Archive for Febbraio 15th, 2023

Il mistero degli oggetti volanti nei cieli americani: cosa c’è dietro la “guerra” dei palloni spia

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

dal nostro corrispondente Alberto Simoni

WASHINGTON. Washington e Pechino si muovono sul filo dell’equilibrio fra l’escalation e la distensione con scambi di accuse reciproche sul disinvolto uso di palloni-spia e tentativi di riallacciare il dialogo ai massimi livelli.

Dapprima lo scambio al vetriolo con la Cina che accusa gli Usa di aver fatto volare nel 2022 ben 10 mongolfiere hi-tech nello spazio aereo cinese: «L’America dovrebbe riflettere bene prima di accusare», dice un portavoce Wang Wenbin. Segue a stretto giro la risposta statunitense: «Tutte falsità». Quindi l’affondo: «È la Cina a gestire un programma di spionaggio per raccogliere dati di intelligence tramite mongolfiere. Un programma connesso all’Esercito che ha portato a violare la sovranità degli Stati Uniti e di oltre 40 altre nazioni in cinque Continenti». La risposta Usa sarà affidata a Jake Sullivan che coordinerà il lavoro delle varie agenzie per elaborare una nuova policy.

Se la “Guerra fredda dei palloni” prende forma nei cieli, a terra si tenta di riannodare il filo della discussione con Pechino. L’agenzia Bloomberg ha riferito dei tentativi di organizzare a margine della Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel weekend, un incontro fra Antony Blinken e l’omologo cinese Wang Yi. La numero due del Dipartimento di Stato Wendy Sherman ha precisato che non ha annunci da fare. Il faccia a faccia resta possibile,«ma non confermato» spiegano fonti diplomatiche che sottolineano comunque che se il colloquio non dovesse esserci in Baviera resta comunque il G20 dei ministri degli Esteri in India in marzo un luogo ad hoc per spiegazioni fra i leader.

Nel tentativo di tenere la situazione sotto controllo, Washington sottolinea che le comunicazioni con Pechino sono costanti, i canali sono aperti, e al diniego cinese alla telefonata partita dall’ufficio di Lloyd Austin al Pentagono non si dà gran peso. Il viaggio di Blinken resta rubricato sotto la dicitura “posticipato”. Si farà quando – spiega Wendy Sherman – le condizioni saranno più proficue.

Dopo giorni di silenzio in cui la Casa Bianca si era limitata a riferire con sterili note che «Biden era tenuto costantemente al corrente» di quanto accadeva, ieri l’Amministrazione ha deciso di prendere l’iniziativa su palloni-spia e oggetti non-identificati abbattuti nel Nord America negli ultimi otto giorni sottolineando che si tratta di due cose distinte. Il primo è una mongolfiera cinese, viaggiava a 60mila piedi, era equipaggiata per captare comunicazioni e segnali ed è decisamente per gli Usa un’azione di spionaggio deliberata. Parte del carico (il payload sotto il pallone) è stato recuperato al largo della South Carolina.

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Terzo Polo, Calenda frana ma rilancia: “Partito unico riformista”

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

SERENA RIFORMATO

Si sono proposti come l’alternativa fra destra e sinistra, il progetto politico che avrebbe scompaginato il bipolarismo dell’offerta politica. L’effetto sorpresa Terzo Polo, però, non c’è stato. Non nel Lazio dove appoggiavano il candidato del Pd Alessio D’Amato, non in Lombardia dove correvano da soli con Letizia Moratti. In entrambe le regioni i simboli di Azione e Italia viva si fermano sotto il 5% contro l’8% guadagnato alle politiche di settembre. Il leader Carlo Calenda mette la sconfitta nero su bianco: «Fuori dal bacino di voti del Terzo Polo non siamo riusciti ad attrarre consensi». Con una postilla da “mal comune mezzo gaudio”: «La scelta degli elettori è stata chiara e inequivocabile: vince la destra ovunque – dice Calenda –. Il centro e la sinistra non sono mai stati in partita, neanche uniti, neanche nell’ipotetico formato del campo largo». Anche il giorno della sconfitta alle regionali viene speso dalle opposizioni fra le recriminazioni reciproche, una gara senza destinazione intorno alle domande chi ha perso più forte e per colpa di chi.

