segnalare il secondo calo consecutivo
dell’indice dei prezzi nell’eurozona e in Italia, è altrettanto vero che
la persistenza dell’inflazione potrebbe essere elevata per buona parte
del 2023. Nonostante il quadro in chiaroscuro, gli investitori hanno
continuato il rally d’inizio anno, sia sull’azionario sia sui titoli di
Stato, con il rendimento dei Btp a dieci anni a quota 4,29%, meno 19
punti base rispetto al giorno precedente.
In una settimana avara di spunti per cavalcare, ci ha pensato Parigi a
fornire un motivo per proseguire con gli acquisti in Borsa. E
potrebbero arrivare anche sorprese dall’inflazione per l’area euro,
attesa al 10%, con un calo di un decimale rispetto al mese precedente, e
per l’Italia, che dovrebbe attestarsi all’11,6%, con una flessione
dello 0,2% rispetto a un mese prima.
A sorpresa, dopo Germania e Spagna, anche la Francia ha registrato un
rallentamento delle fiammate dei prezzi. Secondo l’istituto nazionale
di statistica l’indice dei prezzi al consumo è salito a dicembre, anno
su anno, del 5,9% contro il +6,2% di novembre. Le attese del mercato
erano per un +6,4 per cento. A causare il rallentamento, spiega l’Insee,
è stato il calo dei prezzi dell’energia e «in misura minore, dei
servizi».
Fattore positivo, visto che il combinato disposto di un inverno più
mite del previsto, del price cap a livello Ue, e del calo dei consumi su
base europea stanno producendo un’apparente sicurezza energetica tale
da spingere al ribasso il prezzo del metano, che ha chiuso a 64 euro per
MWh, ai minimi dal 2021 e del greggio, con sia il Wti statunitense sia
il Brent europeo in decisa contrazione sui listini. Inoltre, i buoni
dati degli indici Pmi, raccolti da S&P Global, indicano che la
recessione sarà meno severa del previsto nell’area euro, anche se le
incognite geopolitiche sono svariate e impediscono di fare calcoli di
lungo periodo in modo puntuale e preciso, come rimarcato dalla banca
americana Wells Fargo.
Tanto è bastato per alimentare l’idea che la Bce decida di rallentare
il processo di normalizzazione della politica monetaria. Piazza Affari
ha guadagnato l’1,74%, ma a indossare la maglia rosa continentale è però
stato il Cac 40 di Parigi, che ha guadagnato il 2,3%, seguito dal Dax
30 di Francoforte con +2,16 per cento. «È molto complicato che
Francoforte decida di fare una retromarcia così significativa», spiegano
dalla banca transalpina Société Générale.
Dopo Giovanni Legnini, Nicola Magrini. Il governo Meloni applica lo
spoils system: lunedì ha rimosso il commissario per la ricostruzione
delle aree colpite dal terremoto, sostituito con Guido Castelli. Ieri è
toccato al direttore generale dell’Aifa, in carica dal marzo 2020, in
piena pandemia. Insorge il Pd, che non gradisce la rimozione di Magrini:
«Una scelta di discontinuità grave e sbagliata – dice Enrico Letta – un
segnale pericoloso e preoccupante». E non è finita qui. Nel mirino
dell’esecutivo di centrodestra ci sono ora altri ruoli apicali, a
partire da Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro. Sono in
bilico Biagio Mazzotta, ragioniere generale dello Stato, ed Ernesto
Maria Ruffini, numero uno dell’Agenzia delle entrate, che però nelle
ultime ore vede salire le possibilità di restare al suo posto.
Il 24 gennaio scadono i 90 giorni dello spoils system, che assegna
al vincitore delle elezioni il diritto di nominare funzionari di propria
fiducia a capo degli uffici dell’amministrazione pubblica. Si tratta
solo dell’antipasto, il menu prevede – dalla primavera in poi – il
rinnovo dei cda di molte società pubbliche.
Ieri il direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco ha
ricevuto una lettera dal ministro della Salute Orazio Schillaci: mandato
concluso, Magrini proseguirà nel suo attuale incarico per la gestione
ordinaria fino al 23 gennaio. Per sostituirlo il ministero punterebbe a
una soluzione “interna” all’Aifa, come il presidente Giorgio Palù.
