Archive for Febbraio 14th, 2023

Questa statua è stata realizzata da un robot (italiano): la storia di Robotor, il Michelangelo con l’intelligenza artificiale

martedì, Febbraio 14th, 2023

di  Peppe Aquaro

Non parla ma agisce

Questa statua è stata realizzata da un robot (italiano): la storia di Robotor, il Michelangelo con l'intelligenza artificiale

Se quel braccio meccanico, e un po’ artista, conoscesse il linguaggio dell’uomo, probabilmente si rivolgerebbe alla statua, chiedendole: «Perché non parli?». Oggi, infatti, per essere Michelangelo e scolpirsi il proprio Mosè non servono genio e sregolatezza. È sufficiente lui, «Robotor», una nuova generazione di robot messa a punto da due apuani doc: sì, di casa a Carrara, dove si estrae da secoli il marmo migliore per abbellire chiese, palazzi e musei. Ci sono passati Michelangelo (appunto), Canova, Botero e più recentemente Jeff Koons e Maurizio Cattelan. Ma sarà vera arte, farsi fare una fresatura da un braccio meccanico intorno a un blocco di due metri? «Certo che lo è», rispondono insieme i due apuani, Giacomo Massari, 39 anni, e Filippo Tincolini, 46enne, cofondatori di TorArt, un laboratorio di scultura frequentato da chi sa lavorare il marmo e da esperti di software.

La Dea in trono, che sembra vera

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«Uniamo tecniche tradizionali di scultura alla tecnologia della stampa in 3D e della robotica», spiegano i due soci. Tra le loro riproduzioni, ricordiamo, per esempio, la statua della Persefone Gaia, la cui copia perfetta è esposta al Mart, il Museo nazionale archeologico di Taranto (la vera casa del capolavoro magnogreco del 480 a. C., il cui originale è però conservato a Berlino, all’Altes Museum).

Tutta una questione di braccio

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Ma il cambio di passo vero e proprio di TorArt è «Robotor» (dove «Tor» ritorna costantemente: «È la sintesi di Torano, frazione di Carrara, dove è collocata una delle nostre due sedi», racconta Massari), un braccio antropomorfo a sei assi, che lavora la pietra grazie a un software di programmazione, «Or-Os», che, partendo da un file 3D dell’opera da riprodurre e dopo aver selezionato il tipo di forma da eseguire riesce a convertire il modello in una serie di passaggi-utensili in base alla tempistica e al risultato che si vuole ottenere.

Solo dieci giorni per una scultura

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«Braccio e software fanno tutto da soli: intanto, è possibile anche allontanarsi dal luogo di lavoro e ritornare quando Robotor ha concluso il tutto», aggiunge Massari. I tempi di lavorazione? «Dipende da che cosa si vuole realizzare: per una scultura alta due metri possono bastare anche dieci giorni. Che è poca roba, rispetto ai mesi o agli anni impiegati dai grandi artisti rinascimentali. Per non parlare dei vantaggi fisici degli scultori, i quali non sono più costretti a sollevare carichi pesanti o a lavorare in situazioni pericolose per la salute», osservano i fondatori di TorArt.

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L’Europa evita la recessione. Il Pil crescerà dello 0,9%

martedì, Febbraio 14th, 2023

Rodolfo Parietti

Come la pancia di Mimmo Craig in un vecchio Carosello, la recessione non c’è più. Dissolto il brutto sogno che l’aveva agitata nei mesi dell’impazzimento dei prezzi energetici, l’Europa si scopre meno vulnerabile e forse più forte perfino delle sue lacerazioni interne. Così almeno raccontano le previsioni d’inverno della Commissione Ue, dove si attende una crescita per quest’anno dello 0,9% nell’area dell’euro e dello 0,8% nell’Unione, rispetto allo 0,6% e allo 0,5% rispettivamente dell’outlook precedente. Quanto al 2024, il Pil di Eurolandia dovrebbe espandersi dell’1,5% e dell’1,6% quello dell’Ue.