Per la Lombardia il sindaco Pd di Bergamo Giorgio Gori punta il dito contro Azione e Italia viva: «Possiamo a questo punto serenamente dire che la scelta del Terzo Polo di sostenere Letizia Moratti è stata una sciocchezza?», scrive su Twitter il candidato alla presidenza della Regione nel 2018. «Sicuramente non ha funzionato – ribatte Calenda -. La scorsa volta eravamo tutti con te e hai/abbiamo preso meno del 30%». Si aggiunge il candidato sconfitto del Pd in Lombardia Pierfrancesco Majorino: «Sono veramente ammirato da Calenda che è riuscito nel capolavoro di far crollare il Terzo Polo e ancora si mette a dare lezioni di qua e di là».

Il leader di Azione rifiuta la lettura del “divisi si perde” e battibecca sia col segretario uscente del Pd Enrico Letta che col favorito alle prossime primarie dem Stefano Bonaccini. In risposta all’accusa di Letta ( «l’Opa contro il Pd ha fatto male a chi l’ha tentata), Calenda fa notare la sconfitta del Lazio, dove pure correvano uniti: «Basta con questo vittimismo – scrive l’ex ministro su Twitter –. La destra è forte, dobbiamo recuperare il consenso, rispettivamente liberal democratico e social democratico». L’altra stoccata è per il presidente dell’Emilia Romagna secondo cui il Terzo Polo sarà il «miglior alleato» della destra se continua a correre da solo: «Una certezza nella vita: il Pd non perde mai. E se perde è sempre colpa di qualcun altro». Schermaglia che non fa prevedere un cambiamento nello schema di gioco delle opposizioni anche dopo i risultati delle primarie Pd: «Zingaretti, Letta, i quattro candidati dicono tutti da tempo la stessa cosa: unirsi per combattere le destre – dice a la Stampa il capogruppo di Azione alla Camera Matteo Richetti – ma nessuno dice su quale progetto di futuro stare insieme, sono solo impegnati nella rimozione di Renzi e del renzismo». Il leader di Italia viva lascia l’onere delle dichiarazioni post sconfitta all’alleato e nelle ore dei risultati rimane silente.

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Il Pnrr e la sfida degli investimenti

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

Stefano Lepri

Il governo Meloni si era guadagnato credibilità in Europa con una legge di bilancio prudente. Rischia di giocarsela se non saprà condurre bene la trattativa, ora finalmente avviata, sulle nuove regole di bilancio, ovvero sul Patto di stabilità. Non dovrà dare l’impressione che di regole ne voglia il meno possibile. Non era stata una buona mossa, l’altroieri, saggiare per prima cosa se il ritorno in vigore del Patto potesse essere rinviato dal 2024 al 2025. Ora ci si muove con obiettivi all’apparenza più ragionevoli, quanto adattare le regole alla situazione di ciascun Paese, in quale modo aprire spazio agli investimenti. Occorre al più presto formulare proposte costruttive sulle quali cercare alleanze tra gli ormai 20 Stati dell’euro. Guai se il governo italiano darà l’impressione di cercare cavilli perché le regole siano il più possibile lasche o impossibili da applicare; facendo sospettare che dopo l’inevitabile rifiuto si metterà a strillare contro l’Europa cattiva a uso di propaganda interna. Purtroppo molti italiani, e non soltanto nell’attuale maggioranza di governo, attribuiscono all’austerità imposta dal Patto la fiacca prestazione dell’economia nell’ultimo decennio. È un errore di visuale connesso all’importanza spropositata che ha qui la spesa pubblica nel perpetuare il consenso ai partiti politici e ai gruppi di interesse.