Circola anche il nome di Patrizia Popoli, presidente della commissione
tecnico-scientifica di Aifa e direttrice del Centro nazionale ricerca e
valutazione dei farmaci dell’Iss. Non è escluso l’arrivo di un super
tecnico, un docente universitario specializzato in Farmacologia.
Intanto, non si placano le polemiche per la rimozione di Legnini, il
centrodestra però tiene il punto: «Il Pd ha la faccia di bronzo»,
sostiene il capogruppo di FdI a Montecitorio Tommaso Foti, mentre
Giorgio Mulè, vice presidente della Camera in quota Forza Italia,
attacca: «Il governo ha il dovere di scegliere persone capaci nei ruoli
più diversi. Lo avesse fatto anche la sinistra non avremmo da
avvicendare personalità scelte molto spesso solo con il criterio
dell’appartenenza politica e non in base al merito».
Tra gli incarichi in ballo, quello del direttore generale del Tesoro
è un ruolo fondamentale. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti
finora ha difeso Alessandro Rivera, ma le spinte che arrivano da
Fratelli d’Italia e da Palazzo Chigi per cambiarlo sono fortissime. Non
solo la premier Giorgia Meloni gli imputa di aver gestito male la
vicenda del Monte dei Paschi di Siena – «pessima» è l’aggettivo usato
dalla presidente del Consiglio alla conferenza stampa di fine anno – ma
Rivera è stato accusato dalla maggioranza pure per i ritardi sulla
manovra. In prima fila per la successione c’è Antonino Turicchi, ora
alla presidenza di Ita. Un altro funzionario apicale che rischia di
pagare per le polemiche sulla legge di bilancio è Biagio Mazzotta, il
ragioniere generale dello Stato. Quando la manovra tornò in commissione
per correggere i 44 errori segnalati dalla Ragioneria, Foti di Fratelli
d’Italia intervenne in aula attaccando i vertici del Mef: «Prenderemo
provvedimenti».
Gli operai preparano la tomba dove verrà seppellito il papa emerito Benedetto XVI dopo i funerali. Ratzinger sarà sepolto al posto di Giovanni Paolo II nelle Grotte Vaticane, una cripta situata sotto la basilica e contenente più di 90 tombe di papi. Il corpo del suo predecessore è stato trasferito nella parte principale della basilica in occasione della sua beatificazione nel 2011. Giovanni Paolo II è stato fatto santo nel 2014.
«Demenziale e pericolosa». Con queste parole il leader di Azione! Carlo Calenda ha bollato l’intervista a Repubblica nella quale Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha messo in dubbio l’efficacia delle misure adottate dalla Bce per contrastare la spirale dell’inflazione. E cioè la corsa continua ad alzare i tassi d’interesse e il taglio del programma di acquisto dei titoli di Stato dei Paesi con lo spread più alto. Alle critiche di Calenda si sono rapidamente allineati il Pd con Ricci, Italia viva con Marattin, Più Europa con Della Vedova. Una levata di scudi che ha provocato un’ulteriore presa di posizione di Crosetto: «Criticano senza aver letto la mia intervista. E comunque sarebbe interessante che i grandi esperti che perdono tempo a commentare le mie interviste, aprissero anche in Italia una riflessione su ciò di cui Blanchard e Krugman stanno dibattendo da tempo, in merito agli strumenti per affrontare l’inflazione». Già, perché l’intervista incriminata è arrivata all’indomani di una analisi degli economisti del Financial Times, secondo i quali Roma sarebbe la più esposta – a causa del debito pubblico – nel caso in cui Francoforte continuasse nella corsa forsennata ad alzare i tassi. Opinioni che, per ammissione comune, più che un alert al governo italiano rappresentano una tirata d’orecchie proprio alla Lagarde, che ha deciso di affrontare un’inflazione anomala (dovuta al rialzo dei prezzi dell’energia e non a un eccesso di domanda) con strumenti tradizionali.
