Archive for Gennaio, 2023

“Basta associare papà solo alla lotta alla mafia. Sconfisse anche le Br”

martedì, Gennaio 3rd, 2023

Paolo Guzzanti

Non c’è nulla di peggio degli anniversari per banalizzare la memoria. Per fortuna esiste il caso opposto: quello del recupero della memoria, un filmato che non è una fiction, ma piuttosto un docufilm, interpretato per di più da attori come Sergio Castellitto e tanti altri, bravissimi nel riprodurre non una somiglianza ma una memoria. È accaduto. (La serie Il nostro generale andrà in onda su RaiUno dal prossimo 9 gennaio).

Quaranta anni fa il generarle Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie Manuela Setti Carraro furono barbaramente assassinati a Palermo da Cosa Nostra. Da allora il Generale è salito sul palco degli eroi della guerra alla mafia. Ma Dalla Chiesa è stato prima di tutto il comandante in capo, unico e vittorioso, del Gruppo antiterrorismo dei carabinieri che accettarono di abbandonare la vita civile rinunciando a mogli e fidanzate per combattere e vincere la guerra dello Stato contro le sedicenti «Brigate rosse per il comunismo».

La figlia Rita oggi dice: «In questi anni io e la mia famiglia abbiamo spesso assistito, increduli e sgomenti a interpretazioni romantiche dei brigatisti, ritratti come ingenui idealisti oppure, nel peggiore dei casi, come vittime di un sistema politico che li manipolava». Ed è stato esattamente così: chi c’era e ricorda, sa che i brigatisti formavano una banda armata di carnefici, in parte certamente eteroguidati dal sistema sovietico (ho personalmente raccolto le dichiarazioni del Procuratore capo di Budapest nel 2006), uccidevano sparando alle spalle dei cittadini inermi, in nome di una narcisistica ideologia sanguinaria.

«È così ricorda Rita dalla Chiesa – venivano coccolati da un certo tipo di sinistra che li accoglieva nei salotti, li nascondeva nelle seconde case e arricciava il naso di fronte ai Gruppi Antiterrorismo di mio padre. Noi l’abbiamo proprio vissuta sulla nostra pelle questa ingiustizia perché, dopo mio padre, ho perso mia mamma, morta d’infarto a cinquantadue anni senza avere neanche avuto funerali decenti, dal momento che ci tenevano in caserma per proteggerci e non si poteva uscire».

Che cosa ricorda di quella mesta cerimonia di addio in un garage di una caserma?

«Ricordo carabinieri che aprivano le corone e distruggevano i fiori per assicurarsi che non ci fosse nascosto un ordigno. Non abbiamo avuto il tempo di piangere nemmeno mio padre ucciso dalla mafia. C’è gente secondo cui noi, i figli del generale, tutto sommato non ce la siamo cavata malissimo, tant’è che abbiamo raggiunto comunque posizioni. È una offensiva sciocchezza: quando uccisero papà io ero già una giornalista professionista, mio fratello Nando era professore universitario e nostra sorella consigliere comunale».

Lei ha dichiarato ieri che la memoria di suo padre è ostaggio dell’ambiguità politica. A che cosa si riferisce?

«Mi riferisco al fatto che non riuscendo a fare i conti con il proprio passato c’è una politica che ricorda quello che le fa comodo».

Insomma secondo lei i partiti di sinistra fingono di non ricordare la guerra vinta da suo padre contro i terroristi di sinistra e lo usano soltanto come icona antimafia?

«Non credo che sia un caso che la figura di mio padre sia più associata alla lotta alla mafia che non alla sua vittoria sui brigatisti rossi. Se fosse vero vorrebbe dire che un martire della criminalità organizzata è meno divisivo di colui che ha sconfitto le Brigate Rosse».

Ma qual è stato secondo lei il motivo reale, la causa immediata dell’uccisione di suo padre?

«L’arrivo del ministro Rino Formica a Palermo, quando annunciò una restaurazione della trasparenza. E questa affermazione ha esposto mio padre, già odiato da quando era tornato in Sicilia perché aveva sovvertito l’ordine naturale mafioso, fondato sulla trasversalità degli amici degli amici, i favori degli amici degli amici cui ti rivolgi per cose anche minime come una patente».

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Perché Cina e Russia rafforzeranno la loro partnership

martedì, Gennaio 3rd, 2023

Federico Giuliani

“Ti aspettiamo, caro presidente, caro amico, per la prossima primavera in visita di Stato a Mosca”. I termini utilizzati da Vladimir Putin per invitare in Russia Xi Jinping non sono casuali. Nell’ultimo colloquio virtuale andato in scena tra i due presidenti è emersa da ambo le parti la chiara volontà di rinsaldare l’asse sino-russo.