Una austerità pesante come quella adottata dopo la crisi del 2011 oggi è rigettata anche da chi allora la propugnava. Eppure il Portogallo, a cui la «Troika» impose sacrifici più duri di quelli del governo Monti, se ne è riavuto bene; a differenza dell’Italia supera i livelli di benessere pre-crisi. Perfino la Grecia, alla quale fu somministrata una dose feroce, oggi se la cava circa come noi. Le colpe del ristagno dell’economia italiana stanno tutte dentro i nostri confini. E la nostra insofferenza per le regole non è condivisa da nessun altro governo. Va cambiato il vecchio Patto, ora sospeso, che per un verso stabiliva obiettivi ardui da raggiungere, per un altro li ha immersi in una procedura affidata un po’ ad astrusi calcoli econometrici, un po’ a clausole discrezionali. La bozza di riforma avanzata mesi fa dal commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni è in alcuni punti poco chiara, non entusiasma, ma al nostro Paese può giovare, come ha ben spiegato ieri la Banca d’Italia. Alla Germania piace pochissimo, ma ieri, con una svolta interessante, il ministro delle Finanze Christian Lindner l’ha accettata come canovaccio per la discussione.

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Guerra in Ucraina, jet e navi nucleari russe infiammano il Baltico: “Offensiva già iniziata”

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

Monica Perosino

La temuta e annunciata offensiva russa di primavera è già iniziata. Per ora segue il ritmo della guerra di logoramento, che consuma risorse materiali, umane e psichiche costringendo l’avversario al collasso. Una tattica che Mosca conosce molto bene e di cui ha lunga esperienza. Ma all’attrito basta una scintilla, o un errore, perché si trasformi in repentina escalation.

Il rapporto annuale dell’intelligence norvegese, ieri ha confermato quello che già ad aprile denunciava la Difesa lituana, ma con un dettaglio decisamente più allarmante: non solo la Russia ha a disposizione testate nucleari, ma «ha iniziato a dispiegare navi con armi nucleari tattiche nel Mar Baltico» per la prima volta da 30 anni, come durante la Guerra Fredda. Gli 007 norvegesi osservano che «la parte fondamentale del potenziale nucleare si trova nei sottomarini e nelle navi della Flotta del Nord». Il report aggiunge che «non si prevedono cambiamenti significativi nella dottrina nucleare russa nei prossimi anni». Tutto questo mentre è emerso che due aerei da combattimento F-35 olandesi sono stati lanciati per identificare e intercettare tre caccia russi che volavano vicino al confine della Polonia con l’exclave di Kaliningrad, un incontro ravvicinato pericolossissimo data la situazione.
Ucraina – Russia, le news sulla guerra di oggi 15 febbraio in diretta

È proprio su Kaliningrad che gli occhi continuano ad essere puntati: se volesse lanciare un attacco nucleare, Mosca non dovrebbe neanche scomodare la flotta, vista la densità di missili Iskander schierati nell’oblast incastonato tra Polonia e Lituania.

Mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky chiede i caccia agli alleati occidentali, secondo fonti del Financial Times i russi starebbero ammassando aerei da combattimento ed elicotteri al confine con l’Ucraina per sostenere una nuova offensiva di terra, nel giorno in cui a Bruxelles la Nato ospita una nuova di riunione del Gruppo di contatto per l’Ucraina, dove sono rappresentati 54 Paesi. Da lì, al termine del meeting, il capo del Pentagono Lloyd Austin non ha confermato l’informazione: «Al momento non vediamo Mosca ammassare i suoi aerei per un massiccio attacco aereo, al momento non lo vediamo. Sappiamo che la Russia ha un numero considerevole di aerei nel suo inventario e molte capacità rimaste». Gli alleati dell’Ucraina riuniti a Bruxelles hanno promesso più armi e munizioni. «Si tratta di fornire tutte le capacità che abbiamo promesso. Si tratta di integrare questi sistemi», ha detto ancora Austin, aggiungendo che anche Kiev potrebbe lanciare la propria offensiva in primavera. E ora il vero punto nodale è il tempo: chi lancerà per primo un’offensiva in grado di spostare a proprio vantaggio la linea del fronte?

Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg a inizio giornata aveva detto: «Non vediamo segni che il presidente Putin si stia preparando per la pace. Quello che vediamo è il contrario. Si sta preparando per nuove offensive e nuovi attacchi. Quindi è ancora più importante che alleati e partner della Nato forniscano maggiore sostegno all’Ucraina». E aveva sottolineato che «il tipo di supporto che stiamo fornendo all’Ucraina è cambiato e si è evoluto nel tempo e continuerà a cambiare ed evolversi man mano che questa guerra si sviluppa».