L’Italia resta nel solco della media nel ‘23% (+0,8%, meglio del +0,2% della Germania), ma un po’ al di sotto l’anno prossimo (+1%). «La crescita si è contratta marginalmente nell’ultimo trimestre del 2022, ma si prevede che quest’anno si riprenda gradualmente e che si eviti una recessione tecnica per il 2023», è il commento del commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni. Il patrimonio di solidità accumulato dopo il periodo post-pandemico non verrà insomma dilapidato grazie ai due pilastri indicati dall’ex premier: la domanda privata e i progetti di investimento pubblico inclusi nel Piano di ripresa e resilienza. Il rispetto della tabella di marcia del Pnrr dovrebbe essere la condizione per garantire la tenuta congiunturale anche nel 2024, al pari dell’attenta gestione dei conti pubblici. Da questo punto di vista, Gentiloni non si aspetta sorprese sgradite: «Io credo che il governo abbia dimostrato anche con l’ultima manovra di avere attenzione agli equilibri di bilancio, questo è fondamentale per un paese ad alto debito». A maggior ragione se, come anticipato dallo stesso commissario, a fine dicembre terminerà «ragionevolmente» la clausola di salvaguardia che sospende il Patto di stabilità. Arrivando ieri all’Eurogruppo, il vice presidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, ha spiegato che Bruxelles presenterà la propria proposta legislativa sulla riforma del Patto «dopo il Consiglio europeo di marzo. Abbiamo bisogno della carota e del bastone». A Roma potrebbe essere riservato soprattutto il bastone. L’elevato indebitamento potrebbe infatti far finire l’Italia nell’elenco dei Paesi considerati «a rischio» e perciò assoggettati a una severa sorveglianza della finanza pubblica tale da impedire qualsivoglia margine di manovra.

La futura crescita economica italiana sarà quindi condizionata sia dai paletti del nuovo Patto, sia (e ciò vale per tutti) dall’andamento dei prezzi energetici e da quanto la Bce stringerà le maglie monetarie. Grazie a un inverno più mite del previsto che ha preservato le scorte, il prezzo del metano è crollato dai picchi di quasi 340 euro al megawattora della scorsa estate agli attuali 50 circa contribuendo a evitare un avvitamento del ciclo congiunturale. La situazione potrebbe però cambiare. La Commissione europea avverte infatti che «non si può escludere una potenziale inversione di tale calo dei prezzi, visto il protrarsi delle tensioni geopolitiche».

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Sinistra senza idee tra opa e piagnistei

martedì, Febbraio 14th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

Opa, accozzaglia, fuffa, lagna, piagnisteo. In uno dei giorni più neri della sua storia, con almeno un milione e mezzo di suoi elettori che hanno scelto di non prendere la tessera elettorale e andare a votare, “perché tanto a che serve”, il centrosinistra si scambia messaggi affettuosi di questo tenore. Trasformando la sempre temuta analisi della sconfitta nell’ennesima guerra gli uni contro gli altri, come se servisse a qualcosa, come se finora li avesse portati da qualche parte.

A leggere in fila le dichiarazioni di ieri di Enrico Letta, Giuseppe Conte, Carlo Calenda, il rischio è che quegli elettori preda del disincanto democratico, della disillusione rispetto a un gesto – quello del voto – un tempo consueto e ormai sempre più spento, la tessera elettorale decidano di lasciarla sepolta nel cassettino della scrivania all’angolo per molto tempo ancora. Perché non c’è niente di peggio – quando il tuo elettorato ha urlato: smettila di litigare! – che continuare a farlo. Un riflesso condizionato, un istinto distruttivo. Ci fosse uno psichiatra specializzato in ex campi progressisti, toccherebbe chiamarlo di corsa e pregarlo di intervenire. Detto che sbagliano tutti, e non da ieri, c’è come sempre chi sbaglia più forte. E quindi per quanto veder riapparire Enrico Letta dopo mesi di nascondigli solo per dire “il Pd ha tenuto” appaia – nella condizione in cui si trova il Partito democratico – abbastanza lunare, c’è un fatto da tener presente. Se il Pd ha perso meno di Movimento 5 stelle e Terzo polo è perché è l’unico che, dopo le elezioni politiche più disastrose della sua storia, ha deciso di tirare una linea e ricominciare daccapo. È in mezzo al guado, diviso tra due proposte molto diverse, senza una guida, frastagliato, preda di opachi potentati locali, incapace di mostrare una visione di mondo coerente e alternativa a quella della destra di governo, talmente elusivo sui temi che più dovrebbero stargli a cuore da rischiare l’evanescenza, ma ci sta faticosamente provando. Anche se nella scelta dei candidati per il Lazio e la Lombardia ha combinato un pasticcio dopo l’altro: si è fatto anticipare dal terzo polo su D’Amato, è arrivato tardissimo su Majorino. Come al solito, ha detto di volere alleanze che non è stato capace di costruire. E non solo per colpa dei rifiuti altrui.