Per il Cremlino la conversazione è stata “molto costruttiva e rilevante”, mentre la Cina ha accolto “con favore” la posizione della Russia “che non respinge una soluzione pacifica per la crisi ucraina”. Totale, almeno a parole, l’unione d’intenti che avvicina ulteriormente Pechino e Mosca. Resta tuttavia da sciogliere un nodo fondamentale: chi sta attirando chi.

Se è vero, infatti, che Putin e Xi intendono costruire un “ordine globale giusto“, ovvero un’architettura internazionale che non sia più a trazione statunitense, allo stesso tempo la bilancia pende ancora in favore del Dragone. La Federazione Russa, alle prese con il price cap sul gas, con il blocco delle esportazioni del suo petrolio verso l’Occidente e con un’infinita lista di sanzioni, senza poi contare il pantano militare in Ucraina che sta snervando la leadership politica russa, ha bisogno di nuove e più solide garanzie.

La Cina continua ad essere l’unico grande salvagente capace di salvare il Cremlino dall’annegamento ma, allo stesso tempo, nel sostenere Putin, il Dragone non ha alcuna intenzione di superare pericolose linee rosse che potrebbero scatenare l’ira di Washington. E allora cosa dobbiamo aspettarci dalla partnership sino-russa? Come si evolveranno i rapporti tra le parti? Per fare chiarezza vale la pena analizzare la questione settore per settore.

Economia e commercio

Economia e commercio: si tratta del terreno prediletto della Cina. Xi ha parlato di una partnership globale con Mosca, di fronte a una situazione internazionale “turbolenta”, che vada a beneficio dei due popoli e della stabilità internazionale. L’economia sarà il volano che dovrà rafforzare l’amicizia “senza limiti” dei due Paesi. “Nel prossimo anno continueranno intensi scambi bilaterali, non ho dubbi, e troveremo l’opportunità di incontrarci di persona”, ha detto Putin al suo omologo cinese, rivolgendogli l’invito a una visita che “dimostrerà a tutto il mondo i forti legami russo-cinesi” e che diventerà “il principale evento politico dell’anno nelle relazioni bilaterali”.

Il capo del Cremlino ha inoltre affermato che il fatturato commerciale russo-cinese raggiungerà i 200 miliardi di dollari “prima del previsto”. “Nonostante l’ambiente esterno sfavorevole, le restrizioni illegittime e il ricatto diretto da parte di alcuni paesi occidentali, Russia e Cina sono riuscite a garantire tassi di crescita record del fatturato commerciale reciproco”, ha tuonato Putin.

Pochi giorni prima dello scoppio della guerra in Ucraina, lo stesso Putin aveva annunciato l’intenzione di incrementare il commercio bilaterale con la Cina a 250 miliardi di dollari entro il 2024. Ebbene, il traguardo potrebbe essere anticipato di almeno un anno, a conferma, stando alle parole del presidente russo, che Mosca non è affatto isolata.

Siamo di fronte a mera propaganda oppure le mosse economiche occidentali hanno colpito al cuore della Russia? Più il blocco occidentale stringerà la presa attorno a Putin e più quest’ultimo si getterà nelle braccia cinesi. Tertium non datur.

La partnership politica tra Russia e Cina

Dal punto di vista politico, al netto di qualche recente incertezza espressa da Xi di fronte alle minacce nucleari russe, l’amicizia tra i due leader sembrerebbe essere salda. Il presidente cinese si era recato a Mosca nel marzo 2013, nella sua prima visita all’estero da presidente della Repubblica Popolare Cinese. Da quel momento in poi ci sono stati circa quaranta incontri Xi-Putin.

In ogni caso, la Russia ha bisogno della Cina più che mai, ma, dall’altro lato, la Cina, di fronte a una crisi Covid, non è nella posizione di rischiare sanzioni. Toccherà al Dragone, dunque, dosare gli interventi e le entrate a sostegno dello Zar.

Il New York Times ha fatto presente che, con l’Europa che si affretta a liberarsi dai combustibili fossili russi, la Cina è diventata un cliente fondamentale per Putin. Tre volte questo mese il gigante energetico russo Gazprom ha annunciato di aver battuto il record di consegne di gas in un giorno alla Cina.

Nonostante discrepanze geopolitiche evidenti, la sensazione è che finché Cina e Russia considereranno gli Stati Uniti come minaccia comune condivisa, allora la convergenza dei loro interessi supererà la divergenza. Come ha scritto The Atlantic, se negli anni ’60, l’Orso e il Dragone hanno sprecato la loro possibilità di sconfiggere l’Occidente, quando sono diventate acerrime rivali durante la Guerra Fredda, oggi Xi e Putin stanno cercando di correggere quel fatidico errore.