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Il molto che resta da fare

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

di Sabino Cassese

Si tratta di un programma per più generazioni, quindi è bene festeggiare i tre quarti di secolo di vita della Costituzione italiana, ma anche rinfocolare il patriottismo costituzionale nazionale

«Ce nto anni di esperienza hanno mostrato il limitato valore di tutte le formule di Carte costituzionali, di trattati internazionali, di codici. Non è possibile che un foglio di carta sbarri la via alle passioni umane, agli interessi, nonché alle aberrazioni o alle follie. Se dietro ogni garanzia costituzionale non c’è una forza vigile, non ci sono cuori caldi, la Carta sarà travolta dal fatto», così scriveva, il 2 gennaio 1948, all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana italiana, il grande giurista e storico delle relazioni tra Stato e Chiesa Arturo Carlo Jemolo.

È quindi bene non solo festeggiare i tre quarti di secolo di vita della Costituzione italiana, ma anche rinfocolare il patriottismo costituzionale nazionale. Se una nazione è una storia comune e un’anima, come scriveva lo storico del cristianesimo francese Ernesto Renan nel 1882, quest’anima è oggi scritta nella Costituzione. In questa sono registrati la reazione del popolo italiano al regime illiberale fascista, ideali ed esperienze appartenenti alle culture liberale, popolare e socialista, nonché quelle che Piero Calamandrei, nel 1955, chiamava «le grandi voci lontane di Beccaria, Cavour, Pisacane, Mazzini».

La Costituzione è un programma per più generazioni, scritto attingendo ai principi racchiusi nell’«officina di idee» del secondo dopoguerra: la «Rivista trimestrale di diritto pubblico» dedicò il primo fascicolo del 2018 a censire gli «ideali costituenti». Questo non deve però far dimenticare i punti deboli del testo e della sua storia.

Parlando, il 4 marzo 1947, alla Costituente, sul progetto di Costituzione, Piero Calamandrei, favorevole a una Repubblica presidenziale, «o almeno a un governo presidenziale», aggiungeva: «di questo, che è il fondamentale problema della democrazia, cioè il problema della stabilità del governo, nel progetto di Costituzione non c’è quasi nulla». Più tardi, nel 1995, un altro dei protagonisti della storia costituzionale, Massimo Severo Giannini, riassumeva così il suo giudizio sulla Costituzione: «splendida per la prima parte, banale per la seconda (struttura dello Stato) che è una cattiva applicazione di un modello (lo Stato parlamentare) già noto e ampiamente criticato». Infatti, per quarant’anni, cioè per più di metà della vita della Costituzione repubblicana, si è cercato, senza riuscirci, di modificare la seconda parte.

Il secondo punto debole consiste nella «lentissima fondazione dello Stato repubblicano» (sono ancora parole di Giannini). Fu necessario un decennio per istituire la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura. Dovette passare più di un decennio per la parificazione dei diritti delle donne negli uffici pubblici. Molte altre norme vennero ancora più tardi e furono spesso scritte con la tecnica del rinvio a leggi future. Le regioni cominciarono la loro vita 22 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, nel 1970, ma bisognò aspettare il 1972 e il 1977 per il trasferimento delle funzioni statali, poi completato e arricchito nel 1998 e nel 2001. Quindi, se è vero che non tutto il fascismo è stato fascista, è anche vero che non tutta l’Italia repubblicana è stata liberale e antifascista: basta pensare alla censura cinematografica e all’uso della polizia per schedare gli orientamenti politici dei cittadini.