La brutale aggressione, avvenuta la sera del 31 dicembre alla Stazione Termini ai danni di una giovane turista israeliana da parte di uno sbandato ha avuto l’effetto di una doccia fredda sulle istituzioni, locali e nazionali, sullo stato di degrado sociale in cui versa l’intero quartiere della Stazione Termini, ovvero l’Esquilino. Tra i primi effetti quello del rafforzamento dei controlli intorno allo scalo nella fascia oraria ritenuta più critica, quella che va dalle 20 alle 24. Una disposizione che si affianca alle quotidiane operazioni interforze già disposte dall’ex prefetto Matteo Piantedosi per arginare la micro criminalità della zona. Ma non basta. Ne è convinto anche il neo successore del ministro a Palazzo Valentini, Bruno Frattasi, che già nelle scorse settimane aveva posto la questione al tavolo con il Campidoglio. Una questione che non ha nulla a che vedere con un presunto “sgombero” dei senza tetto, piuttosto di una diversa, e migliore, organizzazione dei servizi di accoglienza che oggi sono concentrati in un unico, ristretto quadrante. Basti pensare che alla mensa serale della Caritas di via Marsala si aggiungono ad appena un chilometro quella pomeridiana in via Paolina, a 1,4 chilometri le docce e la colazione servita a San Martino ai Monti e a circa 2 chilometri scarsi la mensa diurna di via delle Sette Sale, adiacente a uno degli ingressi del parco di Colle Oppio e a poche centinaia di metri da San Pietro in Vincoli. Non sorprende dunque che, tutto intorno, sia un enorme bivacco a cielo aperto, da viale Pretoriano – dove addirittura è stata montata una tendopoli – fino al Colosseo, dove decine di senza fissa dimora si intrattengono tra un pasto e l’altro. La proposta ribadita ieri dal prefetto Frattasi è chiara ed è quella di esaminare «la possibilità di incrementare la ricettività, nelle ore serali e notturne, delle persone senza fissa dimora, utilizzando strutture ubicate anche in zone diverse della città. Tale inziativa – conclude il prefetto in una nota – potrà garantire condizioni migliori delle zone adiacenti alla Stazione Termini sia sotto il profilo del degrado urbano che della sicurezza personale». Una proposta caldeggiata da Fratelli d’Italia che da anni denuncia il crescente degrado che dall’Esquilino si sta allargando anche al rione Monti e al quartiere universitario, quest’ultimo già interessato dalle baroccopoli della Stazione Tiburtina. «Il sindaco di Roma non può risolvere il problema dei senza fissa dimora scaricando sui residenti dell’Esquilino tutto il peso sociale di questo dramma – ha commentato il vicepresidente della Camera dei deputati Fabio Rampelli (FdI) – sono certo che il ministro Piantedosi, da me sensibilizzato nel corso di diversi incontri su questo problema quando era prefetto di Roma, saprà incrementare il controllo per aumentare la sicurezza, garantire il decoro e la dignità. Il nuovo prefetto Bruno Frattasi a sua volta proseguirà l’intenso lavoro del suo predecessore inducendo il sindaco Gualtieri a retrocedere dalla sua intenzione. I senza fissa dimora, aumentati a dismisura in questi anni, devono essere sistemati in sedi adeguate purché dislocate in tutto il Comune in piccoli insediamenti, liberando l’Esquilino, rione umbertino a vocazione turistica, cerniera tra il centro storico e la stazione ferroviaria, da un destino improprio, quello di diventare un hub dell’accoglienza». E in effetti dal Campidoglio non arrivano segnali rassicuranti.
Un’istituzione
creata per emettere debito europeo comune col quale assistere Paesi
dell’Unione che si trovino in difficoltà. Le modifiche proposte sono già
state approvate da 18 Stati su 19 membri: manca solo l’Italia
Il
Parlamento deve decidere se approvare le modifiche al trattato che
dieci anni fa istituì il Meccanismo europeo di stabilità, il cosiddetto
«Fondo salva Stati», un’istituzione creata per emettere debito europeo
comune col quale assistere Paesi dell’Unione che si trovino in
difficoltà. Le modifiche proposte sono già state approvate da 18 Stati
su 19 membri: manca solo l’Italia.