Diplomazia e arte della guerra

“La Cina accoglie con favore la posizione della Russia che non respinge una soluzione pacifica per la crisi ucraina“, ha spiegato Xi Jinping a Putin. La situazione è però molto complessa. Xi, che ha più volte detto al presidente statunitense Joe Biden di essere “preoccupato” per la crisi ucraina, si è lavato le mani da ogni responsabilità e dallo svolgere un eventuale ruolo più attivo nel raggiungimento di un accordo tra le parti.

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Il popolo di Benedetto XVI: tre ore in fila per l’addio al Papa emerito

martedì, Gennaio 3rd, 2023

Elena Stancanelli

Un gruppo di ragazzi e ragazze di Reggio Emilia si interroga su come piazzare il selfie su Instagram. Sono venuti a Roma in vacanza, hanno girato tutta la città da tre giorni, sono allegri, giovani. Ci siamo consultati per capire se valeva la pena fare la fila, ci hanno detto che per arrivare fino davanti al feretro del Papa ci vogliono due o tre ore. Abbiamo deciso che è troppo. Peccato, dice un ragazza, sarebbe stato bello: è un avvenimento storico, una cosa da ricordare. Quella volta che eravamo a Roma ed è morto il Papa e tizio stava ancora con tizia, e tizia non aveva ancora due gemelli… quelle cose che quando sei vecchio ti fa piacere averle fatte. Esserci o non esserci.

A piazza San Pietro stanno montando le postazioni per le televisioni, sistemano le ultime eleganti transenne di legno verde. I preparativi per il funerale si svolgono con discrezione, mentre i fedeli scorrono. Il cerimoniale sarà diverso da quello che una tradizione millenaria prevede per un tradizionale Papa? Cosa prevede l’etichetta quando a morire è il Papa emerito, l’altro Papa? Ci sarà la stessa copertura internazionale della stampa? Per adesso si aggirano tra i due lati di scorrimento di via della Conciliazione pochi corrispondenti.

Si riconoscono perché sono eleganti, le donne hanno il trucco rifatto, gli uomini portano la cravatta. Alcuni sfoggiano il pass, l’accredito ufficiale grazie al quale potranno muoversi con agilità. Brandiscono il microfono e si piantano aggressivi, delimitano il territorio, anche se intorno a loro lo spazio è ancora vuoto. Ma conservano il ricordo delle celebrazioni per la morte di Giovanni Paolo II: incontenibili, infinite, l’intero quartiere occupato per una settimana da una fiumana di gente che non si riusciva a fendere in nessun modo. Quindi, per garantirsi una buona visuale tra tre giorni, già sgomitano, per precauzione.

Intorno a loro la folla eterogenea che non ti aspetti. Molte suore, certo, e preti, ma anche molti ragazzi e ragazze giovani, alcuni dei quali sono venuti da soli, e un numero impressionante di famiglie con bambini. Passeggini, carrozzine, creature addormentate in braccio o disperate, sedute per terra. Da qui l’Italia non sembra affatto un paese in crisi demografica permanente. Ma a guardare bene, di italiani non ce ne sono molti. In fila, oggi, ci sono soprattutto stranieri. Turisti di tutte le lingue, molti dei quali sembrano capitati un po’ per caso. Testimoni casuali di un avvenimento storico, si sono trasformati in diligenti spettatori. L’evento.

Per accedere alla piazza è previsto un sistema di code successive, a ognuna delle quali, come se davvero si camminasse verso una qualche saggezza, si deve abbandonare qualcosa alle spalle. Nella prima l’acqua. Decine e decine di poliziotti ripetono per ore la stessa frase: non si può portare nessun liquido dentro la piazza. Fatevi questa bella bevuta prima di entrare, dice qualcun altro, che fa bene. Tutto, sempre, in italiano. “One moment please”, unico mantra internazionale. Ma i turisti sono docili, e abituati, e capiscono. Chissà cosa ne faranno poi di quelle pile di bottigliette di plastica sequestrate che si accumulano nel colonnato.

Nella seconda ci sono i metal detector, uguali a quelli per i controlli negli aeroporti. Vegliati da altri poliziotti che pigramente distribuiscono le cassette di plastica che scorrono sui tapis roulants con borse e telefoni da monitorare. Anche loro hanno cestini della spazzatura nei quali buttano quanto è stato respinto dalla censura della macchina. Liberati da ogni peso, raggiunto il centro della piazza, si offre davanti ai nostri occhi un intrigo di code di rara complessità: non si capisce dove inizino e se davvero finiscano dentro la chiesa. L’unica cosa che si può fare è avere fede e accodarsi a quella che ci sembra scorra più rapida.