E qui veniamo a Terzo polo e M5s che scontano un inevitabile scarso radicamento sul territorio, ma anche i continui peccati di hybris dei suoi leader. In questa gara che la destra ha giocato per vincere, confermando la sua presa sulla Lombardia e strappando il Lazio a un centrosinistra incapace anche solo di replicare l’alleanza che lo ha retto per oltre un anno, il centrosinistra ha giocato solo per misurarsi. Come alle politiche, ma con un’aggravante: avevano la prova matematica che non avrebbe funzionato. Non con candidati che per quanto volenterosi non sono certo figure in grado di ribaltare pronostici. E quindi è venuto il momento in cui Conte, Calenda e Renzi, impegnati a disprezzarsi più di quanto disprezzino alcune misure terribili di questo governo, dicano quel che vogliono fare dei loro voti e del loro consenso. Cosa vogliono costruire? Se la risposta per il Terzo polo è il grande centro, in bocca al lupo, che non esista è stato provato tante di quelle volte che servirebbe un libro per riepilogarle. Se la risposta per Conte è superare il Pd, coraggio, facile, ma dopo che ci fai, con quei voti? Come lo difendi il reddito di cittadinanza, come lotti contro l’autonomia differenziata, come fermi le trivelle? Mettiamo da parte il conflitto in Ucraina, per un attimo, perché lì parte un dibattito violento e manicheo che non va da nessuna parte.

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Pd, Bonaccini scuote gli alleati: “Uniamoci per vincere”

martedì, Febbraio 14th, 2023

Carlo Bertini

«Andiamo divisi senza uno straccio di prospettiva nazionale e questo pesa, l’astensione ha penalizzato noi, la gente non aveva spinte per andare alle urne». Al comitato di Alessio D’Amato, al Portonaccio, periferia della Capitale, le analisi sono impietose e puntano il dito contro Giuseppe Conte e Carlo Calenda, ma tra i bersagli c’è pure Enrico Letta. Dentro il grande capannone, giornalisti e telecamere. Nessuno del Pd. E già questo è un fatto.

«Non li ho vo-lu-ti io», scandisce il candidato governatore sconfitto dalla destra, «con un congresso dem in corso ho preferito concentrarmi sui temi del territorio». Un modo elegante per dire che, «se non c’è una proposta politica nazionale che fa da traino, non vai da nessuna parte», la mette giù piatta un dirigente romano. Ma il Pd tiene non crolla, sta sul 20% nelle due regioni. Ma non basta.

«Le due Opa di Conte e Calenda sono state bloccate, ma questo non può consolarci», dice Andrea Orlando. Pierfrancesco Majorino, candidato in Lombardia, se la prende con lo stato maggiore, «nel momento di maggiore difficoltà non abbiamo avuto una leadership nazionale».

Ed è questo il motivo per cui Enrico Letta tira fuori la testa da sotto l’acqua che inonda il Nazareno: «Siamo il primo partito di opposizione. Con il vento contro, il Pd ottiene un risultato significativo e respinge la sfida di M5S e Terzo Polo», dice il segretario uscente, sapendo che gli viene intestata la botta di queste elezioni. E per questo determinato a rimarcare di aver respinto l’assedio di Conte e Calenda e di aver tenuto a galla il partito sul piano dei numeri nelle due regioni, malgrado le previsioni nere.