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Il Ppe prende le distanze da Berlusconi: «Respingiamo le frasi su Kiev». Meloni: «Sulla politica estera non si cambia»

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

di Monica Guerzoni

L’ex premier precisa: «Sono sempre stato dalla parte dell’Ucraina e della pace»

Il Ppe prende le distanze da Berlusconi: «Respingiamo le frasi su Kiev». Meloni: «Sulla politica estera non si cambia»

Soddisfatta com’è per il risultato delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio, Giorgia Meloni non sembra avere troppa fretta di toccare gli equilibri tra i partiti della coalizione. Il centrodestra ha vinto la prima importante sfida dopo le Politiche del 25 settembre, il governo ha superato un test elettorale molto atteso e la presidente del Consiglio blinda l’impostazione dei primi quattro mesi: «Il governo è ancora più forte, io penso che l’assetto della maggioranza non abbia bisogno di alcuna modifica». Il che non vuol dire che niente debba cambiare, come in genere avviene dopo una prova elettorale importante, ma che qualunque aggiustamento verrà fatto con gradualità e prudenza.

Avanti a destra, senza dimenticarsi di volgere lo sguardo al centro. La scelta di Palazzo Chigi di revocare la costituzione di parte civile nel processo Ruby Ter è stata letta in Parlamento come un modo di andare incontro a Silvio Berlusconi, nella speranza che moderi le esternazioni ed eviti di innescare altri incidenti diplomatici. Ma nell’entourage dell’ex premier sono convinti che la coalizione resterà «plurale», perché Forza Italia ha tenuto i suoi voti «con risultati inattesi» e nessuno, tantomeno la premier, chiederà al fondatore di fare un passo indietro. «Ne ho già fatti tanti — si è sfogato con i suoi il padre nobile del centrodestra —. Il voto ha confermato gli equilibri della maggioranza, per cui resteremo centrali e non saremo mai subalterni». Per dirla con Maurizio Gasparri, con l’8,5% nel Lazio e il 7,2% in Lombardia Forza Italia resta «decisiva per l’equilibrio e la vittoria del centrodestra».

Lunedì sera, nel chiamare la premier per i complimenti di rito, Berlusconi ha voluto chiarire lo scivolone di domenica. Le critiche a Zelensky sono «opinioni personali» ha detto il leader azzurro e ha promesso che FI continuerà a sostenere l’Ucraina. Concetti che ieri, dopo la presa di distanza del Ppe («respingiamo le frasi su Kiev»), Berlusconi è stato costretto a scolpire in una nota: «Sono sempre stato e sto dalla parte dell’Ucraina e della pace. La mia speranza è che si possa trovare presto una soluzione diplomatica a questa guerra molto pericolosa per tutti». Lo strappo dell’alleato sembrava aver messo a rischio la visita della presidente nella capitale del Paese aggredito da Putin, ma ora Meloni si dice sicura che la missione si farà nei tempi previsti: «Certo che vado a Kiev. La linea del governo non cambia, soprattutto in politica estera».

Qualcosa però sta già cambiando in politica interna, da prima delle Regionali. La premier intende tenere sempre più separato il governo dal partito, un doppio binario che si è visto nei giorni delle polemiche furibonde sul caso Cospito. «I toni alti sui banchi di Camera e Senato servono a far crescere il consenso per FdI, senza danneggiare il governo», è la lettura della ministra Daniela Santanché.

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Auto elettriche, a benzina e diesel: cosa cambia dal 2035? Ci sono incentivi?

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

di Rita Querzè e Andrea Rinaldi

Auto elettriche, a benzina e diesel: cosa cambia dal 2035? Ci sono incentivi?

1. Cosa ha stabilito il Parlamento europeo?
Dal 2035 non potranno più essere immatricolate auto con motore endotermico. Quindi diesel o benzina. Ma anche le ibride. Potranno essere immatricolate solo auto a emissioni zero allo scarico. La decisione spiana la strada all’auto elettrica. Ma si sta lavorando anche su idrogeno e biocarburanti. Questi ultimi soprattutto nell’ottica di un impiego per mezzi pesanti.

L’industria

2. Quali tipi di auto sono immatricolate oggi in Italia?
A gennaio sono state immatricolate il 26,7% di automobili mild hybrid, il 26,5% a benzina, il 19% con motore diesel, il 10% ibride, il 4,7% ibride plug-in e il 2,5% elettriche «pure».