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Zaia-Crisanti, la bufera delle intercettazioni e il caso dei test rapidi: ecco cosa sta succedendo

martedì, Gennaio 3rd, 2023

LAURA BERLINGHIERI

 «È un anno che prendiamo la mira a questo, sono qua a rompermi i coglioni da 16 mesi, stiamo per portarlo allo schianto, adesso questo qua fa il salvatore della patria e io faccio la parte del mona cattivo». Il presidente veneto Luca Zaia è al telefono con Roberto Toniolo, direttore di Azienda Zero, braccio operativo sanitario della Regione. Si riferisce ad Andrea Crisanti, l’ormai ex professore di Microbiologia all’Università di Padova, fresco di dimissioni. L’intercettazione è stata fatta ascoltare ieri sera, in una puntata di Report dedicata allo scontro tra il presidente veneto e quello che fu il suo primo consulente per la pandemia. Frasi che sono parte di un dossier nutrito di conversazioni telefoniche tra Zaia, Toniolo, Roberto Rigoli (il medico nominato a capo delle Microbiologie venete, al posto di Crisanti), Massimo Clementi (direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele di Milano) e due docenti padovani.
Un passo indietro, all’ondata più aggressiva della pandemia per il Veneto. Nella Regione guidata da Zaia, era la stagione dei test rapidi per lo screening. Il Veneto fu capofila di un appalto da 148 milioni di euro per acquistarne 200 mila. Peccato che i prodotti in questione, stando a uno studio pubblicato da Crisanti su Nature, non fossero affidabili. E, anzi, lasciassero dietro sé una scia di 3 “falsi negativi” su 10. È anche emerso che la richiesta della maxicommessa non poggiava su una sperimentazione scientifica, come invece attestato da Rigoli: a febbraio la gup padovana Maria Luisa Materia dovrà decidere del suo rinvio a giudizio. Formulazione che muove da un esposto presentato da Crisanti. Fu questo che portò la Regione a comunicare di avere denunciato il professore padovano, scatenando la reazione del Senato accademico, che preparò una mozione sulla libertà della ricerca.

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Presidenzialismo, le garanzie minime

martedì, Gennaio 3rd, 2023

Montesquieu

La Costituzione al centro dei messaggi di fine d’anno delle due figure leader del momento. Per il capo dello Stato, è bussola per la politica e baluardo permanente della democrazia. Con tre parole di corredo, a un tempo monito e priorità per chi governa: l’onestà fiscale, vera patente di cittadinanza; la protezione dai rigurgiti della pandemia, senza la minima ambiguità; lo sguardo lungo e lungimirante di un progetto per il paese. Per il capo del governo, la Costituzione da adeguarsi alle esigenze del tempo. Per una non specificata efficienza del sistema, si immagina; ma di certo si fa possibile il sogno antico della destra politica, l’elezione diretta del capo dello Stato. Da perseguirsi con flessibilità sul modello, in doveroso ossequio agli equilibri parlamentari. L’obiettivo impone la rimozione dal nostro ordinamento della figura originale del nostro capo dello Stato: nei fatti quanto resta del nostro sistema parlamentare, voluto dai padri costituenti come argine definitivo a uno strapotere di governo tragicamente refrattario ai diritti e alla libertà. Una figura specifica a difesa della Costituzione, nulla di meno.

Questo è il tema della legislatura per il governo: e conserva un solo polo del singolare bipolarismo asimmetrico, vivace e attivo negli spazi di governo di centrodestra di ispirazione berlusconiana. Da un lato il capo del governo, per anni Silvio Berlusconi, dall’altro, a turno, quattro consecutivi presidenti della Repubblica, fortuitamente e fortunosamente eletti dalle Camere riunite sempre in tempi di maggioranze di centrosinistra. Maggioranze, queste ultime, fiacche e anemiche nell’opera di protezione del sistema istituzionale dagli attacchi del governo, opera delegata per intero al capo dello Stato. Una lotta sorda, che distoglieva la difesa delle funzioni parlamentari dal procedimento legislativo spostandolo alla fase di promulgazione delle leggi, prerogativa del Capo dello Stato. Che costringeva quest’ultimo a esercitare energicamente i poteri in sede di formazione dei governi, fino al rifiuto di nomina di ministri proposti dal presidente incaricato. A proteggere prerogative costituzionali nella formazione dei governi da subdole inserzioni nelle leggi elettorali di clausole legislative dirette a condizionare il capo dello Stato nella scelta del presidente incaricato. E via, con relazioni in superficie garbate fatte convivere con tensioni sottotraccia ininterrotte.