Finora il fondo è stato utilizzato raramente e solo ai suoi inizi, per aiutare Spagna, Grecia e Portogallo.
Da allora i governi sono sempre stati riluttanti a farvi ricorso. Non
solo perché per accedere a questo finanziamento un Paese deve accettare
«condizionalità», cioè un controllo esterno sui propri conti pubblici,
ma soprattutto perché chiedere aiuto al Fondo significa ammettere che
quel Paese non riesce più a finanziarsi sul mercato: un segnale di
debolezza che potrebbe scatenare la speculazione.
Il nuovo trattato fa un piccolo passo
avanti consentendo di usare le risorse del Fondo per arginare una crisi
bancaria: è un passo verso l’unione bancaria europea, ma non risolutivo.
Un fondo come questo, con risorse ampie ma non illimitate, non può
arginare una crisi bancaria. Per fermarla è necessario che lo Stato, o
un suo fondo, siano disposti a impiegare risorse illimitate (whatever it takes).
Se le risorse sono limitate sarà la speculazione ad avere la meglio. In
conclusione, questa riforma del Fondo è un piccolo avanzamento nella
giusta direzione, ma è probabile che i governi continueranno a non
usarlo.
Nella conferenza stampa di fine anno Giorgia
Meloni non si è detta contraria alla ratifica — che peraltro spetta al
Parlamento, non al Governo —, ma dubbiosa sulla sua utilità. «Piuttosto
che ratificare una riforma che in ogni caso, temo, manterrà quelle
risorse bloccate, vorrei lavorare su qualcosa di diverso, che possa
essere vagamente utilizzabile dai Paesi che ne fanno parte. Quindi con
condizionalità diverse e minori. E magari anche con obiettivi un po’ più
centrati rispetto alle attuali priorità».
Ha certamente ragione, ma chiedere
minore condizionalità è una strada pericolosa che ci porterebbe ad uno
scontro con i Paesi del rigore, dal quale usciremmo perdenti. Anziché arrivare per ultimi e approvare le modifiche del trattato dicendo che però non servono a nulla, il governo italiano potrebbe intraprendere un’altra strada.
Nel momento in cui il Parlamento ratifica il trattato, dovrebbe
mettersi al centro della discussione europea facendo una proposta che
risolverebbe un problema oggi centrale nell’unione monetaria.
Non è un’idea nuova: fu
scritta un anno fa in un documento italo-francese (scritto da Charles
Weymuller, consigliere economico dell’Eliseo, Veronica Guerrieri, Guido
Lorenzoni, Leonardo D’amico ed io) e illustrato da Draghi e Macron in un articolo sulFinancial Timesdel 24 dicembre 2022.
Monsignor Ganswein, che ha rivelato
il dolore di Benedetto per le decisioni di Francesco sulla messa in
latino, era già finito al centro dello scontro tra i tradizionalisti e i
bergogliani. Oggi la storia rischia di ripetersi: e l’ala più distante
dal Papa, priva del «freno» rappresentato da Ratzinger, sembra pronta a
esplicitare le sue critiche
L’inizio della fase due del papato di Francesco è stata marcata dal secondo inquilino del Monastero dove viveva Benedetto XVI: il prefetto della Casa pontificia, monsignor Georg Gänswein.
In un’intervista al giornale tedesco Die Tagespost, l’uomo più vicino da sempre a Joseph Ratzinger parla di «punto di svolta» nei rapporti con Jorge Mario Bergoglio nel 2021: l’anno in cui da Casa Santa Marta, residenza di Francesco, arrivò la decisione di scoraggiare la celebrazione della Messa in latino.
Papa Benedetto lo lesse «con il dolore del cuore», ha raccontato Gaenswein, che è stato con lui fino all’ultimo; e che in questi giorni ha vegliato la salma esposta nella basilica di San Pietro, commosso e con l’aria provata, accompagnando i visitatori illustri.