Il congresso che ha creato una vacatio di leadership esiziale e l’ostilità dei possibili alleati, tutti contro il Pd: sono le motivazioni di questa sconfitta, ma poi ci sono gli sguardi rivolti in avanti e qui le cose cambiano. L’obiettivo si sposta sul congresso dem, cui tutti ormai guardano.

A indicare una via di uscita da questa tragedia politica è Stefano Bonaccini, quando sostiene che «le opposizioni si devono trovare su lotte comuni: su lavoro, scuola e sanità pubbliche, 5 Stelle e Terzo Polo sono pronti a impegnarsi con noi in Parlamento e nel Paese?», chiede il candidato segretario.

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Ora la coalizione diventa più stabile

martedì, Febbraio 14th, 2023

Marcello Sorgi

La sorpresa non è la vittoria – ampiamente prevista – del centrodestra in Lombardia e Lazio, ma le dimensioni della stessa: oltre il cinquanta per cento dei voti per i governatori eletti. Per il centrosinistra la sconfitta è altrettanto netta, con un premio di consolazione per il Pd, che con tutti i guai che ha supera egualmente i magri risultati delle politiche di settembre. Ma al di là di questi numeri che confermano il quadro politico uscito dalle elezioni politiche del 25 settembre, con qualche interessante variazione che non ne muta la sostanza, l’allarme viene dalla bassissima affluenza alle urne: mediamente sotto al 40 per cento, e nel Lazio ben al di sotto. Dati che influiscono sulla qualità e sul funzionamento delle istituzioni, dal momento che una larghissima maggioranza non ci si riconosce; e che impegnano, non solo i nuovi governatori e le giunte che si formeranno, ma tutti gli eletti, a ricercare nuovi canali di comunicazione con quella parte della società civile che rifiuta di farsi rappresentare dall’attuale sistema dei partiti e dalle coalizioni.

Nel complesso, gli elettori andati alle urne hanno espresso un incoraggiamento a Meloni e al governo che presiede; e non perché questi primi cento giorni (in realtà qualcuno in più) siano stati scevri da errori o da imprevisti che hanno messo alla prova le capacità della giovane premier. Ma perché è come se dalle urne fosse uscito un caloroso invito a lasciarla lavorare e a consentirle di realizzare il suo programma, anche nelle pieghe che possono suscitare perplessità (vedi, ad esempio, il comportamento tenuto dalla presidente del Consiglio all’ultimo vertice europeo). In questo senso si apre un problema per le opposizioni, insieme e separate: è un’illusione credere di poter rimontare giocando sulle scivolate del governo, e non lavorando alla costruzione di un serio progetto comune, da comunicare e spiegare agli elettori senza l’ansia del giorno per giorno, ma puntando a costruire una reale alternativa. Un confronto su proposte convincenti, non pensate solo con l’obiettivo di conquistare consensi anche tra le frange estreme dell’opinione pubblica, ma lavorando anche in modo pedagogico per far capire ai propri elettori che non sì può arretrare rispetto alla comprensione dei problemi e alla qualità delle soluzioni avanzate quando si stava al governo. Vale per le questioni energetiche e per il pacifismo irrealistico che si riaffaccia nel tragico contesto della guerra in Ucraina. E riguarda tutti: Pd, Terzo Polo (tentato dal ruolo ormai inutile di stampella del centrodestra) e 5 stelle.

Nelle percentuali di liste, soprattutto al Nord, si è avuto un responso tutto sommato equilibrato a destra, dove Fratelli d’Italia è cresciuto molto (ma non rispetto alle politiche), lasciando un abbondante margine di sopravvivenza alla Lega, aiutata dall’approvazione in Consiglio dei ministri del progetto di riforma per l’autonomia differenziata, e una ridotta fetta della torta per Forza Italia, che tuttavia può sommare ai suoi consensi una parte di quelli per la lista civica del presidente Fontana e scontare una parte di quelli andati alla Moratti, a tutti gli effetti voti moderati che con lei possono tornare a casa (tra l’altro con il pieno consenso di Berlusconi).