Un bipolarismo, di offesa dei governi e di difesa dei vari inquilini del Quirinale (non sempre solo di difesa, quest’ultimo, in anni passati). In questo contesto si inserisce il progetto costituzionale di questo governo. Con una premessa da scandire: nessun equivoco è consentito circa il carattere potenzialmente democratico dei sistemi presidenziali, quando questi siano costruiti e garantiti da sempre più solidi presidi di pesi e contrappesi al potere più forte, quello di governo. E con alcune precisazioni: non c’è bisogno di molte parole per motivare l’impossibile convivenza, ipotizzata recentemente anche su queste pagine, tra un governante di elezione popolare e una controfigura di presidente garante di investitura parlamentare: sarebbe un conflitto permanente, dominato dal presidente eletto. E, va detto con un briciolo di difendibile pregiudizio, sarebbe stato più tranquillizzante che il grande passo verso il cambio di sistema istituzionale, non fosse avvenuto su iniziativa e regia di una destra sempre ai margini della Costituzione, che ha testé dimostrato scarsa sensibilità nella scelta dei presidenti delle Camere. A questo punto, non resta che auspicare che il presidente del Consiglio, con la sua maggioranza, voglia rassicurare i perplessi rispondendo ad alcune domande. Basiche domande: concorda la maggioranza con la necessità di temperamento reale dei poteri di un governo presidenziale con gli altri poterei costituzionali, a partire da quello parlamentare?

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Le democrazie “resilienti” e l’anno zero delle autocrazie

martedì, Gennaio 3rd, 2023

MASSIMO GIANNINI

Anche quest’anno la notizia della morte delle liberal-democrazie è risultata largamente esagerata. Finisce un orribile 2022 e l’Occidente resta certo “prigioniero”, come scriveva Milan Kundera nel novembre dell’83. Ma nessuna delle profezie autoprodotte in un secolo di cultura e di letteratura si è infine realizzata. Il processo ineluttabile di degradazione dei valori raccontato nei Sonnambuli di Broch. La società euforica e ignara della sua imminente scomparsa descritta dall’Uomo senza qualità di Musil. Il Tramonto dell’Occidente che cerca la propria via nell’apoteosi del suo stesso morire, descritto da Spengler. Fino ad arrivare ai pensatori più recenti, dallo Zakaria di Democrazia senza libertà ai Levitsky e Ziblat di Come muoiono le democrazie. La meditazione intellettuale intorno alla possibile Finis Europae è estesa e profonda. Ma la realtà è ostinata e irriducibile. E dice questo: nonostante i rovesci geopolitici e bellici, sanitari e finanziari, le liberal-democrazie resistono. Secondo l’Economist, questa è la vera sorpresa dell’anno che finisce. E non era affatto scontata, visto che Euramerica ed Eurasia attraversano la fase più critica della Storia, fatte salve le due Guerre Mondiali. Dal Covid all’invasione dell’Ucraina, dal conflitto Cina-Stati Uniti alle elezioni di Midterm, dai disastri climatici alla crisi energetica, dal record delle disuguaglianze al ritorno della super-inflazione. Ce n’era abbastanza, per temere un crollo del nostro sistema di alleanze e di regole, di assetti istituzionali e di principi etico-morali. Ebbene, non è accaduto. Su questo aveva investito Putin, quando il 24 febbraio ha avviato la sua feroce “operazione militare speciale”. Approfittare della decadenza dell’Occidente come “regno dell’Anticristo”, secondo le teorie di Ivan Ilin e Danil Danilevski, per riconquistare uno Stato fallito e corrotto come l’Ucraina, avviare una serie di “Anschluss silenziose” e poi imporre un nuovo Ordine Panslavo.

La strategia del Cremlino poggiava su una doppia scommessa. Il Gendarme Americano, uscito a pezzi dalla ritirata ingloriosa dall’Afghanistan del 2021, non avrebbe avuto la voglia di cacciarsi in una nuova cold war con l’Orso Russo; e il Vecchio Continente, esausto e diviso, non avrebbe avuto la forza di opporsi al disegno neo-imperiale di Mosca.

Quello che Babai Vladimir, nonno di tutti i russi, non aveva previsto è che dall’altra parte, sulla strada per Kiev, si sarebbe ritrovato non un premier-fantoccio, ma un presidente-guerriero. Volodymyr Zelensky, sia pure con qualche intemperanza e qualche frizione con i suoi alleati, non ha solo difeso e chiamato alla resistenza il suo popolo. Ha anche svegliato le torpide coscienze euroatlantiche, spiegando ai capi di Stato e di governo dei nostri Paesi che la sua guerra era anche la nostra guerra, che i suoi diritti erano anche i nostri diritti, e che proteggere la sovranità dell’Ucraina significava anche difendere la libertà dell’Occidente. La campana di Bucha e di Zaporizhia, di Kherson e di Mykolaiv, è suonata anche per noi. Mai prima d’ora, tra i Paesi Nato, avevamo assistito a una mobilitazione così massiccia e granitica a sostegno di un Paese che pure non appartiene al Patto atlantico. Zelensky che in presenza o in videoconferenza fa vibrare i cuori e gli scranni nel Congresso Usa e nei Parlamenti di Parigi e di Londra, di Berlino e di Roma, è diventato davvero un “campione delle democrazie”, come scrive ancora il settimanale britannico. Le ha ricompattate, e per certi versi rianimate.