La sua può essere stata la rivelazione di un episodio che aveva colpito particolarmente Ratzinger; e che non nasconde nessuna intenzione di creare polemiche sui rapporti tra i cosiddetti «due papi».
Ma Die Tagespost è lo stesso giornale, considerato vicino all’Opus Dei e pubblicato a Wurzburg, che il 5 febbraio del 2020 rivelò la rimozione di «don Georg» dal suo incarico.
Scrisse che il papa gli aveva ordinato di non sedere più alla sua destra nelle udienze pubbliche; di non andare nemmeno in ufficio e di assistere soltanto Benedetto al Monastero. Era stato l’epilogo di un sordo conflitto tra i tradizionalisti cattolici che cercavano di strattonare il papa emerito perché criticasse di più Francesco, e la cerchia della «corte parallela» di Casa Santa Marta.
Gänswein, stretto sempre più nella gabbia di una doppia fedeltà, alla fine era diventato il capro espiatorio dello scontro.
Pretesto scelto per metterlo da parte: il pasticcio editoriale di un libro del cardinale conservatore Robert Sarah, che sembrava avesse scritto insieme con Ratzinger. Benedetto, invece, aveva soltanto autorizzato la pubblicazione di un suo breve saggio sul «no» al sacerdozio degli uomini sposati. Ma l’operazione editoriale, condotta maldestramente, aveva aumentato la tensione già latente tra i cerchi magici dei «due papi»: fino al cortocircuito che aveva portato a sacrificare «don Georg».
La cosa singolare è che la sua scomparsa accanto a Bergoglio dal 15 gennaio del 2020 non è mai stata mai annunciata dal Vaticano. Per tre anni nessun comunicato ufficiale. Nessuna motivazione, tranne quella un po’ goffa secondo la quale non c’era stata «nessuna sospensione»: solo «un’ordinaria redistribuzione dei vari impegni e funzioni» del Prefetto della casa pontificia, spiegò imbarazzato il portavoce vaticano Matteo Bruni.
Ma quella scomparsa dalla scena pubblica, sostituito dal suo vice monsignor Leonardo Sapienza, è stato il primo indizio di una continuità interrotta, e di un’armonia incrinata.
E ora che Benedetto è morto, ci si chiede se stia per cominciare una stagione di confronto più aspro tra i vari settori della Chiesa; di critiche aperte nei confronti di alcune scelte del pontefice argentino; e di resa dei conti finale con «don Georg», magari usando anche la sua ultima intervista al quotidiano tedesco.
Alle 9.30, i funerali di Ratzinger, «solenni ma sobri»: ultime notizie. Sono attesi oltre 100mila fedeli
• Alle 9.30 iniziano i funerali di Benedetto XVI. • In Vaticano sono attesi oltre 100mila fedeli, al rito presenzieranno 3.700 sacerdoti. • Rispetto al protocollo tradizionale, ci saranno alcune variazioni: per esempio non è prevista la processione dal Palazzo Apostolico né un conclave. • Per Papa Francesco inizia ora la «fase due» del Pontificato.
Ore 08:31 – Tra poco comincia il trasporto del feretro, rosario alle 8:45
(di Fabrizio Roncone)
Dal portone della basilica ha fatto capolino il cardinale decano
Giovanni Battista Re, che celebrerà la messa funebre (Papa Francesco
terrà solo l’omelia e i riti di commiato finali): sul sagrato, ai lati
dell’altare, nei posti riservati, affluiscono le delegazioni straniere,
autorità politiche (Pier Ferdinando Casini accolto come un cardinale
emerito), gli ultimi rappresentanti della nobiltà papalina romana. Con
Battista Re, concelebreranno altri 120 cardinali, 400 vescovi, 3700
sacerdoti. Due chierichetti portano l’ultimo enorme candelabro. Non ci
sono fiori. Dagli altoparlanti, i canti sacri del coro della Sistina.
Tra pochi minuti comincerà il trasporto del feretro del Papa emerito,
che giungerà così sul sagrato. Alle 8:45, è previsto l’inizio del
rosario che precede la cerimonia funebre.