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Berlusconi «spinto» dai sondaggi e dai timori per l’economia. Ma i suoi corrono a chiarire dopo le parole su Zelensky

martedì, Febbraio 14th, 2023

di Virginia Piccolillo

Gasparri: «È libero di dire ciò che pensa». Il disagio di Tajani e i malumori di Fratelli d’Italia

Berlusconi «spinto» dai sondaggi e dai timori per l’economia. Ma i suoi corrono a chiarire dopo le parole su Zelensky
Un incontro in Sardegna del 2008 tra Vladimir Putin e Silvio Berlusconi

«Credo che per l’età e per il ruolo che ha rivestito Berlusconi sia libero di dire quello che pensa». È il giorno della vittoria elettorale del centrodestra. E sono in molti da Forza Italia, come Maurizio Gasparri, a cercare di non far guastare la festa dalle parole pronunciate domenica, a urne aperte, da Silvio Berlusconi: «A parlare con Zelensky, fossi stato premier, non ci sarei mai andato. Bastava che cessasse di attaccare le due Repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto. Giudico molto, molto negativamente il comportamento di questo signore».

Ieri dopo un infittirsi di contatti tra Palazzo Chigi e gli alleati internazionali per spegnere una potenziale crisi diplomatica e molte telefonate e contatti per disinnescarne una di governo, a fine serata, è arrivata quella di Berlusconi a segnare la fine delle ostilità. A Giorgia Meloni e a Matteo Salvini, ha fatto sapere lui stesso, per fare i complimenti «per il grande successo della coalizione alle elezioni Regionali in Lombardia e in Lazio», ha annunciato in una nota. Ma soprattutto per riaffermare la coesione di governo «che ha come orizzonte l’intera legislatura».

Un sospiro di sollievo hanno tirato tutti quelli che per l’intera giornata avevano cercato di chiarire. Giorgio Mulè aveva tracciato un confine fra il prima e il dopo il 24 febbraio: «Il prima fotografa un’epoca e un momento in cui le parti potevano e dovevano dialogare in maniera diversa. Berlusconi interviene su quella fase, riconoscendo che con l’invasione dell’Ucraina la Russia e Putin si sono messi dalla parte sbagliata della storia. E su questo non può esserci tentennamento». Gasparri aveva rivendicato che c’era un Berlusconi ex presidente del Consiglio e l’alleato di Meloni: «Siamo dalla parte del popolo ucraino, abbiamo votato i provvedimenti, ma nel Donbass c’erano guerre da anni che il mondo avrebbe dovuto bloccare. Perché poi da guerra nasce guerra».

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Meloni ora pensa a riorganizzare il centrodestra: in Forza Italia si parla di un’«operazione Valchiria»

martedì, Febbraio 14th, 2023

di Francesco Verderami

La premier ha davanti un anno di tempo prima di Europee e Comunali. In mezzo potrebbe anche tornare il voto per le Province. In Forza Italia l’idea di separare gli incarichi di partito da quelli nell’esecutivo

 Meloni ora pensa a riorganizzare il centrodestra: in Forza Italia si parla di un’«operazione Valchiria»

Ogni test elettorale produce delle conseguenze politiche. Ed è vero che il risultato in Lombardia e nel Lazio — come dice Meloni — «rafforza il governo e consolida la compattezza del centrodestra». Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Infatti ieri sera, al riparo dai festeggiamenti e dalle dichiarazioni esultanti di rito, la cerchia più ristretta della premier accennava già al futuro, alla necessità di «accelerare una riflessione sulla riorganizzazione dell’alleanza». Compito che «potrà assumersi solo lei».

Certo, FdI non ha cannibalizzato Lega e Forza Italia: un esito che avrebbe potuto destabilizzare i rapporti nella maggioranza. Ma è evidente il ridimensionamento di Salvini, come il dato ottenuto da Berlusconi. Per i due partiti la vittoria di coalizione permette di nascondere le rispettive difficoltà. Però l’alleanza è anche una camicia di forza. Alla premier spetterà dunque sciogliere un nodo assai intricato, immaginando di «riorganizzare il centrodestra» senza romperlo. Per certi versi dovrà affrontare una crisi di crescita, sapendo peraltro delle tensioni che covano nei gruppi dirigenti altrui.