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Roma, identificato l’aggressore della turista israeliana alla stazione Termini: è un senzatetto polacco

martedì, Gennaio 3rd, 2023

Grazia Longo

ROMA. È un senzatetto polacco l’aggressore della turista israeliana accoltellata a Termini. L’uomo è stato identificato durante le indagini sull’inquietante episodio avvenuto la sera del 31 dicembre nella più importante stazione ferroviaria della Capitale.

Ragazza israeliana accoltellata a Termini, le immagini scioccanti dell’aggressione

Una ragazza di 24 anni di Tel Aviv, A.D., era ferma di fronte al distributore automatico di biglietti per il treno diretto a Fiumicino, che avrebbe dovuto prendere il giorno successivo per raggiungere l’aeroporto e volare verso Israele, e all’improvviso è stata accoltellata da un uomo vestito di nero e con un vistoso sacchetto azzurro in mano. Ancora ricoverata in prognosi riservata all’ospedale Umberto I non è in pericolo di vita ed è stata in grado di assicurare agli inquirenti di «non aver mai visto prima quell’uomo e di non essere stata pedinata».

A scatenare la furia potrebbero essere stati i simboli ebraici sullo zainetto della ragazza. La scena dell’aggressione è stata ripresa dalle telecamere interne alla stazione, alle 21,45, ed è evidente che non si è trattato di una rapina finita male: l’uomo non compie alcun gesto per rubare lo zaino ma si accanisce subito contro la turista, che si trovava a Roma per trascorrere il Capodanno con amici.

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Politica e governo, una novità da non sprecare

martedì, Gennaio 3rd, 2023

di Ernesto Galli della Loggia

Come c’era da aspettarsi la novità dell’arrivo di Giorgia Meloni al governo del Paese ha suscitato sentimenti particolarmente forti e naturalmente non sempre di simpatia soprattutto a causa della sua storia politica. E tuttavia è anche vero che quella medesima novità ha comunque destato una diffusa e insolita attesa anche tra coloro che il giorno delle elezioni non avevano certo votato per la coalizione del nuovo presidente del Consiglio. Una stanca Italia sessista e popolata di vecchi, abituata da decenni ai soliti noti, a vedere seduta là, al centro del banco del governo, quella figura minuta dai capelli biondi, è stata percorsa da un brivido d’emozione nel ritrovarsi governata da una giovane donna, per giunta madre di una bella bambina, moderna e spigliata quanto basta per avere un compagno anziché un marito, non troppo intimidita dall’inamidata supponenza di tutti i poteri antichi peraltro prontissimi a salire come al solito sul carro del vincitore.

Oggi l’Italia aspetta incuriosita, in complesso con simpatia, di vedere all’opera Giorgia Meloni una volta che il suo governo si è gettato alle spalle queste prime settimane occupate dalla finanziaria: un episodio alquanto goffo e pasticciato sul quale però la gente sembra ormai benevolmente disposta a sorvolare, a credere che più che dell’annuncio del futuro si sia trattato dell’epilogo necessario di un passato da archiviare. Che però le cose stiano realmente così adesso sta al presidente del Consiglio dimostrarlo.

Innanzi tutto avendo il coraggio di cambiare. Gli Italiani hanno un grande desiderio di una leadership forte e determinata, e anche per questo hanno votato Giorgia Meloni. La vittoria di Fratelli d’Italia è stata in grandissima parte la sua vittoria, la vittoria della sua volontà, del suo carattere, della sua grinta. Ma proprio ciò le offre possibilità che oggi deve saper cogliere: avendo innanzi tutto il coraggio di cambiare, come ho appena detto. Di dimenticare cioè molte delle dubbie verità credute per anni, di abbandonare le avversioni e le simpatie nutrite in passato. Non si tratta di ritrattare nulla: è, più semplicemente, che l’esercizio del potere obbliga a considerare le cose diversamente rispetto a quando se n’era lontani. A vederle in maniera più cruda e più vera. In una democrazia costringe a sentirsi non più il capo di una parte ma di tutto un Paese, obbliga a un senso della realtà che in precedenza poteva pure non apparire così importante. Tutte cose che del resto il presidente del Consiglio ha già dimostrato di capire e di saper fare. Certo, la prima accusa che si muove a chi governa è sempre quella di non essere coerente con il proprio passato, ma è un’accusa che mostra la corda: specie se si proviene da territori politici estremi il potere per sua natura costringe a cambiare. Sono convinto che il prestigio e la credibilità del presidente del Consiglio ne guadagnerebbero moltissimo, e la sua popolarità pure, se anziché restare ostaggio del proprio passato ella avrà il coraggio di dirlo alto e forte, di rivendicare il diritto a cambiare e di spiegarlo al Paese. Sarebbe tra l’altro una sorprendente e utilissima lezione di politica impartita alla demagogia dell’antipolitica.