Ore 08:29 – Alemanno: «Sono venuto a salutare un Santo»
«Sono venuto a salutare
un Papa che sentivo amico quando lo incontravo da Sindaco e che oggi
percepisco già come un Santo». Sono le parole di Gianni Alemanno, ex
sindaco di Roma e portavoce del comitato «Fermare la Guerra», all’Agi
mentre entra in una piazza San Pietro già piena di fedeli per i
funerali.
Ore 08:21 – Nebbia a Roma, in Vaticano dall’alba. «È stato il Papa della mia infanzia»
(di Ester Palma)
Il giorno dei solenni funerali di Benedetto XVI Roma si sveglia sotto
una fitta nebbia. Ma il popolo di papa Ratzinger è lì, molti da prima
dell’alba: «È stato il Papa della mia infanzia, mia nonna me lo faceva
vedere sempre in tv. Ora lei non c’è più e io sono qui anche per lei»,
racconta Martina Chiari, 22 anni, partita da Firenze apposta con due
amiche.
(Ap)
Ore 08:09 – La Russa ha l’influenza, per il Senato ci sarà Gasparri
A causa di un «leggero
stato influenzale» il Presidente del Senato Ignazio La Russa «non
parteciperà ai funerali di Papa Benedetto XVI. Il Senato sarà
rappresentato dal vicepresidente Maurizio Gasparri». Lo comunica la
presidenza del Senato.
Ore 07:47 – Piazza San Pietro inizia a riempirsi di fedeli
(di Fabrizio Roncone)
Il colpo d’occhio su piazza San Pietro, che inizia a riempirsi sotto un
cielo basso, nebbioso, nelle luci giallognole dei lampioni: folla di
fedeli, suore che recitano il rosario, colf straniere, preti, turisti in
vacanza che si sono ritrovati dentro un evento mondiale, boy-scout,
crocerossine in divisa. Transenne, metal-detector, spaventoso
spiegamento di polizia e carabinieri, i cecchini già appostati sul
colonnato del Bernini. E poi: ecco i cardinali che sfilano diretti
all’interno della Basilica insieme a donne vestite di nero, con cappelli
neri come le veline. Guardie svizzere in alta uniforme. L’altare,
laggiù, sul sagrato dove, alle 9, giungerà il feretro del Papa emerito
Benedetto XVI.
(Ap)
Ore 07:50 – Un pezzo di Baviera a San Pietro: la banda con strumenti e vessilli
(di Paolo Conti)
Ore 7, via delle Fornaci (che collega a san Pietro l’area di villa
Pamphilj e del quartiere Gianicolense) diventa un pezzo di Baviera. Tre
pullman fanno sbarcare un gruppo compatto di componenti di una banda
musicale con vessilli bianco/celesti (il vessillo della Baviera), i
caratteristici cappelli piumati, le giubbe di pelle per gli uomini e le
gonne ampie e fiorate per le donne. Si mettono in fila e ricevono ordini
secchi, di sapore militare. I romani che abitano lì si affacciano
incuriositi, a Roma si vede di tutto ma questo è uno spettacolo
insolito. Poi un grido e la banda parte con gli ottoni in prima fila.
Però anche loro devono superare i controlli di sicurezza. Tromboni e
pifferi inclusi.
(Ap)
Ore 07:47 – Il libro di padre Georg sulla vita di Ratzinger: il racconto dell’ultimo giorno del pontificato
(di padre Georg Gänswein) L’ultimo giorno del pontificato l’ho vissuto quasi in apnea. Al mattino, nella sala Clementina, ci fu l’incontro di Benedetto
con i cardinali presenti a Roma. Era stato un suo vivo desiderio poter
dare loro un saluto di congedo collettivo e la scelta di prorogare al 28
febbraio la permanenza sulla Cattedra di Pietro aveva tenuto conto
anche della necessità di consentire ai più lontani il tempo per
sistemare le cose in diocesi prima di raggiungere Roma. «Per me è stata
una gioia camminare con voi in questi anni, nella luce della presenza
del Signore risorto. La vostra vicinanza e il vostro consiglio mi sono
stati di grande aiuto nel mio ministero», furono le grate parole
pronunciate da Papa Ratzinger. […]