In Forza Italia, per esempio, nei giorni scorsi si parlava di un’imminente «operazione Valchiria»: la separazione cioè degli incarichi di partito da quelli di governo. Ed è ovvio che una simile operazione avrebbe dei riflessi sull’esecutivo. Insomma, gli esami non finiscono mai. Meloni avrà un anno di tempo a disposizione prima dei prossimi appuntamenti elettorali: le Europee, le Comunali e probabilmente anche le Provinciali. Perché secondo fonti accreditate di Palazzo Chigi, dai colloqui con le opposizioni starebbe emergendo una «volontà bipartisan» di abrogare la riforma Delrio e ripristinare il voto diretto dei cittadini per la scelta dei presidenti di Provincia.

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I risultati definitivi delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio

martedì, Febbraio 14th, 2023

di Paolo Foschi

Il centrodestra ha vinto nettamente le regionali: trionfo per Fontana in Lombardia e Rocca nel Lazio. Risale la Lega, balzo di FdI nel Lazio, il Pd recupera, male il M5S. L’affluenza crolla al 40%

 I risultati definitivi delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio
Il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana (a sinistra), e il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca

ROMA — Giorgia Meloni supera il primo test alle urne da quando è a Palazzo Chigi. In una tornata segnata da un’affluenza ai minimi, il centrodestra ha dominato le elezioni in Lombardia e nel Lazio, strappando una Regione al centrosinistra. Attilio Fontana governatore uscente, espressione della Lega, sostenuto da tutta la coalizione — è stato rieletto con il 54,7% dei voti (con 9.227 sezioni scrutinate su 9.254); Francesco Rocca — l’ex presidente della Croce Rossa caldeggiato da Fratelli d’Italia — si è imposto attestandosi al 53,8% (5.216 sezioni su 5.306), conquistando la poltrona della presidenza lasciata libera in anticipo da Nicola Zingaretti (Pd), che si era dimesso a novembre, dopo l’elezione alla Camera.

QUI I RISULTATI DELLE ELEZIONI REGIONALI IN LOMBARDIA

Fratelli d’Italia si è confermata la prima forza politica con il 25,2% in Lombardia (era al 3,6% nel 2018, al 27,6% alle politiche di settembre) e con il 33,6% nel Lazio (8,7% alle precedenti regionali, 31,4 nel 2022). Ha conquistato il primato senza cannibalizzare i voti degli alleati: la Lega tiene e si attesta al 16,5% in Lombardia e al 8,4% nel Lazio. Per il partito di Matteo Salvini, nonostante il calo rispetto alle precedenti regionali (nel 2018 aveva ottenuto il 29,6% in Lombardia e il 9.98% nel Lazio), è comunque una risalita nel confronto con le Politiche: lo scorso settembre aveva ottenuto il 13,9% in Lombardia e il 6,1% nel Lazio. Forza Italia si è fermata al 7,2% al Pirellone (14,3% nel 2018) e all’8,4% alla Pisana (14,6% cinque anni fa). Quindi, rispetto alle Politiche di settembre, in termini percentuali arretra in Lombardia (era al 7,9) e avanza nel Lazio (6,9).

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La mappa dei partiti nel 2015 (in rosso il centrosinistra, in blu il centrodestra)

Un risultato complessivo che per Giorgia Meloni comunque «rafforza il governo», mentre Matteo Salvini ha esultato per il «successo»: «Il gioco di squadra con i nostri alleati funziona». In serata Silvio Berlusconi ha chiamato i due alleati per complimentarsi del «grande successo della coalizione»: «I tre leader — ha spiegato FI in una nota — hanno convenuto che sarà da stimolo a proseguire l’ottimo lavoro fatto sinora dal governo, che ha come orizzonte l’intera legislatura».

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