Potrebbe essere altresì il primo capitolo di quel discorso di verità di cui abbiamo bisogno, di cui l’Italia ha bisogno. Nell’ambito demografico, dell’istruzione, del Welfare, dell’integrazione degli immigrati, del perenne abisso tra il Nord e il Sud della Penisola, del fisco e della finanza pubblica, abbiamo un bisogno assoluto di fare scelte vitali per il nostro futuro. Scelte che inevitabilmente comportano prezzi anche molto alti da pagare e proprio perciò finora sempre rimandate. Che tuttavia possono essere affrontate solo se, per l’appunto, il Paese è messo di fronte alle sue reali, difficili condizioni da un grande discorso di verità ma insieme di speranza. Che esso in qualche modo si aspetta.

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Benzina, assicurazioni, mutui: cosa aumenta nel 2023 (più di stipendi e pensioni)

martedì, Gennaio 3rd, 2023

di Alessia Conzonato ed Enrico Marro

Tutti i rincari del 2023

L’inflazione che ha colpito gran parte dei mesi nel 2022 si sta affacciando anche nel nuovo anno e già a partire dal primo gennaio 2023 sono molti i rincari che colpiranno le tasche dei consumatori. Il primo annunciato era stato quello della benzina, dovuto anche al fatto che il governo non ha rinnovato il taglio delle accise apportato in un primo momento dal governo Draghi per contenere i costi energetici. Anche il prezzo dei pedaggi autostradali salirà del 2%, con un ulteriore aumento dell’1,34% a partire dal primo luglio 2023. Il settore delle assicurazioni, in particolare per le auto, ha iniziato a vedere un aumento delle tariffe già a partire dall’ultimo trimestre del 2022.Crescono anche gli affitti e le rate dei mutui. L’aumento dei costi non è compensato o, quantomeno non del tutto, dall’aumento delle pensioni o stipendi. Le pensioni minime infatti aumenteranno solo per chi ha dai 75 anni in su e anche l’adeguamento degli assegni all’inflazione non sarà per tutti al 100%. Per quel che riguarda la busta paga sarà più pesante, grazie al taglio del cuneo fiscale, solo per i lavoratori dipendenti con retribuzioni lorde annue fino a 35 mila euro.

Leggi anche:
Cosa succederà nel 2023? Stipendi, mutui, bollette: cosa cambia con l’anno nuovo

Diesel e benzina, nuovi rincari dei carburanti

Nel 2023, con l’eliminazione del taglio delle accise, inizialmente introdotto dal governo Draghi per contenere i costi energetici in forte aumento a causa del conflitto in Ucraina, i carburanti aumenteranno in media di 18 centesimi al litro. «Staffetta Quotidiana» ha rivelato che, a questo, si sommano anche i rincari di miscelazione dei biocarburanti di circa 0,5 centesimi al litro e dei delta praticati dalle compagnie petrolifere ai rivenditori. Sono tutti costi aggiuntivi su cui, infine, graverà l’Iva e che avranno peso sul prezzo alla pompa. Il diesel, in particolare, è tornato ad avere un costo superiore ai 2 euro al litro.
I dati più recenti risalgono al 30 dicembre 2022, quando i prezzi ancora erano piuttosto stabili: la benzina in self service era a 1,627 euro al litro e il diesel sempre in self a 1,693 euro al litro. Per quanto riguarda la modalità con il servizio, per la benzina il prezzo medio rimane a 1,779 euro al litro, mentre la media del diesel servito resta a 1,844 euro al litro. I prezzi praticati del Gpl si posizionano tra 0,768 e 0,787 euro al litro e quelli del metano auto tra 2,255 e 2,470 al chilo. Secondo le previsioni, a partire dal primo gennaio 2023, il prezzo medio del carburante servito si attesta intorno a 1,96 euro al litro per la benzina e 2,07 per il gasolio, mentre al self service sono rispettivamente 1,81 euro e 1,87 euro al litro.

Incremento dei pedaggi autostradali

Rincari anche per le tariffe dei pedaggi autostradali con l’inizio del nuovo anno. Si tratta dell’annuale aggiornamento, che però dal 2018 era stato sospeso a causa del crollo del ponte Morandi a Genova. Il ministero delle Infrastrutture dei Trasporti e il ministero dell’Economia hanno firmato un decreto ministeriale che attesta che i pedaggi lungo la rete di competenza di Autostrade per l’Italia (Aspi), che rappresentano oltre il 50% di quella complessiva nazionale, aumenteranno del 2%, con un’ulteriore incremento dell’1,34% a partire dal primo luglio 2023. Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture, ha spiegato che il rischio era di raggiungere «un aumento che sfiorava il 5%, che però è stato scongiurato». In generale, nel nostro Paese il costo delle autostrade ha un costo nettamente inferiore sia all’inflazione, come ha ricordato il ministro, ma anche agli altri Paesi europei: in Francia i rincari sono stati del +4,7%, in Spagna del +4%(partendo da una domanda iniziale di +8,4%). Unica differenza rispetto all’Italia è che alcuni sistemi consentono di ottenere uno sconto per limitare l’impatto dell’eventuale aumento sugli utenti.