3. Qual è la differenza tra auto elettriche, mild hybrid, ibride e ibride plug-in?
L’auto elettrica è alimentata da batterie ricaricabili che muovono il motore. La mild hybrid prevede che il motore tradizionale sia supportato da un piccolo elettrico. La vettura plug-in hybrid consente di ricaricare il veicolo alle colonnine di ricarica, non possibile invece nelle auto full hybrid in cui l’accumulatore si ricarica in decelerazione e frenata.

4. Agli italiani piacciono le auto elettriche?
A gennaio le immatricolazioni complessive sono aumentate del 19% rispetto allo stesso mese del 2022 ma quelle di auto elettriche sono diminuite. L’Italia è ultima in Europa per le immatricolazioni di auto elettriche in rapporto alla popolazione. In Norvegia a gennaio erano elettriche l’85% delle auto vendute. Il 21% in Austria, il 18 in Svizzera, il 13% in Germania e il 10% circa in Germania e Regno Unito, il 5,9% in Spagna. E, infine, il 2,5% in Italia.

5. Quali sono i modelli di auto elettriche più venduti in Italia? E quali sono prodotte nel nostro Paese?
Nell’ordine, Fiat 500E (in Italia), Smart Fortwo, Renault twingo, Tesla model Y, Volkswagen Id.3.

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È boom di auto elettriche, ma ora gli ambientalisti le combattono

mercoledì, Febbraio 15th, 2023

Federico Rampini

Lo stop dell’Unione europea alle auto a benzina e diesel dal 2035 sancisce un’evoluzione già in corso sui mercati: le vendite di auto elettriche avanzano a gran velocità, in alcune parti del mondo sono già un quarto del totale. Ma la conversione del nostro parco auto si scontra con la resistenza occidentale a scavare sotto terra per estrarre le materie prime necessarie ai veicoli elettrici.

E in California un autorevole manifesto ambientalista fa scalpore perché dichiara guerra anche all’auto elettrica: troppo inquinante, non è una soluzione. Il decesso annunciato per l’auto a benzina o diesel riceve l’approvazione formale dell’Europarlamento, ma la direzione di marcia è già evidente per molti consumatori. Nel 2022 per la prima volta le auto elettriche hanno superato la soglia del 10% del totale globale. Ne sono state vendute 7,8 milioni, con un aumento del 68% in un solo anno. La media mondiale nasconde delle punte molto più avanzate. All’avanguardia ci sono Cina e Germania.

Sul mercato tedesco le autovetture elettriche hanno già raggiunto il 25% della produzione l’anno scorso, su quello cinese quasi il 20% delle nuove immatricolazioni sono totalmente elettriche. Tutti questi dati escludono le ibride che farebbero salire le percentuali ancora più in alto. La media europea è 20% come quella cinese. Gli Stati Uniti restano più indietro (6% di auto elettriche sul totale venduto nel 2022) pur avendo un campione mondiale come Tesla, tuttora il numero uno per le vendite di auto elettriche sul pianeta.

Ma l’Inflation Reduction Act varato da Joe Biden contiene incentivi fiscali talmente generosi per i veicoli elettrici, che si prevede un balzo di vendite anche in America (il nome dell’Inflation Reduction Act può ingannare, in realtà si tratta del Green Deal di Biden, generoso di sussidi per le tecnologie verdi e la transizione sostenibile).

Un altro segnale significativo che viene dal mercato è questo: le vetture elettriche si avvicinano a gran velocità ai prezzi di quelle a benzina o diesel. Il calo dei prezzi di listino deriva sia dalle agevolazioni fiscali, sia dai risparmi sui costi di produzione che si realizzano quando aumentano i volumi sfornati dalle fabbriche. A proposito di fabbriche, però, un’altra notizia americana accende un faro sulle nostre contraddizioni (nostre in quanto occidentali). La Ford annuncia la costruzione nel Michigan di una nuova fabbrica per produrre batterie per le sue auto elettriche, con un investimento di 3,5 miliardi di dollari e l’assunzione di 2.500 dipendenti. Però produrrà sotto licenza della Catl, il numero uno cinese nelle batterie elettriche. La nostra dipendenza dalla Cina in questo settore non fa che aumentare.

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