Trasporto pubblico, aumenta il costo dei biglietti

A Milano, a partire dal prossimo 9 gennaio, il biglietto per accedere ai mezzi pubblici ha subito un rincaro di 20 centesimi. E non si tratta dell’unico caso. Sui Comuni ricadono ancora serie difficoltà legate prima alla pandemia e poi alla crisi energetica e all’inflazione, così molti hanno deciso di aumentare il prezzo del servizio di trasporto pubblico. A Roma l’incremento sarà più alto, di 50 centesimi, ma avverrà ad agosto. In Campania, invece, già da alcuni mesi i prezzi sono saliti.

Rc Auto, aumento dei prezzi nel corso dell’anno

Per quanto riguarda le tariffe Rc Auto, già nel terzo trimestre 2022 il rincaro aveva raggiunto una media del 2,5%. Si tratta, anche in questo caso, di un tasso inferiore all’inflazione ma non di un aumento definitivo. Più volte la presidente dell’Ania (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici), Maria Bianca Farina, ha ribadito l’inevitabile impatto dell’inflazione sui costi dei sinistri. Secondo Assoutenti nel corso dell’anno potrebbe raggiungere un valore medio del 6%.
Secondo l’Osservatorio Facile.it, sono circa 815 mila gli automobilisti che saranno costretti a pagare di più per la propria assicurazione Rc auto se hanno causato un sinistro con colpa nei 12 mesi precedenti, vpreveedendo peggiorare la propria classe di merito. A livello nazionale la percentuale di automobilisti che hanno dichiarato un sinistro con colpa è pari al 2,51%. Lo studio spiega, inoltre, che «il dato assume ancora maggior gravità se si considera che, a dicembre 2022, il premio medio Rc Auto registrato in Italia è stato di poco superiore ai 458 euro, vale a dire ben il 7,23% in più rispetto ad un anno prima».

Bollette, scende la luce ma sale il gas

Se da una parte è ormai appurato che le tariffe dell’elettricità vedranno un ribasso nel 2023, dall’altra quelle del gas non accennano minimamente a scendere. Le bollette della luce caleranno del 19,5% nel primo trimestre del 2023 rispetto all’ultimo trimestre del 2022, per gli utenti che sono ancora sul mercato tutelato (circa il 33% del totale). L’Arera, però, ha ricordato che i mercati energetici sono molto volatili e per i tre mesi successivi il prezzo potrebbe fortemente variare. Di contro, però, c’è l’aumento delle bollette del gas. L’Autorità pubblicherà le tariffe ufficiali, che varranno anche per dicembre 2022, martedì 3 gennaio, ma Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, ha spiegato che è atteso «un aumento delle bollette di dicembre del 20% a 1,48 euro al metro cubo».

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Covid, Pechino tuona: inaccettabili i test sui viaggiatori cinesi

martedì, Gennaio 3rd, 2023

di Redazione Esteri

Il Ministero degli Esteri minaccia contromisure contro i dieci Paesi (tra cui l’Italia) che impongono tamponi obbligatori negli aeroporti. I medici in Germania: giusto farli, l’Unione europea si muova

Pechino ha condannato oggi l’imposizione di test Covid da parte di una dozzina di Paesi (tra cui l’Italia) ai viaggiatori provenienti dalla Cina, avvertendo che potrebbe prendere «contromisure» come ritorsione. «Alcuni Paesi hanno messo in atto restrizioni all’ingresso rivolte esclusivamente ai viaggiatori cinesi. Questo provvedimento non ha basi scientifiche e alcune pratiche sono inaccettabili», ha dichiarato la portavoce del Ministero degli Esteri Mao Ning, aggiungendo che la Cina potrebbe «prendere contromisure, sulla base del principio di reciprocità».

«Pratiche eccessive»

La Cina si dice disposta a rafforzare la comunicazione con la comunità internazionale e a collaborare per superare la pandemia di Covid-19, ma definisce «inaccettabile» il ricorso a «pratiche eccessive» messe in atto da alcuni Paesi. Il riferimento è alle restrizioni decise da alcuni Paesi, tra cui l’Italia, come il tampone obbligatorio all’arrivo, dopo l’esplosione di contagi nel Paese asiatico. «Ci opponiamo fermamente alla pratica di manipolare le misure di prevenzione e controllo della pandemia per raggiungere obiettivi politici», ha avvertito il portavoce.

La risposta tedesca
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